lunedì 28 dicembre 2015

RENZO ARBORE, libro mostra e stasera in tv

«Mi chiamo, come risulta dai documenti, Lorenzo Giovanni Maria Antonio Domenico Arbore. In arte Renzo. Sono nato l’anno in cui è morto Guglielmo Marconi (1937 - ndr) e non ho fatto in tempo a dispiacermi...». Comincia così, con queste righe autografe, il libro di Renzo Arbore “E se la vita fosse una jam session?”, sottotitolo “Fatti e misfatti di quello della notte” (Rizzoli, pagg. 311, euro 35). Un volume curato da Lorenza Foschini (già volto noto del Tg2) che celebra mezzo secolo di carriera di un grande showman e accompagna la mostra aperta a Roma, al Macro Testaccio, fino al 3 aprile. «Un libro - ha spiegato l’artista, pioniere di nuovi linguaggi e registri - improvvisato come la mia vita, perché all’improvvisazione devo la mia passione per la musica che poi è diventata passione per la parola improvvisata. Ho cercato di non parlare solo di me, ma di quello che ho visto perché possano vederlo gli altri e, vedendolo, possano dire sì, forse era proprio così. E anche di quello che il pubblico vorrebbe sapere di me, dai retroscena ai backstage. Nelle pagine ci sono le mie dieci o quindici passioni, dalla plastica a Napoli, dal jazz alla provincia, da New Orleans allo shopping, da Totò ai pupazzetti o alle luci colorate, in una sorta di rassegna. Non c’è niente che sostenga idee come io sono bravo. Io sono solo stato fortunato perché adesso mi sono accorto di aver vissuto rispettando la sacra regola del carpe diem». Ma non aspettatevi la solita biografia di un uomo di spettacolo. Da grande anticipatore e contaminatore qual è sempre stato, Arbore si diverte a introdurre il lettore in quel caleidoscopio che è stato - ed è ancora - il suo lavoro alla radio, in televisione e sui palcoscenici italiani e di mezzo mondo. «Nel libro racconto le cose che ho visto. La mia vita è diventata abbastanza lunga quindi ci sono diverse cose: ho visto la guerra, il dopoguerra, gli americani, gli anni di piombo e quelli delle mie trasmissioni. E c’è anche la politica». In parallelo, mentre lo sperimentatore radiofonico (assieme a Gianni Boncompagni) di “Alto gradimento” diventa prima l’innovatore del varietà televisivo e poi, molto tempo dopo, il leader dell’Orchestra Italiana, è infatti possibile leggere quasi in filigrana i mutamenti culturali, sociali, politici oltre che ovviamente di costume del nostro Paese. Il tutto partendo dalla Foggia dell’immediato dopoguerra, dove il giovane Arbore teneva già allora le antenne ben dritte verso il nuovo, che all’epoca non poteva che essere l’America. Dice: «Quello che ho visto della società e della vita civile, dalla guerra che ho visto a Foggia quando ero un bambino, poi con gli americani, poi quando sono andato a Napoli e dopo a Roma, e che vedo ancora oggi guardando la televisione e la rete, che è la mia ultima passione». Le sue città, le racconta così: «Foggia, la provincia, con tutto quello che mi ha insegnato; Napoli, una città di cultura straordinaria; Roma, città ospitalissima e veramente capitale del nostro Paese; e poi l'America tra New York, Los Angeles, Miami, New Orleans, il sogno che avevo fin da bambino quando ho visto arrivare gli americani nella mia città». Il suo segreto? Il segreto del suo successo? Facile, almeno a parole: «Ho cercato sempre di fare quello che non facevano gli altri. Ho cercato di fare l’altro e quindi l’altra radio, l’altra musica, l’altra canzone napoletana, l’altro cinema. Sono afflitto da ricorrenti passioni che ho sempre tradotto in opere vagamente artistiche». La radio. «Adoro la radio, è uno strumento fantastico. Mi ha insegnato a vincere la timidezza. La amo perchè avendo solo la voce è il mezzo che, più della televisione, scatena la fantasia. Alla radio puoi raccontare una storia e descrivere un personaggio affidandoti all’immaginazione di chi ti sente. Facendola, impari l’importanza del ritmo che è indispensabile per catturare l’ascoltatore. La radio è stata la prima a capire quanto contino le scelte tematiche, infatti ci sono le radio dei cattolici, quelle del rock, del jazz, le radio dei deejay con voci particolarissime...». E tutte le radio italiane, di ieri e di oggi, devono forse qualcosa agli esordi di Arbore a “Per voi giovani”, a “Bandiera gialla” e soprattutto ad Alto gradimento”. La televisione. «Noi facevamo una televisione con velleità artistiche e “Quelli della notte”, essendo stato un programma improvvisato e cult, e avendo un marchio potente e indelebile come “Lascia o raddoppia?” di Mike Bongiorno, ha lasciato un segno perché era assolutamente anomalo, è stato il biglietto da visita e la dichiarazione di un modo di fare televisione che nessuno faceva». L’Italia. «Ho recuperato il patriottismo con “Telepatria International”, ho celebrato la fine degli anni del terrore e degli anni di piombo con “Quelli della notte” passando dal riflusso all’edonismo reaganiano, ho fatto la satira della televisione degli anni Ottanta con “Indietro tutta”. Non ne potevo più di dire da dove chiama, il programma lo fate voi, gli sponsor, il cacao meravigliao, le ragazze coccodè...». La politica. Negli anni d’oro Pertini lo invitava al Quirinale, Berlusconi lo voleva nelle sue televisioni, Craxi «mi propose di candidarmi sindaco di Napoli per i socialisti. Io mi vestii da donna e con Gigi Proietti mi presentai sul palco intonando “Malafemmina” alla presenza di Bettino. Lui si divertì e capì che non volevo fare il sindaco». La vita privata. «Ho trascurato l’idea di farmi una famiglia, che avrei dovuto fare con Mariangela Melato, l’amore più grande della mia vita, ma ci siamo distratti». Gli anni con l’attrice recentemente scomparsa sono stati quelli «della formazione, dei primi successi, dell’incontro con l’arte, con il grande cinema, con il teatro». E la famiglia più o meno tradizionale che Arbore non ha avuto è diventata quella degli amici e colleghi, di quell’allegra brigata che comprende fra gli altri Nino Frassica a Marisa Laurito, da Roberto Benigni a Isabella Rossellini. «Guardandomi indietro - conclude Arbore quelle poche righe citate all’inizio, che aprono il volume - mi accorgo che mi sono sempre divertito a improvvisare pensieri, parole e suoni strampalati, prima da solo e poi con tanti amici. La mia vita è sempre stata un concerto improvvisato, insomma una jam session. Punto». . . . . . . . . . Dopo i suoi successi storici “L’altra domenica”, “Quelli della notte” e “Indietro tutta”, Renzo Arbore ritorna questa sera, alle 23, su RaiDue con un nuovo spettacolo di grande allegria e ritmo dal titolo “Quelli dello swing”. Recuperando il vecchio orario di messa in onda di “Quelli della notte” di 30 anni fa, un gruppo di giovani amici capitanati da Gegè Telesforo seguirà il popolare showman alla scoperta di “Videos, radios e cianfrusaglias”, l’anima della Mostra al Macro-Testaccio di Roma, dedicata ai 50 anni della attività professionale di Arbore. Il programma passerà in rassegna alcune delle sue tante passioni: la musica, l’America, la radio, la televisione, la collezione di oggetti in plastica, vecchie radio, cinema e altro. All’insegna di “Lasciate ogni tristezza, voi che entrate”, “Quelli dello swing” sarà una grande festa.

martedì 22 dicembre 2015

DAVID BOWIE, nuovo album esce 8-1-16

Il nuovo 28° album di inediti di DAVID BOWIE dal titolo ‘★’ (pronunciato ‘Blackstar’), esce l’8 gennaio 2016, il giorno del suo 69° compleanno, su etichetta Iso/Columbia Records, conterrà 7 brani inediti e sarà disponibile su CD, vinile 180 gr. con copertina fustellata e in versione digitale. ‘★’ arriva a 3 anni di distanza dallo straordinario disco ‘The Next Day’, uscito a marzo 2013 dopo 10 anni di silenzio, arrivato al # 1 delle classifiche in 19 Paesi e acclamato da pubblico e critica in tutto il mondo. Il nuovo album ‘★’ è stato ufficialmente annunciato il 25 novembre scorso, due settimane dopo il lancio della nuova serie drammatica TV ‘The Last Panthers’, in onda anche in Italia su Sky Atlantic, della quale il primo singolo ‘★’ accompagna i titoli di testa. Dal 18 dicembre 2015 il secondo singolo di DAVID BOWIE ‘Lazarus’ è in radio e disponibile in digitale. Questo è l’unico brano presente nel musical “Lazarus” (sequel teatrale de "L’uomo che cadde sulla terra), scritto da Bowie e Enda Walsh e diretto da Ivo Van Hove , tratto dall’album. Catalogare e descrivere il genere di ‘★’ è complesso. Basta la dichiarazione del produttore Tony Visconti, rilasciata alla prestigiosa rivista musicale inglese Mojo, per capire che, anche questa volta, ci troviamo di fronte a materiale che non segue alcuna regola se non quella della vocazione di DAVID BOWIE a fare ciò che gli piace, esplorare nuovi territori musicali e anticipare i tempi e mode: “BOWIE ha voluto musicisti jazz per suonare il rock. Avere ragazzi jazz che suonano rock vuol dire capovolgere tutto. In questi disco abbiamo messo qualsiasi cosa, volevamo qualcosa di fresco con l’obiettivo di evitare il puro rock’n’roll’”. Anche il fatto che durante la preparazione e le lunghissime session di registrazione di ‘★’ DAVID BOWIE ascoltasse molto materiale, tra cui Kendrick Lamar, gli scozzesi elettronici Boards Of Canada e gli hiphoppers californiani Death Grips, la dice lunga sul desiderio di continua ricerca, ispirazione e contaminazione da parte di questo artista e sulla direzione intrapresa per questo attesissimo nuovo lavoro”. Il sassofonista Donny McCaslin, il chitarrista jazz Ben Monder, il batterista Mark Giuliana, il bassista Tim Lefebvre, Jason Lindner alle tastiere e, in soli due brani, il fondatore degli LCD Soundsystem James Murphy alle percussioni, sono i musicisti che hanno suonato con DAVID BOWIE in ‘★’.

lunedì 21 dicembre 2015

COMPILATION UNICEF nata nel Fvg

S’intitola “Noi siamo amore, noi siamo Unicef”, è la prima compilation discografica dedicata a Unicef Italia ed è nata nel Friuli Venezia Giulia. Il disco verrà presentato oggi alle 20.30 allo Stadio Olimpico di Roma, in occasione della partita di calcio fra la Nazionale Attori e la Nazionale Unicef. Tra gli autori e gli interpreti spiccano artisti del calibro di Phil Palmer (già chitarrista dei Dire Straits, Renato Zero, Pino Daniele, Lucio Battisti...), lo stesso Renato Zero (con un testo inedito), Ornella Vanoni, Noa, Fabio Concato, Mariella Nava, Toto Cutugno, Fiordaliso (che propone con la piccola Aurora, undici anni, il brano “A casa per Natale”), Gigi D'Alessio, Ron, Silvia Mezzanotte, Grazia Di Michele, Numa (capofila del progetto “Promised land”). E c’è anche l’Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione Slovena diretta da Patrik Greblo. Nonchè il Piccolo Coro Mariele Ventre dell’Antoniano di Bologna, con le voci dei Piccoli Cantori di Milano, del Piccolo Coro “Artemia” di Torviscosa, del coro francese “Dock des Mômes”. Arricchiscono il cast alcune voci internazionali: la cantante greca Kaiti Garbi, le voci capoverdiane di Teofilo Chantre e Cesaria Evora, i contributi lirici degli Eroika con l'Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione Slovena diretta da Patrik Greblo. Insomma, un elenco di prim’ordine, gran parte del quale è stato messo assieme dall’attivissimo discografico udinese Alberto Zeppieri, fresco di partecipazione dell’Expo con il sesto volume della collana discografica “Capo Verde, terra d’amore”. Il disco - che comprende sedici brani - parla di umanità, di uguaglianza, di tolleranza, ma anche «di infanzia e adolescenza da proteggere, di bambini da lasciar esprimere e da saper ascoltare. Il tutto - come si legge in una nota delle produzione - con il linguaggio diretto della musica e della poesia cantata da grandissimi interpreti di chiara fama». Fra questi, solo problemi di tempi tecnici stretti, che non hanno permesso di ottenere le rispettive autorizzazioni, hanno tenuto fuori dal cast almeno altri tre pezzi da novanta: la nostra Elisa, i tre del Volo e Tiziano Ferro, tutti fra l’altro ambasciatori Unicef. Da segnalare infine che tutto il ricavato dell’operazione va a Unicef Italia, grazie all’impegno gratuito di tutti i protagonisti (cantanti, autori, produttori, editori, management...). Ciò permetterà di finanziare nuove campagne umanitarie in favore dei bambini.

sabato 19 dicembre 2015

SAN GIUSTO D'ORO A DON MARIO VATTA (18-12-15)

