domenica 30 aprile 2017

ANDREA TERRANO, UN TRIESTINO A LONDRA

È partito da Trieste nell’89, era poco più che un ragazzo, spinto soprattutto da una grande passione per la musica. E dunque non poteva scegliere che Londra. Inizi duri, tanta gavetta, ma in questi anni Andrea Terrano si è costruito una carriera di tutto rispetto nel mondo musicale inglese. «Il primo impatto - ricorda il musicista - è stato difficile ma al tempo stesso esaltante. I londinesi aspettano, prima di aprirsi. La città è piena di turisti e di gente che viene a imparare la lingua e poi torna a casa. Diciamo che si aprono più facilmente quando vedono che rimani lì, che dedichi parte della tua vita a quel mondo». Ancora: «Londra è una città globale, dalle mille culture, che appare sia cosmopolita che “british”. Si muove al ritmo della musica, puoi ascoltarla dal vivo ogni sera, scegliendo tra le superstar in scena alla “02 Arena”, l’indie rock della storica Brixton Academy, fino alle tante band che si esibiscono nei teatri e nei pub». Era arrivato con l’idea di restare? «No, alla partenza avevo pianificato due/tre anni di studio, della serie: poi si vedrà. La verità è che non credevo di potermi inserire professionalmente, ma devo dire che le opportunità si presentarono presto, dopo gli studi in composizione, chitarra e music technology, durante i quali mi mantenevo cucinando hamburger o facendo il lavapiatti». Poi che accadde? «Accadde che un amico greco mi mostrò una rivista (“Loot”, tipo il nostro “Mercatino”) dove c’era un piccolo messaggio di uno studio di registrazione che cercava un producer. Andai al colloquio e ottenni incredulo il mio primo lavoro nella musica in uno studiolo casalingo a Stockwell, nel sud di Londra. Inutile dirlo: fu per me una grande iniezione di fiducia». Passo successivo? «Cominciai a insegnare musica alla Glasgow University, a collaborare con artisti e compagnie di grido come Sony, Bbc, Virgin, Ministry of Sound, Basement Jaxx... E poi a costruire e gestire il mio Iguana Studio a Brixton». Lei spazia fra i generi. «Vengo da una formazione classica e poi etnica. Ho lavorato nella klezmer/russian, nella classica, e poi reggae, dance, bossanova. Negli ultimi anni è stata proprio la musica latina a darmi le maggiori soddisfazioni. Col mio gruppo suoniamo rumba spagnola con un tocco italiano nel senso della liricita e dell’orecchiabilità». L’ultimo disco? «È uscito a dicembre, prodotto da Basement Jaxx con Felix Buxton per l’etichetta Atlantic Jaxx. Nell’album c’è molta Spagna, qualche cenno sudamericano. Proprio con Felix ho vissuto il momento più esaltante dal vivo, quando sono stato ospite di un loro concerto alla “02 Arena”: presentato al microfono con tutti gli onori, davanti a un pubblico entusiasta. Presentai il mio singolo “Mermaid of Salinas” e qualche altro pezzo, andò tutto benissimo». Prossime cose? «Sto facendo uscire una serie di video dei miei concerti. Uno al mese per i prossimi mesi. Il primo è già disponibile su youtube channel cercando “Terrano Tuyo”, con la voce del valenziano Rafa Marchante. Una cover di questo pezzo tratto dalla serie televisiva “Narcos”». In Italia non viene a suonare? «Purtroppo non ho ancora avuto offerte, ma spero davvero che arrivino. Sarebbe un’occasione in più per tornare anche a Trieste, dove comunque vengo un paio di volte l’anno». La Brexit? «Nell’arte le cose si sviluppano in antitesi all’economia. L’ispirazione aumenta col diminuire delle risorse, se ci fosse una crisi legata alla Brexit, scriverò più musica...».

mercoledì 26 aprile 2017

UMBERTO TOZZI CHIUDE 24-5 A PORDENONE TOUR DEI 40 ANNI DI "TI AMO"

