lunedì 30 gennaio 2017

TRIESTE E FVG A SANREMO / 2

E poi, un giorno, a Sanremo arrivò Elisa Toffoli da Monfalcone. Nata a Trieste, in realtà, il 19 dicembre ’77, ma “bisiaca” a tutti gli effetti. Nel 2001, dopo due album in inglese (“Pipes & flowers” e “Asile’s world”), va al Festival e canta in italiano. Lei che fino ad allora non l’aveva mai fatto. Lei che non amava (e non ama) le gare. Caterina Caselli, sua scopritrice, quella che l’aveva messa sotto contratto giovanissima, mandandola sei mesi in California, sotto le cure del produttore di tante star Corrado Rustici, le propone Sanremo.
Lei accetta. Canta la sua prima canzone in italiano, “Luce (tramonti a nord est)”, brano non pensato per il Festival e da lei scritto assieme a Zucchero con la produzione del solito Rustici. Dice: «Sono venuta perché è l’evento musicale italiano più seguito. E io volevo proporre non me, ma la canzone. In questo modo, in cinque minuti, 15 milioni di persone l’hanno ascoltata. Non mi sento in gara...». A Sanremo poi tornerà da ospite.
C’è un altro grande musicista triestino che ha fatto capolino al Festival. Edizione del 2009, in quella che è forse la sua ultima apparizione dinanzi a un grande pubblico, Lelio Luttazzi accompagna al pianoforte la debuttante Arisa, che vince la sezione Nuove proposte con il brano “Sincerità”. Classe, eleganza, tocco, innata musicalità. Il maestro ci lascia un anno e mezzo dopo, l’8 luglio 2010.
Fra gli altri, da ricordare la partecipazione dell’udinese Miani: nell’85 con “Me ne andrò” e nell’86 con “Ribelle su questa terra”. E fra gli strumentisti, menzione almeno per tre triestini: il sassofonista Claudio Pascoli, più volte sul palco dell’Ariston, il chitarrista Toni Soranno (nel ’79 con Antoine e con Nicoletta Bauce) e il violinista Alessandro Simonetto, che accompagnò alla fisarmonica il compianto Pierangelo Bertoli, che nel ’92 cantava “Italia d’oro”.
Da ultimo, ci sembra giusto segnalare un “triestino ad honorem”: Simone Cristicchi, più volte al Festival, fra i giovani e fra i big, vincitore giusto dieci anni fa, nel 2007, con “Ti regalerò una rosa”, piccolo e toccante capolavoro sul disagio mentale. E già questo era un legame con Trieste, città di Basaglia. Che poi gli ha conferito la cittadinanza onoraria quando il nostro ha cantato magistralmente l’esodo degli istriani e dalmati nello spettacolo “Magazzino 18”.

TRIESTE E FVG A SANREMO / 1

Lodovica Comello, friulana di San Daniele, è la seconda regionale al Festival di Sanremo dai tempi della vittoria di Elisa nel 2001. Spigliata ragazza del ’90 (compie ventisette anni il 13 aprile), carriera lampo grazie al successo internazionale della telenovela “Violetta”, canta “Il cielo non mi basta”. E va a rafforzare la schiera dei sanremesi del Friuli Venezia Giulia (e dintorni...), per la verità non troppo nutrita, in sessantasette edizione del Festival. Quest’anno riflettori puntati dal 7 all’11 febbraio.
Non si può non cominciare da Ferruccio Merk Ricordi, in arte Teddy Reno. Nato a Trieste nel ’26, arriva per la prima volta a Sanremo nel ’53: si piazza secondo con “Campanaro”, di Cherubini e Concina, in coppia nientemeno che con Nilla Pizzi, reduce dalla vittoria nel ’51 con “Grazie dei fior” e nel ’52 con “Vola colomba”. Sì, proprio la canzone dedicata all’italianità di Trieste, all’epoca non ancora ricongiunta alla madre patria: «Che inginocchiato a San Giusto, prega con l'animo mesto: fa che il mio amore torni, ma torni presto...». L’amore, nell’immaginario collettivo condiviso, era l’Italia.
In quelle prime edizioni, ogni cantante poteva portare in gara più brani. E Teddy Reno, in quel ’53 che vede la vittoria di Carla Boni e Flo Sandon’s con “Viale d’autunno”, si piazza anche terzo con “Lasciami cantare una canzone”, in coppia con Achille Togliani. “El mulo Ferucio” torna altre volte: da segnalare i piazzamenti nel ’59 (terzo con “Conoscerti”, in coppia sempre con Togliani) e nel ’60 (secondo con “Libero”, in coppia con Domenico Modugno).
Lorenzo Pilat, in arte Pilade, triestino classe 1938, ha partecipato tre volte al Festival: nel ’66 in coppia con Adriano Celentano, cantando “Il ragazzo della Via Gluck”; nel ’68 con “Il re d'Inghilterra” in coppia con Nino Ferrer e con “La tramontana” in coppia con Antoine; nel ’75 con “Madonna d'amore”, che vinse il premio della critica come miglior testo. Come autore vanta invece una ventina di partecipazioni, avendo scritto per tanti cantanti di successo (ricordate? “di Pace Panzeri Pilat”...). Al Sanremo ’69, firma la musica di “Alla fine della strada”, presentata da Junior Magli e The Casuals, poi portata al successo mondiale da Tom Jones, col titolo “Love me tonight”.
Nel ’76 anche Umberto Lupi, triestino classe 1941, prova l’ebrezza festivaliera: è nella Squadra blu con in Camaleonti e Sandro Giacobbe, canta “Una casa senza nome” (di Pace Panzeri Pilat...), ma non accede alle fasi finali. E comunque sono tempi grigi per la kermesse.
Poi ci sono i “quasi triestini”. Come l’istriano Sergio Endrigo (Pola 1933 - Roma 2005), che piazzò uno splendido tris alla fine dei Sessanta: primo nel ’68 con “Canzone per te”, in coppia con Roberto Carlos; secondo nel ’69 con “Lontano dagli occhi”; terzo nel ’70 con “L’arca di Noè”. Ma a Sanremo era già stato nel ’66 con “Adesso sì” (incisa quell’anno anche da Lucio Battisti) e nel ’67 con “Dove credi di andare”, in coppia con Memo Remigi. E ancora nel ’71, appena undicesimo con “Una storia”, in coppia con i New Trolls.
Oppure Bobby Solo, all’anagrafe Roberto Satti, nato a Roma nel ’45 da madre monfalconese trapiantata a Trieste, padre giuliano di lontane origini austriache, nonna istriana sepolta a Castelvenere. Nel ’64 debutta giovanissimo a Sanremo con “Una lacrima sul viso”, in coppia con Frankie Laine. È senza voce, dunque canta in playback e non vince. Ma sfonda. La vittoria arriva l’anno dopo, con “Se piangi se ridi”, in coppia con New Christy Minstrels. Vince anche nel ’69, con Zingara, in coppia con Iva Zanicchi. Altre partecipazioni (nel ’66 con “Questa volta”, nell’80 con “Gelosia”, poi in trio con Little Tony e Rosanna Fratello...) hanno un riscontro inferiore.
Citazione obbligata anche per Gino Paoli (prima volta a Sanremo nel ’61, con “Un uomo vivo”, più volte in gara e ospite) e Paolo Rossi (’94, “I soliti accordi”, assieme a Enzo Jannacci), entrambi monfalconesi ma solo di nascita.

