martedì 31 agosto 2004

Erano in cinque, ora sono rimaste in quattro. Dopo il matrimonio d’interesse fra Sony e Bmg - ufficializzato dall’ok prima dell’antitrust europeo e poi di quello statunitense, non essendo state riscontrate conseguenze negative per la concorrenza e per i consumatori - le major dell’industria discografica mondiale sono infatti ora l’Universal, la Wea, la Emi e per l’appunto la Sony-Bmg.

Quello che è nato nelle scorse settimane, nel bel mezzo dell’estate, è il secondo polo mondiale delle sette note, dietro il colosso dell’Universal Music Group. Una nuova realtà - la Sony Bertelsmann Media Group - che possiede qualcosa come il 22% del mercato discografico mondiale, con un giro d’affari di oltre otto miliardi di dollari e una quota di mercato del 25,1%. Insomma, un quarto di tutta la torta discografica mondiale.

C’è già la dichiarazione di intenti: «Mescoleremo il meglio di Bmg e di Sony - hanno infatti detto i dirigenti del colosso - per creare una casa discografica dal volto nuovo. La creazione di Sony Bmg ci permetterà di investire nei nostri centri creativi e di appoggiare i nostri artisti in modi che altrimenti non sarebbero stati possibili».

Ma vediamo i nomi degli artisti interessati da questo matrimonio. Sotto la nuova etichetta il pubblico troverà d’ora in poi i dischi di Elvis Presley (un catalogo, quello del «re del rock’n’roll», che si continua a vendere...), di Bob Dylan e di Bruce Springsteen, di Jennifer Lopez e di Beyoncé, di Alicia Keys e di Avril Lavigne... Ma anche degli italiani Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Francesco De Gregori, Franco Battiato, Ivano Fossati, Roberto Vecchioni...

Come sempre accade in questi casi, c’è anche il rovescio della medaglia. Fra le conseguenze nefaste della fusione - secondo il Financial Times - c’è infatti il ventilato licenziamento di duemila dipendenti (un quarto del totale) e una certa «potatura» del catalogo (basti ricordare che quando nel ’98 la Polygram venne assorbita dalla Universal rimasero senza contratto quasi trecento artisti).

Peraltro c’è la possibilità che i giochi non siano finiti. E le quattro sorelle potrebbero presto diventare tre. Il «Times» ha infatti già parlato di una fusione, a questo punto quasi inevitabile, pena la sopravvivenza, anche tra Emi e Wea. Che hanno ovviamente smentito, ma la mossa potrebbe diventare necessaria per rimanere su un mercato che da anni affronta una pesantissima crisi, resa più grave dal fenomeno delle masterizzazioni private e della musica scaricata da Internet.

Da segnalare ancora che la Sony aveva annunciato nei mesi scorsi di voler produrre un proprio lettore Mp3 sulla scia del grande successo dell'iPod della Apple. Potrebbe essere il primo frutto dell’unione, assieme a quel «dual disc» di cui si sente parlare da un po’ di tempo: futuribile aggeggio tecnologico che può essere al tempo stesso cd e dvd.

lunedì 30 agosto 2004

Dopo tanti architetti di fama mondiale, a parlare delle prospettive di riuso del Porto Vecchio arriva un neolaureato. Ma un neolaureato assai particolare, visto che si tratta di Claudio Baglioni, da oltre trent’anni cantautore amatissimo dal pubblico, che lunedì sarà a Trieste per una conferenza stampa fra i palazzi e le banchine del nostro splendido e purtroppo quasi deserto Porto Vecchio.

Non tutti i suoi fan sanno che nei primi anni Settanta, proprio perchè baciato da un successo che nel corso del tempo non è mai venuto meno, il cantautore romano (classe 1951) lasciò, alla vigilia della laurea, la facoltà di architettura alla quale era iscritto. Un paio d’anni fa, lui dice «per far contenta mia madre», ma certo non può esser stato solo per questo, l’idea di completare gli studi. La discussione della tesi, in restauro architettonico e riqualificazione urbana, era in un primo momento fissata per il febbraio scorso. È avvenuta invece a giugno, alla Sapienza, dove il geometra Claudio Baglioni è diventato dottore in architettura con punti 108 su 110.

E quest’estate, tra una tappa e l’altra del suo «Cercando tour 2004» - che fra l’altro giovedì alle 21 fa tappa al Castello di Udine -, Baglioni ha messo subito a frutto il titolo accademico organizzando una serie di incontri, «Spazi nuovi per uomini nuovi», per pubblicizzare e rilanciare alcune aree dismesse del nostro (ex?) Belpaese.

Prima di Trieste (dove arriva sotto l’egida dell’assessorato alla cultura del Comune e dell’Autorità portuale, oltre che del ministero dei Beni culturali), è già stato a Bari, al Gasometro di Roma e a Lecce, dove ha proposto la nascita di un museo di archeologia ferroviaria. Nel Porto Vecchio triestino ha mandato nelle settimane scorse una persona del suo staff, che è tornato a casa con un’ampia relazione anche visiva. Pare che il cantautore, anzi, l’architetto sia rimasto entusiasta del sito e anche delle prospettive legate al possibile arrivo a Trieste dell’Expo.

