lunedì 27 agosto 2012

RED HOT CHILI PEPPERS merc 29 a zagabria

Un nuovo chitarrista, Josh Klinghoffer. Un album uscito un anno fa, “I’m with you”. Una carriera ormai quasi trentennale, coronata da oltre 65 milioni di dischi venduti e da sette Grammy. E la solita, collaudata miscela di rock e funk, punk e rap, pop e melodia. Con approccio trasversale ed effetto esplosivo. Con questo biglietto da visita i californiani Red Hot Chili Peppers tornano in zona per un concerto che si terrà domani alle 20 all’ippodromo di Zagabria: la tappa a noi più vicina dell’attuale tour che ha toccato ieri sera Praga, sarà venerdì a Bucarest, sabato a Sofia, e poi ad Atene, Beirut, Istanbul, Tel Aviv, per tornare dal 23 settembre negli Stati Uniti. Il giovane Klinghofer è arrivato per sostituire John Frusciante, chitarrista storico ma anche anima della band, che ormai entra ed esce con una facilità - e una frequenza - quasi irritante. Non tale ancora, però, da scalfire il mito. Sono passati cinque anni, dal concerto del giugno 2007 allo Stadio Friuli di Udine (unica tappa italiana del tour di quell’anno). Era appena uscito il doppio “Stadium arcadium”, che avrebbe venduto oltre dieci milioni di copie. Passione e rabbia possono essere ancora considerate, dopo tanti anni, la loro cifra stilistica. Nati a Los Angeles nei primissimi anni Ottanta, diventano in breve un gruppo di culto grazie soprattutto alle loro performance dal vivo. All’inizio sono soltanto quattro ragazzi dalla Fairfax High School: il bassista Michael “Flea” Balzary, il cantante Anthony Kiedis, il batterista Jack Irons e il chitarrista Hillel Slovak. E si chiamano Tony Flow and the Miraculously Majestic Masters of Mayhem. Il primo album, intitolato semplicemente “Red Hot Chili Peppers”, esce nell’84 e passa quasi inosservato. Sono gli anni in cui dal vivo i “ragazzacci” si presentavano spesso nudi e coi calzini infilati... sì, proprio lì, sui genitali. Seguono “Freaky styley” (’85), «The uplift mofo party plan” (’87) e il minialbum “Abbey Road” (’88), con copertina-parodia dell’omonimo capolavoro beatlesiano. Una tragica pausa, seguita alla morte per overdose di Slovak. Irons esce, Kiedis e Flea incontrano il chitarrista John Frusciante e il batterista Chad Smith (pare con un annuncio su un giornale...) e l’avventura riparte. Nell’89 esce “Mother’s milk”, album di inediti seguito da un lungo tour. Nel ’91 arriva il contratto con la Warner, esce “Blood sugar sex magik” (un milioncino di copie vendute), la fama del gruppo arriva anche in Europa. Frusciante, come si diceva, esce (poi rientra e poi esce ancora). Nel ’95 arriva “One hot minute”, il ’99 è l’anno di “Californication” (primo in Italia per nove settimane di fila, il loro album più venduto con oltre 15 quindici milioni di copie), l’estate 2002 porta “By the way”, poi arrivano una raccolta e un live (“The greatest hits” nel 2003, “Live in Hyde Park” nel 2004). L’anno scorso, dopo tour mondiali quasi senza sosta, “I’m with you” arriva a cinque anni di distanza da “Stadium arcadium”. Ora questo nuovo tour, che il mese scorso ha fatto tappa in Italia all’Heineken Jammin’ Festival. Per il concerto a Zagabria di domani, info e prevendite dei biglietti da Radioattività (040-304444), che organizza bus da Trieste.

domenica 26 agosto 2012

TRIESTE EARLY JAZZ ORCHESTRA, gemme degli anni 20

Prima il ragtime, ora gli anni ruggenti del primo jazz orchestrale. L’attenzione di Livio Laurenti e degli ensemble da lui fondati e diretti continua a incentrarsi sulla musica degli inizi del Novecento. Qualche anno fa l’album “Rag, blues, hot...”, firmato Joplin Ragtime Orchestra. Ora questo “Live in Rimini”, con la Trieste Early Jazz Orchestra. «Con la Jro - spiega Laurenti, diplomato nel ’67 al Tartini in strumenti a percussione, un passato nelle orchestre del Verdi e della Fenice - avevo già affrontato qualche brano del jazz orchestrale, fermandomi ai primi due decenni del secolo scorso. La Tejo presenta arrangiamenti originali della decade dal 1925 al 1934». Difficoltà? «Quella più immediata è stata trovare le partiture che ho reperito tramite collezionisti. Poi ho dovuto cercare musicisti duttili e interessati al progetto. La difficoltà successiva è stata riuscire a ottenere esecuzioni e un suono orchestrale “credibili”, ma senza copiare gli originali». Come ce l’avete fatta? «Questo genere orchestrale è ben diverso da quello degli anni Quaranta e successivi. Si è trattato di aderire il più fedelmente possibile alle intenzioni degli orchestratori di allora, in modo che il pubblico possa riconoscere che ci troviamo, per esempio, nel 1925 o nel 1931. Un ruolo importante è giocato dal crooner, cioè il cantante dell’orchestra, che va considerato come un altro strumento imprescindibile dell’organico. Il nostro Paolo Venier svolge questo ruolo al meglio, come del resto tutti gli altri undici musicisti». Dove nasce questa passione per musiche di un secolo fa? «Sono passati quasi trent’anni. Nel ’74 avevo acquistato un disco con la versione orchestrale dei più noti ragtime di Scott Joplin. Era uscito il film “La stangata”. Rimasi stregato dalla bellezza dei brani e delle orchestrazioni che non avevo mai sentito prima. Anche perchè, dopo la morte di Joplin nel 1917, il materiale era stato dimenticato». Perchè ama il ragtime? «Perchè nasce come genere pianistico di matrice nera che contrappone l’accompagnamento tradizionale della mano sinistra (in battere) a frasi sincopate della destra (in levare). Una commistione che fece impazzire il pubblico americano prima ed europeo dopo, perchè introdusse un nuovo modo di ballare. Le cronache dell’epoca fanno ritenere che la rivoluzione portata dal ragtime sia stata anche maggiore di quella provocata dal rock’n’roll degli anni Cinquanta...». Prosegua. «Il ragtime non prevede l’improvvisazione e con la morte di Joplin fu messo in soffitta per lasciare spazio al jazz che già nel 1917 si era fatto spazio con le famose incisioni della Original Dixieland Jass Band. Il ragtime è considerato come il padre putativo del jazz». Lei però ha cominciato con la classica... «Sì, ma nonostante gli studi classici e l’amore per il repertorio sinfonico, ho sempre provato una grande attrazione verso il jazz e mi sono imbevuto soprattutto del repertorio degli anni Cinquanta e Sessanta. Come batterista ho avuto come modelli soprattutto Max Roach e Elvin Jones. In tutti questi anni ho quindi suonato classica, jazz, ma anche musica leggera e contemporanea...». L’album “Live in Rimini” - nel quale Laurenti ha inserito anche quella “Jubilee stomp” di Duke Ellington del 1928, poi ritrovata nella colonna sonora del film “The Artist” - verrà presentato quest’autunno con un concerto a Trieste e uno in Friuli.