sabato 28 gennaio 2017

"LINK, PREMIO LUCHETTA INCONTRA" A TRIESTE DAL 21 AL 23-4

La terza edizione di "LINK, Premio Luchetta Incontra", festival del buon giornalismo, si terrà anche quest’anno a Trieste, nella centralissima Newsroom di Piazza della Borsa. Da venerdì 21 a domenica 23 aprile si avvicenderanno anteprime editoriali, interviste d’autore, talk dedicati ai temi di attualità con grandi protagonisti dell’informazione.  Link 2017 si aprirà idealmente nella mattinata del 21 aprile con la riunione della Giuria del Premio Luchetta che sceglierà le terne finaliste della 14^ edizione. Dal pomeriggio del venerdì si aprirà ancora una volta alla città l’agorà di Link: lo scorso anno oltre 10mila spettatori hanno fatto registrare il tutto esaurito nella newsroom con 35 incontri in quattro giorni, in uno spazio fortemente interattivo e tecnologico progettato per dialoghi e dirette continue con la notizia. Una vera officina del ‘buon giornalismo’, per leggere la notizia dalla parte di chi la ‘fa’, di chi la veicola e di chi ogni giorno la legge o la scopre online, alla radio o in tv.  
E intanto riparte anche il Premio Giornalistico internazionale Marco Luchetta: uno sguardo vigile sulle trincee e periferie del mondo, dove i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono calpestati e violati. A 23 anni dalla strage di Mostar, il 28 gennaio 1994 - quando i giornalisti Rai Marco Luchetta, Alessandro Sasha Ota e Dario D’Angelo venivano trucidati da una granata – il Premio rinnova l’appuntamento con la sua 14^ edizione attraverso il nuovo bando. Come sempre sono cinque le categorie, dedicate a tv news, tv reportage, carta stampata e web per testate italiane e straniere, fotografia. Da 13 anni il Premio, promosso dalla Fondazione Luchetta con la Rai e organizzato da Prandi Comunicazione e Marketing, raccoglie e condivide centinaia, migliaia di reportage e corrispondenze che arrivano dalle latitudini più estreme del pianeta, spesso a rischio della sicurezza di chi le realizza. E come sempre target del Premio è la sensibilizzazione sull'infanzia violata nel mondo: gli elaborati prodotti fra il primo aprile 2016 e il 31 marzo 2016 potranno essere caricati direttamente sul sito o recapitati alla Giuria del Premio entro il 5 aprile 2017. Sono tre gli ulteriori riconoscimenti che il Premio Luchetta 2017 assegnerà: dall’incontro della Fondazione Luchetta con Unicef Italia è nato il Premio “I Nostri Angeli”, riconoscimento per la testata giornalistica che più si è distinta nei temi legati alla tutela dell’infanzia nel mondo, lo scorso anno andato aRadio1 Rai. A questo riconoscimento si affiancano il Premio Speciale Luchetta, assegnato nel 2016 alla memoria del ricercatore Giulio Regeni, e il Premio FriulAdria Testimoni della Storia assegnato nel 2016 all’editorialista Ezio Mauro.  Della giuria del Premio Luchetta, presieduta dal direttore di Rai Tgr Vincenzo Morgante, fanno parte anche Beppe Giulietti e Carlo Muscatello, presidenti rispettivamente della Fnsi e dell'Assostampa Friuli Venezia Giulia. 


BAUSTELLE 29-3 A TOLMEZZO

Passa anche dal Friuli Venezia Giulia il nuovo tour dei Baustelle. Il trio di Montepulciano sarà infatti il 29 marzo al Teatro Candoni di Tolmezzo, per presentare il nuovo album “L’amore e la violenza”. È il settimo lavoro da studio di Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini: dodici brani che vanno da “Il Vangelo di Giovanni” (che parla di profughi siriani) fino a “Ragazzina” (che sogna la Scala di Milano ma anche di morire sulla circonvallazione), passando per “Amanda Lear”, il singolo che ha fatto da apripista all’album.
Di lei, della grande Amanda, dicono: «È una figura che rappresenta la leggerezza apparente ma che in realtà è leggerezza con un peso specifico non indifferente, come lo era quella di David Bowie o quella di Serge Gainsbourg. È questa la leggerezza che ci piace».
«Queste - spiega Bianconi - sono canzoni d'amore in tempo di guerra. Nella presentazione Alcide Pierantozzi ha detto che noi non siamo dei bravi ragazzi ma che la nostra cattiveria ha un senso. L’ho preso come un complimento perché la cattiveria usata in modo sensato è un buon modo per uscire dalla retorica. Se devo raccontare una storia d’amore penso sia bene raccontarla quando finisce, oppure mostrare i motivi per cui uno ha tradito l’altro, oppure ancora raccontare le cose più meschine che ci sono in ogni storia. Le vicende all'acqua di rose le conosciamo già».
Ancora Bianconi: «Il contemporaneo è sempre più difficile da raccontare perché in mutazione continua. È cattivo, cinico nella maniera in cui non ha più niente di nobile: è qualcosa che applichiamo nella vita di tutti i giorni per sopravvivere. Il nostro mestiere è raccontare questo cinismo e metterne in evidenza i tic, le crepe, il suo essere ridicolo. Il tutto, cercando di scrivere canzoni il cui contenuto non scada il giorno dopo». Il tour che fa tappa il 29 marzo in regione partirà il 26 febbraio da Foligno.

