venerdì 27 novembre 2015

SCHIRALDI presenta oggi a trieste TROMBETA STONADA

Viene fuori anche lui da quell’autentica fucina di talenti che è il Pupkin Kabarett. Si chiama Stefano Schiraldi, canta e suona la chitarra, scrive canzoni. Che sono quadretti ironici e malinconici, storie tratte dalla quotidianità, provocazioni sul filo del paradosso. Venerdì alle 21, al Teatro Miela, presenta il suo primo album, “Trombeta stonada”. «Scrivo canzoni fin da quando ero bambino - spiega -, sempre in italiano. L’uso del dialetto è nato proprio nel momento in cui mi trovavo lontano da Trieste: nel 2006, quando ho lavorato per un anno in Toscana. In quel periodo di lontananza ho riscoperto in me un attaccamento, un legame forte nei confronti della mia città natale. Mi sono scoperto dentro un sentimento di affetto e indulgenza proprio nei confronti dei difetti, degli atteggiamenti che di più avevo criticato e vissuto con insofferenza durante la mia adolescenza e giovinezza: una certa saccenza, la chiusura verso l'esterno, la ruvidità nei rapporti...». I testi delle canzoni di “Trombeta stonada”, tutti in dialetto tranne uno, sono stati scritti tra il 2007 e il 2013. Gli arrangiamenti sono stati perfezionati più di recente, con l’aiuto dei musicisti con cui l’artista collabora. «Trieste è presente nelle canzoni - prosegue Schiraldi, che anni fa ha collaborato a un testo teatrale di Marko Sosic e Pino Roveredo - ma non è la protagonista, direi piuttosto che attraversa le canzoni: in alcuni pezzi rappresenta il mezzo naturale per declinare alcuni temi ricorrenti nelle cose che scrivo. Altri parlano più direttamente della città raccontando di non luoghi come porto vecchio, di aspetti naturali, che appartengono ormai alla natura umana cittadina (“Sufia la bora”) e meno naturali della città come in “Scovaze”: su quest'ultimo tema l'imbeccata l'ho avuta da Paolo Rumiz. C'è un solo testo nel disco che non è mio, “La trombeta” che dà il nome al disco, che è la grande Anita Pittoni». «Il Pupkin? Mi sono trovato a collaborare con loro per la prima volta nel 2001, agli albori. Avevo un gruppo, “Franc e i cabernet”. Quella sera, ancora nella sala piccola del Teatro Miela, c’era anche Bebo Storti. Attraverso il Pupkin ho avuto l'opportunità di calcare molti palcoscenici e di collaborare con altre professionalità legate al mondo teatrale, con altri registri cui credo le mie canzoni si prestino particolarmente». «Sono passati quattordici anni - conclude - e per me è sempre un gusto e un piacere partecipare allo spettacolo che esplora, un po’ come me, vizi e virtù della triestinità...». Con Schiraldi, venerdì al Miela, ci saranno Gabriele Cancelli alla cornetta, Valentino Pagliei al contrabbasso, Romano Bandera alle percussioni.