ALANIS MORISSETTE, nuovo disco

«Questo album è come al solito una fotografia di quello che mi ossessiona al momento, di ciò che è rilevante per me, di quello che mi fa alzare alle quattro del mattino nei miei momenti più introspettivi. È il mio punto di vista emotivo, psicologico, sociale e filosofico, e lo condivido attraverso le canzoni...». Parole di Alanis Morissette, che domani torna sul mercato discografico con l’album “Havoc and bright lights”, dodici canzoni registrate a Los Angeles e prodotte da Guy Sigsworth (Björk, Madonna, Seal...) e Joe Chiccarelli (U2, Tori Amos, Elton John...), anticipate all’inizio dell’estate dal singolo “Guardian”. È un disco importante, l’ottavo in carriera, innanzitutto perchè arriva dopo un silenzio durato quattro anni. E in secondo luogo perchè la trentottenne artista canadese (naturalizzata statunitense), con i suoi sessanta milioni di dischi venduti e i suoi sette Grammy, è una “numero uno” sempre tenuta sotto osservazione. Sembrano lontani i tempi dell’esordio col botto (il suo “Jagged little pill”, uscito nel ’95, con i suoi 33 milioni di copie è al dodicesimo posto dei dischi più venduti di sempre), la giovanissima che era assurta al ruolo di voce controcorrente della “Generazione X” oggi è una madre di famiglia (suo figlio Ever Imre ha un anno e mezzo) che ha smussato alcune asperità giovanili. Il suo “Guardian Angel Tour” il mese scorso è passato anche dall’Italia, proponendo un’artista che vive una consapevolezza nuova e forse vuole sfatare il luogo comune secondo il quale il successo agguantato da giovanissimi non è foriero di carriere sempre ad alti livelli. Con questa manciata di nuove canzoni l’ex portabandiera delle ragazze arrabbiate degli anni Novanta sembra voler dire: sono ancora qui, sono cresciuta e ho altre cose da dire, oltre a quelle che già conoscete. Basterà per una seconda giovinezza artistica? Chissà. Intanto si apprende che la Morissette dovrebbe affiancare Mariah Carey nella giuria del prossimo “American idol” televisivo. E che l’altro giorno, a Los Angeles, ha lasciato le sue impronte sulla “RockWalk” del Guitar Center. Un riconoscimento che immortala Alanis al fianco di artisti del calibro di Eric Clapton, Carlos Santana, Johnny Cash, Aerosmith e Queen.

venerdì 24 agosto 2012

PREMIO TENCO, NON SI TERRA' EDIZIONE 2012

Non si terrà l’edizione 2012 del Premio Tenco. Mancano i soldi. Dunque la “Rassegna della canzone d’autore” che si svolge a Sanremo dal 1972 (triste quarantennale...), fondata dall’indimenticato Amilcare Rambaldi e sempre considerata come il contraltare nobile al Festivalone, quest’anno non si svolgerà. Certo, con i problemi ben più gravi dai quali siamo circondati, la tentazione è quella di derubricare la notizia fra le brevi. Ma chi da sempre ama e segue la canzone d’autore, esempio supremo di arte e cultura popolare, si rende conto della portata di questo ennesimo brutto segnale. Siamo in fondo il Paese in cui un ministro, non troppi mesi fa, sentenziò che con la cultura non si mangia. Parole sbagliate in assoluto, ma soprattutto qui. Dove nel ’67 Rambaldi - esportatore di fiori per mestiere, appassionato di musica, già inventore anche del Festival di Sanremo - decise con un gruppo di amici di fondare il Club Tenco. Lo scopo: «riunire tutti coloro che, raccogliendo il messaggio di Luigi Tenco (suicida proprio nel ’67 - ndr), si propongono di valorizzare la canzone d’autore, ricercando anche nella musica leggera dignità artistica e poetico realismo». Pochi anni dopo, all’alba dei Settanta, quando il festival “maggiore” viveva il momento più buio ma il movimento dei cantautori era vitalissimo, dal club nacque anche la rassegna, che finora si è svolta ogni anno, saltando solo le edizioni dell’87 e del ’92. E i “grandi cantautori” che in tutti questi anni quasi sempre hanno snobbato il Festivalone, non si sono mai fatti pregare per partecipare: da De Andrè a Guccini, da Paolo Conte a De Gregori, da Piero Ciampi a Fossati e Vecchioni. Passando per Roberto Benigni, di cui rimasero celebri le esecuzioni de “L’inno del corpo sciolto” e “Mi piace la moglie di Paolo Conte” (brano composto lì per lì, cui l’Avvocato rispose dedicando una canzone «alla zia di Benigni, di cui sono da anni invaghito...»). Ma oltre alle parate dei grandi nomi, la rassegna è stata in questi anni trampolino di lancio per tanti giovani artisti, grazie all’assegnazione del Premio Tenco (alla carriera, anche ad artisti internazionali, da Leonard Cohen a Patti Smith) e delle Targhe Tenco (ai migliori dischi ed esordienti della stagione, fra cui recentemente il friulano Piero Sidoti). Enrico de Angelis, responsabile del Club Tenco, sta lavorando per scongiurare la chiusura. «Da anni - spiega lo scrittore e musicista - il Comune di Sanremo riduce i finanziamenti. Quest’anno la tradizionale rassegna di tre serate non si può fare. Forse siamo in grado di organizzare il 16 novembre una sola serata monografica, che vorremmo dedicare a Woody Guthrie nel centenario della nascita, con un’appendice, il 17, per alcuni giovani emergenti». Sarebbe un modo per tenere accesa la fiammella. Fra l’altro nel disinteresse dei tanti canali televisivi. Qualche soldo, in passato, arrivava anche dalla Rai, che poi confinava l’appuntamento a tarda notte (storicamente su Raidue, più recentemente nella riserva indiana digitale di Rai5...). Da quest’anno pare che il Premio Tenco non faccia più parte dell’accordo miliardario tra Comune di Sanremo e Rai. Che evidentemente preferisce concentrarsi sulla settimana festivaliera e supersponsorizzata di febbraio.