sabato 21 gennaio 2017

SANREMO, CROZZA IN COPERTINA

E dopo Maria De Filippi, il Festival di Sanremo si assicura anche Maurizio Crozza. Saranno infatti sue le “copertine” del Festival, in programma dal 7 all’11 febbraio, sullo stile già collaudato con Giovanni Floris, prima a “Ballarò” e poi a “Dimartedì”.
Il terzo Sanremo griffato Carlo Conti (anche l’ultimo, promette...) prende dunque forma. Anche con gli ospiti. La prima sera salirà sul palco Tiziano Ferro. Mercoledì sarà la volta di Giorgia e giovedì di Mika. Sempre giovedì apre la serata il Piccolo Coro dell’Antoniano, con i classici dello Zecchino d’oro. Comici: martedì Antonio Albanese e Paola Cortellesi.
Poi ci sarebbero le canzoni, che da anni cercano spazio in mezzo al rutilante spettacolo televisivo. Ventidue “campioni”, da Al Bano a Sergio Sylvestre (due estremi non solo in ordine alfabetico...), passando per Ron (“L’ottava meraviglia”), Fabrizio Moro, Paola Turci (“Fatti bella per te”), Michele Zarrillo, la favorita Fiorella Mannoia con “Che sia benedetta”, alcuni “figli di talent” (Chiara, Giusy Ferreri, Elodie, Michele Bravi...). E la friulana di San Daniele Lodovica Comello, seconda regionale al Festival dai tempi di Elisa: ragazza del ’90, carriera lampo grazie al successo della telenovela “Violetta”, canta “Il cielo non mi basta”.
Chi ha già ascoltato le canzoni segnala che l’amore regna sempre e comunque, sia fra i veterani che fra le nuove leve. Con poche eccezioni. Il napoletano Clementino parla dei “Ragazzi fuori” ma senza affondare il colpo. Gigi D’Alessio dedica “La prima stella” alla madre morta recentemente. L’albanese Ermal Meta (“Vietato morire”) parla di un figlio che salva la madre dalla violenza del padre: una delle poche incursioni nella realtà. Merce rara al Festival

2CELLOS, DISCO E TOUR

Il 17 marzo esce il nuovo album “Score”, dedicato alle musiche da film. Il 22 marzo parte da Londra il tour mondiale, che prevede una sola data italiana, il 30 marzo al Mediolanum Forum, Milano, già “sold out”. Ma per chi parte dalle nostre zone c’è una valida alternativa: domenica 2 luglio il duo strumentale formato dal croato Luka Šulic e dello sloveno Stjepan Hauser, ormai vere e proprie star mondiali, sarà in concerto all’Arena di Pola, assieme all’Orchestra Sinfonica (biglietti dalle 10 di lunedì nei punti vendita autorizzati e online su www.eventim.hr). Il nuovo album (Portrait/Sony Music Masterworks), registrato a Londra con la London Symphony Orchestra, è stato anticipato nei giorni scorsi dal primo singolo "Game of Thrones Medley", rivisitazione del tema principale della celebre serie tv, il cui video ha già superato tre milioni di visualizzazioni sul canale Youtube del duo. Fra le musiche da film dell’album (il quarto della loro carriera, dopo “2Cellos”, “In2ition” e “Celloverse”), da segnalare la rivisitazione del tema di “Nuovo Cinema Paradiso”, di Ennio Morricone. Nel concerto non mancheranno le tradizionali cover di successi rock e pop come “Thunderstruck”, “Satisfaction”, “Whole Lotta Love” e “Smooth Criminal”, già apprezzate nei precedenti tour.
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giovedì 19 gennaio 2017

CLAUDIO VILLA, 30 ANNI FA

Ma c’è stato almeno un altro Sanremo segnato da un lutto. Era il 7 febbraio 1987, giusto trent’anni fa, l’ultima serata del 37.o Festival di Sanremo venne interrotta dal presentatore Pippo Baudo per dare l’annuncio. Claudio Villa, uno dei protagonisti della storia della canzone italiana, era morto poche ore prima a Padova, dove era andato per farsi operare al cuore. Grande e per una volta autentica commozione al Teatro Ariston. Tutti in piedi, un lungo applauso a quello che era stato il “Reuccio” della nostra canzone, qualche lacrima e molti occhi lucidi in platea. Poi, come sempre, lo spettacolo deve continuare. Quell’anno vinsero Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi con “Si può dare di più”, tra le Nuove proposte Michele Zarrillo con “La notte dei pensieri”, Premio della critica a Fiorella Mannoia (che manca da quell’edizione al Festival, dove torna quest’anno).
Claudio Pica, questo il suo vero nome, era nato il primo gennaio 1926 a Roma. Anzi, a Trastevere, via della Lungara, quella nota per il carcere di Regina Coeli. Famiglia umile, padre vetturino e madre casalinga, giovanissimo vince il primo concorso canoro a cui partecipa, con “Chitarratella”, grande successo di Carlo Buti, suo idolo giovanile. Primo disco nel ’47, “Serenatella dolce e amara” e “Canzoncella”. Nel ’52 debutta al cinema, protagonista del film “Serenata amara”, cui seguiranno una trentina di titoli (quasi sempre in ruoli che gli permettevano anche performance canore).
Gli anni Cinquanta e Sessanta lo consacrano protagonista canoro di primissimo piano, con la sua voce tenorile. Nel ’55 vince il primo dei suoi quattro Sanremo con “Buongiorno tristezza”. Nel ’59 con “Binario” si aggiudica la prima edizione del Festival di Barcellona. Nel ’64 trionfa a “Napoli contro tutti” con “'O sole mio”, nel ’66 a “Scala reale” con “Granada”. Sono gli anni di ”Canzonissima”, programma e gara tv che cambia nome ogni anno ma lo vede sempre vincitore o almeno finalista. Lui incarna la tradizione, gli altri (Gianni Morandi, Massimo Ranieri...) rappresentano i tempi che stanno cambiando. Anche e forse soprattutto nella musica. Lascia una discografia immensa.
Ateo e comunista convinto, Claudio Villa volle essere cremato, proibendo ogni cerimonia religiosa e lasciando scritto: «Aiutate l’uomo del domani a sbarazzarsi degli ultimi baluardi del Cristianesimo». Sulla sua tomba, nel cimitero San Sebastiano di Rocca di Papa, c’è scritto «Vita sei bella, morte fai schifo».

TENCO: LIBRI, MOSTRE, DISCHI...

Una mostra al Teatro della Tosse, a Genova. Dove sono previsti anche concerti e visite guidate. E poi un disco, “Luigi”, di Roberta Alloisio e Armando Corso. E ancora altri libri, dopo quelli usciti in questi cinquant’anni, sul mistero Luigi Tenco. Il più recente è “Forse non sarà domani”, di Mario Campanella e Gaspare Palmieri, che uscirà per Arcana nel cinquantesimo anniversario della morte dell’artista, proprio il 27 gennaio. Fra le testimonianze riportate, quella di Francesco Guccini. Che dice fra l’altro: «Non so perché andò a Sanremo e il confine tra andarci e non andarci è sempre stato labile. Del resto, da Vasco a Vecchioni, sono state tante le esperienze di quel festival che non avevano corrispondenza con la qualità dei cantautori». Per Guccini «il suicidio di Tenco resta inspiegabile, forse la storia con Dalida (nella foto), anche se il fratello mi ha sempre detto che fu ammazzato».
Nel libro c’è un io narrante che riporta Tenco in vita a commentare le sue canzoni, poi un'analisi della personalità dalla quale emerge che l'artista non soffrisse di depressione.
Quattro anni fa Nicola Guarnieri e Pasquale Ragone avevano pubblicato il libro “Le ombre del silenzio. Suicidio o delitto? Controinchiesta sulla morte di Luigi Tenco” (edizioni Castelvecchi), prefazione del criminologo Francesco Bruno.