Oggi alle 12, nella sala del consiglio comunale di Trieste, verranno consegnati i premi del San Giusto d'oro 2015. I giornalisti triestini dell’Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e del Gruppo Giuliano Cronisti hanno deciso quest'anno di premiare don Mario Vatta, il "prete degli ultimi". “Nell’anno dei profughi e dei morti in mare, di Papa Francesco e del suo monito a illuminare le periferie – ha detto Carlo Muscatello, presidente del sindacato regionale -, i giornalisti triestini hanno voluto premiare, con don Vatta, un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Un premio insomma al “prete degli ultimi”, che meglio e più di tanti altri impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste”. Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste in stretta collaborazione con le istituzioni e in rete con simili realtà italiane per garantire accoglienza a chi fa più fatica: persone vittime dell’alcol, della droga, reduci dal carcere, ostaggio della solitudine, che non ce la fanno a stare al passo e hanno bisogno di assistenza, di una casa, di cure, ma soprattutto di qualcuno che condivida le loro vite in salita. E la vita di questo “prete degli ultimi”, che un biografo potrebbe descrivere elencando premi, incarichi e inaugurazioni di nuovi centri d’accoglienza, è di fatto una galleria di volti, incontri, confronti, che hanno contribuito a costruire il volto solidale della nostra città. Ruolo riconosciutogli anche ufficialmente dal Comune di Trieste, che nel 2007 lo ha insignito della Civica Benemerenza, ma soprattutto dalla stima e dalla fiducia che i triestini hanno nei confronti di San Martino al Campo e del suo fondatore. Come ha scritto un lettore del Piccolo alla rubrica Segnalazioni qualche anno fa, ci sono tre cose che a Trieste non si possono toccare: le donne, l’esodo e don Mario Vatta. Nel corso della cerimonia, alla quale parteciperà anche il sindaco Roberto Cosolini, verrà consegnata una targa speciale al ristoratore Mario Suban, l’uomo che ha servito generazioni di triestini, politici, presidenti, persino Papa Wojtyla, cui aveva dedicato un dolce che è poi rimasto nel menù. Quest’anno ha festeggiato gli 80 anni e i 150 anni del suo storico ristorante nel rione di San Giovanni. A Trieste Suban non è un ristoratore, è “IL ristoratore”, quello da cui andare quando si vuol fare bella figura con ospiti venuti da fuori, per mangiar bene, ritrovare i piatti della tradizione ed essere coccolati. Lui, che da giovane non voleva seguire la tradizione di famiglia (il nonno, nel 1865, aveva aperto l’osteria allora fuori porta grazie a una vincita alla Lotteria di Vienna), è diventato un simbolo della triestinità a tavola. Perché lui, il nome di Trieste lo ha portato ovunque nel mondo, dall’Australia ai Paesi Arabi al Giappone, in qualsiasi posto ci fosse bisogno della sua affabilità e professionalità. Affiancato adesso dalla figlia Federica, il patriarca della famiglia non ha mai smesso di lesinare consigli, con un garbo che non è da tutti, mettere i clienti a proprio agio, portare in alto il nome della città e della sua cucina unica, troppo spesso sottovalutata ma assolutamente di valore. . . . . . . . . . . . . . da ufficio stampa Comune di Trieste: Don Mario Vatta, fondatore della Comunità di San Martino al Campo, il prete degli ultimi, che impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste, ha ricevuto oggi (venerdì 18 dicembre) - nel corso di una affollata e partecipata cerimonia, svoltasi nella sala del Consiglio comunale - il 49° San Giusto d'oro, tradizionale riconoscimento che giornalisti triestini assegnano a chi ha saputo distinguersi e portare con eccellenza alto il nome della città. ​Promossa dal Comune di Trieste, dall'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e dal Gruppo Giuliano Cronisti con il contributo della Fondazione CRTrieste (che mette a disposizione ogni anno la statuetta opera dello scultore Tristano Alberti) la cerimonia ha visto gli interventi del presidente del Consiglio comunale Iztok Furlanic, del sindaco Roberto Cosolini, dei presidenti di Assostampa FVG Carlo Muscatello, e dell'Ordine dei Giornalisti del FVG Cristiano Degano, del vicepresidente del CdA della Fondazione CRTrieste Lucio Delcaro, della vicesindaco Fabiana Martini e del fiduciario del Gruppo Giuliano Cronisti Furio Baldassi. ​Con don Vatta,i giornalisti triestini hanno voluto premiare un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste in stretta collaborazione con le istituzioni e in rete con simili realtà italiane per garantire accoglienza a chi fa più fatica: persone vittime dell’alcol, della droga, reduci dal carcere, ostaggio della solitudine, che non ce la fanno a stare al passo e hanno bisogno di assistenza, di una casa, di cure, ma soprattutto di qualcuno che condivida le loro vite in salita. E la vita di questo “prete degli ultimi”, che un biografo potrebbe descrivere elencando premi, incarichi e inaugurazioni di nuovi centri d’accoglienza, è di fatto una galleria di volti, incontri, confronti, che hanno contribuito a costruire il volto solidale della nostra città. ​“Oggi gli ultimi sono diventati i primi con questo premio” ha detto aprendo la cerimonia il presidente del Consiglio comunale Iztok Furlanic, mentre il sindaco Roberto Cosolini ha evidenziato come don Mario è “un simbolo dell'amore verso il prossimo”, oltre che “un'autorità morale di indiscutibile esempio”. Sempre il sindaco Cosolini ha sottolineato l'importanza della sua opera: “non solo nel dare aiuto, ma nel dare strumenti e opportunità per fare uscire le persone dal bisogno, ricercando l'integrazione e la coesione”. Il presidente Carlo Muscatello ha messo in luce il valore di “un uomo che della solidarietà ha fatto la ragione della sua vita con la Comunità di San Martino al Campo”, mentre la vicesindaco Fabiana Martini, ha brevemente ripercorso il significato dell'opera di don Mario e della Comunità di San Martino al Campo, che ha visto sempre “la persona al centro e prima di tutto ed è solo il noi che vince”. “Significativo anche il fatto -ha aggiunto Martini- che questo premio sia consegnato oggi, 18 dicembre, giornata internazionale dei migranti”. ​Parole di gratitudine con commozione sono venute da don Mario Vatta. “Dalla strada -ha detto- ho imparato a leggere il Vangelo a vivere e a trasmettere alla mia gente il messaggio del Maestro”. Ricordando i tanti tipi di povertà, ha voluto ringraziare la Caritas Diocesana, espressione della Chiesa che gli è sempre stata accanto in questi 45 anni di attività, come pure quella rete infinita di solidarietà, fatta da tante persone, volontari e operatori, che rendono Trieste una città accogliente. “Questo San Giusto d'Oro fa un po' di luce sulle povertà, accende un faro più forte e ci rende ancora più attenti ai fratelli ed amici in difficoltà”. Sempre nel corso della cerimonia è stata presentato anche suggestivo e apprezzato filmato Rai che, in tredici minuti ha ripercorso, a partire dal 1967 il quasi mezzo secolo del Premio e i suoi illustri vincitori. Una targa speciale del San Giusto d'Oro è stata conferita dal fiduciario dei Cronisti Giuliani Furio Baldassi al ristoratore Mario Suban, l'uomo che ha servito generazioni di triestini, politici, presidenti, che ha festeggiato gli 80 anni e i 150 anni del suo storico ristorante nel rione di San Giovanni (il nonno, nel 1865, aveva aperto l'osteria allora fuori porta grazie a una vincita alla Lotteria di Vienna), un simbolo della triestinità a tavola, che ha portato il nome della città mondo, dall'Australia ai Paesi Arabi al Giappone, in qualsiasi posto ci fosse bisogno di affabilità, gusto e professionalità. Da ricordare infine che, prima della cerimonia in Consiglio, in salotto azzurro, don Vatta ha firmato, come da tradizione, il libro d'oro del Comune, lasciando questa significativa dedica: “Il San Giusto di oggi è per noi. Noi ci sentiamo premiati e ne proviamo una gran gioia. Noi continueremo sulla strada già battuta, con tutte le donne e gli uomini di questa magnifica città di Trieste”.

venerdì 18 dicembre 2015

COLDPLAY sempre più pop

. A HEAD FULL OF DREAMS (Parlophone Rec) Una testa piena di sogni. E di colori, suoni, emozioni, forse ricordi. Questo e tanto altro è il nuovo album della celebrata band inglese, che torna al pop più epico e coinvolgente, dopo le atmosfere intimiste, quasi minimaliste del precedente “Ghost stories”. “Birds”, “Hymn for the weekend” (con Beyoncè che apre il brano “duettando” con gli uccellini...), “Adventure of a lifetime”, “Up&Up” e il brano che dà il titolo alla raccolta sono i pezzi che sembrano dettare il ritmo del disco. Ma piacciono anche “Fun”, “Army of one” e “Amazing day”, una ballatona vecchio stile che ricorda all’ascoltatore come hanno fatto i Coldplay a diventare i Coldplay... Gwyneth Paltrow, ex moglie di Chris Martin, appare nel brano “Everglow”. Un segno, forse, del fatto che la fine della storia è stata assorbita dalle due star. Non a caso, nel primo brano dell’album lui canta: «Mi sono risvegliato nella vita, con la testa piena di sogni..

ADELE DA RECORD

Con i precedenti album “19” e “21” ha venduto oltre trenta milioni di copie. Con “25” (l’età che aveva quando due anni fa ha cominciato a lavorarci), Adele rischia di migliorare i precedenti record. Nella prima settimana ha venduto tre milioni e mezzo di copie soltanto negli Stati Uniti. E c’è da scommettere che entro Natale supererà quota dieci milioni a livello planetario. La scelta di non aver concesso l’ascolto in streaming a Spotify e alle altre piattaforme digitali (della serie: se volete ascoltare le nuove canzoni vi comprate il disco, e stop...) spiega solo in piccola parte l’exploit. La ragione vera va ricercata nelle doti musicali e interpretative di questa ventisettenne di Tottenham che si definisce «solo una signora che canta», come ha detto un paio di settimane nel salotto televisivo di Fabio Fazio. Il nuovo album, anticipato dal singolo “Hello”, è un buon prodotto di pop d’altri tempi eppure contemporaneo, a suo modo classico, persino con una spruzzata retrò, confezionato in maniera elegante e lussuosa. Anche nelle nuove canzoni, semplici ma efficaci, scritte bene e interpretate meglio, la parte del leone la fa sempre la voce, quella voce calda e al tempo stesso possente che è dall’esordio il marchio di fabbrica della ragazza. I tanti milioni di copie vendute, i diversi Grammy e l’Oscar non l’hanno cambiata, semmai le hanno donato nuova consapevolezza delle proprie doti. Oltre alla citata “Hello” (con quell’inizio, “Hello, it’s me...”, che in poche settimane è già diventato un classico), i nuovi brani si intitolano “Send my love (To your new lover)”, “I miss you” (con un incedere in crescendo che ricorda da vicino “Rolling in the deep”), “When we were young” (ballata strappalacrime solo piano e voce e poco altro), “Remedy” (anche qui solo piano e voce, con espliciti richiami a “Someone like you”), “Water under the bridge”. E ancora “River Lea” (con le sue tentazioni gospel è uno dei brani più riusciti dell’album), “Love in the dark”, “Million years ago” («...I miss the air, I miss my friends, i miss my mother, I miss it when my life was a party to be thrown, but that was a million years ago...»), “All I ask”, “Sweetest devotion”. I biglietti per la doppia data all’Arena di Verona, il 28 e 29 maggio, sono andati esauriti in appena tre ore. Pare che i bagarini stiano già tentando di rivenderli a quattromila euro cadauno. Follia? Certo. Ma anche questo è un segnale del livello cui è giunta la giovane signora. Una superstar che nel 2015 riesce ancora a muovere numeri che la discografia internazionale non conosce più da decenni.

DIZIONARIO POP ROCK 2015

Le agognate cinque stelle agli album di Neil Young, Leonard Cohen e Bjork. Ma sul podio c’è spazio anche per i nuovi lavori di Jovanotti, Marco Mengoni e Max Pezzali, insigniti delle quattro stelle. E vanno segnalate importanti “new entry” come quelle di Benjamin Clementine, Sam Smith, Alt-J, Joe Barbieri. Persino di Cristina D'Avena, passata a sorpresa dalle canzoni per bambini al rock. Sono alcune delle novità del nuovo “Dizionario del pop-rock”, la monumentale opera di Enzo Gentile e Alberto Tonti, che hanno aggiornato con quanto visto e soprattutto sentito nel 2015 la versione digitale del loro lavoro edito da Zanichelli. Ma vediamo nel dettaglio almeno alcune di queste novità, partendo ovviamente dai vertici. Da segnalare innanzitutto che imperano ancora e comunque i “grandi vecchi”, visto e considerato che la più giovane sul gradino più alto del podio ha appena compiuto cinquant’anni (la cantante islandese li ha compiuti il 21 novembre), mentre gli altri due, entrambi canadesi, variano fra i settanta dell’ex socio di Crosby, Stills e Nash e addirittura gli ottantuno del poeta, scrittore e cantautore di “Hallelujah”. L’album di Neil Young s’intitola “The Monsanto years”, nel libro viene definito «instancabile, ispiratissimo, idealista, per i suoi settant'anni si regala (e concede) un disco tra i migliori di una carriera superba anche nel misurare quantità e qualità». “Popular problems” è invece il disco di Leonard Cohen, per gli autori del dizionario «una perfetta esemplificazione di come vada trattata la fragile materia della musica popolare». E siamo a Bjork. Il suo “Vulnicura” - secondo gli autori - è «il disco più sentito, personale, drammatico dell'artista islandese ripercorre la lenta rottura della relazione col regista Matthew Barney. “A complete heartbreak album”, lo definisce la cantante che non s'è mai mostrata tanto vulnerabile». In Italia c’è Jovanotti, con il suo “Ora”: «Tante canzoni, trenta in tutto, forse troppe. Ma nessuna poteva essere esclusa, perché l'artista è strabordante di idee per natura e sfugge a limiti e confini». Ottimo risultato comunque anche per le “Parole in circolo” di Marco Mengoni e “Astronave Max” di Pezzali. La versione cartacea del dizionario analizza la produzione di oltre duemilatrecento artisti o gruppi, per un totale di circa 35mila album, proposti in ordine cronologico, usciti dagli anni Cinquanta fino a oggi. Nella versione digitale ora disponibile sono stati aggiunti cinquanta artisti (fra cui Sergio Mendes) e ottocento nuovi album. Si spazia dal pop al rock, dal blues al country, dal rap al punk, dal soul al rhythm’n’blues, dal folk alla musica etnica, dal reggae allo ska... Per ogni nome viene fornita una nota biografica, mentre i dischi sono completi di casa discografica, anno di pubblicazione e valutazione (da una a cinque stelle).