venerdì 17 agosto 2012

TALEBANI IN FVG PER MOSTRA KEITH HARING

Dal sito di ARTICOLO 21: di Carlo Muscatello I talebani della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia colpiscono ancora. Dopo il taglio della Film Commission regionale da parte dell’assessora leghista Federica Seganti, al fine di non finanziare il film di Marco Bellocchio ispirato al doloroso caso di Eluana Englaro, ora è l’artista statunitense Keith Haring a cadere sotto gli strali dell’assessore Udc Roberto Molinaro.I fatti. Dal 2 settembre al 15 febbraio si terrà a Udine una mostra del pittore morto per Aids nel 1990, con dieci dipinti sui Dieci Comandamenti e uno sul “Matrimonio tra cielo e inferno”. Opere nelle quali Haring “coglie nel sacro – scrive il curatore Gianni Mercurio – il volto dell’esperienza vissuta dall’Uomo. Questo lo portava ad essere dissenziente nei confronti delle ‘religioni organizzate’, nelle quali individuava false dottrine e manifestazioni ciarlatanesche». La mostra, organizzata dall’associazione Bianco&Nero al fine di “stimolare una riflessione sulla spiritualità”, si terrà nella chiesa sconsacrata di San Francesco. Collabora anche la Regione FVG. Ma l’assessore all’istruzione e alla famiglia Molinaro parte all’attacco. Chiede la censura della mostra e paragona i dipinti “a un altro oltraggio per i cristiani dopo il caso Eluana”. Toni da crociata. E da campagna elettorale, visto che a maggio si vota per le regionali FVG. «È avvilente – sospira Debora Serracchiani, europarlamentare Pd, che sfiderà il presidente uscente Renzo Tondo – anche solo l’ipotesi che un artista come Keith Haring possa venire colpito dalla censura ideologica nella mia regione. Spero non si stia perdendo la bussola, il Friuli Venezia Giulia non ha nessun bisogno di un altro caso Bellocchio”. «Per chi è cattolico il ciclo risulta essere una provocazione non accettabile – tuona Molinaro -. Se si vuole fare una mostra che va contro il comune sentire non si possono utilizzare soldi pubblici». Ma l’assessore integralista è solo anche nella sua maggioranza. “Le uniche cose blasfeme – osserva il consigliere regionale Pdl Alessandro Colautti – sono le dichiarazioni di chi critica senza conoscere le opere di Haring”. Giá esposte senza polemiche in mezzo mondo. E che dopo Udine andranno a Parigi.

domenica 12 agosto 2012

TV D'ESTATE, 40 anni fa Senza rete

Repliche delle repliche, film visti e stravisti, vecchi telefilm. Informazione solo in dosi omeopatiche, fuori dei tg. Da anni la televisione italiana, d’estate e soprattutto ad agosto, boccheggia come le nostre città stremate dall’afa. Rai e Mediaset sotto questo profilo pari sono, La7 ha ancora la freschezza di improvvisare qualche “serata evento” legata a temi d’attualità, Sky è ovviamente un mondo a parte (ma anche lì il “già visto” impazza...). E quest’anno Europei di calcio e Olimpiadi non hanno modificato di molto questo panorama. Anzi, hanno rappresentato la foglia di fico dietro la quale nascondere encefalogrammi quasi piatti. Si dirà: ma la gente d’estate non guarda la televisione, preferisce uscire. E poi ora c’è internet, e la “tv on demand”, e i social network che occupano anche in Italia tanta parte del tempo libero di milioni di giovani e meno giovani. Sarà. Ma c’è stato un tempo in cui la televisione viveva anche d’estate. Salto nel passato. Agosto 1972, giusto quarant’anni fa. Era ancora la tivù in bianco e nero, c’erano soltanto i due canali Rai (la “terza rete” sarebbe arrivata nel ’79, dopo la lottizzatissima legge di riforma del ’75), il servizio pubblico era tale anche per quanto riguardava musica e intrattenimento. “Senza rete” andava in onda dall’Auditorium della Rai di Napoli ed era la punta di diamante della programmazione estiva del primo canale tv. Formula collaudata: un istrionico presentatore, l’orchestra diretta da Pino Calvi, la regia affidata al grande Enzo Trapani, testi di Giorgio Calabrese. E poi tanti cantanti, i protagonisti di primo piano di quelle estati canore, che non disdegnavano un prestigioso passaggio in tivù in mezzo alle tante serate (all’epoca si chiamavano così, nessuno si azzardava a parlare di “concerti”...). Dopo Raffaele Pisu, Enrico Simonetti, Paolo Villaggio, nel ’72 la novità sulla tolda di comando era rappresentata dall’arrivo di Renato Rascel, il leggendario “piccoletto” che in quegli anni era figura amata e popolarissima a teatro e sul piccolo schermo. La forza del programma era rappresentata dal fatto che cantanti e gruppi si esibivano dal vivo. Per una volta niente play-back, pratica invalsa nella tivù di allora e di oggi: niente cantanti vecchi e nuovi che si limitavano a far finta di cantare, mentre andava in onda il disco. Stavolta tutti “Senza rete”, appunto, per usare la terminologia mutuata dal linguaggio circense, che era diventato il titolo del programma. Il cast di quell’edizione era particolarmente buono, tutta roba di qualità. I cantanti più famosi, quelli che animavano il “Disco per l’estate” e il “Festivalbar” (altri programmi simbolo dell’epoca), con l’opportuno inserimento di alcuni artisti e gruppi di quella scena pop/rock che in quei primi anni Settanta era una bella e promettente realtà anche nel nostro paese. A “Senza rete”, insomma, si alternavano sullo stesso palco e nella stessa serata, scherzando e a volte duettando con Rascel, protagonisti vecchi e nuovi del panorama musicale di casa nostra. In quell’estate di quarant’anni fa la prima puntata dello show aveva come protagonisti Ornella Vanoni e Bruno Lauzi (che canta “L’aquila”, di Mogol Battisti), affiancati da una giovanissima Marcella Bella, lanciata proprio quell’anno a Sanremo da “Montagne verdi”. E dal gruppo Circus 2000, di cui si sarebbero presto perse le tracce. Seconda puntata con Gabriella Ferri e Domenico Modugno, mentre la “nuova proposta” è una ventunenne Romina Power. Il gruppo ospite è quello dei Pooh, all’epoca ancora nella formazione che vedeva Riccardo Fogli al basso (Red Canzian lo avrebbe sostituito nel ’73): propongono il loro successo di quell’estate, “Noi due nel mondo e nell’anima”. Ma la Ferri sbaraglia tutti con “Rosamunda” e “Dove sta Zazà”, Modugno punta su due canzoni nuove e poi duetta con gli altri sulle note dei classici “La lontananza”, “Nel blu dipinto di blu”, “Meraviglioso”... Ma si diceva del livello artistico degli ospiti. Terza puntata: arrivano Giorgio Gaber, la sua signora Ombretta Colli (all’epoca ancora cantante e attrice di successo), la sempiterna Orietta Berti, il “giovane” Donatello, persino i New Trolls. Che sparano il “Concerto grosso” di Luis Bacalov e la loro “In St. Peter’s day”. Ancora il nascente pop italiano nella quarta puntata, con le Orme. Reduce dal successo degli album “Collage” e “Uomo di pezza”, il trio veneto porta in prima serata su Raiuno (anche se ancora non si chiamava così...) i suoni della nuova musica italiana con i brani “Sguardo verso il cielo” e “Una dolcezza nuova”. Gli altri protagonisti della serata sono Gianni Nazzaro (quello di “Quanto è bella lei”, vincitrice del “Disco per l’estate” di quell’anno), i compianti Herbert Pagani e Maria Carta (superba interprete del folklore sardo), la “giovane” Nada. Quell’estate, di “Senza rete” andarono in onda ben otto puntate, l’ultima il primo settembre. Il pubblico ammirò fra gli altri Bobby Solo, Anna Identici (che aveva appena abbandonato i successi commerciali per abbracciare le canzoni impegnate), la “promessa” Rosalino Cellamare (non era ancora diventato Ron), i Ricchi e Poveri, Claudio Villa, Peppino Di Capri, Johnny Dorelli, Peppino Gagliardi, Gino Paoli, Gigliola Cinquetti, Tony Renis, Mia Martini, gruppi giovani come Formula 3 e Nuova idea, persino il jazzista Phil Woods (jam session con Giorgio Azzolini, Gianni Basso, Emilio De Biase, Dino Piana, Oscar Valdambrini e lo stesso Pino Calvi). Ma se allarghiamo lo zoom alle altre edizioni (“Senza rete” andò in onda dal ’68 al ’75), ci imbattiamo in Mina e Claudio Baglioni, Gianni Morandi e Patty Pravo, Milva e Massimo Ranieri, Antonello Venditti e Little Tony, Sergio Endrigo e Nicola Arigliano, Rosanna Fratello ed Enzo Jannacci, Miranda Martino e Rino Gaetano... Insomma, la storia della canzone italiana passò per quel programma di successo. Nell’estate ’72 media di 17 milioni di mezzo (...!) di telespettatori a puntata. E un’impronta ben impressa nell’immaginario collettivo, se è vero com’è vero che quando nel 2007 Fabrizio Bentivoglio ha dovuto far esibire il protagonista del suo film “Lascia perdere, Johnny!” in un programma tivù dell’epoca, la scelta è caduta proprio su “Senza rete”. Fuori il mondo stava cambiando in fretta. E qualche segnale, almeno musicale, arrivava anche da quell’auditorium.