LUIGI TENCO, 50 ANNI FA

Anche all’ultimo “X Factor”, una concorrente (la diciannovenne Gaia Gozzi, seconda classificata) ha cantato in una puntata “Vedrai vedrai”. Non è la prima concorrente di un “talent” a cimentarsi con un classico di Luigi Tenco, non sarà l’ultima. Un segno anche questo, forse il più piccolo e insignificante, dell’eternità dell’opera del cantautore piemontese morto suicida nella notte fra il 26 e il 27 gennaio 1967, durante il 17.o Festival di Sanremo.
Sono passati cinquant’anni. Il mistero è sempre rimasto tale. Alla verità ufficiale del suicidio molti non hanno mai creduto. Gino Paoli, Lucio Dalla, Sandro Ciotti. Che avanzò a più riprese dubbi e interrogativi. “Quella notte” lui era nella stanza accanto, la numero 219, dell’Hotel Savoy. E non sentì il rumore di alcuno sparo. Poi quella lettera di addio: troppo assurda per essere stata scritta da Tenco.
Ricordate? «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
Bah. Un altro argomento più volte sollevato. Tenco aveva una relazione con la cantante italofrancese Dalida, anche lei a Sanremo. Dopo il fatto, fu lasciata partire dal magistrato un’ora dopo il ritrovamento del cadavere, pur essendo una testimone fondamentale per le indagini. Che peraltro furono chiuse in maniera abbastanza frettolosa. Non furono fatte l’autopsia né la prova del guanto di paraffina. Suicidio e stop.
Ma chi era Luigi Tenco? Nato in provincia di Alessandria nel ’38, trasferito bambino con la famiglia a Genova. Maturità scientifica, iscritto a ingegneria, passionaccia per la musica, il jazz. A quindici anni suona il clarino, il sax. Con lui Bruno Lauzi, Gino Paoli, Fabrizio De Andrè. A vent’anni l’esordio come cantante, si fa chiamare Gigi Mai, incide un 45 giri come Dick Ventuno, poi adotta lo pseudonimo di Gordon Cliff. Frequenta Enzo Jannacci e Francesco Reverberi, scrive brani rock’n’roll, spensierati, quasi alla moda.
Ma è nel ’61, a ventitre anni, che viene fuori la sua vena più autentica. Comincia a scrivere canzoni malinconiche, spesso struggenti, a tratti beffarde. Le sue canzoni parlano d’amore in maniera nuova, disincantata. Hanno impianti musicali elaborati, spesso aboliscono il ritornello (all’epoca scelta obbligata nella musica leggera), proponendo piuttosto fino a tre temi musicali diversi nello stesso brano.
“Ragazzo mio”, “Io sì”, “Angela”. Poi “Mi sono innamorato di te”, “Lontano lontano”, “Vedrai vedrai”. E ancora “Un giorno dopo l’altro”, sigla televisiva dell’allora popolarissimo “Commissario Maigret”. Canzoni in anticipo sui tempi, dietro le quali s’intravedono una società che sta cambiando, rapporti interpersonali nuovi, l’amore fuor di retorica.
Siamo nell’Italia del boom economico, del primo benessere, della Cinquecento e del televisore. Ma anche dell’emigrazione, del permanere di forti sacche di povertà, soprattutto al Sud. In questo Paese le canzoni di Tenco stentano. Sono tempi in cui un 45 giri può vendere un milione di copie. Il suo massimo successo, “Lontano lontano”, all’epoca tocca appena le 35mila.
E arriviamo al ’67. A quel Sanremo il cantante non doveva partecipare. Aveva appena firmato un contratto con la Rca, casa discografica che sapeva attendere con pazienza la maturazione dei suoi artisti, e che infatti avrebbe tenuto a battesimo quasi tutti i nostri maggiori cantautori.
L’imprevisto fu probabilmente l’amore per Dalida. E quella canzone, “Ciao amore ciao”, che inizialmente s’intitolava “Li vidi tornare” e aveva contenuti antimilitaristi. Riveduta e corretta per andare con lei al Festival, magari a ottenere quel successo che finalmente gli era stato negato.
Ma quel brano, di una bellezza e una modernità che sopravvive agli anni, fu bocciato dalle giurie (38 voti su 900) e non venne ripescato dall’apposita commissione, che decise di salvare “La rivoluzione” di Gianni Pettenati. Ci furono delle polemiche, il giurato Lello Bersani si dimise per protesta, ma la decisione era presa.
Tornò in albergo, salì in camera, scrisse il famoso biglietto (che doveva restar segreto ma venne subito diffuso dall’Ansa), si sparò un colpo alla tempia. Seguirono pianti, accuse, interrogazioni parlamentari. Il Festival ovviamente andò avanti, il presentatore Mike Bongiorno liquidò la cosa con poche parole di circostanza («Diamo inizio alle seconda serata con una nota di mestizia per il triste evento che ha colpito un valoroso rappresentante del mondo della canzone...»), vinsero Claudio Villa e Iva Zanicchi con “Non pensare a me”. Quasi una beffa macabra. Completata dal titolo del brano cantato da Lucio Dalla e Rokes: “Bisogna saper perdere”.
Nel 2006, proprio per i tanti dubbi sulla vicenda, il cadavere fu riesumato. Ma le analisi non portarono a nulla. Luigi Tenco è sepolto nel cimitero di Ricaldone, provincia di Alessandria. Oggi avrebbe 79 anni.

sabato 14 gennaio 2017

FEGIZ, TROPPE ZETA NEL COGNOME (su Articolo 21)