Lunedì Baglioni dovrebbe parlare nel pomeriggio, in un sito del Porto Vecchio ancora da identificare. E forse, visto che c’è, potrebbe anche cantare qualcosa. Com’è successo al Gasometro di Roma, su cui ha incentrato la tesi di laurea. Un lavoro sulla riqualificazione di quell’area dismessa, un progetto per riportarla in vita «come potrebbe succedere - aveva detto - anche per altre aree in Italia».

Uno spunto, questo del lavoro sul Gasometro romano, nato dall'infanzia, dal rapporto con suo padre, per il quale «i cilindri di ferro del gasometro erano cilindri magici dai quali prima o poi sarebbe uscita una sorpresa...». Magari un figlio cantautore di grande successo, che a cinquantatre anni si riscopre anche architetto.

domenica 29 agosto 2004

Calato il sipario sulla tre giorni in piazza Unità del «Tim Tour 2004» - che il prossimo weekend sarà a Torino e quello successivo chiude le danze a Milano, in piazza Duomo - anche l’estate musicale triestina volge ormai al termine. Salvo sorprese dell’ultima ora, alla conclusione della stagione mancano ora la rassegna «Stradasuona» (con Z-Star e altri musicisti, dal 2 al 6 settembre in piazza Ponterosso), il concertone di Vasco Rossi l’11 settembre allo Stadio Rocco e la tappa al PalaTrieste del tour delle Vibrazioni, il 20 settembre.

Ma l’ultima grande festa gratuita in piazza è stata quella che si è chiusa l’altra sera a mezzanotte e mezzo con Irene Grandi. Gratuita ovviamente per il pubblico. Secondo gli organizzatori, una tappa di questo supersponsorizzato carrozzone musical-spettacolare costa 700 mila euro (tre serate, compreso il cosiddetto «villaggio» che a Trieste era stato sistemato sulle Rive). Di solito, ai Comuni o alle Aziende di Soggiorno delle città ospitanti viene chiesto un contributo fra i 150 e i 200 mila euro. E questa cifra sarebbe stata chiesta inizialmente anche al Comune di Trieste.

Dopo una lunga trattativa, aiutata pare dall’ottimo ricordo che gli organizzatori serbavano della tappa triestina dell’estate 2002, tale contributo è alla fine sceso a quota 60 mila euro: sarebbe questa, infatti, la cifra che è uscita dalle casse comunali, perlopiù in rimborsi spese per ospitalità e servizi vari. Soldi, dunque, che tutto sommato rimangono in città, assieme a tutti gli altri attirati dal giro d’affari che ruota attorno alle duecento persone che lavorano per il «Tim Tour» e a quella parte del pubblico (alcune migliaia per sera) arrivata per l’occasione da fuori città.

Un’operazione dunque in positivo, sia economicamente sia a livello di immagine, considerato che anche dalle serate triestine vengono tratti special televisivi per Italia 1 e per una catena di televisioni locali (la serata di venerdì è stata invece trasmessa in differita la sera dopo su Radio Deejay).

Da un punto di vista - diciamo così - artistico, non è invece tutto oro quel che luccica. La forza e al tempo stesso il limite di baracconi itineranti come il «Tim Tour» sta nella loro impostazione da show televisivo. Anche artisti come Piero Pelù, i Gemelli Diversi, Haiducii, Kc and the Sunshine Band, Irene Grandi (ma anche tanti altri emergenti che hanno partecipato alla tre giorni), finiscono per essere fagocitati dal gran frullatore dello show dalle cadenze e dai ritmi televisivi, o nella migliore delle ipotesi radiofonici. Fra presentatori spiritosi, comici, imitatori, ballerine, letterine, tutine... Spesso braccia rubate all’agricoltura, come si diceva un tempo, quando l’agricoltura aveva un ruolo importante nell’economia di un Paese dove ormai tutto ruota attorno alla televisione.

Ma non divaghiamo. E concludiamo con un interrogativo. Dopo anni di vacche magrissime, il pubblico triestino quest’estate non se l’è passata affatto male. Fra l’altro, a parte Joan Baez e Vasco Rossi, quasi tutti gli appuntamenti (Orme, Bennato, la «cover band» dei Creedence, Pfm, Carl Palmer...) sono stati a ingresso gratuito, grazie anche ai fondi per le manifestazioni per il Cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia. Ma l’anno prossimo, quando questi soldi non ci saranno, che si fa...?
È finita a mezzanotte e mezzo, ieri sera in piazza Unità, di fronte a qualche migliaio di persone, la tre giorni triestina del «Tim Tour 2004». È finita con la sensibilità rock al femminile di Irene Grandi, che in un’ora di show ha proposto i suoi maggiori successi («La tua ragazza sempre», «Prima di partire per un lungo viaggio», «Bum bum»...), alcuni brani solo apparentemente minori («Oltre», «È solo un sogno», «Buon compleanno»...) e a sorpresa anche una cover di un brano dei Tears for Fears, l’intensa «Woman in chains».

Prima della cantante fiorentina - e dopo il promettente nuovo rock italiano dei Nucleo e dei Rio - buone vibrazioni hanno attraversato la piazza con Kc and the Sunshine Band. Ventuno persone sul palco per far rivivere l’epopea della grande «disco music» (allora non si chiamava «dance»...) degli anni Settanta, malata di suoni neri, di rhythm’n’blues e di funky. Il cantante e leader Harry Wayne Casey (per gli amici Kc) è assieme al batterista l’unico superstite della formazione originale, ma il risultato è ancora all’altezza delle aspettative suscitate dai 75 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. A Trieste apertura con «Shake your booty» e poi sotto con «Give it up», la ballad «Please don’t go», «I’m your boogie man», «That’s the way (I like it)»... Tosti al punto giusto.