sabato 11 agosto 2012

BOB DYLAN esce 11-9 TEMPEST

S’intitola “Tempest”. È il nuovo album di Bob Dylan, trentacinquesimo in studio di una carriera cominciata giusto mezzo secolo fa. E uscirà l’11 settembre, data che soprattutto negli Stati Uniti ha ancora un significato fortemente simbolico. Il disco - secondo le anticipazioni della stampa americana - si apre con il brano del titolo, quasi quattordici minuti per decrivere la tragedia del Titanic, con citazione della melodia presa a prestito da “The Titanic” della Carter Family, uno dei gruppi più amati da Dylan, e comparsata a sorpresa di Leonardo DiCaprio, che fu protagonista del film di James Cameron sullo storico naufragio. Con i ponti della nave che sono luoghi dove «il fratello si scaglia contro il fratello: hanno combattuto e si sono sbranati l’uno con l’altro» «Inizialmente volevo fare un disco religioso - ha rivelato Dylan alla rivista Rolling Stone - ma non avevo abbastanza canzoni su quel tema». Ne è venuto fuori un album in cui «tutto funziona e tu devi credere che abbia senso». Registrato a Los Angeles nello studio di Jackson Browne, al disco hanno lavorato i musicisti che abitualmente accompagnano il menestrello di Duluth nel “Never ending tour” appena passato anche in Italia (solo una data: il 16 luglio a Barolo, provincia di Cuneo, a chiusura del festival Collisioni). Cioè il bassista Tony Garnier, George G. Receli alla batteria, lo specialista di steel guitar Donnie Herron, i due chitarristi Charlie Sexton e Stu Kimball, e ancora David Hidalgo alla chitarra, al violino e all’accordion. Gli altri brani. “Tin angel” è l’eterna storia di un uomo che rincorre un amore che non c’è più. “Soon after midnight” è in bilico fra sentimenti d’amore e di vendetta. Vendetta che è al centro di “Pay in blood” (con Dylan che canta «pago con il sangue, ma non era il mio...»). A chiusura del disco un toccante omaggio a John Lennon, “Roll on John”. Ma non sarà che “Tempest”, titolo nel quale alcuni hanno già letto una citazione shakespeariana, sarà l’ultimo disco del settantunenne Dylan? «L’ultimo lavoro di Shakespeare - ha detto l’artista a Rolling Stone - s’intitolava “La Tempesta”. Il titolo del mio album è “Tempest”. Sono due titoli differenti».  

giovedì 9 agosto 2012

CARBONI, RUGGERI, RIBELLI etc in friuli

Non si vive solo di megaconcerti, soprattutto in tempo di crisi. Prendete questo week end. Per chi non ha paura di macinare qualche chilometro - disagio e spesa ampiamente ammortizzati dal fatto che gli spettacoli sono a ingresso gratuito -, in Friuli c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Prima proposta. A Lignano Pineta - in piazza D’Olivo, per il tour estivo di Radio 101 - stasera è in programma un concerto di Luca Carboni, mentre domenica arriva Enrico Ruggeri. Insomma, due grandi protagonisti della canzone italiana, che portano in tour la produzione più recente (per il cantautore bolognese l’album “Senza titolo”, per quello milanese “Le canzoni ai testimoni”) e i classici di lunghe carriere. Gli spettacoli avranno inizio alle 22.
Seconda proposta. Ad Avasinis, vicino Gemona, programma ricco in piazza 2 Maggio: stasera i Ribelli, domani i Beggar’s Farm con Martin Barre e Don Airey, domenica Giuliano e i Notturni. I Ribelli sono il gruppo che mezzo secolo fa accompagnava Celentano, quelli di “Pugni chiusi” e del compianto Demetrio Stratos. Si sono recentemente riformati, ovviamente con forze fresche, attorno alla figura del batterista Gianni Dall’Aglio, figura storica della musica italiana.
Per quanto riguarda Martin Barre, era il chitarrista dei Jethro Tull (l’alter ego di Ian Anderson, per intenderci), mentre Don Airey era il tastierista dei Deep Purple. Quasi un supergruppo, dunque, quello che si schiererà domani sotto l’insegna dei Beggar’s Farm. Conclusione domenica con Giuliano e i Notturni, il “complesso” attivo sul finire degli anni Sessanta, passato alla storia della canzonetta soprattutto per il successo “Il ballo di Simone”, che altro non era se non una cover di “Simon says”, della 1910 Fruitgum Company. Anche qui inizio alle 22.
Terza proposta. Domani alle 21, al festival di Majano, doppia serata reggae con i Mellow Mood (lanciati dall’album “Movel” e dal singolo “Dance inna Babylon”) e gli udinesi Playa Desnuda.
Per l’ultima proposta torniamo a Lignano. Lunedì sera alla Beach Arena arriva il Festival Show, che ieri sera ha fatto tappa a Bibione (erano annunciati fra gli altri Stadio, Alexia, Bobby Solo, Mario Venuti, Fabrizio Moro). Cast ricco: con i veterani Eugenio Finardi, Gigliola Cinquetti, Silvia Salemi e Andrea Mirò, spazio ai giovani Sonohra, Davide Mogavero, Antonino, The bastards sons of Dioniso... Buona parte dei quali sono figli, più che di Dioniso, dei talent show.