«Per misteriose ragioni da quarant’anni costringo pubblico e artisti a confrontarsi con la mia incompetenza». C’è tutto Mario Luzzatto Fegiz, in questa sua frase autoironica che dice molto di colui che anni fa ha ricevuto il Premio Città di Sanremo come “giornalista decano del Festival” (il primo nel ’68, collaborava con la Rai, il prossimo sarà il numero 46…) e due mesi fa è stato premiato dai giornalisti triestini dell’Assostampa Fvg e del Gruppo giuliano cronisti con la Targa speciale del San Giusto d’oro.
Per i suoi settant’anni, il giornalista e critico musicale triestino si è regalato un libro, “Troppe zeta nel cognome”, prefazione di Pippo Baudo, edito da Hoepli. Più di un’autobiografia. Uno spaccato che comincia nella Trieste degli anni Cinquanta, quasi nel clima che si respirava nell’indimenticato “Lettere da Zabodaski – Ricordi di un borghese mitteleuropeo”, del padre Pierpaolo, fondatore della Doxa e accademico dei Lincei; transita per la Roma degli anni Sessanta e approda a Milano, al Corriere della Sera, dai Settanta in poi. Nel libro tante curiosità, tanti aneddoti sul mondo e i protagonisti della musica.
Fegiz ha debuttato a “Per voi giovani”, programma radiofonico Rai di culto, con Paolo Giaccio e Carlo Massarini, poi ritrovato in tivù negli anni Ottanta a “Mister Fantasy”. È stato un pioniere delle radio private (al tempo si diceva “libere”…), fondando Radio Milano Centrale. Al Corrierone approda giovanissimo, assunto alle pagine culturali dal direttore Giovanni Spadolini. Tanta gavetta, poi il treno preso al volo della critica musicale, versante leggera pop e rock, che all’alba dei Settanta nei giornali praticamente non esisteva. Possiamo dire che se l’è inventata lui.
Poi, una carriera coi fiocchi, che ne ha fatto – grazie anche al suo essere voce radiofonica e volto televisivo – il critico musicale più noto del Paese. L’unico che qualche anno fa si è tolto anche il gusto e la soddisfazione di passare “dall’altra parte della barricata”. Ha infatti portato a teatro lo spettacolo “Io odio i talent show”. Sorta d’invettiva contro un mondo, quello dei “talent”, che gli aveva “portato via il lavoro”, diventato strada facendo un racconto del mondo della musica e della discografia, italiana e internazionale.

giovedì 12 gennaio 2017

DALLA NEWSLETTER ORDINE GIORNALISTI FVG

APPELLO DEL SINDACATO


di CARLO MUSCATELLO*

Care colleghe, cari colleghi,a inizio anno, cominciamo da un appello: iscrivetevi all'Assostampa Fvg, l'articolazione territoriale della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti italiani. L'appello, quest'anno, è più forte e sentito che in passato, per tutta una serie di motivi che andremo a elencare. Essere in tanti vuol dire avere più forza, ed è necessario per difendere meglio il lavoro e i diritti dei colleghi, soprattutto i più deboli, ma anche la qualità e il ruolo dell’informazione. Anche quest'anno abbiamo le quote d'iscrizione immutate, che fra l'altro sono le più basse d’Italia e servono a pagare gli stipendi delle impiegate, l'affitto, le spese correnti, gli aiuti ai colleghi in difficoltà. Che nella nostra regione, fra l'altro, possono anche chiedere l'iscrizione gratuita (informazioni e dettagli su www.assostampafvg.it).
Nel 2017 dovrebbe finalmente essere rinnovato il contratto di lavoro. Come sapete, era stato disdettato dagli editori, una parte dei quali il contratto collettivo proprio non lo vorrebbe più. Ma, smentendo previsioni pessimistiche o addirittura catastrofiche, il sindacato dei giornalisti ha ottenuto che il vecchio contratto rimanga in vigore fino a quando non ne verrà firmato uno nuovo. Un risultato non da poco, considerata la situazione. C'è tutto il tempo, dunque, per riavviare il tavolo di confronto, finora bloccato dall'attesa della legge di riforma dell'editoria, approvata dal parlamento e in vigore dal 15 novembre. Mancano ora i decreti attuativi, ma c'è l'impegno del governo  a provvedere in tempi brevi. Ci sono di mezzo anche la composizione e le competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti: la previsione contenuta nel Decreto Milleproroghe farà sì che si andrà al voto con le nuove regole e i nuovi numeri, anche questo un risultato non trascurabile.
Del vecchio contratto, la Fieg aveva chiesto la revisione - ovviamente al ribasso - di ventuno istituti: dalle ferie ai festivi, dai superfestivi al notturno, dalle mansioni alle domeniche, dall’incidenza del settimo numero al calcolo della 13a, dagli straordinari agli scatti… Praticamente gli editori volevano e vogliono riscrivere tutto il contratto, per abbassare ulteriormente il costo del lavoro giornalistico, stante il perdurare della crisi economica. La posizione della Fnsi non è cambiata: chiediamo innanzitutto nuovi posti di lavoro, sottolineando che la categoria non è in grado di reggere ulteriori flessibilità né un altro contratto “a perdere”, senza un immediato e deciso rilancio dell’occupazione, in forte calo da diversi anni. Senza investimenti non c’è ripresa del mercato del lavoro e non c’è futuro per il giornalismo italiano e per gli stessi istituti di categoria. L'Inpgi, insomma, non si salva solo con la sofferta riforma in arrivo, ma con nuovi posti di lavoro. Stesso discorso per la Casagit.
La battaglia per il contratto non esaurisce ovviamente l'impegno del sindacato dei giornalisti, nell'ultimo anno impegnato a tutto campo per la difesa della libertà di informazione, non solo in Italia. C'è un disegno di legge per la riforma del reato di diffamazione (e finalmente la cancellazione della previsione del carcere per i giornalisti), c'è l'impegno contro le querele temerarie, per la tutela dei cronisti minacciati, per il contrasto al linguaggio dell'odio e della violenza ("hate speech"), sul web ma non solo sul web. Pare che il governo finalmente cominci a sentire... E per quanto riguarda la Rai, una crisi nella crisi, c'è l'impegno, assieme all'Usigrai, per "mettere in campo iniziative per costruire un futuro radicalmente rinnovato del Servizio pubblico".
Un capitolo a parte riguarda le concentrazioni editoriali e le grandi fusioni, settore nel quale la normativa è carente e attualmente permette agli editori notevole libertà di azione. L'operazione Stampubblica intanto procede. Il Gruppo Espresso, che in regione possiede Messaggero Veneto e Piccolo, ha già ceduto o dato "in affitto" alcune testate. Il rischio è che non sia finita qui.
In questa situazione complessa e di grande difficoltà, l’Assostampa Fvg continua  a fare la sua parte all’interno della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti italiani. Il lavoro, il rispetto del contratto, la libertà di informazione, la tutela dei colleghi più deboli rimangono le priorità della nostra azione e del nostro impegno. In un panorama dove gli stati di crisi, le ristrutturazioni, i contratti di solidarietà non si contano anche nel nostro Nordest, nei primi mesi dell'anno il sindacato tornerà al tavolo di confronto con le aziende al Piccolo e al Gazzettino, entrambi in stato di crisi. Ma ci sono anche i problemi del Messaggero Veneto, del Primorski Dnevnik, della Rai regionale, delle agenzie di stampa, dell’emittenza privata, delle testate più piccole. E degli uffici stampa della pubblica amministrazione, che ancora aspettano l'applicazione del contratto di lavoro giornalistico: novità potrebbero arrivare dalla tanto attesa legge regionale sull'editoria, che ormai sembra finalmente arrivata all'ultimo miglio prima dell'approvazione e dell'entrata in vigore.
Per tutti questi motivi abbiamo sempre più bisogno di un sindacato più forte. Che poi è quello che firma i contratti, che viene chiamato a rappresentare (tutti) i colleghi ai tavoli con le aziende quando c'è da trattare gli stati di crisi. Che poi è quello a cui si rivolgono tutti i colleghi (assunti o non assunti, collaboratori o precari) quando emergono problemi grandi o piccoli. Cosa che purtroppo avviene sempre più spesso. Insomma, non voltatevi dall'altra parte, non pensate di "poter fare da soli". Iscrivetevi, ne abbiamo e ne avete bisogno. E buon anno.