Umberto Tozzi pubblicò “Ti amo” giusto quarant’anni fa, in un’Italia molto diversa da quella attuale. La strategia della tensione era in atto, il terrorismo era pane quotidiano, le bombe esplodevano nelle piazze e nelle stazioni, si sparava per le strade. E la musica si adeguava al clima, era molto politica, i cantautori erano (quasi) tutti di sinistra, se non eri un compagno eri automaticamente un fascista (vedi il caso del sublime Lucio Battisti, che fra l’altro fascista nemmeno era...). Un’Italia, insomma, nella quale non tutti avevano il coraggio di ripetere in una canzone quelle due paroline fino all’ossessione. In questo quarantennale Tozzi ha appena pubblicato un nuovo progetto discografico intitolato «Quarant’anni che “Ti amo”», seguito da un tour partito dieci giorni fa con un tutto esaurito a Milano e che si concluderà il 24 maggio a Pordenone, al Teatro Verdi. Poi si prosegue in Europa e in Canada. «Questa è la mia canzone con la c maiuscola - ha detto il cantautore torinese, classe 1952, genitori arrivati dal Sud -, quella che mi ha aperto le porte del mondo. È stata in assoluto la più importante della mia carriera perché mi ha permesso di farmi conoscere ovunque e di andare a esibirmi in concerto ovunque». In quel ’77 il brano vinse il Festivalbar e rimase al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Italia senza interruzioni dal 23 luglio al 22 ottobre, vendendo otto milioni di copie in tutto il mondo, di cui oltre un milione nella sola Francia. Per festeggiare come si deve l’anniversario, Tozzi ha realizzato per l’album appena uscito una versione inedita di quello che è ormai a tutti gli effetti un classico con la superstar mondiale Anastacia. «Ho scelto di festeggiare una canzone molto importante - ha spiegato - e per farlo ho cercato un’artista che stimo. È stato un onore per me e l’intesa tra noi è stata massima. Anastacia ha dovuto mettere la testa sulla canzone per adattarla alla sua bellissima voce». Ma la carriera del nostro è vissuta anche di altri grandi successi. Nel ’78 esce “Tu”, titolo anche del suo terzo album. Nel ’79 “Gloria”, altro superbotto che conquista le vette delle hit parade europee, vende quasi trenta milioni di copie (sugli ottanta totali dei suoi vari dischi) e che nell’83, nella versione di Laura Branigan, arriva in testa alla classifica di vendita pure negli Stati Uniti. Nel disco della celebrazione - oltre alle hit citate - ritroviamo “Notte rosa”, “Roma nord”, “Se non avessi te”, “Innamorati”, “Donna amante mia”, “Io camminerò”, “Si può dare di più” (prima a Sanremo ’87, in trio con Morandi e Ruggeri), “Gli altri siamo noi” (quarta a Sanremo ’91), “Io muoio di te”, “Stella stai”... E due inediti: “Tu per sempre” e “Le parole sono niente”, quest’ultimo nato da una collaborazione con Eros Ramazzotti. «Con Eros - ha ricordato Tozzi - le cose sono andate nel più semplice dei modi. Lui mi ha chiesto se avevo bisogno di una canzone nuova e io gli ho risposto di no. Però gli ho detto anche che se me ne avesse mandata una bella potevo farla. Così è stato». Umberto è fratello minore di Franco, anche lui cantante di un certo successo negli anni Sessanta. E ha tre figli: l’udinese Nicola e poi Gianluca e Natasha, rispettivamente di trenta e ventisette anni. Il secondo fa il produttore discografico e ha lavorato fra l’altro a questo disco-celebrazione del quarantennale di “Ti amo” del babbo. Sia il secondo che la terza sono recentemente assurti a protagonisti delle cronache rosa: l’uno per una relazione con Raffaella Fico (madre della piccola Pia, figlia di Mario Balotelli), l’altra per un fidanzamento con Stefano Ricucci, discusso finanziere romano, visto anche a Trieste una decina d’anni fa al seguito dell’allora consorte Anna Falchi. Ma entrambi i rampolli Tozzi hanno visto scoppiare le coppie. E papà Umberto ha dichiarato a un sito “specializzato” in affari di cuore: «Nonostante il gossip invadente, io e mia moglie (Monica Michielotto, sposata nel ’95 - ndr) eravamo felici che i nostri figli fossero innamorati e appagati. Non abbiamo mai imposto loro le nostre opinioni per quanto riguarda le faccende di cuore, lasciandoli sempre liberi di vivere le loro storie in autonomia. Quando Gianluca e Natasha hanno rotto con la Fico e Ricucci ci è dispiaciuto: hanno sofferto molto». Questioni di gossip, questioni di cuore... «Ti amo, un soldo ti amo, in aria ti amo, se viene testa vuol dire che basta, lasciamoci...». Appunto.