sabato 21 novembre 2015

LIBRO DI PORTELLI SU SPRINGSTEEN, OGGI PRESENTAZIONE A TRIESTE

Oggi alle 17, nella Sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevic, in via Rossini a Trieste, lo storico Alessandro Portelli presenta il suo libro “Badlands. Springsteen e l'America: il lavoro e i sogni” (Donzelli Editore, pagg. 214, euro 25). Partecipano il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, noto “springsteeniano”, la storica Gloria Nemec e il giornalista e critico musicale Carlo Muscatello. Portelli (nato a Roma nel ’42) è storico, critico musicale e anglista. Professore ordinario di letteratura anglo-americana all'Università La Sapienza di Roma, è uno dei principali teorici della storia orale. . L’America, il rock, l’attenzione per gli ultimi, la fatica del lavoro, il sogno di un domani migliore. Magari di una “terra promessa” da inseguire, a volte solo da sognare. Tematiche da sempre presenti nell’opera di Bruce Springsteen, che lo storico Alessandro Portelli ha messo assieme nel libro “Badlands. Springsteen e l’America: il lavoro e i sogni”, pubblicato da Donzelli. Professore, come ha scoperto Springsteen? «Ascoltando l’album "The River" e accorgendomi che anche il rock poteva trattare temi importanti come il lavoro, la disoccupazione, la mobilità sociale, le promesse ma anche i fallimenti del "sogno americano"». C'è un "filo rosso" fra i suoi studi sulla cultura popolare e la passione per il Boss? «La mia passione per il rock’n’roll comincia prima di tutto, da quando ero ragazzo negli anni Cinquanta, ed è stata proprio questa passione che mi ha fatto andare in America a diciotto anni, dove ho scoperto la musica popolare, la letturatura americana, e tutto quello che poi è diventato il mio mestiere e la mia forma di militanza politica. Il lavoro sulla cultura popolare italiana è venuto dopo, come conseguenza logica». I testi di Springsteen sono letteratura? «Direi di no. Sono rock’n’roll, quindi vanno misurati sulla base di quella estetica. Questo non vuol dire ovviamente che non siano anche testualmente e linguisticamente interessanti e spesso molto belli. Ma appartengono a una sfera culturale diversa, e lui stesso l'ha sempre ribadito». Da quali autori americani discende il Boss? «Elvis Presley, Bob Dylan, Woody Guthrie, Hank Williams... Gli autori letterari che l'hanno più influenzato sono certamente Flannery O'Connor e John Steinbeck. Ma c'è un rapporto assai forte anche con il cinema: Terrence Malick, John Ford». Come si concilia l'America del lavoro, dei "looser" cantata da Springsteen con il mondo dorato delle rockstar? «In effetti non si concilia, e questo è un tema costante in lui: si avverte la preoccupazione che lo stile di vita (la "casa borghese sulle colline di Hollywood" in “57 channels”), ma anche le difesa della privacy di una persona diventata un'icona possano finire per tagliarlo fuori da quello che è il suo mondo e la sua gente di riferimento. Credo che faccia del suo meglio per evitarlo. Comunque quello che a me interessa in ultima analisi non è la vita personale dell'autore ma la sua opera, il mondo che crea...». La "terra promessa" è la speranza di un domani migliore o solo un sogno? «È sopratuttto il diritto a sognare un domani migliore e a cercarlo. Il contenuto del sogno può essere falso ("un sogno è una menzogna se non si avvera?": da “The River”), ma quello che rimane vero è il desiderio che tiene vivi quelli che continuano a rivendicarne il diritto». Dopo la presidenza Obama, che Springsteen ha fortemente appoggiato, tornano i sentimenti di rivolta e protesta dei neri e delle fasce più deboli di un'America in crisi. «Paradossalmente la presidenza Obama ha rinfocolato ossessioni e paure profonde di un paese che, come peraltro anche il nostro, non riesce ad accettare una pluralità e un'uguaglianza di diritti al suo interno. Ma ha rinforzato anche la convinzione degli afroamericani di avere diritto all'uguaglianza, direi di “avere diritto ad avere dei diritti”. Per cui il conflitto si è reso più visibile, anche se c'è stato sempre e in forme anche più gravi. L'ondata di violenze della polizia contro cittadini neri è solo l'aspetto più immediato». Il tema della mobilità sociale è molto presente in Springsteen. «In fondo è il tema di partenza: "sono nato nella valle dove ti insegnano a ripetere la vita di tuo padre" (sempre “The River”). Cioè, non è per niente vero che ogni generazione starà meglio della precedente. Come non è vero che il lavoro duro, la fatica, il merito garantiscano l'ascesa sociale: "scarico casse sul molo tutto il giorno e sono indebitato fino al collo" (“Backstreets”). Il mondo di Springsteen è popolato da quelli che, con un certo stupore, gli scienziati sociali chiamano i "working poor", cioè persone che lavorano e sono povere lo stesso, e sono impantanate in lavori senza sbocco». Come si sposano l'energia del rock e le storie proletarie cantate da Springsteen? «Le storie sono dolorose ma l'energia della musica ci dice che non accettiamo mai di sentirci sconfitti». Anche Bruce è figlio di emigranti... «Sì, in "American Land" elenca ua serie di cognomi non anglosassoni portati in America dagli emigranti; e uno di questi cognomi è Zerilli (o Zirilli - ndr), che è il cognome di sua madre, nata in Italia». Da segnalare che il 4 dicembre esce “The ties that bind: The River Collection” (Columbia), cofanetto con quattro cd e tre dvd che offre una retrospettiva completa proprio sullo Springsteen del periodo di “The River”: 52 brani con molti inediti, quattro ore di immagini mai viste prima e un libro illustrato con un saggio di Mikal Gilmore. “The River”, quinto album di Bruce Springsteen, doppio, uscì il 17 ottobre 1980 e raggiunse la vetta della classifica Billboard.