Ma torniamo a Irene Grandi. Che premette: «Condurre il Festivalbar è stata una scommessa. Spero di averla vinta e sto preparando qualche sorpresa per la finalissima all’Arena di Verona. Chissà, magari convinco Marco Maccarini a fare un duetto...». E poi chiarisce: «Ma è un’esperienza che considero comunque una parentesi: di mestiere io canto, e stop. Sono già al lavoro per le canzoni del nuovo album, che dovrebbe uscire la primavera prossima. E comunque anche quest’estate ho alternato le tappe della manifestazione al mio tour...».

«L’idea di trasformarmi per un’estate in conduttrice - spiega Irene, trentacinque anni a dicembre - è stata di Andrea Salvetti e del suo staff. Al Festivalbar avevo già partecipato tante volte, mi ero fatta conoscere e spero apprezzare al di là dei tre minuti sul palco. Fatto sta che a primavera mi hanno fatto questa proposta...».

Dubbi prima di accettare?

«No, ho capito che il loro intento era trasferire nella conduzione quel divertimento, quell’allegria che avevo già portato negli anni precedenti come cantante. Le prime puntate sono state le più difficili: ci ho messo un po’ di tempo per entrare in una dimensione diversa».

Ha visto i suoi colleghi in una luce diversa?

Sì, al Festivalbar c’è un’atmosfera più rilassata, direi quasi estiva, rispetto a un Sanremo, ma è vero quel che si dice sul fatto di giocarsi tutto in tre minuti. Il conduttore parla, scherza, entra ed esce dal palco. Il cantante ha a disposizione quella canzone e basta».

Intanto lei ne ha approfittato per fare diversi duetti: prepara un disco...?

«Chissà, potrebbe essere un’idea. Devo dire che sono stati tutti molto disponibili. Nelle varie tappe ho duettato con Piero Pelù, con gli Articolo 31, e ancora con Biagio Antonacci, Raf, Max Pezzali, Le Vibrazioni...».

Con Pino Daniele no...

«No, con Pino no. Con lui c’era stato anni fa il duetto in «Se mi vuoi», in un suo disco. Ma è stata una storia che non ha avuto il tempo di svilupparsi. Un incastro difficile, che non ha avuto un seguito. Diciamo che non ci siamo capiti...».

Con Vasco, invece...

«Beh, con lui è un’altra storia. Abbiamo tante cose in comune, anche nel modo di vivere i concerti sul palco, e la collaborazione è stata più profonda. Poi mi ha fatto felice quando ha dichiarato in un’intervista che lui, se fosse una donna, sarebbe come Irene Grandi. Allora, solo dopo quella sua affermazione, mi sono permessa di dire che mi considero l’anima femminile di Vasco Rossi...».

Che magari potrebbe scriverle una terza canzone?

«Magari. Del resto, non c’è due senza tre... Scherzi a parte, Vasco ha scritto per me ”La tua ragazza sempre” e ”Prima di partire per un lungo viaggio”, che sono e rimangono due episodi importantissimi della mia carriera».

Carriera che cominciò con le Matte in Trasferta...

«Sì, erano i primissimi anni Novanta, cantavo con tre amiche. Una di loro, Simona Bencini, quella che faceva parte dei Dirotta su Cuba, esce a settembre con un album solista, nel quale cantiamo assieme una sua canzone. Una storia romantica, delicata, sull’amicizia».

Ma lei non era una donna rock?

«Sì, ma questo non vuol dire mica che sono un maschiaccio. Racconto una donna forte, protagonista, che vuole vincere. Ma che ha anche un lato dolce e sensibile».

È finita anche ieri sera dopo mezzanotte, con le canzoni dei Gemelli Diversi, nuovi idoli dei giovanissimi, la grande festa musicale del «Tim Tour 2004» in piazza Unità. Se la prima serata si era svolta come una sorta di show televisivo itinerante, la seconda è filata via con cadenze e ritmo da programma radiofonico. E infatti stasera Radio Deejay - emittente ufficiale della manifestazione - la trasmette in differita.

Senza nulla togliere ai Gemelli Diversi (soprattutto «Mary», «Quella cosa» e «Tu corri» sono stati accolti trionfalmente dai ragazzi triestini), ai Db Boulevard, a Danny Losito, a Roberto Angelini e agli altri protagonisti della seconda serata, presentati dalle «Iene» Giorgio e Gabriele del Trio Medusa (assente giustificato Furio, appena diventato papà...), forse l’artista più attesa dal pubblico giovanile era Haiducii. Sì, la cantante romena (per l’anagrafe Paula Mitrache) che ha firmato il clamoroso successo dell’inverno scorso, il tormentone «Dragostea din tei» («Ma-ia-hii, Ma-ia-huu, Ma-ia-hoo, Ma-ia-haa...», risuonato anche in piazza Unità.