lunedì 14 dicembre 2015

SANREMO 2016

Qualche grande ritorno, tante facce (e voci) da “talent”, un paio di rapper. Insomma, la solita sbobba. L’Italia e il mondo cambiano, il mondo della musica anche di più, ma il Festival di Sanremo riesce a rimanere sempre uguale a se stesso. Paradossalmente, anche cambiando i suoi protagonisti. Che in teoria dovrebbero essere i cantanti e le canzoni. Ieri, su Raiuno, nell’Arena di Massimo Giletti, il conduttore e direttore artistico Carlo Conti - riconfermato per la seconda volta, e pare dovremo sorbircelo anche nel 2017 - ha svelato i nomi dei venti protagonisti (i cosiddetti e sedicenti “big”, o “campioni”...) dell’edizione 2016. Che è la numero 66 e si terrà dal 9 al 13 febbraio. Cinque canoniche serate in diretta tivù su Raiuno, dall’ora di cena fin oltre mezzanotte, canzoni e cantanti usati quasi come scusa per seratone di varietà televisivo al solito di non alta qualità. Ma vediamoli, allora, questi nomi. Saranno della partita Deborah Iurato e Giovanni Caccamo (“Via da qui”), Noemi (“La borsa di una donna”), Alessio Bernabei (“Noi siamo infinito”), Enrico Ruggeri (“Il primo amore non si scorda mai”, Arisa (“Guardando il cielo”), Rocco Hunt (“Wake up”), Dear Jack (“Mezzo respiro”), Stadio (“Un giorno mi dirai”), Lorenzo Fragola (“Infinite volte”), Annalisa (“Il diluvio universale”), Irene Fornaciari (“Blu”), Neffa (“Sogni e nostalgia”), Zero Assoluto (“Di me e di te”), Dolcenera (“Ora o mai più”), Clementino (“Quando sono lontano”), Patty Pravo (“Cieli immensi”), Valerio Scanu (“Finalmente piove”), Morgan e Bluvertigo (“Semplicemente”), Francesca Michielin (“Nessun grado di separazione”), Elio e Le Storie Tese (“Vincere l’odio”). Insomma, il solito cocktail che dovrebbe accontentare tutti ma poi rischia come sempre di scontentare tutti. Anche stavolta si pesca a piene mani dai “talent”. Torna persino Scanu. Fra quelli che arrivano dalla scuderia un tempo potentissima di “Amici” e i figli di “X Factor” (per il fresco vincitore di quest’anno non c’è spazio, ma torna quello dell’anno scorso, Lorenzo Fragola), che da quando è passato sotto le insegne di Sky è diventato più alla moda, quasi mezzo cast. Che aumenta se teniamo conto che in gara troviamo anche due artisti (Elio e Morgan, ognuno dei quali completo di gruppo di riferimento) che sono o sono stati giudici di “X Factor”. Sempre dal “pianeta talent”, da segnalare la sfida in famiglia fra i Dear Jack, molto amati dai giovanissimi, e il loro ex leader Alessio Bernabei, che ha appena lasciato la compagnia (lo scorso anno avevano cantato assieme “Il mondo esplode”), ma ha già misteriosamente conquistato il diritto di partecipare al Festival come “big”. Anche se il suo nome, senza il riferimento al gruppo, non dice molto al grande pubblico (della serie: Bernabei chi?). L’altra metà del cast coglie un po’ dappertutto. C’è l’eterna ed eterea Patty Pravo, che torna a Sanremo a cinquant’anni di distanza da quella “Ragazzo triste” che la lanciò, appena diciottenne, come scatenata e anticonformista “ragazza del Piper”. Si era sentito che doveva far coppia con Loredana Bertè. Evidentemente non ha voluto rischiare, forse per rispetto a quel capolavoro che era “E dimmi che non vuoi morire”, firmata Vasco Rossi, premio della critica nel 1997. C’è un altro veterano come Enrico Ruggeri, dieci partecipazioni come interprete e cinque come autore, ma soprattutto due vittorie in bacheca: nel 1987 con Gianni Morandi e Umberto Tozzi (“Si può dare di più”) e nel 1993 con “Mistero”. C’è un gruppo storico come gli Stadio, alla quinta presenza all’Ariston in poco più di trent’anni. Poi ci sono quelli lanciati da Sanremo Giovani. Come il vincitore dell’anno scorso Giovanni Caccamo (che aveva firmato anche il successo di Malika Ayane, “Nostalgico presente”), costretto all’accoppiata con Deborah Iurato, vincitrice di Amici 2014. E come Rocco Hunt, al secolo Rocco Pagliarulo, il rapper salernitano che vinse fra le “Nuove proposte” del 2014 con “Nu juorno buono”. L’unico nome che non è classificabile fra le citate categorie è quello di un altro rapper, l’avellinese Clementino, che aveva accompagnato gli Almamegretta nel Festival del 2013, ma che debutta come solista quest’anno. Poi c’è una “figlia di” (Irene Fornaciari), un’eterna emergente (Dolcenera), un ex rapper che deve ancora decidere cosa farà da grande (Neffa), un duo pop già visto un paio di volte all’Ariston (Zero Assoluto). Ma la partecipazione mediaticamente più rumorosa è quella di Morgan, che torna con i suoi vecchi Bluvertigo. Come qualcuno ricorderà, il quarantatreene artista milanese era stato escluso dal Sanremo 2010, pochi giorni prima dell’inizio del Festival, a causa di una sua controversa dichiarazione al mensile “Max” circa il suo uso di droghe come antidepressivo. Anche a “X Factor”, dopo varie fortunate partecipazioni come giudice, è finita male lo scorso anno, fra polemiche, abbandoni e recriminazioni varie. Il palco dell’Ariston, assieme ai suoi vecchi compagni di cordata, potrebbe rappresentarne il rilancio. O anche no. Le speranze risiedono ancora una volta nell’imprevedibile genialità di Elio e le Storie Tese. Mancano dal 2013, quando si presentavano due brani: i loro erano “Dannati forever” e “La canzone mononota”. Ma molti ricordano il loro secondo posto (secondo alcuni in realtà erano arrivati primi...) nel ’95 con “La terra dei cachi”. «Ci metteremo la stessa onestà e lo stesso amore dello scorso anno - ha detto Carlo Conti -. Questa volta vogliamo fare una cosa più poetica, un mosaico con tanti tasselli... La scorsa edizione era più una macedonia. E non ci sarà politica. I giovani hanno personalità, sono forti, per loro sarà una sfida incrociata». Il conduttore, al solito, sarà affiancato da alcune vallette. Dopo Emma e Arisa (vincitrice fra le Nuove proposte nel 2009 con “Sincerità” e fra i Campioni nel 2014 con “Controvento”) dell’anno scorso, pare si pescherà ancora nel campo musicale, visto che di parla di Anna Tatangelo. Tra gli ospiti, dopo Giorgio Panariello l’anno scorso, dovrebbe arrivare un altro toscano: Leonardo Pieraccioni. Che a febbraio il suo “cinepanettone” dovrebbe averlo ormai digerito.

domenica 13 dicembre 2015

GRISHAM, L'AVVOCATO CANAGLIA

Dopo trenta romanzi (da “Il momento di uccidere” dell’89 a “I segreti di Gray Mountain” dell’anno scorso) venduti in oltre sessanta milioni di copie, John Grisham cambia registro. Con “L’avvocato canaglia” (Mondadori, pagg. 676, euro 22) il sessantenne scrittore dell’Arkansas, colui che la rivista statunitense Publishers Weekly definì “lo scrittore maggiormente venduto degli anni novanta”, mette da parte la formula del “legal thriller” di cui è maestro riconosciuto (ma ha scritto anche una mezza dozzina di romanzi per ragazzi) per virare verso una vicenda che ruota attorno a un avvocato diverso da quelli ai quali ci aveva abituato, e via via diventa un deciso attacco all’attuale sistema giudiziario americano. Quello capace di tenere per anni un innocente nel braccio della morte, quello dove polizia e pubblici ministeri spesso “collaborano” alla costruzione di prove fasulle pur di inchiodare un colpevole predestinato che magari colpevole non è, quello in cui la giustizia non sempre trionfa. Ma vediamolo, questo Sebastian Rudd, “avvocato canaglia” che non possiede uno studio vero e proprio. Riceve a bordo di un grande furgone nero blindato dotato di vari comfort e un buon equipaggiamento di armi (siamo pur sempre negli Stati Uniti...). Dorme in motel a buon mercato. Non ha soci, lo aiuta quello che lui chiama Partner, autista, guardia del corpo e confidente ovviamente armato. L’ex moglie lo ha lasciato per una lei e non gli permette di vedere il figlio piccolo quanto vorrebbe. Sebastian fa il lavoro sporco: difende i peggiori criminali, i casi disperati, quelli che nessun avvocato vorrebbe mai avvicinare. È animato da un ideale: ritiene che ognuno abbia diritto a un processo equo, odia le ingiustizie e i poteri forti, gode se riesce a sbeffeggiare le istituzioni. Per farlo, mette in gioco se stesso, a costo di diventare lui stesso il bersaglio dei suoi assistiti e di essere costretto a usare metodi poco ortodossi. Rudd si presenta così: «Anche se sono un noto avvocato di strada, non vedrete mai il mio nome strillarvi in faccia dalle pagine gialle, né lo vedrete sui cartelloni pubblicitari o sulle panchine alle fermate degli autobus. Non pago per andare in televisione, anche se ci finisco spesso. Non compaio sull’elenco telefonico. Non ho uno studio tradizionale. Vado in giro con una pistola, legalmente, perché il mio nome e la mia faccia tendono ad attirare l’attenzione del tipo di gente che a sua volt se ne va in giro con una pistola e non ha problemi a usarla. Vivo solo, di solito dormo da solo e non ho né la pazienza né la comprensione necessarie per coltivare delle amicizie. La mia vita è la legge, sempre appassionante e ogni tanto appagante». Al centro del romanzo, a differenza dei tanti libri precedenti, non c’è una sola storia. Ma c’è Rudd, la sua vita, i casi giudiziari che gli capitano. Si procede per racconti che sembrano storie indipendenti, unite soltanto dal fatto che vengono trattate dal nostro “avvocato canaglia”. Solo nel finale, alcuni elementi dei capitoli precedenti ritornano e diventano essenziali per la conclusione del romanzo. Al solito, di quelli che non molli facilmente prima della parola fine.