*presidente Assostampa Fvg, componente giunta esecutiva Fnsi

IL ROCKER TRIESTINO FRANK GET AL LIGHT OF DAY, NEW JERSEY

Il rocker triestino Frank Get (all’anagrafe Franco Ghietti) riparte dagli Stati Uniti. Venerdì 13 sarà infatti ospite del “Light of day winterfest”, nel New Jersey. «È il festival creato da Bruce Springsteen - spiega il musicista - per raccogliere fondi nella campagna contro il morbo di Parkinson di cui è affetto il suo amico ed ex manager Bob Benjamin. Nelle varie edizioni passate, al festival hanno partecipato, oltre allo stesso Boss, artisti quali Willie Nile, Southside Johnny, Joe D’Urso, James Maddock, Joe Grushecky... Si svolge a Asbury Park, allo Stone Pony, lo storico locale dove Bruce oltre quarant’anni fa, agli inizi della sua carriera».
«L’occasione per partecipare al festival - prosegue - è arrivata tramite l’amicizia e la collaborazione con Joe D’Urso, cantautore del New Jersey e vicepresidente della Light of Day Foundation. L’estate scorsa abbiamo fatto alcune date assieme e in quell’occasione mi è stata proposta la possibilità di ritornare a suonare per la seconda volta allo Stone Pony».
Ma la trasferta statunitense non sarà di quelle “una botta e via”. Frank Get terrà anche alcune date americane per presentare oltreoceano “Rough man”, il suo tredicesimo album pubblicato in Italia esattamente un anno fa.
«Con Anthony Basso, ex chitarrista degli Wind, abbiamo infatti in programma - prosegue l’artista - alcuni concerti fra il New Jersey e New York. In particolare, il 21 gennaio saremo al Bowery Electric, locale dell’East Village di Manhattan».
Dopo la trasferta a stelle e strisce, il tour prevede qualche data fra Trieste, Verona, Villaco e Lubiana. Poi il rocker triestino tirerà le fila che porteranno alla realizzazione del suo nuovo lavoro discografico. «Se tutto andrà secondo i piani - dice -, saremo pronti all’inizio dell’estate. Questa volta non farò tutto da solo, come nell’esperienza precedente, ma sarò accompagnato dalla band che suona con me dallo scorso anno, con Tea Tidic, bassista e cantante di Pola, Giulio Roselli alla batteria e Andrea Reganzin alle tastiere e ai cori. Sarà un disco molto scarno, direi quasi essenziale, che riprenderà i temi che riguardano la nostra terra e le origini della mia famiglia, che ho in parte già trattato sia in “Rough man” che nel precedente “To milk a duck”, realizzato con i Ressel Brothers».
«Dopo più di trent'anni spesi a suonare in giro per il mondo - racconta Ghietti/Get -, sento più che mai vivo il bisogno di fermarmi e rivolgere lo sguardo alle mie radici, alle storie dei luoghi e delle persone che mi hanno reso quello che sono e che vivono tuttora dentro di me».
Nell’ultimo album, che ora affronta il pubblico americano, molti brani profumano di Trieste, di Istria: «Provenire da una terra in cui i popoli e le culture si sono storicamente mescolati mi ha sempre fatto sentire cittadino del mondo e non appartenente a una nazione specifica dal momento che le mie radici sono istriane, slave, ungheresi e piemontesi. Ho cercato di raccontare alcune storie di cui la mia famiglia è stata testimone e protagonista diretta».
Per esempio in “Barbed wire”, dove l’artista ripercorre la tragedia legata al dover abbandonare la propria casa, la propria terra d'origine. In “Mine disaster” ricorda la tragica esplosione nella miniera di Arsia, in Istria, nella quale morirono 185 lavoratori. “In a heartbeat” è dedicata alle alterne vicende di Trieste, fra occupazioni militari e cambi di situazioni politiche. “Destination nowhere” racconta la storia del nonno di Ghietti, maresciallo “alla sussistenza” che dopo la disfatta di Caporetto riuscì ad assicurare il cibo ai commilitoni nonostante la disfatta.

ESCE OGGI PER I SUOI 70 ANNI AUTOBIOGRAFIA FEGIZ

«Per misteriose ragioni da quarant’anni costringo pubblico e artisti a confrontarsi con la mia incompetenza». C’è tutto Mario Luzzatto Fegiz, in questa sua frase autoironica che dice molto di colui che anni fa ha ricevuto il Premio Città di Sanremo come “giornalista decano del Festival” (il primo nel ’68, collaborava con la Rai, il prossimo sarà il numero 46...) e due mesi fa è stato premiato dai giornalisti triestini dell’Assostampa Fvg e del Gruppo giuliano cronisti con la Targa speciale del San Giusto d’oro.
Per il suo settantesimo compleanno che cade oggi (auguri...!), il giornalista e critico musicale triestino si è regalato un libro, “Troppe zeta nel cognome”, prefazione di Pippo Baudo, edito da Hoepli. Più di un’autobiografia. Uno spaccato che comincia nella Trieste degli anni Cinquanta, quasi nel clima che si respirava nell’indimenticato “Lettere da Zabodaski - Ricordi di un borghese mitteleuropeo”, del padre Pierpaolo, fondatore della Doxa e accademico dei Lincei; transita per la Roma degli anni Sessanta e approda a Milano, al Corriere della Sera, dai Settanta in poi. Nel libro tante curiosità, tanti aneddoti sul mondo e i protagonisti della musica.
Fegiz ha debuttato a “Per voi giovani”, programma radiofonico Rai di culto, con Paolo Giaccio e Carlo Massarini, poi ritrovato in tivù negli anni Ottanta a “Mister Fantasy”. Al Corrierone approda giovanissimo, assunto alle pagine culturali dal direttore Giovanni Spadolini. Tanta gavetta, poi il treno preso al volo della critica musicale, versante leggera pop e rock, che all’alba dei Settanta nei giornali praticamente non esisteva. Possiamo dire che se l’è inventata lui.
Poi, una carriera coi fiocchi, che ne ha fatto - grazie anche al suo essere voce radiofonica e volto televisivo - il critico musicale più noto del Paese. L’unico che qualche anno fa si è tolto anche il gusto e la soddisfazione di passare “dall’altra parte della barricata”. Ha infatti portato a teatro lo spettacolo “Io odio i talent show”. Sorta d’invettiva contro un mondo, quello dei “talent”, che gli aveva “portato via il lavoro”, diventato strada facendo un racconto del mondo della musica e della discografia, italiana e internazionale. Al Rossetti, nella Trieste che non ha dimenticato e che non lo ha dimenticato, ha fatto il tutto esaurito.