JOHN CAGE vent'anni fa la morte, cent'anni fa la nascita

Vent’anni dalla morte di John Cage, cento dalla nascita. Occasione doppia per ricordare uno dei più importanti musicisti del Novecento, capace con la sua opera, le sue intuizioni, le sue provocazioni di influenzare tutta la scena musicale contemporanea. Dal rock all’elettronica, dal pop alla house, dalla dance all’hip hop. Senza che gli attuali protagonisti di questi generi nemmeno se ne rendano conto.
Ma cominciamo da un aneddoto, legato alla sua partecipazione nel ’58 al telequiz “Lascia o raddoppia”, dove come esperto di funghi vinse cinque milioni di lire, un piccolo patrimonio, per l’epoca. In quell’occasione John Milton Cage (Los Angeles 5 settembre 1912, New York 12 agosto 1992) si esibì in un concerto chiamato “Water walk”, in cui gli “strumenti” erano una vasca da bagno, un innaffiatoio, cinque radio, un pianoforte, dei cubetti di ghiaccio, una pentola a vapore...
Dopo la domanda finale, uno sbigottito Mike Bongiorno lo festeggiò così: «Bravissimo, il signor Cage ci ha dimostrato che se ne intende di funghi. Non è venuto qui per fare esibizioni strambe di musica strambissima, quindi è un personaggio preparato. Arrivederci e buon viaggio, torna in America o resta qui?».
Nel suo italiano stentato, colui che sarebbe diventato il padre della musica contemporanea del Novecento rispose: «Mia musica resta». Mike non perse l’occasione: «Ah, ma era meglio che la sua musica andasse via e lei restasse qui...».
Per fortuna che non tutti la pensavano alla stessa maniera, in quegli anni e nei successivi. Da Schoenberg, che lo ebbe come allievo e lo definì “un inventore geniale”, a Brian Eno, che non ha mai nascosto il suo debito nei confronti dell’artista statunitense.
Che storia, la sua. Padre inventore, madre giornalista, da ragazzo sogna di fare lo scrittore, ma studia la musica dell’Ottocento e si appassiona al virtuosismo pianistico. A Parigi s’interessa di architettura, pittura, poesia. Scopre Stravinskij, Bach, Satie. Studia l’unione fra musica e teatro.
Torna negli States. A New York usa la tecnica seriale, a Seattle compone musiche per balletto, fonda un’orchestra di percussioni “improprie”, come tazzine, cerchioni di auto, contenitori di latta. La sua “Imaginary landscape no. 1” è un quartetto per piano, piatto e due fonografi a velocità variabile. Suscita qualche perplessità. Nulla al confronto di “Silence 4’33”, ovvero 4 minuti e 33 secondi di assoluto silenzio, opera composta nel ’48 che lui considerò sempre la sua più importante.
Il silenzio, i rumori, i suoni. Intuizioni e provocazioni nate nella sua “mente di principiante”. Definizione che amava, appresa dal suo maestro Shunryu Suzuki («Nella mente di un principiante ci sono tante possibilità, in quella di un esperto poche...»). Cage rifiuta la concezione della musica in quanto suono organizzato. Distrugge la figura del compositore, è all’antitesi dell’idea europea della musica, coniuga avanguardie e filosofie orientali, impegno politico e tematiche ambientaliste. In questo è di una modernità assoluta, è alla base di buona parte della musica contemporanea.
Molte iniziative per il doppio anniversario. Ne citiamo due, in Italia. Da oggi al 27 agosto, nel Salento, la nona edizione di Sound Res avrà per tema “Happy birthday John Cage”, con seminari, concerti, dibattiti. E la prossima edizione del Roma Europa Festival (dal 26 settembre al 25 novembre) sarà dedicata proprio alla musica e alle intuizioni del grande artista statunitense.

mercoledì 8 agosto 2012

il mondo del rock si mobilita per le russe PUSSY RIOT

Il mondo del rock si mobilita a favore delle Pussy Riot, le tre ragazze del gruppo punk russo in carcere da cinque mesi che ora rischiano di restarci tre anni per aver cantato una “preghiera rock” contro Putin nella maggior cattedrale di Mosca.
Mentre ieri nella capitale russa si è svolto l’ultimo giorno del dibattimento, s’ingrossa infatti la lista degli artisti che esprimono solidarietà a Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alekhina e Yekaterina Samutsevich, che hanno fra i 23 e i 29 anni.
Dopo Madonna (che ha chiesto la loro liberazione durante il suo concerto allo Stadio Olimpiskij di Mosca), Patti Smith (che ha dedicato loro il suo concerto di Oslo), Sting, Pete Townshend degli Who e Neil Tennant dei Pet Shop Boys, anche Vasco Rossi ha espresso con un messaggio pubblicato su Facebook la sua «più che solidarietà» alle tre ragazze, che Amnesty International definisce «prigioniere di coscienza, detenute solo per aver espresso pacificamente le proprie idee».
Accusate di teppismo motivato dall’odio religioso o contro un gruppo sociale (in questo caso, i credenti ortodossi), per il pubblico ministero russo le Pussy Riot «sono socialmente pericolose perchè hanno violato le tradizioni millenarie del paese»: la loro canzone anti-Putin sarebbe «un’azione pianificata e premeditata contro la fede ortodossa».
Nadezhda Tolokonnikova, la più giovane del trio, ha così replicato alle accuse nell’appello finale davanti alla corte di giustizia: «Ogni giorno sempre più persone iniziano a realizzare che se una macchina politica si è rivoltata contro ragazze che hanno suonato nella cattedrale del Cristo Salvatore per quaranta secondi, allora significa solo che questo sistema politico teme la verità e la sincerità che noi portiamo».
Jeans e maglietta blu, con la scritta “No pasaran!”, la ragazza ha così concluso con voce tremante: «Abbiamo più libertà di tutte le persone dell’accusa di fronte a noi, perché sappiamo cosa vogliamo».
La sentenza è attesa per il 17 agosto. Attestazioni e manifestazioni di solidarietà sono destinate a moltiplicarsi. E ancora una volta il rock svela le contraddizioni dei regimi illiberali.

FOO FIGHTERS lunedì unico concerto italiano a Villa Manin (Udine)

Unico concerto italiano dei Foo Fighters, lunedì alle 21 a Villa Manin di Passariano. Dopo lo show del giugno 2011 a Milano (davanti ai trentamila di “Rock in Idrho”, a Rho), ma soprattutto dopo il trionfo di quest’inverno a Los Angeles (cinque Grammy Awards su sei nomination, secondi solo dietro Adele per il miglior album), i Foo Fighters tornano dunque in tour in Italia. Ed è un altro appuntamento “da bollino rosso”, in quest’estate rock che nel Friuli Venezia Giulia sta macinando grandi appuntamenti uno dietro l’altro.
Ha ormai diciott’anni, la band nata nel ’94 dall’incontro di Dave Grohl (all’epoca ancora batterista dei Nirvana) con il chitarrista Pat Smear (già turnista della storica band grunge) e William Goldsmith. Dal singolo di debutto “This is a call”, nell’estate ’95, fino al recente album “Wasting light”, i Foo Fighters si sono affermati come una delle migliori band della scena rock internazionale.
Il loro nome è mutuato dall’espressione che veniva usata, nella seconda guerra mondiale, per indicare quegli avvistamenti aerei riferiti da alcuni piloti alleati, simili a quelli che generalmente vengono chiamati Ufo.
Negli ultimi anni con i Nirvana Grohl aveva scritto dei brani che teneva nel cassetto. Dopo la morte di Kurt Cobain, si materializzò il progetto che non voleva essere solista. Dai Sunny Day Real Estate, band di Seattle che stava per chiudere i battenti, il musicista reclutò Smear e Goldsmith. E l’avventura ebbe inizio.
Il grande successo arriva con l’album “The colour and the shape”, tuttora considerato come il loro miglior lavoro, poi bissato da “There is nothing left to lose” e “One by one”, che segna anche l’arrivo nella band di Chris Shiflett, chitarrista già nel gruppo No use for a name.
Intanto, i tour mondiali rafforzano il successo dei Foo Fighters, che tornano in sala d’incisione per i dischi “In your honor” (inizialmente nato come progetto acustico del solo Grohl, ma che poi sfocia in un doppio album, uno “unplugged” e uno rock) e “Skin and bones”, registrato durante un tour acustico e pubblicato anche in dvd.
Nel 2007 arriva “Echoes, silence, patience and grace”, anticipato dal singolo “The pretender” e seguito da un dvd realizzato dal vivo a Wembley e da un “Greatest hits”. Nell’aprile dell’anno scorso, il citato “Wasting light”, che vede Dave Grohl riunirsi con Krist Novoselic, suo compagno nei Nirvana, che aveva fra l’altro già pensato di coinvolgere agli inizi della nuova band. Anche questo lavoro viene accolto con favore da pubblico e critica di mezzo mondo, come dimostrano i cinque Grammy incassati a febbraio.
Grande attesa dunque per il concerto di lunedì a Villa Manin. La musica comincia alle 18 con Gaslight Anthem (band del New Jersey, “benedetti” da Bruce Springsteen, proporranno il loro nuovo album “Handwritten”) e Bob Mould (ex voce della band Sugar e leader storico della band Husker Du), dopo le 21 arrivano le star della serata. Biglietti ancora disponibili. Info www.azalea.it e www.livenation.it