giovedì 3 dicembre 2015

TEATRO DEGLI ORRORI domani a Trieste, Teatro Miela

.«Questo disco è per noi un nuovo punto di partenza. O almeno noi lo sentiamo così, come una rinascita, quasi come una resurrezione. Ha lo stesso nome della band perchè vuole essere una sorta di ritorno alle origini. Per la prima volta lo abbiamo scritto tutti assieme, pochi mesi di lavoro molto intensi, è venuto fuori come una cosa naturale. Ma ci siamo anche divertiti molto, a scriverlo e a registrarlo...». Pierpaolo Capovilla, leader del Teatro degli orrori (citazione/omaggio ad Artaud), parla così del nuovo album omonimo, che la band sta presentando in un tour in giro per l’Italia. Domani alle 21 sono a Trieste, al Teatro Miela. «Il concerto è piuttosto lungo - dice il quarantaseienne rocker veneziano -, siamo infatti sulle due ore e mezzo. Nella prima parte tutti i brani del nuovo disco. Nella seconda parte i nostri cavalli di battaglia. Scelti dal pubblico attraverso i “social”». Qual è risultato il pezzo preferito? «”Compagna Teresa”, canzone partigiana, che stava nel nostro primo album, “Dell’impero delle tenebre”, uscito nel 2007. Non ce lo aspettavamo, ma personalmente mi ha fatto molto piacere». Nel disco si avverte molta rabbia. «È vero. La nostra è una rabbia per il disinteresse della massa nei confronti di quel che sta succedendo nel nostro Paese, nel mondo. Tutti si lamentano, nessuno fa qualcosa, ognuno si sente impotente, disarmato nella propria solitudine. Dunque nel disco c’è rabbia, ma anche indignazione, addirittura disperazione». L’Italia? «Questo è un Paese che non cambia mai, con contraddizioni e disuguaglianze sociali sempre più marcate. Un Paese che detesta, non ricambiato, la gente come noi. Eppure ci sono in giro tante teste pensanti, pur in un clima qualunquistico che va sempre combattuto. Noi lo facciamo con la musica». Dopo Parigi? «Che dire... Eccoci, ci siamo, siamo arrivati al dunque, al nostro “teatro degli orrori”, ad Artaud. Di solito, in questi drammatici spettacoli dell’orrore, noi europei esavamo abituati a fare da spettatori. Ora siamo sorpresi e impauriti perchè la guerra ce l’abbiamo in casa. Ma è una storia che viene da lontano, almeno dalla prima Guerra del golfo, quella del ’91...». I nuovi brani? «Noi veniamo da un contesto musicale e intellettuale di un certo tipo, la rabbia in fondo è desiderio di riscatto, di emancipazione, che c’è sempre all’interno dei nostri dischi. È il rock che spinge, che vive di una violenza positiva e non fine a se stessa. Ripartiamo da questa rabbia, ma anche da un sentimento di ottimismo, di speranza. I suoni sono molto più moderni, è un disco più europeo che americano». Trieste? «Ci siamo molto legati, non solo perchè è la città del nostro batterista, Franz Valente. Da voi c’è un pubblico non caldo ma molto attento, vigile, che ascolta e sa anche essere critico, quando è necessario». “Il teatro degli orrori”, che arriva a tre anni di distanza dal precedente “Il mondo nuovo”, è forse il lavoro più politico del gruppo. Racconta e distrugge il mito del benessere, analizza i pericoli insiti nell’esclusione e nelle disuguaglianze sociali, spara a zero su una politica sempre più autoreferenziale, parla del lavoro che si porta via la vita delle persone. Album musicalmente duro, dai suoni potenti, tornando a certe atmosfere dei primi lavori della band, che risalgono a meno di dieci anni fa. Dodici storie che sono altrettanti episodi di un affresco musicale che ambisce a essere unico, una sorta di ritratto del nostro scassato Paese. Fra smarrimento e rabbia, sarcasmo e voglia di reagire, sfruttati e sfruttatori. I brani: “Disinteressati e indifferenti”, “La paura”, “Lavorare stanca”, “Bellissima”, “Il lungo sonno (lettera aperta al Partito Democratico)”, “Una donna”, “Benzodiazepina”, “Genova”, “Cazzotti e suppliche”, “Slint”, “Sentimenti inconfessabili” e “Una giornata al sole”. In occasione del nuovo disco e di questo tour, il gruppo ha cambiato formazione: sono infatti entrati Marcello Batelli alla chitarra elettrica e Kole Laca alle tastiere, che ora affiancano stabilmente (dopo averli supportati dal vivo da tre anni a questa parte) il cantante e leader Pierapolo Capovilla, il citato Franz Valente, Gionata Mirai alla chitarra e Giulio Ragno Favero al basso.

esce domani BRUCE SPRINGSTEEN, The ties that bind: The River Collection

BRUCE SPRINGSTEEN THE TIES THAT BIND: THE RIVER COLLECTION in uscita domani 4 dicembre 2015 un imperdibile cofanetto che offre una retrospettiva completa sul periodo di The River, 4 CD, 52 brani con inediti e rarità in, 3 DVD con 4 ore di immagini inedite Esce domani, 4.12.2015, The Ties That Bind: The River Collection di Bruce Springsteen, un meraviglioso cofanetto che offre una retrospettiva completa sul periodo di The River. 4 CD, 52 brani con tantissimo materiale inedito oltre a 4 ore di immagini inedite (3 DVD). Il box set comprende: il doppio album The River originale; la prima release ufficiale di The River: Single Album; un CD di outtake 1979/80; un doppio DVD con immagini mai viste prima, con nuovo montaggio e riprese multicamera, tratte dal famoso show di Springsteen del 1980 a Tempe, in Arizona (definito da tutti un concerto imperdibile e mai pubblicato); un nuovo documentario su The River intitolato The Ties That Bind e un libro illustrato contenente 200 foto rare o inedite e cimeli più un nuovo saggio di Mikal Gilmore. The River, quinto album di Springsteen, uscì il 17 ottobre 1980 come doppio album e raggiunse la posizione n. 1 della classifica Top 200 di Billboard. Nelle sue note, il giornalista Mikal Gilmore definisce The River di Springsteen “l’album cardine: la cerniera tra le ambiziose agitazioni che l’avevano preceduto e i tumulti musicali più stringati, e talvolta lo storytelling da brivido, che seguirono”. (Due CD, recentemente rimasterizzati) The River: Single Album è l’album di dieci brani che Springsteen incise nel 1979 come seguito di Darkness On The Edge Of Town del 1978 senza mai pubblicarlo. “Alle canzoni mancava quella sorta di coesione e intensità concettuale che mi piace avere nella mia musica. Così sono tornato in studio di registrazione”, scrisse nel libro di testi e immagini Songs. Le prime sessioni segnarono l’inizio di un lungo e prolifico viaggio durato 18 mesi. Sette dei dieci brani di The River: Single Album finirono su The River, alcuni dei quali con testi e arrangiamenti diversi, mentre outtake come “Cindy” e una versione rockabilly di “You Can Look (But You Better Not Touch)” non trovarono spazio sul disco. Ora, per la prima volta, The River: Single Album è finalmente disponibile. Il quarto CD contenuto nel cofanetto è The River: Outtakes, che abbraccia le intere sessioni di registrazione di The River tra il 1979 e il 1980 e mostra tutta la profondità e la varietà della musica di Springsteen di quel periodo. Gli undici brani in tracklist sono rarità mai pubblicate finora, e in buona parte sono anche totalmente sconosciuti persino ai fan, abituati ormai a considerare le outtake di Springsteen come dei veri e propri segreti. Le undici outtake del “Record One” sono state mixate da Bob Clearmountain e masterizzate da Bob Ludwig. Altre undici outtake, quelle del “Record Two”, sono tratte dal cofanetto Tracks e da Essentials, e sono finalmente raccolte in un unico disco. The Ties That Bind è un nuovo documentario di 60 minuti diretto da Thom Zimny contenente un’intima intervista a Springsteen, nel corso della quale l’artista riflette sul lungo e tumultuoso periodo in cui The River fu scritto e registrato. Il film alterna il racconto del retroscena delle canzoni – con Springsteen che le illustra eseguendole da solo con la chitarra acustica – a immagini dei concerti dell’epoca e rare foto di Bruce e la sua band, dentro e fuori dallo studio di registrazione. L’ultima chicca video, Bruce Springsteen & The E Street Band: The River Tour, Tempe 1980, è un nuovo film realizzato con il materiale ripreso professionalmente nel 1980 utilizzando quattro telecamere e registrato in audio multitraccia. Il film contiene 24 canzoni (2 ore e 40 minuti) su 2 DVD tratte dal concerto che Springsteen tenne il 5 novembre 1980 alla Arizona State University di Tempe. Ampiamente riconosciuta come una delle migliori performance di Bruce, questo show intenso contiene le prime versioni live di più della metà dei brani che compongono The River. Il film include anche 20 minuti di immagini tratte dalle prove del River Tour, svoltesi a fine settembre 1980 a Lititz, in Pennsylvania, che mostrano Springsteen e la E Street Band lavorare agli arrangiamenti live di quello che allora era materiale inedito tratto dall’album che di lì a breve sarebbe stato pubblicato. Il film è stato recentemente montato dal regista Thom Zimny, collaboratore abituale di Bruce e vincitore di Grammy ed Emmy; l’audio è stato mixato in stereo e surround 5.1 da Bob Clearmountain partendo dalle registrazioni multitraccia originali, e infine masterizzato da Bob Ludwig. The Ties That Bind: The River Collection è racchiuso in un cofanetto 10’’ x 12’’ (25,40 cm x 30,48 cm) che contiene un libro con copertina rigida e 148 pagine illustrate da 200 foto in studio e dal vivo (buona parte delle quali mai pubblicate finora), oltre a pagine degli appunti di Springsteen, copertine dei singoli, immagini e outtake tratte dal packaging originale dell’album, più altri cimeli. Le note di copertina includono un nuovo saggio dil Gilmore, la recensione originale dell’album pubblicata da Rolling Stone nel 1980, e i commenti aggiornati di Springsteen su The River tratti dal libro Songs del 1998. CD 1 The River - Record One 1 The Ties That Bind 2 Sherry Darling 3 Jackson Cage 4 Two Hearts 5 Independence Day 6 Hungry Heart 7 Out In The Street 8 Crush On You 9 You Can Look (But You Better Not Touch) 10 I Wanna Marry You 11 The River CD 2 The River - Record Two 1 Point Blank 2 Cadillac Ranch 3 I'm A Rocker 4 Fade Away 5 Stolen Car 6 Ramrod 7 The Price You Pay 8 Drive All Night 9 Wreck On The Highway CD 3 The River: Single Album 1 The Ties That Bind 2 Cindy 3 Hungry Heart 4 Stolen Car (Vs. 1) 5 Be True 6 The River 7 You Can Look (But You Better Not Touch) (Vs. 1) 8 The Price You Pay 9 I Wanna Marry You 10 Loose End CD 4 The River: Outtakes Record One 1 Meet Me In The City 2 The Man Who Got Away 3 Little White Lies 4 The Time That Never Was 5 Night Fire 6 Whitetown 7 Chain Lightning 8 Party Lights 9 Paradise By The “C” 10 Stray Bullet 11 Mr. Outside Record Two 12 Roulette 13 Restless Nights 14 Where The Bands Are 15 Dollhouse 16 Living On The Edge Of The World 17 Take 'em As They Come 18 Ricky Wants A Man Of Her Own 19 I Wanna Be With You 20 Mary Lou 21 Held Up Without A Gun 22 From Small Things (Big Things One Day Come) DVD 1 The Ties That Bind (Documentary) DVD 2 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 1 1 Born To Run 2 Prove It All Night 3 Tenth Avenue Freeze-Out 4 Jackson Cage 5 Two Hearts 6 The Promised Land 7 Out In The Street 8 The River 9 Badlands 10 Thunder Road 11 No Money Down 12 Cadillac Ranch 13 Hungry Heart 14 Fire 15 Sherry Darling 16 I Wanna Marry You 17 Crush on You 18 Ramrod 19 You Can Look (But You Better Not Touch) DVD 3 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 2 1 Drive All Night 2 Rosalita (Come Out Tonight) 3 I'm A Rocker 4 Jungleland 5 Detroit Medley 6 Where The Bands Are (Credits) BONUS: The River Tour Rehearsals - Ramrod - Cadillac Ranch - Fire - Crush On You - Sherry Darling www.sonymusic.it - www.facebook.com/sonymusicitaly - http://www.brucespringsteen.net/ http://www.facebook.com/brucespringsteen - http://www.twitter.com/springsteen

mercoledì 2 dicembre 2015

FRANK GET, nuovo album

Il rocker triestino Frank Get (all’anagrafe Franco Ghietti) è inarrestabile. Fra un disco con i Ressel Brothers e una partecipazione nel New Jersey al “Light of day”, l’evento benefico sponsorizzato da Bruce Springsteen, ha trovato il tempo per un nuovo album solista, “Rough man”. Che presenterà dal vivo domani alle 21 al Teatro Miela. «Dopo più di trent'anni spesi a suonare in giro per il mondo - racconta Get/Ghietti - ho sentito il bisogno di fermarmi e rivolgere lo sguardo alle mie radici, alle storie dei luoghi e delle persone che mi hanno reso quello che sono e che vivono tuttora dentro di me». Tredicesimo album in carriera, che esce un anno dopo “To milk a duck!” con i Ressel Brothers, “Rough man” è scritto, suonato e prodotto interamente dal musicista triestino. E va detto che già al primo ascolto emergono con forza le influenze rock e blues che da sempre caratterizzano il suo suono. «Già con il gruppo - prosegue - avevo iniziato un lavoro di ricerca sulla figura e sulle opere del geniale inventore triestino d'adozione Joseph Ressel, che ritorna in questo disco nel brano “Joseph’s dream”. Mi è venuto dunque naturale scrivere i nuovi brani pescando nella storia del territorio e nel passato della mia famiglia». I brani profumano quindi di Trieste, di Istria: «Provenire da una terra in cui i popoli e le culture si sono sempre mescolati mi ha sempre fatto sentire cittadino del mondo e non appartenente a una nazione specifica dal momento che le mie radici sono istriane, slave, ungheresi e piemontesi. Ho cercato di raccontare alcune storie di cui la mia famiglia è stata testimone e protagonista diretta». In “Barbed wire” Frank Get ripercorre la tragedia legata al dover abbandonare la propria casa, la propria terra d'origine. In “Mine disaster” ricorda la tragica esplosione nella miniera di Arsia, in Istria, nella quale morirono 185 lavoratori. “In a heartbeat” è dedicata alle alterne vicende di Trieste, fra occupazioni militari e cambi di situazioni politiche. “Destination nowhere” racconta la storia del nonno di Frank Get, maresciallo alla sussistenza che dopo la disfatta di Caporetto riuscì ad assicurare il cibo ai commilitoni nonostante la disfatta. “Buffalo Bill” ricorda la venuta a Trieste, nel 1906, del cacciatore americano con il suo “Wild West Show”.