lunedì 9 gennaio 2017

ansa su nota Muscatello / Assostampa Fvg

GIORNALISTI: ASSOSTAMPA, POSSIBILI NOVITÀ LEGGE EDITORIA FVG (ANSA) - TRIESTE, 4 GEN - «In un panorama dove gli stati di crisi, le ristrutturazioni, i contratti di solidarietà non si contano anche nel nostro Nordest, nei primi mesi dell'anno il sindacato tornerà al tavolo di confronto con le aziende al Piccolo e al Gazzettino, entrambi in stato di crisi». Lo annuncia il presidente di Assostampa FVG, Carlo Muscatello. In una nota diffusa oggi, Muscatello ricorda anche «i problemi del Messaggero Veneto, del Primorski Dnevnik, della Rai regionale, delle agenzie di stampa, dell'emittenza privata, delle testate più piccole. E degli uffici stampa della pubblica amministrazione, che ancora aspettano l'applicazione del contratto di lavoro giornalistico: novità potrebbero arrivare dalla tanto attesa legge regionale sull'editoria, che ormai sembra finalmente arrivata all'ultimo miglio - conclude - prima dell'approvazione e dell'entrata in vigore». (ANSA).

sabato 7 gennaio 2017

U2 A LUGLIO A ROMA, I TOUR NEL 2017

Lo scandalo del “secondary ticketing”? Ci fa un baffo. Il 2017 proporrà infatti tanta musica dal vivo in tutt’Italia e anche a Trieste. Nonostante i recenti guai del sistema illegale venuto alla luce, per cui i biglietti dei grandi concerti sparivano subito dai negozi on line per poi riapparire a prezzi moltiplicati su altri circuiti, quello della musica dal vivo rimane un mercato florido. Soprattutto in tempi che permangono di grande crisi per la discografia.
Dunque si prospetta un’annata di grandi appuntamenti musicali, per una volta anche a Trieste e dintorni. Già sulla base del ricco calendario dei primi mesi, l’impressione è infatti che gli organizzatori vogliano recuperare il tempo perduto, restituendoci almeno in parte quanto sottratto negli ultimi anni.
A partire dal doppio concerto previsto il 17 e 18 marzo con Ligabue al PalaTrieste, nel nuovo tour che segue la pubblicazione dell’album “Made in Italy” e che è pensato appositamente per i palasport. La seconda tappa triestina è stata aggiunta dopo gli ottimi risultati delle prevendite dei biglietti. Il tour sarà in zona già il primo febbraio, al palasport di Jesolo. Il 16 aprile, sempre al PalaTrieste, arriva un’accoppiata da grandi numeri: J-Ax assieme a Fedez, impegnati nel “Comunisti col Rolex Tour 2017”, uno dei più attesi del nuovo anno.
Diversi appuntamenti anche al Politeama Rossetti. Il 20 marzo ritorna la voce soul di Mario Biondi (che il giorno prima, il 19, sarà al Nuovo di Udine). Appena pochi giorni e il 23 marzo arriva Lorena McKennitt, cantautrice e polistrumentista canadese, icona della musica celtica.
Il 2 maggio il teatro triestino ospiterà il concerto di Nek, reduce dal successo dell’album “Unici”. Il 24 maggio, un altro grande ritorno al Rossetti: quello di Fiorella Mannoia, che sarà ancora impegnata nel “Combattente Tour”, dopo la partecipazione al Festival di Sanremo che la vede partire come favorita della vigilia per la vittoria finale.
Due appuntamenti a Udine. Il 9 febbraio tornano le atmosfere del “progressive” degli anni Settanta con il concerto di Rick Wakeman, classe 1949, già colonna portante degli Yes, autentico mago delle tastiere. Il 24 marzo arriva invece Vinicio Capossela, il cui ultimo album “Canzoni della cupa” (il decimo della sua ormai lunga carriera) ha messo d’accordo critica e pubblico.
Ma il vero botto della stagione, perlomeno nel Friuli Venezia Giulia, è previsto per il mese di giugno. Domenica 11 parte infatti dallo stadio comunale di Lignano Sabbiadoro il tour 2017 di Tiziano Ferro. Anche il cantante di Latina, proprio come Vasco Rossi lo scorso anno, farà precedere il concerto da alcuni giorni di prove nella struttura della località balneare friulana. Anzi, se nel caso del “Live Kom 016” del Blasco si trattava di una data zero, stavolta è previsto il debutto ufficiale della tournèe: una notazione di merito in più, insomma, per la regione.
Dopo l’esordio a Lignano Sabbiadoro l’11 giugno, per il #TZNtour2017 (questo l’hashtag ufficiale della tournée) è in programma un vero giro d’Italia: 16 giugno Milano (Stadio San Siro), 21 giugno Torino (Stadio Olimpico), 24 giugno Bologna (Stadio Dall’Ara), 28 giugno Roma (Stadio Olimpico), 5 luglio Bari (Stadio Arena della Vittoria), 8 luglio Messina (Stadio San Filippo), 12 luglio Salerno (Stadio Arechi), 15 luglio Firenze (Stadio Franchi).
Solo qualche segnalazione più lontana, giusto per cominciare. Il 23 marzo a Milano unica data italiana per Sting. Megaconcerto il 10 giugno all’autodromo di Imola per i Guns N’ Roses (unica tappa italiana del tour mondiale). Radiohead il 14 giugno a Firenze e il 16 a Monza. Depeche Mode il 25 giugno a Roma, il 27 a Milano, il 28 a Bologna (con croccante anteprima nella nostra zona il 14 maggio a Lubiana). E, dulcis in fundo, lunedì è atteso l’annuncio del tour degli U2: si parla di due concerti in Italia, il 15 e 16 luglio a Roma, stadio Olimpico.
Notazione speciale per i 2Cellos, il duo di violoncellisti rock del croato Luka Šulic e dello sloveno Stjepan Hauser, ormai star mondiali. Il loro tour sarà il 30 marzo al Mediolanum Forum di Milano, e poi il 7 e 8 aprile alla Stozice Arena di Lubiana, a supporto del nuovo album con la London Symphony Orchestra, in uscita a marzo e dedicato alle musiche dei film che hanno fatto la storia del cinema.