mercoledì 18 novembre 2015

NUOVO LIBRO BEATLES, AMBROSI

Dopo “B come Beatles”, ora il triestino Eugenio Ambrosi manda in libreria “Più famosi di Gesù”, sottotitolo “George, John, Paul e Ringo alla ricerca di se stessi, oltre sesso, droga e r’n’r” (Eut, pagg. 246, euro 17). Presentazione venerdì alle 17.30 a Palmanova, al Teatro Modena, e poi il 9 dicembre alle 17, a Trieste, alla Biblioteca del popolo in largo Papa Giovanni. Un testo che propone un’analisi del percorso personale e spirituale dei Fab Four. «Liverpool - spiega l’autore - è un porto di mare, come Trieste, e ospitava etnie e religioni disparate. Come molti giovani, avviati dalla famiglia alla religione, anglicana o cattolica, i quattro si erano poi persi per strada: all'apice del successo, travolti dall'isteria della Beatlemania, quando avevano a disposizione qualsiasi cosa potessero desiderare, cominciarono a interrogarsi su cosa li aspettava al di là della vetta della hit parade». «John va in depressione e scrive “Help!”, oggi riconosciuta come una sua personale richiesta di aiuto e poi, cinque anni dopo, con “God” nega l'esistenza di tutto, Dio compreso. Assieme agli altri comincia uso e abuso di marijuana prima e Lsd poi». Paul? «Disse che proprio l’Lsd gli aveva aperto gli occhi sul fatto che Dio esiste e che è lì proprio davanti a lui. Mentre Ringo a più riprese sostenne che un’entità superiore da qualche parte esisteva, anche se non si riusciva a vederla. Non fu quindi solo George, come molti pensano, a interrogarsi concretamente sul significato dell'esistenza, a darsi da fare con il Maharishi, a studiare testi sacri orientali. Tutti e quattro erano pubblicamente alla ricerca di qualcosa». Un percorso testimoniato dai testi delle canzoni. Con “Word” nel ’65 teorizzano che l’amore è la risposta a tutto («qualcuno - ricorda Ambrosi - vi ha letto un richiamo al detto evangelico "Dì una parola e sarai salvato"»). Due anni dopo con “All you need is love” lanciarono al mondo il loro messaggio d'amore. «Anche Harrison - prosegue l’autore -, prima di “My sweet lord” del 1970, ha scritto diversi brani ispirati da testi e maestri induisti: “Love you to”, “Within you, without you”, “Long long long”. E in “Let it be”, la “Mother Mary” appare a McCartney quando è in difficoltà e gli sussurra parole di saggezza: secondo molti è la Vergine Maria, cosa che Paul non ha mai negato. Ecco, il mio libro descrive questo processo». Ma il Vaticano ci ha messo quasi mezzo secolo per sdoganarli... «Erano altri tempi - conclude Ambrosi -, la condanna della frase di Lennon sui Beatles più famosi di Gesù, nel ’66, scattò immediata. Solo qualche anno fa, due articoli pubblicati dall'Osservatore Romano nel 2008 e nel 2010 hanno ammesso che sì, in fondo erano dei bravi ragazzi...».