SPRITZ FOR FIVE, presentazione disco a Milano

Lo scorso anno, a “X Factor”, hanno rischiato di fare il colpaccio. Nelle prime puntate sembrava infatti la talentuosa “vocal band” fosse destinata alla finalissima, il loro giudice Morgan si sbilanciava persino parlando di possibile vittoria, ma poi sono state proprio le scelte azzardate - per restare all’eufemismo - dell’istrionico musicista ad affossare i cinque “muli” di belle speranze. Ma Nicola, Marco, Piero, Giulio e Rocco - in arte Spritz for five - non si sono persi d’animo. Sono tornati alla vita che facevano prima di entrare nel famoso loft, senza per questo seppellire i loro sogni musicali. Insomma, non hanno abbandonato quello che loro stessi definiscono il “pop/jazz/spritz a cappella”. Quest’estate hanno realizzato un singolo: “Abbronzarella”, come dire un accattivante miscela fra due classici come “Abbronzatissima” e “Tintarella di luna”. Non è diventato un tormentone, ma non è andato nemmeno male. Ma erano anche ospiti ai Nastri d’argento, a Taormina, e hanno fatto da supporter a Fedez, nel riuscitissimo concerto triestino in piazza Unità. Ora escono con il loro “ep” d’esordio, che verrà presentato domani a Milano: un sapiente mix di brani originali e cover di artisti quali Avicii e Tiziano Ferro, per sfornare il quale - proprio come nelle audizioni e nelle primissime puntate del “talent” che li ha lanciati - non hanno bisogno di strumenti, perché sono loro gli strumenti. “Calypso” è il nuovo singolo che lancia questo mini-cd. Un brano pop fresco e orecchiabile, che testimonia l’assoluta modernità del gruppo. E come ha detto qualcuno, al primo ascolto sembra impossibile che per incidere il brano non sia stato utilizzato neanche uno strumento. Nell’ep gli inediti si intitolano “Bastimento” e “Sono vento”, le cover sono “Hey brother” di Avicii, “Radioactive” degli Imagine Dragons e “Rosso relativo” di Tiziano Ferro. Funzionano gli arrangiamenti vocali di Marco Obersnel (classe ’96), Nicola Pisano (del ’91) è il mago del ritmo e del Beatbox, il tenore Piero Gherbaz (’94), il baritono Giulio Bottecchia (il più “anziano”: è dell’88...) e il basso Rocco Pascale (’92) completano un menù di prim’ordine. Bel quale le coreografie sono firmate dall’amica di sempre Marta Keller (anche lei giovanissima: del '93). La verità è che, nonostante il mezzo infortunio a “X Factor”, causato peraltro da Morgan, gli Spritz for five piacciono. Hanno vari “fans club” disseminati per la penisola, qualcuno anche all’estero, uno persino a Seattle. «Morgan - hanno detto i ragazzi - è stata la nostra fortuna e al tempo stesso la nostra iattura: ci ha scelti, ma a un certo punto ha seguito Lo scorso anno, a “X Factor”, hanno rischiato di fare il colpaccio. Nelle prime puntate sembrava infatti la talentuosa “vocal band” fosse destinata alla finalissima, il loro giudice Morgan si sbilanciava persino parlando di possibile vittoria, ma poi sono state proprio le scelte azzardate - per restare all’eufemismo - dell’istrionico musicista ad affossare i cinque “muli” di belle speranze. Ma Nicola, Marco, Piero, Giulio e Rocco - in arte Spritz for five - non si sono persi d’animo. Sono tornati alla vita che facevano prima di entrare nel famoso loft, senza per questo seppellire i loro sogni musicali. Insomma, non hanno abbandonato quello che loro stessi definiscono il “pop/jazz/spritz a cappella”. Quest’estate hanno realizzato un singolo: “Abbronzarella”, come dire un accattivante miscela fra due classici come “Abbronzatissima” e “Tintarella di luna”. Non è diventato un tormentone, ma non è andato nemmeno male. Ma erano anche ospiti ai Nastri d’argento, a Taormina, e hanno fatto da supporter a Fedez, nel riuscitissimo concerto triestino in piazza Unità. Ora escono con il loro “ep” d’esordio, che verrà presentato domani a Milano: un sapiente mix di brani originali e cover di artisti quali Avicii e Tiziano Ferro, per sfornare il quale - proprio come nelle audizioni e nelle primissime puntate del “talent” che li ha lanciati - non hanno bisogno di strumenti, perché sono loro gli strumenti. “Calypso” è il nuovo singolo che lancia questo mini-cd. Un brano pop fresco e orecchiabile, che testimonia l’assoluta modernità del gruppo. E come ha detto qualcuno, al primo ascolto sembra impossibile che per incidere il brano non sia stato utilizzato neanche uno strumento. Nell’ep gli inediti si intitolano “Bastimento” e “Sono vento”, le cover sono “Hey brother” di Avicii, “Radioactive” degli Imagine Dragons e “Rosso relativo” di Tiziano Ferro. Funzionano gli arrangiamenti vocali di Marco Obersnel (classe ’96), Nicola Pisano (del ’91) è il mago del ritmo e del Beatbox, il tenore Piero Gherbaz (’94), il baritono Giulio Bottecchia (il più “anziano”: è dell’88...) e il basso Rocco Pascale (’92) completano un menù di prim’ordine. Bel quale le coreografie sono firmate dall’amica di sempre Marta Keller (anche lei giovanissima: del '93). La verità è che, nonostante il mezzo infortunio a “X Factor”, causato peraltro da Morgan, gli Spritz for five piacciono. Hanno vari “fans club” disseminati per la penisola, qualcuno anche all’estero, uno persino a Seattle. «Morgan - hanno detto i ragazzi - è stata la nostra fortuna e al tempo stesso la nostra iattura: ci ha scelti, ma a un certo punto ha seguito più il suo ego che le nostre vocazioni. Le sue sono state tutte assegnazioni difficili, lontane da quello che facciamo abitualmente: cantare a cappella. All’inizio questa cosa incuriosisce, ma poi alla lunga logora, soprattutto se non hai mai uno spiraglio per una boccata di ossigeno. Così va a finire che tu ti senti snaturato e la gente a casa non capisce più chi sei». Ancora i cinque cantanti, due dei quali hanno alle spalle proprio esperienze corali: «Noi non siamo un coro, ma una vera e propria band. Solo che al posto degli strumenti usiamo la voce. Negozianti, per favore, non metteteci nel bancone dei gruppi vocali, ma in quello del pop...». Messaggio ricevuto. E proprio nelle settimane in cui altri ragazzi sfidano la lotteria in una nuova edizione di “X Factor”, gli Spritz for five ricominciano da questo disco. Che è il miglior biglietto da visita per la loro carriera.

venerdì 27 novembre 2015

SCHIRALDI presenta oggi a trieste TROMBETA STONADA

Viene fuori anche lui da quell’autentica fucina di talenti che è il Pupkin Kabarett. Si chiama Stefano Schiraldi, canta e suona la chitarra, scrive canzoni. Che sono quadretti ironici e malinconici, storie tratte dalla quotidianità, provocazioni sul filo del paradosso. Venerdì alle 21, al Teatro Miela, presenta il suo primo album, “Trombeta stonada”. «Scrivo canzoni fin da quando ero bambino - spiega -, sempre in italiano. L’uso del dialetto è nato proprio nel momento in cui mi trovavo lontano da Trieste: nel 2006, quando ho lavorato per un anno in Toscana. In quel periodo di lontananza ho riscoperto in me un attaccamento, un legame forte nei confronti della mia città natale. Mi sono scoperto dentro un sentimento di affetto e indulgenza proprio nei confronti dei difetti, degli atteggiamenti che di più avevo criticato e vissuto con insofferenza durante la mia adolescenza e giovinezza: una certa saccenza, la chiusura verso l'esterno, la ruvidità nei rapporti...». I testi delle canzoni di “Trombeta stonada”, tutti in dialetto tranne uno, sono stati scritti tra il 2007 e il 2013. Gli arrangiamenti sono stati perfezionati più di recente, con l’aiuto dei musicisti con cui l’artista collabora. «Trieste è presente nelle canzoni - prosegue Schiraldi, che anni fa ha collaborato a un testo teatrale di Marko Sosic e Pino Roveredo - ma non è la protagonista, direi piuttosto che attraversa le canzoni: in alcuni pezzi rappresenta il mezzo naturale per declinare alcuni temi ricorrenti nelle cose che scrivo. Altri parlano più direttamente della città raccontando di non luoghi come porto vecchio, di aspetti naturali, che appartengono ormai alla natura umana cittadina (“Sufia la bora”) e meno naturali della città come in “Scovaze”: su quest'ultimo tema l'imbeccata l'ho avuta da Paolo Rumiz. C'è un solo testo nel disco che non è mio, “La trombeta” che dà il nome al disco, che è la grande Anita Pittoni». «Il Pupkin? Mi sono trovato a collaborare con loro per la prima volta nel 2001, agli albori. Avevo un gruppo, “Franc e i cabernet”. Quella sera, ancora nella sala piccola del Teatro Miela, c’era anche Bebo Storti. Attraverso il Pupkin ho avuto l'opportunità di calcare molti palcoscenici e di collaborare con altre professionalità legate al mondo teatrale, con altri registri cui credo le mie canzoni si prestino particolarmente». «Sono passati quattordici anni - conclude - e per me è sempre un gusto e un piacere partecipare allo spettacolo che esplora, un po’ come me, vizi e virtù della triestinità...». Con Schiraldi, venerdì al Miela, ci saranno Gabriele Cancelli alla cornetta, Valentino Pagliei al contrabbasso, Romano Bandera alle percussioni.

sabato 21 novembre 2015

LIBRO DI PORTELLI SU SPRINGSTEEN, OGGI PRESENTAZIONE A TRIESTE

Oggi alle 17, nella Sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevic, in via Rossini a Trieste, lo storico Alessandro Portelli presenta il suo libro “Badlands. Springsteen e l'America: il lavoro e i sogni” (Donzelli Editore, pagg. 214, euro 25). Partecipano il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, noto “springsteeniano”, la storica Gloria Nemec e il giornalista e critico musicale Carlo Muscatello. Portelli (nato a Roma nel ’42) è storico, critico musicale e anglista. Professore ordinario di letteratura anglo-americana all'Università La Sapienza di Roma, è uno dei principali teorici della storia orale. . L’America, il rock, l’attenzione per gli ultimi, la fatica del lavoro, il sogno di un domani migliore. Magari di una “terra promessa” da inseguire, a volte solo da sognare. Tematiche da sempre presenti nell’opera di Bruce Springsteen, che lo storico Alessandro Portelli ha messo assieme nel libro “Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni”, pubblicato da Donzelli. Professore, come ha scoperto Springsteen? «Ascoltando l’album "The River" e accorgendomi che anche il rock poteva trattare temi importanti come il lavoro, la disoccupazione, la mobilità sociale, le promesse ma anche i fallimenti del "sogno americano"». C'è un "filo rosso" fra i suoi studi sulla cultura popolare e la passione per il Boss? «La mia passione per il rock’n’roll comincia prima di tutto, da quando ero ragazzo negli anni Cinquanta, ed è stata proprio questa passione che mi ha fatto andare in America a diciotto anni, dove ho scoperto la musica popolare, la letturatura americana, e tutto quello che poi è diventato il mio mestiere e la mia forma di militanza politica. Il lavoro sulla cultura popolare italiana è venuto dopo, come conseguenza logica». I testi di Springsteen sono letteratura? «Direi di no. Sono rock’n’roll, quindi vanno misurati sulla base di quella estetica. Questo non vuol dire ovviamente che non siano anche testualmente e linguisticamente interessanti e spesso molto belli. Ma appartengono a una sfera culturale diversa, e lui stesso l'ha sempre ribadito». Da quali autori americani discende il Boss? «Elvis Presley, Bob Dylan, Woody Guthrie, Hank Williams... Gli autori letterari che l'hanno più influenzato sono certamente Flannery O'Connor e John Steinbeck. Ma c'è un rapporto assai forte anche con il cinema: Terrence Malick, John Ford». Come si concilia l'America del lavoro, dei "looser" cantata da Springsteen con il mondo dorato delle rockstar? «In effetti non si concilia, e questo è un tema costante in lui: si avverte la preoccupazione che lo stile di vita (la "casa borghese sulle colline di Hollywood" in “57 channels”), ma anche le difesa della privacy di una persona diventata un'icona possano finire per tagliarlo fuori da quello che è il suo mondo e la sua gente di riferimento. Credo che faccia del suo meglio per evitarlo. Comunque quello che a me interessa in ultima analisi non è la vita personale dell'autore ma la sua opera, il mondo che crea...». La "terra promessa" è la speranza di un domani migliore o solo un sogno? «È sopratuttto il diritto a sognare un domani migliore e a cercarlo. Il contenuto del sogno può essere falso ("un sogno è una menzogna se non si avvera?": da “The River”), ma quello che rimane vero è il desiderio che tiene vivi quelli che continuano a rivendicarne il diritto». Dopo la presidenza Obama, che Springsteen ha fortemente appoggiato, tornano i sentimenti di rivolta e protesta dei neri e delle fasce più deboli di un'America in crisi. «Paradossalmente la presidenza Obama ha rinfocolato ossessioni e paure profonde di un paese che, come peraltro anche il nostro, non riesce ad accettare una pluralità e un'uguaglianza di diritti al suo interno. Ma ha rinforzato anche la convinzione degli afroamericani di avere diritto all'uguaglianza, direi di “avere diritto ad avere dei diritti”. Per cui il conflitto si è reso più visibile, anche se c'è stato sempre e in forme anche più gravi. L'ondata di violenze della polizia contro cittadini neri è solo l'aspetto più immediato». Il tema della mobilità sociale è molto presente in Springsteen. «In fondo è il tema di partenza: "sono nato nella valle dove ti insegnano a ripetere la vita di tuo padre" (sempre “The River”). Cioè, non è per niente vero che ogni generazione starà meglio della precedente. Come non è vero che il lavoro duro, la fatica, il merito garantiscano l'ascesa sociale: "scarico casse sul molo tutto il giorno e sono indebitato fino al collo" (“Backstreets”). Il mondo di Springsteen è popolato da quelli che, con un certo stupore, gli scienziati sociali chiamano i "working poor", cioè persone che lavorano e sono povere lo stesso, e sono impantanate in lavori senza sbocco». Come si sposano l'energia del rock e le storie proletarie cantate da Springsteen? «Le storie sono dolorose ma l'energia della musica ci dice che non accettiamo mai di sentirci sconfitti». Anche Bruce è figlio di emigranti... «Sì, in "American Land" elenca ua serie di cognomi non anglosassoni portati in America dagli emigranti; e uno di questi cognomi è Zerilli (o Zirilli - ndr), che è il cognome di sua madre, nata in Italia». Da segnalare che il 4 dicembre esce “The ties that bind: The River Collection” (Columbia), cofanetto con quattro cd e tre dvd che offre una retrospettiva completa proprio sullo Springsteen del periodo di “The River”: 52 brani con molti inediti, quattro ore di immagini mai viste prima e un libro illustrato con un saggio di Mikal Gilmore. “The River”, quinto album di Bruce Springsteen, doppio, uscì il 17 ottobre 1980 e raggiunse la vetta della classifica Billboard.