«Quel brano è romeno - spiega Paula, ieri sera sul palco a piedi scalzi - ma il successo è tutto italiano. Io nasco come cantante, anche se sono stata anche presentatrice della tv romena e persino Miss Bucarest. Dieci anni fa mi sono trasferita in Italia, a Bari, per amore. Ho sempre lavorato nel campo dello spettacolo e l’anno scorso ho portato alcune canzoni del mio Paese alla casa discografica Universo, fra cui questo brano che era già stato inciso dagli O*Zone...».

Si sa com’è finita: il brano è piaciuto, il disco è finito in testa alle classifiche italiane ed europee, Gabry Ponte ne ha fatto una versione remix per le discoteche, è diventato sigla di «Striscia la notizia»... «Ed è la prima volta - sottolinea l’artista - che una canzone romena ”passa la dogana”, che sfonda in Occidente. Di questo sono molto orgogliosa, convinta come sono che la musica non ha bisogno di passaporto...».

Il testo della canzone, spiega ancora Paula Mitrache, è una conversazione telefonica fra due innamorati lontani che non riescono a dimenticarsi. E il riferimento ai tigli è dovuto solo al fatto che in Romania quegli alberi sono molto diffusi.

«Ormai mi sento un po’ italiana anch’io - confessa Haiducii, nome d’arte che significa persona coraggiosa, senza paura, che toglie ai ricchi per dare ai poveri - anche se non dimentico il mio Paese, nel bene e nel male. Da piccola ho vissuto i drammi del regime totalitario. Ricordo che mi piaceva dipingere e che quando mancava la luce per sere intere non si poteva nemmeno protestare, non si poteva nemmeno nominare il nome di Ceausescu... Di quegli anni mi manca mia madre, morta proprio il giorno del mio successo».

Ancora la cantante: «Da ragazzina avevo tre miti: il Festival di Sanremo, Toto Cutugno e Eros Ramazzotti. Sanremo rappresenta tuttora un sogno per chi vive nel mio Paese. Da noi c'è una rassegna canora simile, chiamata Festival di Mamaia, a cui ho partecipato due volte, ma negli anni della dittatura non aveva lo stesso valore simbolico: in quel periodo Sanremo per noi era come un raggio di luce, uno spiraglio di libertà. Allora non avrei mai pensato di poter venire da protagonista in Italia. E di salire su quel palco, come è successo nel febbraio scorso...».

A Trieste, Haiducii ha cantato anche il nuovo singolo, dall’impronunciabile titolo «Mne S Toboy Horosho» (già ribattezzato «Na-na-ra-na-na...»), altro brano ballabile adatto alle discoteche. Oggi parte per Berlino, dove la attendono un festival e alcune serate.

E oggi si conclude anche la tappa triestina del «Tim Tour». Sul palco di nuovo Peppe Quintale, stavolta con Melanie Gerren (già vista in tivù con Paola Cortellesi a «Nessun dorma»), che proporrà la musica di Kc and the Sunshine Band (direttamente dagli anni Settanta), Irene Grandi (sostituisce l’annunciato Nek) e i gruppi Il Nucleo e Rio. Noto finora soprattutto per avere fra i componenti il fratello di Ligabue.

venerdì 27 agosto 2004

Piero Pelù era ieri il protagonista più atteso della prima serata del «Tim Tour 2004». E quando alle 23.20 è salito finalmente sul palco - dopo i debuttanti, i comici, Peppe Quintale e i tanti personaggi di questo enorme spettacolo televisivo itinerante - piazza Unità era veramente gremita di folla. Migliaia e migliaia di persone, a perdita d’occhio.

Il rocker toscano ha aperto con «Fata morgana», offrendo un’ora abbondante di show tirato, vibrante, un concentrato del concerto che sta portando in giro per l’Italia. Fra i brani del nuovo album, «Soggetti smarriti», non poteva mancare «Prendimi così». Fra i classici «Toro loco» fa sempre la sua figura. E durante «Il mio corpo che cambia», un brivido ha attraversato la folla per la performance di Tobias, artista di strada proveniente da Los Angeles, che si è infilato in gola come se niente fosse mezzo metro di spada...

Per Pelù - che ha concluso lo show a mezzanotte e mezzo - si è trattato di un ritorno a Trieste, dove ha suonato più volte con i Litfiba e dove un mese fa ha anche girato il suo nuovo video «Dea musica», in programmazione da settembre. «Ci serviva un luogo - spiega Piero, che si aggiunge così a Ligabue, Tiziano Ferro, Elisa e Daniele Silvestri, fra gli artisti che hanno recentemente girato un videoclip a Trieste - che rappresentasse una società troppo razionale, dove tutto viene controllato e dove la musica viene messa al bando. Gli edifici di Rozzol Melara ci sono sembrati perfetti. È una realtà architettonica incredibile. Si respira un’aria di marginalità forzata, che fra l’altro contrasta con l’immagine che ho di Trieste: grande porta aperta verso l’Est, un po’ Istanbul e un po’ Vienna...».

Con «Soggetti smarriti» sembra aver fatto pace con il suo passato...

«Sì, dopo la fine della storia con i Litfiba avevo fretta di fare cose diverse, di sperimentare, di cercare nuove strade musicali. Ora mi sento più tranquillo, più forte, al punto da poter recuperare canzoni del periodo con il mio ex gruppo. Oggi propongo una musica che sta a metà strada fra il mio passato coi Litfiba e i miei primi due dischi solisti. È sempre ”med-rock”, rimaniamo mediterranei al di là delle definizioni, sia con la chitarra elettrica che con gli strumenti etnici».