martedì 7 agosto 2012

la leggenda dei CREEDENCE a majano giov9-8

John Fogerty, lo storico leader dei Creedence Clearwater Revival, un mese fa è stato fra gli ospiti di Bruce Springsteen nel concerto londinese ad Hyde Park. Stasera i Creedence Clearwater Revived - che dello storico gruppo californiano degli anni Sessanta/Settanta porta avanti eredità e repertorio - suonano al Festival di Majano (piazza Italia, ore 21.30, ingresso gratuito), qualche anno dopo la loro doppia partecipazione al Trieste Summer Rock festival in piazza Unità (nel 2004 e nel 2008).
Il gruppo è formato da Johnny Williamson alla chitarre, dal cantante Peter Barton, da Chris Allen al basso e da Wally Day alla batteria. Nel loro repertorio, classici senza tempo come “Proud Mary” e “Bad moon rising”, “Travelin’ band” e “Have you ever seen the rain”, “Green river” e “Down on the corner”, “Fortunate son” e “I put a spell on you”. E ancora “Suzie Q”, “Who’ll stop the rain”, “Hey tonight”, “Molina”...
C’è insomma tutta la colonna sonora di un’epoca, nei pochi album realizzati, fra il ’68 del primo album omonimo e il ’72 dello scioglimento, dai Creedence. Che erano formati da John Fogerty (voce, chitarra, armonica), suo fratello maggiore Tom (chitarrista, scomparso nel ’90), Stu Cook al basso e Douglas “Cosmo” Clifford alla batteria.
Il cinema, dal “Grande Lebowsky” in poi, ha spesso reso omaggio alla loro importanza nella storia del rock’n’roll americano. Album come “Green river” e “Willy and the poor boys”, “Cosmo’s factory” e “Pendulum”, fino al “Mardi gras” del divorzio, sono tuttora un eccellente compendio delle varie anime che brillavano nel sound del gruppo, fra country e west coast, folk e rhythm’n’blues, soul e gospel.
Dopo la fine della band, il solo John Fogerty ha continuato da solista con un certo successo. Il fratello Tom ha realizzato qualche disco che non ha lasciato traccia. E proprio dopo la sua morte, Cook e Clifford hanno messo assieme i Creedence Clearwater Revisited, che nel ’98 hanno realizzato l’album di cover “Recollection”.
Vita più lunga sta invece avendo questa versione “Revived”, raccolta attorno alla carismatica figura di Johnny “Guitar” Williamson, che ora torna nella nostra regione. Il successo delle loro esibizioni, con una formazione che non comprende nessuno dei componenti originari della storica band, la dice lunga sull’impatto e sull’influenza che i Creedence continuano ad avere nella scena musicale internazionale.

lunedì 6 agosto 2012

POOH nuovo disco e tour (17 dic a trieste, 18 a udine)

Un nuovo disco in uscita il 9 ottobre. E subito dopo un tour, che si concluderà proprio nel Friuli Venezia Giulia: il 17 dicembre a Trieste, al Politeama Rossetti, e il 18 al “Nuovo” di Udine.
Non c’è che dire: chi aveva pensato che l’abbandono del batterista Stefano D’Orazio - sono passati quasi tre anni - avrebbe portato i Pooh a imboccare una parabola discendente, dopo una carriera cominciata nel lontano 1966, beh, si è sbagliato di grosso.
I tre Pooh sono in queste settimane in sala di registrazione - assieme a un’orchestra sinfonica, al batterista Phil Mer e a Danilo Ballo, che cura gli arrangiamenti - per ultimare il nuovo album, “Opera seconda”. A quarantuno anni da un disco che si intitolava “Opera prima”.
«Per il titolo del disco non potevamo non utilizzare la parola “opera”, perché è proprio di questo che si tratta – raccontano Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Red Canzian da Montegrotto Terme, vicino Padova, dove stanno lavorando –. È un progetto “veramente speciale“, artisticamente stimolante ma molto complesso. È facile immaginare quanto lavoro ci sia per inserire una grande orchestra all’interno di un suono così definito e “solido” come quello dei Pooh. Nel 1971 abbiamo pubblicato un disco che si intitolava “Opera prima” (il nostro primo album con la Cgd), nel 2012 pubblichiamo “Opera seconda”...».
L’avventura del più longevo gruppo della musica leggera italiana prosegue insomma senza perdere un colpo. Anzi, si ha come l’impressione che l’uscita di uno dei quattro moschettieri sia stata vissuta dai tre superstiti come un nuovo stimolo, come un’iniezione di entusiasmo, come una spinta a ripartire.
Red Canzian, il bassista che l’anno prossimo festeggia i suoi quarant’anni nei Pooh (entrò nel ’73, al posto di Riccardo Fogli), ce l’aveva del resto spiegato assai bene prima dell’ultimo concerto triestino, lo scorso anno sempre al Rossetti: «Il segreto della nostra ripartenza si chiama amore per la musica, rispetto per il pubblico, passione per questo mestiere. È questa la ricetta che ci ha permesso di superare tutte le crisi, anche l’ultima, quando Stefano ci ha detto che non ce la faceva più, che aveva voglia di smettere e fare altre cose».
Ancora Red: «C’è stato un momento di confusione, abbiamo anche pensato di chiuderla lì, ma poi abbiamo scoperto che avevamo ancora voglia di continuare, di scrivere e suonare nuove cose. È stato anche un fatto positivo, alla fine: negli ultimi tempi eravamo entrati nella routine, davamo tutto per scontato, come nelle coppie stanche, quando non si pensa più all’altra persona. Abbiamo fatto punto e a capo, ritrovando un’amicizia, un affiatamento, una compattezza che col tempo avevamo smarrito».
Il nuovo album sarà pubblicato da Trio e distribuito da Artist First. Il 27 ottobre partirà il tour, prodotto da Cose di Musica, nel quale i Pooh saranno accompagnati dalla Ensemble Symphony Orchestra, diretta da Giacomo Loprieno. Tappe a Montecatini Terme, Genova, Varese, Sanremo, Torino, Brescia, La Spezia, Bergamo, Milano (12 e 13 novembre agli Arcimboldi), Roma (16 e 17 novembre all’Auditorium Conciliazione), Firenze, Rimini, Padova (24 novembre al Geox), Bologna, Assisi, San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, Pescara, Napoli, Bari, Catania, Palermo.
E poi finale - salvo aggiunte - il 17 dicembre al Rossetti di Trieste e il 18 dicembre al “Nuovo” di Udine (info e prevendite per entrambi i concerti www.azalea.it). Da segnalare fra l’altro che, mentre nel capoluogo regionale il gruppo si è esibito varie volte negli ultimi anni, dal capoluogo friulano mancano da ben sette anni.
Ultima notazione. Il cofanetto “Pooh legend”, primo capitolo di un’opera di recupero e rimasterizzazione del catalogo video-discografico del gruppo, pubblicato a primavera, è tuttora nella classifica dei dischi più venduti.