mercoledì 18 novembre 2015

NUOVO LIBRO BEATLES, AMBROSI

Dopo “B come Beatles”, ora il triestino Eugenio Ambrosi manda in libreria “Più famosi di Gesù”, sottotitolo “George, John, Paul e Ringo alla ricerca di se stessi, oltre sesso, droga e r’n’r” (Eut, pagg. 246, euro 17). Presentazione venerdì alle 17.30 a Palmanova, al Teatro Modena, e poi il 9 dicembre alle 17, a Trieste, alla Biblioteca del popolo in largo Papa Giovanni. Un testo che propone un’analisi del percorso personale e spirituale dei Fab Four. «Liverpool - spiega l’autore - è un porto di mare, come Trieste, e ospitava etnie e religioni disparate. Come molti giovani, avviati dalla famiglia alla religione, anglicana o cattolica, i quattro si erano poi persi per strada: all'apice del successo, travolti dall'isteria della Beatlemania, quando avevano a disposizione qualsiasi cosa potessero desiderare, cominciarono a interrogarsi su cosa li aspettava al di là della vetta della hit parade». «John va in depressione e scrive “Help!”, oggi riconosciuta come una sua personale richiesta di aiuto e poi, cinque anni dopo, con “God” nega l'esistenza di tutto, Dio compreso. Assieme agli altri comincia uso e abuso di marijuana prima e Lsd poi». Paul? «Disse che proprio l’Lsd gli aveva aperto gli occhi sul fatto che Dio esiste e che è lì proprio davanti a lui. Mentre Ringo a più riprese sostenne che un’entità superiore da qualche parte esisteva, anche se non si riusciva a vederla. Non fu quindi solo George, come molti pensano, a interrogarsi concretamente sul significato dell'esistenza, a darsi da fare con il Maharishi, a studiare testi sacri orientali. Tutti e quattro erano pubblicamente alla ricerca di qualcosa». Un percorso testimoniato dai testi delle canzoni. Con “Word” nel ’65 teorizzano che l’amore è la risposta a tutto («qualcuno - ricorda Ambrosi - vi ha letto un richiamo al detto evangelico "Dì una parola e sarai salvato"»). Due anni dopo con “All you need is love” lanciarono al mondo il loro messaggio d'amore. «Anche Harrison - prosegue l’autore -, prima di “My sweet lord” del 1970, ha scritto diversi brani ispirati da testi e maestri induisti: “Love you to”, “Within you, without you”, “Long long long”. E in “Let it be”, la “Mother Mary” appare a McCartney quando è in difficoltà e gli sussurra parole di saggezza: secondo molti è la Vergine Maria, cosa che Paul non ha mai negato. Ecco, il mio libro descrive questo processo». Ma il Vaticano ci ha messo quasi mezzo secolo per sdoganarli... «Erano altri tempi - conclude Ambrosi -, la condanna della frase di Lennon sui Beatles più famosi di Gesù, nel ’66, scattò immediata. Solo qualche anno fa, due articoli pubblicati dall'Osservatore Romano nel 2008 e nel 2010 hanno ammesso che sì, in fondo erano dei bravi ragazzi...».

lunedì 16 novembre 2015

BATTIATO RITROVA ALICE, 15-2 a Trieste, Rossetti

Assieme hanno scritto pagine importanti della canzone italiana degli ultimi quattro decenni. A partire dall’album di lei “Capo Nord” (1980, con il brano “Il vento caldo dell’estate”) e quella “Per Elisa”, scritta da lui con Giusto Pio, che permise a lei di vincere il Sanremo 1981. Per proseguire con “I treni di Tozeur” (Eurofestival ’84), “Chanson egocentrique” e tanti altri brani e lavori di qualità, fra cui l’album di lei dedicato ai brani di lui “Gioielli rubati”. Ora Franco Battiato e Alice, il cui sodalizio artistico ha avuto qualche pausa ma non si è mai interrotto, tornano assieme per un tour teatrale che avrà l’anteprima il 13 febbraio a Carpi, e debutterà due giorni dopo, il 15, al Politeama Rossetti di Trieste, per poi inanellare una lunga teoria di tappe: Bergamo, Brescia, Lugano, Torino, Padova (il 26 febbraio), Firenze, Cesena. E poi Ancona, Milano (8 e 9 marzo, agli Arcimboldi), Pescara, Perugia, Roma (16 e 17 marzo, all’Auditorium della Conciliazione) e Napoli, Reggio Emilia e Bologna. Finale in Sicilia: 4 aprile a Catania, 7 e 8 a Palermo. I due artisti saranno accompagnati dall’Ensemble Symphony Orchestra diretta da Carlo Guaitoli, una formazione (con Angelo Privitera, tastiere e programmazione; Davide Ferrario e Antonello D’Urso, chitarre; Andrea Torresani, basso; Giordano Colombo, batteria) con cui l’artista siciliano si è già esibito in un breve tour nel luglio 2015. Il concerto, da quanto si apprende, «sarà diviso in parti diverse ma comunicanti tra loro (traduzione: ognuno fa il suo concerto e alcune parti vedono i due artisti assieme - ndr) e vedrà rinnovarsi un’intesa artistica profonda tra due anime affini, nella celebrazione di un legame che è rimasto solido anche quando i rispettivi percorsi non si sono incrociati direttamente». Mentre Alice è reduce dall’album “Weekend”, uscito l’anno scorso, Battiato ha appena pubblicato il cofanetto “Anthology - Le nostre anime”: opera monumentale (di cui esiste anche una “versione ridotta” in triplo cd) con sei cd, quattro dvd, per oltre un centinaio di brani, fra cui quattro inediti, uno dei quali s’intitola appunto “Le nostre anime”. Da segnalare in particolare una versione del brano “Centro di gravità permanente”, che vede Mika al fianco del musicista siciliano.

venerdì 13 novembre 2015

BAUSTELLE, ROMA LIVE!

BAUSTELLE “ROMA LIVE!” (Warner) I toscani Baustelle sono il miglior gruppo italiano da diversi anni a questa parte. Oggi esce il loro primo album dal vivo in quindici anni di onorata carriera. Un lavoro arricchito da uno speciale artwork firmato Malleus, studio artistico e grafico di grande fama nel mondo dell’art-rock. Registrato durante tre concerti a Roma nel corso del loro tour 2013/2014, quello seguito all’album “Fantasma”, il disco è un “live” ma anche una sorta di “best of”. Rilette nella dimensione dal vivo, nella quale Bianconi e soci danno il meglio, ritroviamo infatti molte delle canzoni più importanti che hanno fatto la storia del gruppo: da “La guerra è finita” a “L’aeroplano”, da “Il corvo Joe” a “Charlie fa surf”, da “Le rane” a “La moda del lento”, senza dimenticare “La canzone di Alain Delon”, “Nessuno”, “Radioattività”... Ci sono anche due cover inedite: “Signora ricca di una certa età”, versione in italiano di “Lady of a certain age” dei Divine Comedy, e “Col tempo” di Leo Ferrè.

DE GREGORI CANTA DYLAN

Con “De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto” (Caravan/Sony Music), il cerchio si chiude. Il cerchio di una straordinaria carriera cominciata all’alba degli anni Settanta (“Theorius Campus” in coppia con Venditti è del ’72, il debutto con “Alice non lo sa” del ’73, il botto con “Rimmel” del ’75, quarantennale appena festeggiato in pompa magna...), che soprattutto nel primo decennio creativo ha generato alcune delle più belle canzoni della storia della nostra musica. Autentiche perle che si sono poi diradate con il passare degli anni e dei decenni. È infatti da diverso tempo che il cantautore romano (ad aprile ne compie sessantacinque) vivacchia sotto il cappello e dietro gli occhiali scuri alternando episodi minori, riletture di capolavori lontani, rari ritorni di fiamma creativa. Ebbene, con questo omaggio al suo mito e ispiratore, il Principe dei cantautori italiani dà come l’impressione di fare pace con se stesso. Un disco a cui pensava per sua stessa ammissione da trent’anni, ma che solo ora vede la luce. Ed è una luce, diciamolo subito, che ci riporta ai livelli di autentica eccellenza che ce lo avevano fatto amare tantissimi anni fa. L’album - subito balzato ai vertici delle classifiche di vendita, ammesso e non concesso che i dischi ancora si vendano... - si apre con “Un angioletto come te”, traduzione di “Sweetheart like you”. Ed è come ritrovarsi d’un tratto calati nel mondo dylaniano, che tanto ha dato e tuttora dà alla cultura e alla musica contemporanea. Le altre tracce: “Servire qualcuno” (“Gotta serve somebody”), “Non dirle che non è così” (“If you see her, say hello”), “Via della povertà” (“Desolation row”, già rifatta nel ’74 con De Andrè), “Come il giorno” (“I shall be released”), “Mondo politico” (“Political world”), “Non è buio ancora” (“Not dark yet”), “Acido seminterrato” (“Subterranean homesick blues”), “Una serie di sogni” (“Series of dreams”), “Tweedle Dum & Tweedle Dee” (“Tweedle Dee & Tweedle Dum”), “Dignità” (“Dignity”). Alcune traduzioni sono abbastanza letterali, e l’artista ha ammesso che la scelta dei brani è stata condizionata dalla loro “traducibilità”. Altri brani sono comunque e assolutamente dylaniani nella trasposizione poetica. In alcuni casi persino l’interpretazione si richiama a quella del menestrello di Duluth, è insomma quasi imitativa. Ma quel che conta è che l’insieme del lavoro convince, ha una sua dignità di scrittura e di interpretazione. Un omaggio al limite del furto, fatto comunque con grande amore, come ammesso sin dal sottotitolo, a sua volta un omaggio a “Love and theft”, album di Bob Dylan del 2001. Dal 5 marzo De Gregori sarà in tour.

martedì 3 novembre 2015

SAN GIUSTO D'ORO 2015 A DON VATTA, TARGA A SUBAN

GIORNALISTI: CRONISTI FVG, SAN GIUSTO D'ORO A DON VATTA Targa speciale al ristoratore Mario Suban (ANSA) - TRIESTE, 3 NOV - Va al sacerdote triestino don Mario Vatta il «San Giusto d'oro 2015», assegnato dai giornalisti dell'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e del Gruppo Giuliano Cronisti. Lo rende noto oggi l'Assostampa Fvg. «Nell'anno dei profughi e dei morti in mare, di Papa Francesco e del suo monito a illuminare le periferie - afferma Carlo Muscatello, presidente del sindacato regionale - i giornalisti triestini hanno voluto premiare con don Vatta un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Un premio insomma al 'prete degli ultimì che meglio e più di tanti altri impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste». Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste per garantire accoglienza agli ultimi. Ruolo riconosciutogli anche ufficialmente dal Comune di Trieste, che nel 2007 lo ha insignito della Civica Benemerenza. I cronisti giuliani hanno inoltre deciso di assegnare una targa speciale del San Giusto d'oro al ristoratore Mario Suban, 80 anni, titolare dell'omonima «Antica Trattoria» che in 150 anni ha servito triestini, politici, presidenti e Papa Wojtyla. Il San Giusto d'oro verrà consegnato il 18 dicembre prossimo nell'aula del Consiglio comunale di Trieste. (ANSA).

sabato 24 ottobre 2015

GEOFF TATE 2-12 a Trieste

Un altro grande del rock metal in arrivo a Trieste. Geoff Tate, già cantante dei Queensrÿche, sarà infatti mercoledì 2 dicembre al Teatro Miela con il suo vecchio/nuovo progetto “Operation: Mindcrime”, stesso titolo dell’album uscito nell’88. Con lui in questo tour Simon Wright (Ac/Dc, Dio) alla batteria, John Moyer (Disturbed) al basso, Kelly Gray (Queensrÿche) alla chitarra, Randy Gane (Queensrÿche, Rage for order) alle tastiere, Scott Mounghton (Geoff Tate Solo Band) alla chitarra. Jeffrey Wayne “Geoff” Tate (Stoccarda, classe ’59) è un tedesco naturalizzato statunitense. Dopo gli esordi progressive, nell’81 entra nei Queensrÿche (all’epoca si chiamavano The Mob), cui mancava il cantante. Rimane nella band fino al 2012, realizzando album come “Operation: Mindcrime”, “Empire” (’90) e “Promised Land” (’94) ma anche lavori solisti. Grande frontman e autentico animale da palcoscenico, con le sue quattro ottave di estensione vocale è tuttora un punto di riferimento nel suo genere. Il concerto è organizzato dall’associazione “Trieste is rock