Ma i fan sognano sempre una «reunion»...

«Quella credo sia impossibile. Non ci sono i presupposti umani, prim’ancora che musicali. Per tenere in piedi una band ci devono essere delle affinità umane, che fra noi un tempo c’erano e oggi non ci sono più. A me interessa fare musica, senza guardare agli interessi economici e a chi li muove».

Scelta politica?

«In un certo senso. Anche se io ho sempre rifiutato di accomunare musica a politica, che sono a mio avviso diametralmente opposte. La prima è un’espressione artistica, libera per definizione. La seconda è al servizio delle multinazionali e - appunto - dei loro interessi enonomici. Poi per fortuna ci sono le idee, anche le idee politiche, che si possono esprimere anche attraverso la musica».

Anche in canzoni come «Occhi»...

«Sì, quella è una ballata sugli sbarchi dei clandestini nel nostro Sud, poveracci che qualcuno vorrebbe scacciare e che invece vanno accolti. Un brano che mi è stato ispirato da un viaggio sulla costa ionica calabrese, dove resistono tradizioni antichissime e dove ho visto il relitto di un barcone che era arrivato zeppo di cingalesi...».

Stasera «Tim Tour» propone il Trio Medusa (quelli delle «Iene») e la musica di Testata Nucleare, Khia, Db Boulevard, Danny Losito, Roberto Angelini, Haiducii, Datura, 2 Black, Paps N Skar e Gemelli Diversi. Domani gran finale con Irene Grandi.

giovedì 26 agosto 2004

Ritorna a Trieste il baraccone musical-pubblicitario del «Tim Tour». Due estati dopo il bagno di folla per Edoardo Bennato, Prozac+ e la banda televisiva dei ragazzi di «Saranno famosi», lo show itinerante supersponsorizzato dell’estate 2004 alza nuovamente le tende in piazza dell’Unità. Le star? Stasera Piero Pelù; domani Gemelli Diversi ma anche Haiducii, Db Boulevard, Danny Losito e Roberto Angelini; sabato gran finale con Irene Grandi (che sostituisce in extremis l’annunciato Nek), Kc and the Sunshine Band e Rio.

Ma lo spettacolo del «Tim Tour» non si limita ai grandi nomi. Come è stato spiegato ieri mattina in Municipio - nell’ennesima conferenza stampa della premiata ditta degli assessori Bucci & Lippi, ormai perfetti nel ruolo di intrattenitori: dopo le tante gag negli spazi promozionali televisivi di «SerEstate», ieri si sono anche sfidati pubblicamente a calciobalilla... - la proposta è quella di tre giornate, dalle dieci del mattino a mezzanotte e mezzo («sforeremo di una mezz’oretta sugli orari previsti...», hanno preannunciato gli organizzatori), che si propongono di trasformare piazza Unità e dintorni in un autentico villaggio della musica e non solo della musica.

Gli artisti di strada americani che già da ieri hanno cominciato ad animare il centro cittadino; decine di giovani cantanti e musicisti debuttanti (su trecento selezionati dall’organizzazione) che partecipano a un concorso nazionale, con in palio la pubblicazione di un disco singolo; un drappello di comici e personaggi più o meno noti al pubblico televisivo.

Vediamo allora il programma delle tre serate. Tutto gratis per il pubblico: pagano i tanti sponsor. Stasera Peppe Quintale e Vanessa Galipoli sono i protagonisti di «Ridi anche Tour», con Carlotta, vari comici di «Zelig» e di altri programmi televisivi; in chiusura di serata musica con gli Exess e il mini-concerto di Piero Pelù (una sorta di «antipasto» di un’ora, rispetto alle due ore/due ore e mezzo di un concerto normale).

Domani sera il Trio Medusa delle «Iene» televisive conduce «Deejay on stage», con la musica di Testata Nucleare, Khia, Db Boulevard, Danny Losito, Roberto Angelini (quello di «Gattomatto»), Haiducii (autrice del tormentone dell’inverno scorso, «Dragostea Din Tei»), Datura, 2 Black, Paps N Star e in chiusura i Gemelli Diversi.

Sabato di nuovo in scena Peppe Quintale, stavolta affiancato da Melanie Gerren (già vista in tv al fianco di Paola Cortellesi in «Nessun dorma»), per proporre la musica degli americani Kc and the Sunshine Band, campioni della dance degli anni Settanta con brani come «Get down tonight», «Please don’t go», «That’s the way I like it»... Nella serata finale spazio anche ai Rio (gruppo lanciato dall’ultimo Festivalbar, del quale fa parte anche il fratello di Ligabue), i Nucleo e Irene Grandi, che - come detto - sostituisce Nek. Ogni giorno alle 16 cominciano le prove, alle 18 lo spazio per gli artisti giovani, alle 21 lo spettacolo serale.

Come si vede, un cast - Kc and the Sunshine Band a parte - molto vicino ai gusti dei giovanissimi. Che nella ricchissima (ebbene sì...) estate musicale triestina, giunge a compensare anagraficamente i campioni del pop-rock degli anni Settanta che finora l’hanno fatta un po’ da padrone.