domenica 5 agosto 2012

FIORELLA MANNOIA e tutti i sud del mondo, lun 6-8 a Lignano

I Sud del mondo si somigliano in fondo in fondo un po’ tutti. E poi è vero: c’è sempre qualcuno più a Sud di noi. Perchè ogni zona di un paese o di un continente, neanche troppo paradossalmente, può essere considerata come il Sud di qualche altra regione. La stessa (sedicente) Padania è il Sud d’Europa, a guardarla dalla Scandinavia o anche solo dalla Germania...
“Sud”, il nuovo disco e il conseguente tour - che stasera alle 21.30 fa tappa alla Beach Arena di Lignano Sabbiadoro, ingresso gratuito - di Fiorella Mannoia, è nato dalla lettura del libro “Terroni”, di Pino Aprile. E dalla “scoperta” che la storia della nostra penisola, della nostra Italia unita e repubblicana, non è esattamente quella che ci hanno insegnato a scuola. Né tantomeno quella spacciata da certa propaganda leghista.
«Non sapevo - ha detto infatti la cantante romana - che il nostro Sud prima dell’annessione fosse ricco, opulento, moderno e all’avanguardia. Non sapevo che i briganti fossero resistenti e non criminali. Ignoravo il bagno di sangue e il saccheggio che questa parte del nostro Paese ha subito con il Risorgimento. Da questi elementi è scaturito il disco, che è anche un doveroso omaggio al Meridione. È stato un attimo poi allargare il pensiero e la denuncia a tutti coloro che nel mondo subiscono la stessa sorte da secoli e secoli».
Nel disco e nello spettacolo della Mannoia (già passato in regione, a maggio a Pordenone) il nuovo approccio alla storia del nostro Meridione diventa dunque il pretesto per focalizzare l’attenzione su tutti i Sud del mondo. Con problemi simili se non uguali un po’ dappertutto, a partire dalle difficili condizioni di vita di tante persone e dal conseguente dramma dell’emigrazione, dalla necessità di lasciare la propria terra, il proprio paese per inseguire onestamente pane e lavoro.
Un disco sul filo della denuncia sociale, insomma, affidata soprattutto al brano “Non è un film” (scritto da Frankie Hi-Nrg, che nel disco duetta con la cantante), che fra l’altro si è aggiudicato il Premio Amnesty Italia come miglior canzone dell’anno sul tema dei diritti umani.
Stasera a Lignano, Fiorella Mannoia sarà accompagnata da una band composta da Carlo Di Francesco (percussioni, produttore artistico e arrangiamenti), Davide Aru (chitarra e arrangiamenti), Luca Visigalli (basso), Diego Corradin (batteria), Arnaldo Vacca (percussioni), Andrea Pistilli (chitarra), Natty Fred e Kaw Dialy Mady Sissoko (cori). E dal triestino Fabio Valdemarin al pianoforte.
In programma le canzoni del nuovo album (fra cui “Se solo mi guardassi”, musica di Ivano Fossati e testo della stessa Mannoia, dedicato al punto di vista di tanti “invisibili fratelli stranieri” che vivono attorno a noi, e ai quali non chiediamo mai nulla sulle loro vite...) ma anche i classici di una carriera ormai quasi quarantennale, che ha imposto l’artista romana come una delle migliori interpreti della nostra canzone.
Per i suoi fan, dopo il concerto di stasera a Lignano, appuntamento il 9 ottobre con il nuovo cd-dvd registrato dal vivo durante questo tour.

BANDORKESTRA dom5-8 a Trieste, San Giusto

Amano farsi chiamare “banda moderna”. Perchè vogliono, spiega il leader Marco Castelli, «traghettare il concetto di banda nel terzo millennio: non abbiamo i connotati né il repertorio della big band, ma coltiviamo alcuni aspetti popolari e una certa scanzonatura che richiama la vecchia banda...».
Stasera alle 21, al Castello di San Giusto, la Bandorkestra torna in concerto a Trieste. La città dov’è nata, sulle ceneri della vecchia Big Band 55. La città dove vive gran parte dei suoi quattordici componenti, alcuni dei quali arrivano da altre città regionali, con l’aggiunta della bacchetta di Castelli, sassofonista e compositore veneziano.
«Trieste è la mia città adottiva - spiega il musicista, classe 1960, che ha collaborato fra gli altri con Lee Konitz - e la trovo da sempre molto viva e ricca di stimoli. Il legame è nato tanti anni fa, ho cominciato a collaborare con la Scuola 55 e la Casa della musica, con Gabriele Centis, con altri musicisti che poi si sono uniti in questo progetto. Tutti ottimi professionisti, anche quelli che hanno fatto la vita dei musicisti pur campando di altri mestieri».
Attualmente, dopo vari cambi e avvicendamenti tipici di un “work in progress”, sono in quattordici: Tommaso Bisiak al flauto; Alessandro Ceschia, Sergio Tonello, Piero Pieri, Cristina Gerin, Barbara Toso, Donato Riccesi e Marco Mazzuca ai sax; Sandro Vilevich al flicorno; Giuseppe “Vò” Orselli al trombone; Emanuele Laterza alla chitarra; Giovanni Vianelli al pianoforte; Stefano Lesini al basso; Marco Vattovani alla batteria.
Stasera a San Giusto propongono in anteprima i brani del terzo album, “Scorribanda”, che verrà pubblicato a settembre. Un disco che completa una trilogia già ricca di due capitoli intitolati “Bandando” e “Bandalarga”.
«Proponiamo ancora e sempre musica moderna - prosegue Castelli, cresciuto con il jazz d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta -, un mix di tanti generi che piace sia agli addetti ai lavori che a un pubblico più vasto, non necessariamente appassionato di jazz». In repertorio: composizioni originali firmate Castelli, classici, medley che pescano un po’ ovunque. Una miscela di swing, ska, atmosfere etniche, boogie-woogie, afro, latino, tango, reggae, spaziando fra stili e suggestioni musicali composite. Da Carosone a Dollar Brand (ora Abdullah Ibrahim), da Modugno a Louis Prima.
Ancora l’eclettico capobanda: «Ci piace tornare a quella che era la vecchia funzione arcaica della musica, che serviva a celebrare, a volte festeggiare degli eventi. Peschiamo dai suoni di tante parti del mondo, ma pur muovendoci in terre di confine, non inseguiamo a tutti i costi l’idea dell’Est, dei Balcani.Lo so, Trieste è la patria delle contaminazioni, ma diciamo che io mi contamino abbastanza già di mio...».
Insomma, una vera e propria fanfara triestina che guarda verso il futuro, senza mai dimenticare le importanti radici che tengono in piedi l’albero. I frutti del quale vengono raccolti e gustati un po’ ovunque. Nei dischi, nei tanti concerti, ma anche alla radio e in tivù. Musiche, sigle, stacchetti della Bandorkestra sono infatti stati trasmessi da “Ballarò” e “Caterpillar”, “Fahrenheit” e “Notturno Italiano”. E probabilmente è solo l’inizio.