TEATRO DEGLI ORRORI oggi a PN, 4-12 Trieste

Stasera a Pordenone, il 4 dicembre a Trieste. Fa infatti tappa oggi alle 21.30, al “Deposito”, il tour appena partito del Teatro degli Orrori, che segue la pubblicazione del quarto album in studio della band del veneziano Pierpaolo Capovilla (ma alla batteria c’è anche il batterista triestino Franz Valente). Band che sarà venerdì 4 dicembre al Teatro Miela. A tre anni di distanza dal precedente “Il mondo nuovo”, questo disco - intitolato semplicemente “Il Teatro degli Orrori”, nome che è un omaggio ad Antonin Artaud - è forse il lavoro più politico del gruppo. Racconta e al tempo stesso distrugge il mito del benessere, analizza i pericoli insiti nell’esclusione e nelle disuguaglianze sociali, spara a zero su una politica sempre più autoreferenziale, parla del lavoro che si porta via la vita delle persone. «Il disco - spiega il quarantaseienne Capovilla - ha lo stesso nome della band perchè vuole essere un ritorno alle origini: è come fosse un nuovo debutto, in questi anni in cui tutto è cambiato abbiamo pensato che fosse giusto ritornare all’essenza. C’è molta rabbia, addirittura risentimento per questo paese che non cambia mai e in questo senso è un disco molto più scuro dei precedenti». Album musicalmente molto duro, dai suoni potenti, tornando a certe atmosfere dei primi lavori della band, che risalgono a meno di dieci anni fa. Dodici storie che sono altrettanti episodi di un affresco musicale che ambisce a essere unico, una sorta di ritratto del nostro scassato Paese. Fra smarrimento e rabbia, sarcasmo e voglia di reagire, sfruttati e sfruttatori. I brani: “Disinteressati e indifferenti”, “La paura”, “Lavorare stanca”, “Bellissima”, “Il lungo sonno (lettera aperta al Partito Democratico)”, “Una donna”, “Benzodiazepina”, “Genova”, “Cazzotti e suppliche”, “Slint”, “Sentimenti inconfessabili” e “Una giornata al sole”. In occasione del nuovo disco e di questo tour, il gruppo ha cambiato pelle: sono infatti entrati Marcello Batelli alla chitarra elettrica e Kole Laca alle tastiere, che ora affiancano stabilmente (dopo averli supportati dal vivo da tre anni a questa parte) il cantante e leader Capovilla, il citato Valente, Gionata Mirai alla chitarra e Giulio Ragno Favero al basso. Il tour, dopo la data di ieri sera a Torino e quella di stasera a Pordenone, fa tappa il 29 ottobre a Roma, il 30 a Napoli, il 31 a Catania, l’1 novembre a Lamezia Terme, il 6 a Parma, il 7 a Segrate (Milano), il 13 ad Arezzo, il 14 a Livorno, il 20 a Brescia, il 21 a Cesena, il 27 a Bari, il 28 a Perugia, il 4 dicembre - come detto - a Trieste, il 5 a Marghera, il 7 ad Ascoli Piceno, l’11 a Bologna, il 12 a Firenze e il 18 a Verona.

giovedì 22 ottobre 2015

CIAO, nuovo libro VELTRONI

Ognuno di noi cerca per tutta la vita il proprio padre. Capita a chi lo ha visto diventare vecchio. Capita ancor più a chi non lo ha conosciuto. «Mio padre mi è sempre mancato, non l’ho mai nascosto. Non l’ho conosciuto, è morto che avevo un anno. Non ho neppure una foto con lui, un biglietto in cui mi dicesse qualcosa, magari per il futuro. Non so quanto mi ha tenuto in braccio, se mai mi ha dato un bacio e se gli sembravo carino ed era orgoglioso di me...». Così scrive Walter Veltroni nel suo nuovo libro “Ciao” (Rizzoli, pagg. 250, euro 18,50), dedicato al padre Vittorio, radiocronista di razza e primo conduttore del telegiornale, morto nel ’56, a soli trentasette anni, per una leucemia. L’autore immagina di incontrarlo sul pianerottolo di casa, in un deserto Ferragosto romano. Lo ha aspettato tutta la vita. E quando finalmente lo incontra, il padre gli dice che questo gli era sembrato il momento giusto per palesarsi «perchè per la prima volta mi sembri fragile, mi sembra tu abbia bisogno di me. Hai sempre saputo cosa fare e hai seguito la tua strada. Ora mi pare che tu sia incerto, come se la vita che hai sempre pensato di controllare ti stia sfuggendo di mano...». E il figlio conferma che «sono cambiate tante cose. Nel mio lavoro, nella casa che si è fatta silenziosa ora che le figlie sono lontane per lavorare. E anche, sono sincero, nella considerazione che posso fare del mio futuro». Parla un uomo di sessant’anni, che ha fatto di tutto: parlamentare e vicepremier, sindaco di Roma e ministro della Cultura, giornalista e critico cinematografico, fondatore e primo segretario del Pd, direttore dell’Unità e candidato premier, regista e scrittore. «Ho sempre progettato, costruito nel tempo, mi sono dato obiettivi a lungo termine. Ora è diverso...». E in quelle parole sembra di cogliere lo smarrimento di questi tempi, di una generazione che ha creduto di poter cambiare il mondo, di un Paese dove a volte sembrano essere saltati tutti gli equilibri. Belle, nel libro, le pagine dedicate al ricordo della madre, Ivanka Kotnik, figlia dello sloveno Ciril Kotnik, l’ex ambasciatore del Regno di Jugoslavia presso la Santa Sede che aiutò numerosi antifascisti ed ebrei romani a sfuggire alla persecuzione nazista dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943. E all’incontro fra i genitori, complice una torta al cioccolato. Libro dedicato al fratello maggiore, Valerio, «per tutti questi giorni». E «a Ettore», «per tutte le sue storie. Fu proprio Scola, un giorno, a chiedergli «perchè muovesse le gambe in quel modo». Non lo so, fu l’ovvia risposta. «Lui mi sorrise e mi disse: il tuo papà faceva così...».

martedì 20 ottobre 2015

Zeppieri presenta album CAPO VERDE a Expo

Il produttore discografico friulano Alberto Zeppieri ha presentato all’Expo, a Milano, il sesto volume della collana discografica “Capo Verde, terra d’amore”. «La collana - ricorda Zeppieri - è dedicata sin dalla prima uscita al Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, dunque la presentazione del nuovo capitolo non poteva che tenersi nel luogo dove il pianeta si è riunito per parlare di cibo e alimentazione, in occasione proprio della Giornata mondiale dell’alimentazione». L’album registra un piccolo record: il maggior numero di artisti di origine o nazionalità straniera che cantano in italiano nello stesso disco. La portoghese Nancy Vieira, capoverdiana di origine, apre la raccolta con “Triste allegria”, di Amandio Cabral. Mariana Ramos ha duettato con Bobby Solo nel brano di Gerard Mendes “Sei la vita”. Il cantautore di origine serba Goran Kuzminac interpreta “Se fossi una mosca”. La senegalese Kinè Fall canta con i Milk and Coffee “Onarinà”, popolare cantilena capoverdiana. Yalda, da Teheran, duetta con Niccolò Agliardi in “Ripensamenti”. Ormai italiane d’adozione le interpreti di “Marilena”: la capoverdiana di Palermo Jerusa Barros e l’africana Karin Mensah. I tedeschi Pupkulies e la cantante Rebecca duettano con il capoverdiano Tibau Tavares ne “La taranta va”. Jacqueline Fortes, da Rotterdam, canta “Tra le tue braccia” in italiano e in due lingue minoritarie: il creolo e il friulano. Un altro capoverdiano, Teofilo Chantre, è la voce di “Fiore della speranza”. Fra gli italiani del disco, da segnalare Cristiano Malgioglio, Maria Nazionale, Niccolò Agliardi, Patrizia Laquidara, Aisha Cerami e Gigliola Cinquetti. Ma per Zeppieri si tratta di un periodo di grande attività. Sono infatti appena usciti altri due album nei quali ha messo lo zampino. Il primo è il nuovo lavoro di Fiordaliso, “Frikandò”, nel quale firma ben sette canzoni sulle dieci presenti nel disco, anticipato nelle radio da “Male”, adattamento creativo di “Malo”, successo spagnolo di qualche anno fa, dedicato all’eterno tema delle violenze domestiche. Una curiosità: nel video compare Rita Dalla Chiesa, con appello alle vittime di soprusi a chiamare il numero 1522 del ministero delle Pari Opportunità. L’altro lavoro è la colonna sonora del film “Rosso Mille Miglia”, con Martina Stella, Fabio Troiano e Remo Girone. Zeppieri ha scritto tutti i testi e ha curato il coordinamento artistico di un lavoro firmato da un altro musicista regionale: il compositore Riccardo Rossini. Il brano di punta è “Amami, prendimi, guidami”, un electro-swing interpretato da Simona Molinari con le Voci di Corridoio.

venerdì 16 ottobre 2015

ALBUM MADH

MADH “Madhitation” (Newtopia/Sony) Che fine fanno quelli di “X Factor” quando il talent più alla moda si conclude? C’è chi va a Sanremo (e si brucia), chi vivacchia nel sottobosco dello show business, chi scompare. Il sardo Madh sembra avere idee diverse per il suo futuro. Dopo il successo del singolo d’esordio “Sayonara” e del tour, ora se ne viene fuori con un album di inediti che ne mette in luce l’originalità. Seguito da Fedez, che era anche il suo giudice, il ragazzo (classe ’93, originario di Carbonia, patito della lacca...) spazia fra stili e generi diversi: fra pop e hip hop, reggae ed elettronica, atmosfere acustiche e cori arabeggianti, tentazioni classiche e contaminazioni varie. “Vai” è l’unico brano in italiano. Il resto è internazionale, non solo nell’idioma. In un disco coraggioso, che sprizza idee da ogni poro. twitter@carlomuscatello ©RIPRODUZIONE RISERVATA

HIT n RUN, NUOVO ALBUM PRINCE

La musica migliore degli anni Ottanta l’ha scritta e suonata Prince Roger Nelson, in arte soltanto Prince. L’allora genietto di Minneapolis proponeva all’epoca e soprattutto dal vivo (ricordiamo al proposito un concerto da antologia a Milano, nell’88...) un entusiasmante mix sonoro nel quale la musica nera attingeva, oltre che nel rock e nel pop, nel funk, nel rap, nella dance, persino nella classica e nella sinfonica. Se c’era un artista crossover, questo era lui. A volte squassato da devastanti furori psichedelici. Sono passati tanti anni. Il nostro si è perso e ritrovato, fra crisi personali e baruffe con le multinazionali del disco, ma ha sempre mantenuto un tocco musicale di primissimo livello. Un’originalità e una freschezza di ispirazione difficili da trovare in tanti ragazzetti di primo pelo. “Hit n Run” è il trentacinquesimo album di una carriera discografica cominciata nel ’78 con “For you” e che ha conosciuto perle assolute come “Purple rain” (’84) e “Lovesexy” (’88). Il termine del titolo (qualcosa del tipo “colpisci e scappa”...) sta a indicare uno show a sorpresa, di quelli annunciati con pochi giorni o addirittura poche ore di anticipo. Abitudine che l’artista statunitense coltiva da anni. Undici brani per quaranta minuti scarsi nei quali il nostro spazia fra le sue varie passioni e “specialità” musicali. Andiamo allora dalle ballate di “This could b us” (che per la verità stava già in un disco precedente) all’elettronica di “X’s face”, fino alla dance di “Fallinlove2nite” e “Ain’t about to stop” (con Rita Ora), con citazioni più o meno esplicite di sue cose del passato. E ampio uso di campionamenti. Se poi vogliamo dirla tutta, da molti anni e molti dischi la grandezza di Prince - che dal vivo non teme paragoni, un suo concerto rimane un’esperienza da non perdere - stenta a emergere anche in sala di registrazione. Chissà, forse ne è consapevole lui stesso, considerato il riferimento del titolo... Con lui nel disco le “3rdeyegirl”, ovvero Donna Grantis, Ida Nielsen e Hannah Ford Welton, che hanno detto: «È fenomenale, ci sono moltissime hit in questo album. È bizzarro, c’è un suono molto sperimentale. Sono un sacco di hit una dietro l'altra e conquisteranno i fan che amano ascoltare quello che Prince ha da dire, invece di volere sempre e solo il classico suono “alla Purple Rain”...». Si diceva delle baruffe con le major. Sembrava fosse tutto passato, a giudicare almeno dai due album pubblicati lo scorso anno dalla Warner. Ma questo nuovo lavoro esce solo su Tidal, il servizio di streaming di Jay-Z, l’unico luogo virtuale dove è attualmente presente il catalogo di Prince in streaming.