«Proponiamo un programma che vuole accontentare un pubblico dai quindici ai sessant’anni», è stato detto, magari esagerando un po’, nella conferenza stampa di ieri mattina. Nella quale si è appreso fra le altre cose che una parte della serata di venerdì andrà in differita la sera dopo su Radio Dj. E che le serate triestine entreranno negli special tv per Italia 1 e per la catena di tv locali che segue il tour. Un’altra vetrina per Trieste e per piazza Unità.

mercoledì 11 agosto 2004

Ritorna «Stradasuona», la rassegna di cui erano andate già in scena, a cavallo del cambio di millennio, un paio di edizioni nelle piazze e nelle vie cittadine. Stavolta gli organizzatori di Globogas (che nel corso degli anni hanno portato a Trieste alcuni dei nomi più interessanti della scena musicale italiana e internazionale) puntano su un poker di artisti attuali che si muovono fuori dagli stilemi del pop-rock anglosassone.

Giovedì 2 settembre, alle 21 in piazza Ponterosso (orario d’inizio e sede di tutti e quattro i concerti), suoneranno i marocchini Nass Marrakech. Venerdì 3, dal Barrio Chino di Barcellona, arriveranno i Barxino. Sabato 4 tocca all’orchestra Kosovni Odpadki. Gran finale lunedì 6 settembre con Z-Star.

Ma vediamo gli artisti un po’ più nel dettaglio. Nass Marrakech è un progetto che nasce nel ’91: gruppo acustico che studia l’evoluzione della musica tradizionale marocchina, in particolare la musica trance degli gnawas, discendenti degli schiavi neri dell'Africa occidentale subsahariana, musicisti e danzatori che praticano la loro arte in maniera mistica e rituale. Nel loro album «Sabil 'a' Salam» (Il cammino della pace), mantengono ritmi e sonorità della musica gnawas ma nei testi toccano i temi del presente, parlando di rispetto e scambio tra culture diverse, di ecologia e relazioni umane.

I Barxino (pronuncia: Barcino) sono un gruppo multietnico formato da musicisti provenienti da Colombia, Argentina, Brasile e Italia. Il nome deriva da Barrio Chino, il famoso quartiere di Barcellona abitato originariamente dai poveri e oggi punto di incontro di artisti e intellettuali. Hanno fatto da supporter in vari tour di Manu Chao. Dal vivo propongono trascinanti set con le percussioni in primo piano, su un tappeto di basi elettroniche.

«Kosovni Odpadki» è la scritta che in Slovenia si trova sui cassonetti per i rifiuti ingombranti. È stato scelto come «nome di battaglia» da un gruppo nato in Friuli nel 2001, da un'idea di Mauro Punteri (cantante e chitarrista dei Zuf de Zur). Mischiano tradizioni culturali italiana, slovena, friulana ed ebraica, con un occhio ai balcani. Hanno affascinato gli ascoltatori radiofonici di «Caterpillar» e il pubblico del Premio Tenco 2003. Il loro primo cd, «Bay Bay Bombe», è uscito nel maggio scorso.

Z-Star è londinese, originaria di Trinidad. Ha debuttato quest’anno con il cd «Who loves lives», da cui è tratto il singolo «Lost Highway», ed è stata subito salutata come la nuova Tracy Chapman.

«Nell'allestire il cartellone - spiega Giampiero Onor, di Globogas - abbiamo privilegiato musicisti figli di quella "cultura globale" che, fornendo una chiave di lettura delle diversità, inviti alla comprensione, allo scambio e alla conoscenza tra culture diverse. Il nostro obbiettivo è far crescere e trasformare questa rassegna, che torna dopo una ’pausa di riflessione’, in un appuntamento fisso delle estati triestine».

La rassegna - organizzata con il contributo dell’assessorato alla cultura della Regione - sarà a ingresso gratuito. In caso di maltempo i concerti si terranno al Teatro Miela.

martedì 10 agosto 2004

"La mia idea è che faremo un bel programma che non andrà né a favore né contro l'attuale governo".



Nemmeno Rutelli poteva dire una fesseria del genere, infatti l'ha detta Prodi.



(jena - il manifesto)

venerdì 6 agosto 2004

"Non credo che Kerry ed Edwards abbiano tutte le risposte, ma almeno sono interessati a farsi le domande..."

(Bruce Springsteen)
«Carissimo Mimmo, sono passati dieci anni da quando te ne sei volato via per chissà dove. Qui non ti sei perso niente di bello. Le solite castronerie dei politici, degli economisti e degli integralisti ci hanno coinvolti in una guerra, anzi, in una missione di pace, con delle vittime di guerra che però sono di pace...».

Così scrive Franco Migliacci al suo amico Domenico Modugno, morto il 6 agosto del 1994 nella sua casa affacciata sul mare di Lampedusa. Immaginando che il vecchio Mimmo, lassù, «chissà dove», possa ancora sentire le parole del suo antico compagno d’avventura.

Leggenda vuole che Migliacci, uno dei più grandi parolieri italiani, attualmente presidente della Siae, abbia scritto i primi versi di «Nel blu dipinto di blu», nota in tutto il mondo come «Volare», mentre aspettava proprio Modugno che era in ritardo, guardando un quadro di Chagall («Le coq rouge») e bevendo un bicchiere di vino.