lunedì 16 novembre 2015

BATTIATO RITROVA ALICE, 15-2 a Trieste, Rossetti

Assieme hanno scritto pagine importanti della canzone italiana degli ultimi quattro decenni. A partire dall’album di lei “Capo Nord” (1980, con il brano “Il vento caldo dell’estate”) e quella “Per Elisa”, scritta da lui con Giusto Pio, che permise a lei di vincere il Sanremo 1981. Per proseguire con “I treni di Tozeur” (Eurofestival ’84), “Chanson egocentrique” e tanti altri brani e lavori di qualità, fra cui l’album di lei dedicato ai brani di lui “Gioielli rubati”. Ora Franco Battiato e Alice, il cui sodalizio artistico ha avuto qualche pausa ma non si è mai interrotto, tornano assieme per un tour teatrale che avrà l’anteprima il 13 febbraio a Carpi, e debutterà due giorni dopo, il 15, al Politeama Rossetti di Trieste, per poi inanellare una lunga teoria di tappe: Bergamo, Brescia, Lugano, Torino, Padova (il 26 febbraio), Firenze, Cesena. E poi Ancona, Milano (8 e 9 marzo, agli Arcimboldi), Pescara, Perugia, Roma (16 e 17 marzo, all’Auditorium della Conciliazione) e Napoli, Reggio Emilia e Bologna. Finale in Sicilia: 4 aprile a Catania, 7 e 8 a Palermo. I due artisti saranno accompagnati dall’Ensemble Symphony Orchestra diretta da Carlo Guaitoli, una formazione (con Angelo Privitera, tastiere e programmazione; Davide Ferrario e Antonello D’Urso, chitarre; Andrea Torresani, basso; Giordano Colombo, batteria) con cui l’artista siciliano si è già esibito in un breve tour nel luglio 2015. Il concerto, da quanto si apprende, «sarà diviso in parti diverse ma comunicanti tra loro (traduzione: ognuno fa il suo concerto e alcune parti vedono i due artisti assieme - ndr) e vedrà rinnovarsi un’intesa artistica profonda tra due anime affini, nella celebrazione di un legame che è rimasto solido anche quando i rispettivi percorsi non si sono incrociati direttamente». Mentre Alice è reduce dall’album “Weekend”, uscito l’anno scorso, Battiato ha appena pubblicato il cofanetto “Anthology - Le nostre anime”: opera monumentale (di cui esiste anche una “versione ridotta” in triplo cd) con sei cd, quattro dvd, per oltre un centinaio di brani, fra cui quattro inediti, uno dei quali s’intitola appunto “Le nostre anime”. Da segnalare in particolare una versione del brano “Centro di gravità permanente”, che vede Mika al fianco del musicista siciliano.

venerdì 13 novembre 2015

BAUSTELLE, ROMA LIVE!

BAUSTELLE “ROMA LIVE!” (Warner) I toscani Baustelle sono il miglior gruppo italiano da diversi anni a questa parte. Oggi esce il loro primo album dal vivo in quindici anni di onorata carriera. Un lavoro arricchito da uno speciale artwork firmato Malleus, studio artistico e grafico di grande fama nel mondo dell’art-rock. Registrato durante tre concerti a Roma nel corso del loro tour 2013/2014, quello seguito all’album “Fantasma”, il disco è un “live” ma anche una sorta di “best of”. Rilette nella dimensione dal vivo, nella quale Bianconi e soci danno il meglio, ritroviamo infatti molte delle canzoni più importanti che hanno fatto la storia del gruppo: da “La guerra è finita” a “L’aeroplano”, da “Il corvo Joe” a “Charlie fa surf”, da “Le rane” a “La moda del lento”, senza dimenticare “La canzone di Alain Delon”, “Nessuno”, “Radioattività”... Ci sono anche due cover inedite: “Signora ricca di una certa età”, versione in italiano di “Lady of a certain age” dei Divine Comedy, e “Col tempo” di Leo Ferrè.