giovedì 5 gennaio 2017

PAOLO CONTE, QUEL DANDY DI 80 ANNI

Paolo Conte domani ne fa ottanta. Recentemente, parlando del suo ultimo album “Amazing game”, disco solo strumentale, ha detto così: «Ci sono tre categorie di persone che un pochino si somigliano: l’intellettuale, lo snob e il dandy, a cui mi illudo di appartenere. Il dandy è uno che cerca la bellezza in profondità senza assolutamente tirarsela, come si dice oggi: cosa che fa piuttosto lo snob, che è un parvenu, mentre il dandy è proprio sostanza, è vero...».
E vero Conte lo è sempre stato. L’avvocato-chansonnier astigiano, cantore di quella provincia che si somiglia un po’ ovunque, malato di jazz, autore di capolavori intrisi di esotismo, interprete con quella sua voce rauca, quasi sporca, che è un suo tratto distintivo. Negli anni Sessanta le sue canzoni le affidava a Celentano ("Azzurro"), Caterina Caselli, Patty Pravo... Poi, in età adulta, ha cominciato a cantarsele da solo. E ha costruito una carriera coi fiocchi. Non solo in Italia.
Sì, perchè all’Olympia di Parigi o al Barbican Theatre di Londra, ma anche a New York e Berlino, a Montreal e Amsterdam, a Madrid e Atene, da tempo il nostro miete consensi unanimi. Presentato come un mix fra Tom Waits e George Brassens, come “maestro di un’eleganza perduta”.
Lui ripaga tutti con show in bilico fra Cotton Club e vecchia Europa, New Orleans e Langhe, Duke Ellington e Guido Gozzano, afrori esotici e lampi di passione. E capolavori intitolati “Sotto le stelle del jazz”, “Come dì”, “Lo zio”, “Dancing”, “Impermeabili”, “Bartali”, “Via con me”, “Un gelato al limon”... Potremmo continuare a lungo. Speriamo che continui lui. Buon compleanno, maestro.

lunedì 2 gennaio 2017

L'IMPEGNO DEL SINDACATO GIORNALISTI NEL 2017


Care colleghe, cari colleghi,

innanzitutto buon anno. Nel 2017 dovrebbe finalmente essere rinnovato il contratto di lavoro. Come sapete, era stato disdettato dagli editori, una parte dei quali il contratto collettivo proprio non lo vorrebbe più. Ma, smentendo previsioni pessimistiche o addirittura catastrofiche, il sindacato dei giornalisti ha ottenuto che il vecchio contratto rimanga in vigore fino a quando non ne verrà firmato uno nuovo. Un risultato non da poco, considerata la situazione.
C'è tutto il tempo, dunque, per riavviare il tavolo di confronto, finora bloccato dall'attesa della legge di riforma dell'editoria, approvata dal parlamento e in vigore dal 15 novembre. Mancano ora i decreti attuativi, ma c'è l'impegno del governo  a provvedere in tempi brevi. Ci sono di mezzo anche la composizione e le competenze del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti: la previsione contenuta nel Decreto Milleproroghe farà sì che si andrà al voto con le nuove regole e i nuovi numeri, anche questo un risultato non trascurabile.
Ma torniamo al contratto. La Fieg aveva chiesto la revisione - ovviamente al ribasso - di ventuno istituti contrattuali: dalle ferie ai festivi, dai superfestivi al notturno, dalle mansioni alle domeniche, dall’incidenza del settimo numero al calcolo della 13a, dagli straordinari agli scatti. Praticamente gli editori volevano e vogliono riscrivere tutto il contratto, per abbassare ulteriormente il costo del lavoro giornalistico, stante il perdurare della crisi economica.
La posizione della Fnsi non è cambiata: ha chiesto innanzitutto nuovi posti di lavoro, sottolineando che la categoria non è in grado di reggere ulteriori flessibilità nè un altro contratto “a perdere”, senza un immediato e deciso rilancio dell’occupazione, in forte calo da diversi anni. Senza investimenti, insomma, non c’è ripresa del mercato del lavoro e non c’è futuro per il giornalismo italiano e per gli stessi istituti di categoria. L'Inpgi, insomma, non si salva solo con la sofferta riforma in arrivo, ma con nuovi posti di lavoro. Stesso discorso per la Casagit.
La battaglia per il contratto non esaurisce ovviamente l'impegno del sindacato dei giornalisti, nell'ultimo anno impegnato a tutto campo per la difesa della libertà di informazione, non solo in Italia. C'è un disegno di legge per la riforma del reato di diffamazione (e finalmente la cancellazione della previsione del carcere per i giornalisti), c'è l'impegno contro le querele temerarie, per la tutela dei cronisti minacciati, per il contrasto al linguaggio dell'odio e della violenza ("hate speech"), sul web ma non solo sul web. Pare che il governo finalmente cominci a sentire... E per quanto riguarda la Rai, c'è l'impegno, assieme all'Usigrai, per "mettere in campo iniziative per costruire un futuro radicalmente rinnovato del Servizio pubblico".
Un capitolo a parte riguarda le concentrazioni editoriali e le grandi fusioni, settore nel quale la normativa è carente e attualmente permette agli editori notevole libertà di azione. L'operazione Stampubblica intanto procede. Il Gruppo Espresso, che in regione possiede Messaggero Veneto e Piccolo, ha già ceduto o dato "in affitto" alcune testate. Il rischio è che non sia finita qui.
In questa situazione complessa e di grande difficoltà, l’Assostampa Fvg continua a fare la sua parte all’interno della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti italiani. Il lavoro, il rispetto del contratto, la tutela dei colleghi più deboli rimangono le priorità della nostra azione e del nostro impegno. In un panorama dove gli stati di crisi, le ristrutturazioni, i contratti di solidarietà non si contano anche nel nostro Nordest, nei primi mesi dell'anno il sindacato tornerà al tavolo di confronto con le aziende al Piccolo e al Gazzettino, entrambi in stato di crisi. Ma ci sono anche i problemi del Messaggero Veneto, del Primorski Dnevnik, della Rai regionale, delle agenzie di stampa, dell’emittenza privata, delle testate più piccole. E degli uffici stampa della pubblica amministrazione, che ancora aspettano l'applicazione del contratto di lavoro giornalistico: novità potrebbero arrivare dalla tanto attesa legge regionale sull'editoria, che ormai sembra finalmente arrivata all'ultimo miglio prima dell'approvazione e dell'entrata in vigore.
L'appello conclusivo è quello di sempre. Iscrivetevi al sindacato unitario dei giornalisti. Ne abbiamo bisogno. Per difendere meglio il lavoro e i diritti dei colleghi, soprattutto i più deboli, ma anche la qualità e il ruolo dell’informazione, abbiamo sempre bisogno di una Fnsi più forte. Di cui è articolazione territoriale l’Assostampa Fvg, anche quest'anno con le quote d'iscrizione immutate: le più basse d’Italia. E i colleghi in difficoltà possono chiedere l'iscrizione gratuita. Buon anno a tutte e a tutti.

Carlo Muscatello
presidente Assostampa Fvg
componente giunta esecutiva Fnsi



PARTE LA CAMPAGNA ISCRIZIONI 2017 ALL’ASSOSTAMPA FVG
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