In quel quadro, un omino sospeso a mezz’aria sembrava volare nel cielo blu. Era lo spunto. «Penso che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi d'improvviso venivo dal vento rapito e incominciavo a volare nel cielo infinito...». Versi moderni, evocativi, quasi pittorici, lontani mille miglia dal conformismo e dalla banalità e dal piattume delle canzonette dell’epoca. Musicarli, per Mimmo, fu un gioco e un godimento. Ispirato dal presagio che, dopo tanta gavetta, quella era la volta buona. Ma senza poter immaginare che quella sarebbe diventata la canzone italiana più famosa nel mondo.

Siamo nel ’58. E quando il trentenne Modugno (classe ’28, pugliese di Polignano a Mare anche se tutti pensavano fosse siciliano), sul palco del Festival di Sanremo, spalanca le braccia e, quasi a simulare un volo liberatorio, intona quel ritornello («Voo-laa-ree...»), in un istante, come per incanto, vengono cancellati decenni di retorica, di ipocrisia, di perbenismo.

Per la canzone e tutto sommato anche per il costume italiani, è una rivoluzione. Per le cose di casa nostra, una rivoluzione assimilabile a quella rappresentata dall’avvento, un paio di anni prima, di Elvis Presley e del rock’n’roll. Le braccia spalancate di Modugno mentre intona «Voo-laa-ree» stanno infatti al bacino roteante di Elvis the Pelvis come l’Italia - dove i cantanti ancora gorgheggiavano versi caramellosi con la mano suo cuore - sta agli Stati Uniti.

In un Paese che ha fretta di cambiare, che si è da poco lasciato alle spalle le tragedie della guerra ma vuole anche mettere da parte tristezze e ristrettezze del primo dopoguerra, che è insomma pronto a vivere il suo illusorio boom economico, la sua fetta di benessere quasi a portata di mano, quei versi e quelle braccia spalancate acquisiscono una valenza che va ben al di là dell’ambito strettamente canoro. In buona sostanza, quella canzone e quel cantante diventano - anche all’estero - il simbolo di un’Italia che vuole e deve voltar pagina. Quasi un ideale confine fra vecchio e nuovo.

Modugno, che di lì a poco tutto il mondo conobbe come «Mister Volare», visto che la canzone ebbe e ha ancora fama planetaria (all’epoca due Grammy Award e ben tredici settimane in testa alle classifiche di vendita americane...), arrivava dal mondo della canzone dialettale. Dal paesino pugliese era scappato presto. Destinazione Torino, poi Roma, dove al Centro sperimentale di cinematografia conosce Migliacci. Esordio - primi anni Cinquanta - nel cinema e a teatro, dove gli capita di interpretare canzoni siciliane e napoletane. Alla radio, dove gli affidano dei programmi, ritrova Franca Gandolfi, conosciuta al Centro di cinematografia, che diventerà la compagna di tutta la vita e la madre dei suoi figli. Ai quali, molti anni dopo, quando la storia era già entrata nella parabola discendente, pare avesse detto: «Forse non vi lascerò una lira. Ma erediterete "Volare" e ci potrete vivere bene voi, i vostri figli e i figli dei vostri figli...».

Denari a parte, Modugno ha lasciato tante canzoni. Oltre a «Nel blu dipinto di blu», almeno una decina di titoli del suo canzoniere fa parte della memoria collettiva: da «Piove» a «Vecchio frac», da «Dio come ti amo» a «Resta cu’ mmè», da «Libero» a «Tu sì ’na cosa grande»... È passato alla storia perchè ha svecchiato la canzone italiana, aprendo di fatto la strada alla grande stagione dei cantautori degli anni Sessanta.

Ma la vita gli ha riservato anche prove difficili. Nel 1984, durante le prove di una trasmissione televisiva su Canale 5, viene colpito da un ictus. Sopravvive, ma perde l’uso delle gambe e, in parte, della parola. Il recupero è lungo e difficile. Ma qui viene fuori la tempra e la grinta dell’uomo meridionale abituato ad affrontare le difficoltà.

Nel 1987 viene eletto deputato per il Partito Radicale e si spende in una serie di battaglie civili a favore dei più deboli. Non a caso, il suo primo concerto dopo la malattia lo tiene nel 1989 per i pazienti dell'ospedale psichiatrico di Agrigento.

E in quello stesso ’89, a Trieste, in una pausa dei lavori del consiglio federativo del Partito radicale, che si svolgeva alla Stazione marittima, confessò al nostro giornale: «La malattia mi ha fatto scoprire l’impegno politico, che oggi mi dà la forza per andare avanti. Ho vissuto a contatto con gli ospedali e ho deciso di combattere questa battaglia. Perchè oggi, in Italia, se non hai soldi o santi in paradiso, quando ti ammali ed entri in un ospedale sei trattato in una maniera indegna. Ho visitato l’ospedale psichiatrico di Agrigento, dove i malati sono abbandonati neanche fossero cani, spesso nella sporcizia, senza nessuna assistenza...».

Oggi la sua Polignano a mare («La parola mare - disse una volta - è presente nell'ottanta per cento delle mie canzoni: è il mare di Polignano...») ricorda Domenico Modugno con varie iniziative: una mostra documentaria, una serie di proiezioni di film, sceneggiati e opere teatrali introdotte da personaggi dello spettacolo, fra cui Franco Migliacci. La vedova di Modugno, Franca Gandolfi, donerà al piccolo Comune pugliese l'archivio personale del marito.

lunedì 2 agosto 2004

Estate di crisi, questa del 2004. Verrebbe da dire: ci stanno portando via tutto. Anche i tormentoni (che fa rima con...?), un classico musicale di stagione che da qualche anno era decisamente tornato in auge. E che in questa estate caliente ma non troppo stenta a materializzarsi in un brano, un titolo, un ritornello, un artista ben preciso.