4-12 COFANETTO SPRINGSTEEN

Il 4 dicembre 2015 Columbia Records pubblicherà The Ties That Bind: The River Collection di Bruce Springsteen. Il cofanetto, che offre una retrospettiva completa sul periodo di The River, contiene 52 brani con tantissimo materiale inedito (4 CD), e 4 ore di immagini inedite (3 DVD). Il box set comprende: il doppio album The River originale; la prima release ufficiale di The River: Single Album; un CD di outtake 1979/80; un doppio DVD con immagini mai viste prima, con nuovo montaggio e riprese multicamera, tratte dal famoso show di Springsteen del 1980 a Tempe, in Arizona (definito da tutti un concerto imperdibile e mai pubblicato); un nuovo documentario su The River intitolato The Ties That Bind e un libro illustrato contenente 200 foto rare o inedite e cimeli più un nuovo saggio di Mikal Gilmore. The River, quinto album di Springsteen, uscì il 17 ottobre 1980 come doppio album e raggiunse la posizione n. 1 della classifica Top 200 di Billboard. Nelle sue note, il giornalista Mikal Gilmore definisce The River di Springsteen “l’album cardine: la cerniera tra le ambiziose agitazioni che l’avevano preceduto e i tumulti musicali più stringati, e talvolta lo storytelling da brivido, che seguirono”. (Due CD, recentemente rimasterizzati) The River: Single Album è l’album di dieci brani che Springsteen incise nel 1979 come seguito di Darkness On The Edge Of Town del 1978 senza mai pubblicarlo. “Alle canzoni mancava quella sorta di coesione e intensità concettuale che mi piace avere nella mia musica. Così sono tornato in studio di registrazione”, scrisse nel libro di testi e immagini Songs. Le prime sessioni segnarono l’inizio di un lungo e prolifico viaggio durato 18 mesi. Sette dei dieci brani di The River: Single Album finirono su The River, alcuni dei quali con testi e arrangiamenti diversi, mentre outtake come “Cindy” e una versione rockabilly di “You Can Look (But You Better Not Touch)” non trovarono spazio sul disco. Ora, per la prima volta, The River: Single Album è finalmente disponibile. Il quarto CD contenuto nel cofanetto è The River: Outtakes, che abbraccia le intere sessioni di registrazione di The River tra il 1979 e il 1980 e mostra tutta la profondità e la varietà della musica di Springsteen di quel periodo. Gli undici brani in tracklist sono rarità mai pubblicate finora, e in buona parte sono anche totalmente sconosciuti persino ai fan, abituati ormai a considerare le outtake di Springsteen come dei veri e propri segreti. Le undici outtake del “Record One” sono state mixate da Bob Clearmountain e masterizzate da Bob Ludwig. Altre undici outtake, quelle del “Record Two”, sono tratte dal cofanetto Tracks e da Essentials, e sono finalmente raccolte in un unico disco. The Ties That Bind è un nuovo documentario di 60 minuti diretto da Thom Zimny contenente un’intima intervista a Springsteen, nel corso della quale l’artista riflette sul lungo e tumultuoso periodo in cui The River fu scritto e registrato. Il film alterna il racconto del retroscena delle canzoni – con Springsteen che le illustra eseguendole da solo con la chitarra acustica – a immagini dei concerti dell’epoca e rare foto di Bruce e la sua band, dentro e fuori dallo studio di registrazione. L’ultima chicca video, Bruce Springsteen & The E Street Band: The River Tour, Tempe 1980, è un nuovo film realizzato con il materiale ripreso professionalmente nel 1980 utilizzando quattro telecamere e registrato in audio multitraccia. Il film contiene 24 canzoni (2 ore e 40 minuti) su 2 DVD tratte dal concerto che Springsteen tenne il 5 novembre 1980 alla Arizona State University di Tempe. Ampiamente riconosciuta come una delle migliori performance di Bruce, questo show intenso contiene le prime versioni live di più della metà dei brani che compongono The River. Il film include anche 20 minuti di immagini tratte dalle prove del River Tour, svoltesi a fine settembre 1980 a Lititz, in Pennsylvania, che mostrano Springsteen e la E Street Band lavorare agli arrangiamenti live di quello che allora era materiale inedito tratto dall’album che di lì a breve sarebbe stato pubblicato. Il film è stato recentemente montato dal regista Thom Zimny, collaboratore abituale di Bruce e vincitore di Grammy ed Emmy; l’audio è stato mixato in stereo e surround 5.1 da Bob Clearmountain partendo dalle registrazioni multitraccia originali, e infine masterizzato da Bob Ludwig. The Ties That Bind: The River Collection è racchiuso in un cofanetto 10’’ x 12’’ (25,40 cm x 30,48 cm) che contiene un libro con copertina rigida e 148 pagine illustrate da 200 foto in studio e dal vivo (buona parte delle quali mai pubblicate finora), oltre a pagine degli appunti di Springsteen, copertine dei singoli, immagini e outtake tratte dal packaging originale dell’album, più altri cimeli. Le note di copertina includono un nuovo saggio dil Gilmore, la recensione originale dell’album pubblicata da Rolling Stone nel 1980, e i commenti aggiornati di Springsteen su The River tratti dal libro Songs del 1998. The Ties That Bind: The River Collection è disponibile per il pre-order su Amazon 4 CD / 3 DVD oppure 4 CD / 2 Blu-ray e iTunes . Per ulteriori informazioni su Bruce Springsteen e la E Street Band: http://www.brucespringsteen.net/ http://www.facebook.com/brucespringsteen http://www.twitter.com/springsteen CD 1 The River - Record One 1 The Ties That Bind 2 Sherry Darling 3 Jackson Cage 4 Two Hearts 5 Independence Day 6 Hungry Heart 7 Out In The Street 8 Crush On You 9 You Can Look (But You Better Not Touch) 10 I Wanna Marry You 11 The River CD 2 The River - Record Two 1 Point Blank 2 Cadillac Ranch 3 I'm A Rocker 4 Fade Away 5 Stolen Car 6 Ramrod 7 The Price You Pay 8 Drive All Night 9 Wreck On The Highway CD 3 The River: Single Album 1 The Ties That Bind 2 Cindy 3 Hungry Heart 4 Stolen Car (Vs. 1) 5 Be True 6 The River 7 You Can Look (But You Better Not Touch) (Vs. 1) 8 The Price You Pay 9 I Wanna Marry You 10 Loose End CD 4 The River: Outtakes Record One 1 Meet Me In The City 2 The Man Who Got Away 3 Little White Lies 4 The Time That Never Was 5 Night Fire 6 Whitetown 7 Chain Lightning 8 Party Lights 9 Paradise By The “C” 10 Stray Bullet 11 Mr. Outside Record Two 12 Roulette 13 Restless Nights 14 Where The Bands Are 15 Dollhouse 16 Living On The Edge Of The World 17 Take 'em As They Come 18 Ricky Wants A Man Of Her Own 19 I Wanna Be With You 20 Mary Lou 21 Held Up Without A Gun 22 From Small Things (Big Things One Day Come) DVD 1 The Ties That Bind (Documentary) DVD 2 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 1 1 Born To Run 2 Prove It All Night 3 Tenth Avenue Freeze-Out 4 Jackson Cage 5 Two Hearts 6 The Promised Land 7 Out In The Street 8 The River 9 Badlands 10 Thunder Road 11 No Money Down 12 Cadillac Ranch 13 Hungry Heart 14 Fire 15 Sherry Darling 16 I Wanna Marry You 17 Crush on You 18 Ramrod 19 You Can Look (But You Better Not Touch) DVD 3 The River Tour, Tempe 1980 Concert – Part 2 1 Drive All Night 2 Rosalita (Come Out Tonight) 3 I'm A Rocker 4 Jungleland 5 Detroit Medley 6 Where The Bands Are (Credits) BONUS: The River Tour Rehearsals - Ramrod - Cadillac Ranch - Fire - Crush On You - Sherry Darling

mercoledì 14 ottobre 2015

ARCADE FIRE, The Reflektor Tapes oggi e domani al cinema

Arriva oggi e domani nelle sale italiane (a Trieste a “The Space” delle Torri) il film degli Arcade Fire “The reflektor tapes”. Presentata in anteprima al festival di Toronto, la pellicola è un’opera a metà strada fra un “making of” dell’album “Reflektor” e un filmato dal vivo dell’ultimo tour della band canadese, con l’aggiunta di interviste, immagini private nel backstage e fuori dalle scene. «Ci sono immagini del tour - dicono i fratelli Win e Will Butler, fondatori del gruppo - in cui siamo stati molto vicini a mettere in scena esattamente quello che immaginavamo nelle nostre teste. Siamo stati fortunati perchè sin dall’inizio avevamo accanto a noi Kahlil Joseph (regista del film, vincitore nel 2013 del premio Grand Jury al Sundance Film Festival per il miglior cortometraggio - ndr), pronto a documentare tutto questo». Per la band canadese non si tratta della prima incursione nel cinema. Nel 2011 avevano scritto con Spike Jonze un film (poi diventato quasi un “cult”) ispirato al disco “The suburbs”. E nel 2013 il video della loro “Reflektor” era stato firmato dal celebre fotografo e regista Anton Corbijn. Ora arriva - secondo le note di produzione - questa «esperienza cinematografica unica, un paesaggio sonoro e visivo caleidoscopico, un incrocio tra documentario, arte, musica e storia personale per narrare la creazione dell'ultimo album della band». Con la presentazione in anteprima assoluta per il cinema di un nuovo brano inedito. “The Reflektor Tapes” racconta la nascita di un album, la vita degli artisti mentre stanno lavorando alla nuova opera, e tanto altro. Il film ripercorre l’esperienza dell’album, tracciando passo dopo passo il percorso creativo della realizzazione del disco, dalle prime fasi della scrittura in Giamaica alle sessioni di registrazione a Montreal, dal concerto improvvisato in un hotel haitiano a Carnevale, fino ai concerti a Los Angeles e Londra. Gli Arcade Fire hanno debuttato nel 2004 con l’album “Funeral”, apprezzato da critica e pubblico. Il successivo “Neon Bible”, pubblicato nel 2007, ha scalato le classifiche inglesi e americane.

martedì 13 ottobre 2015

13-11 esce Roma Live! dei BAUSTELLE

Esce venerdì 13 novembre ROMA LIVE!, il primo album dal vivo dei Baustelle in quindici anni di carriera arricchito da uno speciale artwork ad opera di Malleus, studio artistico e grafico di grande fama nel mondo dell’art-rock. Registrato nel corso del loro tour più recente, intrapreso tra il 2013 e il 2014 per presentare le canzoni dell’album “Fantasma”, l’album è un disco live e al tempo stesso una raccolta di grandi successi: la scaletta prevede 14 brani tra cui spiccano le due cover inedite “Signora ricca di una certa età”, versione in italiano di “Lady of a certain age” dei Divine Comedy e “Col tempo” di Leo Ferrè. Registrato a Roma nel corso di tre concerti in tre diverse location – la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, l’ex-Mattatoio di Testaccio e l’Auditorium della Conciliazione – con tre diverse formazioni (con orchestra sinfonica, con sezione fiati e con quartetto d’archi), l'album offre una scaletta di grande varietà dal punto di vista sonoro, con tutti i classici del gruppo completamente riarrangiati. “Il tour di "Fantasma" è stato molto importante per i Baustelle, e un'occasione per mostrare al pubblico le varie facce di un disco abbastanza complesso. – racconta Francesco Bianconi - Un disco che abbiamo portato in giro in versione sinfonica, in versione rock e anche in una acustica, da camera. Abbiamo registrato tutti i concerti, sapendo che si trattava di eventi speciali e per noi molto emozionanti. Riascoltando, a freddo, ci siam detti: perché non fissarle per sempre, queste emozioni? Lo facciamo, un disco dal vivo? Lo abbiamo fatto: un disco live fatto di tre diversi concerti romani. Chiamatela pure celebrazione, o mancanza di nuove idee, ma dopo tanti anni di strada assieme, ce lo meritiamo, noi e il nostro pubblico”. Dell’album, disponibile su cd singolo, verrà anche realizzata una versione in LP doppio vinile 180 grammi a tiratura limitata e numerata

The Hunting Dogs premiati a festival rock Zagabria

La fiumana Alba Nacinovich e il goriziano Marco Germini hanno vinto. The Hunting Dogs - questo il nome che hanno scelto per il loro duo - si sono infatti aggiudicati a Zagabria il “Premio per l'innovazione musicale” del Karlovacko RockOff Festival, conferito dall’Associazione croata dei compositori attraverso una giuria composta da musicisti, produttori e giornalisti musicali della vicina repubblica. Già a settembre i due musicisti avevano entusiasmato pubblico e critica presenti alla prima fase del festival. Qualcuno aveva infatti scritto: «L’electro duo The Hunting Dogs ha dominato il palco in sintonia perfetta, con una moltitudine di strumenti diversi ha creato una situazione che nessuno abbia mai visto in Croazia prima d’ora». Ora è arrivato il premio, a conclusione di un percorso che aveva visto all’inizio ben 192 band e artisti partecipanti alle selezioni, che avevano portato The Hunting Dogs nella “top five” del festival croato. Oltre al premio vinto (cento ore di registrazione in studio con un produttore e la realizzazione di un video), Alba e Marco ora suoneranno nel tour promozionale del Festival Karlovacko e sono già stati inseriti nel cd della competizione, una compilation che raccoglie i singoli delle migliori 17 band. Il loro disco “Out to hunt” - che loro definiscono “un album di electro-shocked pop”, ben accolto dalla critica e premiato al contest “Sing Happy”, ad Arezzo Wave - è disponibile sia in vinile che in digitale. Marco Germini è un esperto di musica elettronica e colonne sonore, Alba Nacinovich viene dal rock e dal cantautorato. Si sono incontrati a Trieste, dove entrambi frequentavano il corso di jazz del Conservatorio Tartini. Lì è scoccata la scintilla artistica e i due hanno deciso di proseguire assieme la strada della ricerca e della sperimentazione, formando un duo. «Lavoriamo assieme dal 2012 - dicono -, il nome lo abbiamo scelto mutuando il titolo di uno dei primi brani composti insieme: incarnava alla perfezione quel desiderio feroce (prendendo in prestito una definizione di Keith Jarrett) che a parer nostro è la musica, in cui tecnica e conoscenza sono sì necessari, ma a guidarli resta sempre l’istinto e la sua imprevedibilità».