domenica 23 aprile 2017

CAMPO DALL'ORTO A LINK: COSI' LA RAI DEL FUTURO

Disegnare la Rai del futuro. Difendere il servizio pubblico che deve informare ma anche prendere posizione sui fatti. Accompagnare il Paese verso un’alfabetizzazione digitale, sull’esempio dell’unificazione linguistica avvenuta negli anni Cinquanta. Nessuna censura ma legame ben saldo col progresso della scienza e della medicina. Di cui i vaccini sono una conquista fondamentale del nostro tempo. Ergo: “Report” non chiude, ma stiamo tutti più attenti di fronte a temi che toccano la vita delle persone. Antonio Campo Dall’Orto a tutto campo, ieri a Link, a Trieste, stimolato dalle affilate riflessioni di Beppe Giulietti (molto applaudite dall’affollata platea) e dalle domande di Cristiano Degano, presidenti rispettivamente della Fnsi e dell’Ordine regionale dei giornalisti. Prima dell’inizio del dibattito, in una piazza Unità piena di sole e turisti, il dinamico direttore generale della Rai torna col pensiero alle sue precedenti venute a Trieste. «Ricordo quando portammo Isle of Mtv in questa piazza, invasa da una folla oceanica, da qualche parte conservo ancora la prima pagina del “Piccolo”». Era il luglio 2005, l’uomo di Castelfranco Veneto (classe ’64) dirigeva Mtv, per il megaconcerto arrivarono star del rock e del pop, che attirarono da mezza Europa una folla senza precedenti. «Poi sono tornato qualche anno dopo, per partecipare a una Barcolana purtroppo senza vento. Ma lo spettacolo delle vele era comunque splendido». All’epoca c’erano meno problemi? «Certamente, ma noi andiamo avanti comunque...». Alcuni di quei “problemi”, che poi sono sfide professionali, costituiscono il nerbo del dibattito in piazza della Borsa. Che si apre a sorpresa con un collegamento via Skype con Lucia Goracci, inviata della Rai a Istanbul, per seguire la vicenda di Gabriele Del Grande, il reporter e regista trattenuto senza capi di imputazione in un centro di espulsione turco. Scopriamo che la sede Rai di Istanbul è intitolata ai colleghi Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin, nel ricordo dei quali è nata la fondazione che organizza il premio giornalistico e il festival Link. «Amici e colleghi che usano la memoria per costruire il futuro», chiosa Giulietti. Di memoria parla anche Dall’Orto. «Per disegnare la Rai del futuro dobbiamo sapere dove abbiamo le radici. La memoria dev’essere ispirazione per la vita quotidiana. Anche per questo, attraverso la fiction civile, raccontiamo le storie delle persone che hanno dato la vita per il nostro Paese». Ancora: «Dobbiamo decidere che ruolo vogliamo avere nel mondo di domani. Il contesto muta con il cambiamento della società e con l’evoluzione tecnologica, ma la nostra missione resta la stessa: universalità significa essere parte della vita quotidiana della gente attraverso gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione». Sì all’inclusione sociale, dice, no all’omologazione. Giulietti vira sul tema del contratto di servizio che la Rai deve rinnovare con il governo. «Servizio pubblico è portare nelle case la conoscenza di quel che accade nel mondo, per citare sempre Papa Francesco illuminare le periferie, anche quelle del nostro Paese. Negli anni Cinquanta la Rai ha svolto un ruolo di unificazione linguistica e sociale. Dopo la guerra ha alfabetizzato le zone più povere e arretrate. Il maestro Manzi del futuro dev’essere digitale, bisogna promuovere la conoscenza di nuovi alfabeti». E propone di inserire nel prossimo contratto di servizio il manifesto contro le Parole Ostili, nato proprio a Trieste, due mesi fa. Il megadirettore annuisce e concorda, la discussione sul contratto di servizio è necessaria, «avendo ben presente che il servizio pubblico è uno dei regolatori della democrazia. È chiaro che l’alfabetizzazione digitale è il nostro compito: dobbiamo trasferire il nostro sistema valoriale al mondo nuovo, che ha pregi e difetti». Giulietti punta il dito sugli eterni mali della Rai. «I nemici del servizio pubblico sono quelli che ostacolano la riforma. Trent’anni fa c’era la lottizzazione Dc-Psi-Pci. Oggi quel mondo, quei partiti non esistono più. Ma il sistema risponde ancora a quei criteri. Oggi metà del Paese non vota, dobbiamo dar voce al malessere che avanza. Renzi aveva detto liberiamo la Rai dai partiti, non è stato fatto. Gentiloni, quando nel 2006 era ministro, aveva presentato una proposta di riforma che era valida e va ripresa. La Rai non è dell’uno o dell’altro, appartiene al Paese. E non può fare la fine di Alitalia». Poi rievoca una suggestione targata anni Cinquanta: un gruppo di cervelli incaricati di trovare talenti di libertà, di creatività, di pensiero critico. Altra suggestione: un consorzio investigativo, come avviene in tanti paesi europei. «Perchè dobbiamo decidere se le inchieste annoiano o sono l’essenza del servizio pubblico». Campo Dall’Orto: «La prospettiva dell’innovazione è fondamentale. Personalmente ho sempre puntato sul talent scouting, anche a Canale 5, a Mtv, a La7. Con Rai Academy stiamo seminando sul lungo periodo, la prospettiva non è la singola stagione, dobbiamo fare cose che lascino il segno. Il giornalismo investigativo si basa sull’approfondimento, mentre il mondo oggi va da un’altra parte: è una sorta di lavoro artigianale, solo il servizio pubblico può investire in questa direzione». Chiusura di Giulietti sul diritto di critica che vale verso tutti, anche verso “Report”, ma sui temi delicati meglio un dibattito duro che il silenzio. Insomma, meglio aggiungere voci che levarne. Dall’Orto concorda e aggiunge: «Scienza e medicina tengono assieme il mondo. Il servizio pubblico deve abbracciare il progresso».