L’anno scorso, di questi tempi, le cose erano già chiare da un bel pezzo. Per la verità già ai primi di luglio - dunque con un mese d’anticipo rispetto ai giorni nostri - avevamo i timpani ben che martoriati dall’urticante «Chihuahua», del ridente Dj Bobo, vero nome Peter René Baumann, cantante - dicevano le biografie - «famossissimo in Germania e in America Latina, anche se lui è nato in Svizzera». Che aveva fatto la sua fortuna con quel grazioso mambo degli anni Cinquanta, firmato Ray Gilberto e Luis Oliveira, riletto con i suoni e secondo i dettami della dance più aggiornata.

Ma l’estate 2003 era una stagione speciale, non solo per il gran caldo. Infatti, assieme al tormentone plebeo (si può dire «plebeo»...? o è meglio rifugiarsi nel politicamente corretto «popular»...?), potemmo usufruire anche del tormentone cosiddetto colto, o almeno gradevole, sicuramente esotico: «Ja sei namorar» dei Tribalistas, formazione brasiliana nella quale c’erano mostri sacri come il percussionista Carlinhos Brown, la cantante Marisa Monte e il poeta Arnaldo Antunes.

Anche nelle estati precedenti, per la verità, all’inizio di agosto le cose erano abbastanza chiare. Nel 2002 «Aserejè» delle sorelle spagnole Las Ketchup, nel 2001 «Solo tre parole» di Valeria Rossi (ma anche «Me gustas tu» del movimentista Manu Chao), nel 2000 «50 Special» dei Lunapop, nel ’99 «Mambo n.5» di Lou Bega... E potremmo continuare a lungo, visto che la tradizione del tormentone estivo affonda le radici nei gloriosi anni Sessanta. Con poche varianti agli ingredienti necessari: strofe semplici, ritornello orecchiabile, temi possibilmente vacanzieri...

E siamo a oggi. Il calendario non permette equivoci. Siamo ad agosto e ancora il vero tormentone dell’estate 2004 non c’è. Meglio: ce ne sono tanti, ma... piccoli. Dei «tormentini», se ci è concesso il neologismo. Ci sono infatti tanti brani, ovviamente, che le radio trasmettono, che si sentono sulle spiagge, nei locali più o meno di tendenza, nelle città assetate... Ma manca il Lance Armstrong di turno, quello che mette tutti a tacere, quello dinanzi al quale tutti (metaforicamente) s’inchinano.

A meno che non si voglia puntare su quella «Come stai», che Vasco Rossi ha infilato di soppiatto nell’ultimo vendutissimo album «Buoni o cattivi» (e anche il branon omonimo si difende, sotto l’ombrellone...) ma anche in uno dei spot pubblicitari più assidui. O sul «Grande Baboomba» di Zucchero, altro brano che imperversa ovunque da varie settimane e vincitore praticamente annunciato del «Festivalbar». Ma non si tratta di veri tormentoni. Sono brani, peraltro privi degli ingredienti cui si accennava sopra, che potevano uscire a Natale e andavano bene lo stesso.

Tanto vale, allora, identificare un «aspirante tormentone» nella cantilena di Teo Mammuccari «Anvedi come balla Nando», che era praticamente diventata la sigla del programma televisivo del suddetto ragazzone, a base di scherzi e lazzi non sempre gradevoli. Ma con la chiusura del programma, anche la fortuna del brano è andata via via scemando.

Perso per perso, molto meglio «This love», dei californiani Maroon 5. Oppure «Cuando volveras» degli Aventura (quelli di «Obsesiòn»). O ancora «Fuck it (I don’t wanna you back)», del ventenne newyorkese Eamon: se non ci fosse il piccolo problema di spiegarne il significato del titolo (letteralmente: vaffanculo, non ti voglio indietro...) ai bambini, che, aperta parentesi, sono nel frattempo diventati i maggiori consumatori di musica pop sulla piazza...

Turpiloquio a parte, va segnalato a margine che, in questa penuria di veri tormentoni estivi, fa ancora la sua bella figura «Fuori dal tunnel», del trentenne Michele Salvemini, da Molfetta, in arte Caparezza. L’album era uscito nel giugno del 2003, il tormentone (complice l’aver fatto da sigla allo «Zelig» televisivo...) è esploso nell’inverno scorso, ma è tuttora molto più ascoltato e canticchiato nel nuovo singolo del rapper di casa nostra: il comunque gradevole e spiritoso «Vengo dalla luna».

Ma un’altra regola non scritta del tormentone estivo dice che abitualmente esplode fra le mani, anzi, fra le corde vocali di un semisconosciuto, che da lì o parte per un lungo viaggio di successo, o viene prontamente restituito all’anonimato. Se debuttante dev’essere, allora meglio puntare su «Calma e sanguefreddo», orecchiabile canzoncina molto trasmessa dalle radio, affidata alla voce del cantautore ventiseienne Luca Dirisio, che in autunno uscirà col primo album. E se dovessimo fra un po’ di tempo scoprire che il tormentone del 2004 era il suo...?