DE GREGORI CANTA DYLAN

Con “De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto” (Caravan/Sony Music), il cerchio si chiude. Il cerchio di una straordinaria carriera cominciata all’alba degli anni Settanta (“Theorius Campus” in coppia con Venditti è del ’72, il debutto con “Alice non lo sa” del ’73, il botto con “Rimmel” del ’75, quarantennale appena festeggiato in pompa magna...), che soprattutto nel primo decennio creativo ha generato alcune delle più belle canzoni della storia della nostra musica. Autentiche perle che si sono poi diradate con il passare degli anni e dei decenni. È infatti da diverso tempo che il cantautore romano (ad aprile ne compie sessantacinque) vivacchia sotto il cappello e dietro gli occhiali scuri alternando episodi minori, riletture di capolavori lontani, rari ritorni di fiamma creativa. Ebbene, con questo omaggio al suo mito e ispiratore, il Principe dei cantautori italiani dà come l’impressione di fare pace con se stesso. Un disco a cui pensava per sua stessa ammissione da trent’anni, ma che solo ora vede la luce. Ed è una luce, diciamolo subito, che ci riporta ai livelli di autentica eccellenza che ce lo avevano fatto amare tantissimi anni fa. L’album - subito balzato ai vertici delle classifiche di vendita, ammesso e non concesso che i dischi ancora si vendano... - si apre con “Un angioletto come te”, traduzione di “Sweetheart like you”. Ed è come ritrovarsi d’un tratto calati nel mondo dylaniano, che tanto ha dato e tuttora dà alla cultura e alla musica contemporanea. Le altre tracce: “Servire qualcuno” (“Gotta serve somebody”), “Non dirle che non è così” (“If you see her, say hello”), “Via della povertà” (“Desolation row”, già rifatta nel ’74 con De Andrè), “Come il giorno” (“I shall be released”), “Mondo politico” (“Political world”), “Non è buio ancora” (“Not dark yet”), “Acido seminterrato” (“Subterranean homesick blues”), “Una serie di sogni” (“Series of dreams”), “Tweedle Dum & Tweedle Dee” (“Tweedle Dee & Tweedle Dum”), “Dignità” (“Dignity”). Alcune traduzioni sono abbastanza letterali, e l’artista ha ammesso che la scelta dei brani è stata condizionata dalla loro “traducibilità”. Altri brani sono comunque e assolutamente dylaniani nella trasposizione poetica. In alcuni casi persino l’interpretazione si richiama a quella del menestrello di Duluth, è insomma quasi imitativa. Ma quel che conta è che l’insieme del lavoro convince, ha una sua dignità di scrittura e di interpretazione. Un omaggio al limite del furto, fatto comunque con grande amore, come ammesso sin dal sottotitolo, a sua volta un omaggio a “Love and theft”, album di Bob Dylan del 2001. Dal 5 marzo De Gregori sarà in tour.

martedì 3 novembre 2015

SAN GIUSTO D'ORO 2015 A DON VATTA, TARGA A SUBAN

GIORNALISTI: CRONISTI FVG, SAN GIUSTO D'ORO A DON VATTA Targa speciale al ristoratore Mario Suban (ANSA) - TRIESTE, 3 NOV - Va al sacerdote triestino don Mario Vatta il «San Giusto d'oro 2015», assegnato dai giornalisti dell'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia e del Gruppo Giuliano Cronisti. Lo rende noto oggi l'Assostampa Fvg. «Nell'anno dei profughi e dei morti in mare, di Papa Francesco e del suo monito a illuminare le periferie - afferma Carlo Muscatello, presidente del sindacato regionale - i giornalisti triestini hanno voluto premiare con don Vatta un uomo che ha speso tutta la sua vita per aiutare gli ultimi, i meno fortunati, le donne e gli uomini che la nostra città ha lasciato e lascia troppo spesso ai margini. Un premio insomma al 'prete degli ultimì che meglio e più di tanti altri impersona il volto aperto, generoso e solidale di Trieste». Nato nel 1937, sacerdote dal 1963, don Mario Vatta è il fondatore della Comunità di San Martino al Campo, organizzazione che da 45 anni opera a Trieste per garantire accoglienza agli ultimi. Ruolo riconosciutogli anche ufficialmente dal Comune di Trieste, che nel 2007 lo ha insignito della Civica Benemerenza. I cronisti giuliani hanno inoltre deciso di assegnare una targa speciale del San Giusto d'oro al ristoratore Mario Suban, 80 anni, titolare dell'omonima «Antica Trattoria» che in 150 anni ha servito triestini, politici, presidenti e Papa Wojtyla. Il San Giusto d'oro verrà consegnato il 18 dicembre prossimo nell'aula del Consiglio comunale di Trieste. (ANSA).