mercoledì 12 aprile 2017

FEDEZ E J-AX DOMENICA A TRIESTE, COMUNISTI COL ROLEX

«I comunisti con il Rolex? È gente come noi, proveniente dal ceto medio, che si è costruita onestamente una carriera lavorando sodo...». J-Ax e Fedez sono la coppia “rap’n’roll” del momento. Il loro album “Comunisti col Rolex”, uscito a gennaio, anticipato dal tormentone “Vorrei ma non posto”, è fra i più venduti di questi mesi. Il tour sta andando alla grande e farà tappa domenica alle 21, giorno di Pasqua, al PalaTrieste. «Ci hanno chiamato spesso “Comunisti col Rolex”, come a voler mettere in risalto una contraddizione che non esiste. Un modo per indebolire le nostre posizioni, facendo leva sull’ipotetica incoerenza di due artisti che pur guadagnando bene continuano a trattare tematiche sociali. Si tratta della polemica annosa, e tutta italiana, del “cuore a sinistra e portafoglio a destra”. Ecco, per noi “Comunisti col Rolex” non significa incoerenza, ma merito. È la dimostrazione che in Italia ci si può ancora arricchire onestamente. Ed è una cosa di cui andiamo fieri». Com’è nato il vostro incontro? «Ci siamo conosciuti anni fa perché condividevamo la stessa etichetta discografica». Venire dalle periferie come vi ha influenzato? «Crescere in periferia o in città è assai diverso. Nel primo caso è più facile farsi un giro di amici veri, nel secondo spesso conta avere certe caratteristiche per non essere etichettato come sfigato. Ecco, noi da adolescenti ce ne sbattevamo di ciò che era di tendenza, ma di conseguenza abbiamo dovuto imparare a conoscere la città, Milano nel nostro caso, per farci rispettare, e ci abbiamo messo del tempo. Dalla gavetta ci siamo passati anche noi, e guardarsi indietro oggi ci rende orgogliosi di quanto fatto». Siete molto sui social. «Siamo nell’epoca della condivisione e ci piace raccontare sui social quello che facciamo. Interagire con il pubblico alimenta il rapporto di scambio tra le due parti, e mai come oggi la distanza tra artista e fan è stata così sottile». “The Voice” e “X Factor”: che importanza hanno avuto per voi i talent? Fedez (vero nome Federico Leonardo Lucia, nato a Milano nell’89): «I talent show in Italia sono da anni importanti per l’industria discografica e per tanti ragazzi sono stati un trampolino di lancio per la carriera. Ci hanno chiesto di partecipare come giudici e abbiamo colto l’occasione perché ci sembrava una buona idea per metterci alla prova». J-Ax (vero nome Alessandro Aleotti, nato a Milano nel ’72): «Molti artisti snobbano la tv, ma ci sembra un preconcetto esagerato. Anche noi dai talent abbiamo imparato qualcosa». Che concerto proponete? Fedez: «Nella scaletta abbiamo voluto inserire non solo canzoni del nostro disco insieme, ma anche diversi brani dei nostri rispettivi repertori da solisti». J-Ax: «Lo show dura due ore e mezza e ce n’è davvero per tutti i gusti. Non rimarrete delusi». Sul palco c'è una grande piramide: cosa rappresenta? «Una piramide sociale era il giusto concept scenografico per portare in tour questo disco. Partiti dal basso, per arrivare in alto ci sono voluti tempo, lavoro, sacrifici… nulla per noi è stato semplice. Adesso che possiamo gustarci il nostro successo non avrebbe senso nasconderci dietro quello che ci siamo guadagnati». Alla fine c'è anche un finto contestatore che sale sul palco: cosa rappresenta? «Non vorremmo rovinare la sorpresa a nessuno, diciamo che ci sarà un siparietto per ribadire alcuni concetti a cui siamo molto legati...». Per il concerto triestino si va verso il tutto esaurito, ma ci sono ancora biglietti disponibili. Alcuni dei quali verranno posti in vendita la sera stessa di domenica.