venerdì 3 agosto 2012

MARIO BIONDI sab 4-8 a Lignano (UD)

Dopo il tris triestino al Rossetti (marzo 2008, maggio 2010, primo aprile di quest’anno), Mario Biondi torna stasera nel Friuli Venezia Giulia per una nuova tappa del suo tour estivo. Appuntamento alle 21.30, al Kursaal Club di Lignano Riviera, un suggestivo teatro all’aperto in riva al mare.
Un’occasione per apprezzare dal vivo la miglior “voce black” della musica italiana, che in questo 2012 alterna i concerti in giro per la penisola (dopo il tour invernale dall’8 luglio viaggia con dieci selezionati “Special events”) alle applaudite performance all’estero. Dopo il Ronnie Scott’s londinese e l’Istanbul Jazz Center della capitale turca, prossimamente è atteso anche a Manchester, al Blue Note di Tokyo e al Bratislava Jazz Festival.
All’estero, colui che all’anagrafe si chiama Mario Ranno (il cognome d’arte l’ha ereditato dal padre, il cantautore Stefano Biondi) è particolarmente amato. Anche perchè prima di essere conosciuto in Italia, aveva già lavorato con successo a Londra, a New York e persino in Giappone. In Inghilterra, in particolare, il quarantunenne cantautore catanese è molto apprezzato sin da quando, sei anni fa, la sua “This is what you are”, originariamente pensata per il mercato giapponese, grazie a un lungimirante dj aveva già conquistato Radio Bbc1 prima di essere adottata come jingle natalizio da Radio Montecarlo. La collaborazione con Bluey, il leader degli Incognito che ha remixato la sua “No’ mo’ trouble”, e un duetto con Chaka Khan hanno fatto il resto.
Altre collaborazioni importati: Ray Charles, Baglioni (padre e figlio), Renato Zero, Giorgia, Laura Pausini e Burt Bacharach, che ha scritto per lui “Something that was beautiful”. Per l’altro duetto che avrebbe voluto fare, quello con l’inarrivabile Whitney Houston, purtroppo non c’è stato il tempo.
Fra una tappa e l’altra del tour, Biondi sta ultimando il nuovo album, annunciato per novembre. Nessuna anticipazione. Dice soltanto che sarà un’opera “monumentale” e ricca di sorpresa. E si parla della collaborazione con Leon Ware, autore di “I wanna be where you are” di Michael Jackson.
Stasera a Lignano, Biondi è accompagnato da Daniele Scannapieco al sassofono, Giovanni Amato alla tromba, Claudio Filippini al piano, Luca Florian alle percussioni, Tommaso Scannapieco al contrabbasso e Lorenzo Tucci alla batteria. Propone lo spettacolo “Jazz Set – The Italian Jazz Players”, nel quale rilegge, oltre ai brani dell’ultimo doppio album “Due”, i suoi più grandi successi: da “If” a “This is what you are”, passando per “I love you more”. Biglietti ancora disponibili oggi dopo le 18 all’ingresso della spiaggia del Kursaal Club. Info www.azalea.it

giovedì 2 agosto 2012

la morte di LUCIO QUARANTOTTO

Si terranno oggi nella sua Mestre i funerali di Lucio Quarantotto, il cantautore cinquantacinquenne suicida dopo una forte depressione. Noto soprattutto per aver firmato il testo di “Con te partirò”, il successo mondiale di Andrea Bocelli (in inglese “Time to say goodbye”, nota anche nella versione di Sarah Brightman)), l’artista aveva pronte le canzoni per un nuovo album, che si sarebbe dovuto intitolare “Alla fine di un concerto rock”.
Nato nel ’57, Lucio aveva debuttato esattamente trent’anni fa con l’album “Di mattina molto presto”, per il quale vinse il Premio Tenco per la miglior opera prima. “Ehi là”, il disco pubblicato nell’86, confermò all’attenzione più della critica che del grande pubblico i suoi “testi scavati fino all’osso, sempre detti-cantati con magica lentezza, addirittura con cautela, per la preoccupazione di far arrivare parola dietro parola”, come scrisse il poeta Roberto Roversi.
La collaborazione prima con Franco Battiato e poi con Caterina Caselli (per cui firmò “E se questa fosse l’ultima”, inserita nell’album dell’ex Casco d’oro “Amada mia”) non contribuisce ad aumentare la popolarità del nostro, che nel ’90 pubblica il suo terzo e a tutt’oggi ultimo album, “L’ultima nuvola sui cieli d’Italia”.
La svolta, anzi, il botto arriva con quella canzone per l’allora debuttante Bocelli. Canzone profonda, enigmatica, ma con una bellezza senza tempo. Al Sanremo Giovani del ’95 vale solo un quarto posto al tenore che proprio da lì, da quella “Con te partirò” ormai diventata un classico, avrebbe visto partire un successo mondiale senza precedenti.
Di quella canzone sono stati venduti milioni di copie in tutto il mondo. Un successo e una popolarità paragonabile soltanto a “Volare” di Domenico Modugno. E ovunque Bocelli si è esibito in questi anni, nel corso della sua strepitosa carriera, il pubblico gli ha sempre chiesto innanzitutto quel brano.
Un vero e proprio classico, con versi che, a distanza di tanti anni, e dopo quanto accaduto, possono essere letti in una luce nuova, ancor più malinconica. «Quando sono solo sogno all’orizzonte e mancan le parole, sì lo so che non c’è luce in una stanza quando manca il sole, se non ci sei tu con me...». E ancora: «Con te partirò, paesi che non ho mai veduto e vissuto con te, adesso sì li vivrò, con te partirò su navi per mari che io lo so, no non esistono più, con te io li rivivrò...».
Dopo il grande successo come autore, Quarantotto ha duettato nel ’97 con i Marlene Kuntz nel brano “I templi indù”. E ha scritto per Filippa Giordano “Amarti sì”, per il girone dei giovani del Sanremo 2002.
Negli ultimi anni ha collaborato assiduamente con il musicista Francesco Sartori, un altro veneto di talento, noto soprattutto per la sua militanza nelle Orme. Con lui aveva scritto “Tu ci sei”, “Canto della terra”, “Immenso” e altre canzoni nuove, destinate a entrare nell’album che sarebbe dovuto uscire a breve e che forse ora sarà pubblicato postumo, a interrompere un silenzio discografico che durava da oltre vent’anni.
Ha detto Andrea Bocelli: «È strana, a volte, la vita. Cantavo le sue canzoni ma mi rendo conto che Lucio lo conoscevo poco. Ricordo una chiacchierata in sala d’incisione, qualche anno fa, ma non ci siamo frequentati. E questo, in un certo senso, accresce il mio dolore».