mercoledì 28 febbraio 2007

di Carlo Muscatello

Non era mai successo che qualcuno rubasse la scena a Pippo Baudo. È successo ieri, sul palco del Teatro Ariston, durante la prima serata del 57° Festival di Sanremo. Che ha dato già un verdetto: fra i Giovani vanno in finale PQuadro, Marco Baroni, Stefano Centomo e Jasmine. Eliminati Mariangela, Grandi Animali Marini e Khorakhanè.

A rubare la scena a Baudo è stata invece Michelle Hunziker, che ha monopolizzato l'apertura e poi ha impresso a tutto lo show il suo brio, la sua allegria, la sua freschezza di trentenne svizzera cresciuta a «Zelig» e «Striscia la notizia». Al suo ingresso in scena l’ex signora Ramazzotti prima ha simulato lacrime d'emozione, poi è sembrata commossa sul serio quando ha cantato «Adesso tu», con cui Eros aveva vinto a Sanremo nel 1986. «C'è solo una cosa che ho fatto bene nella mia vita e l'ho fatta con quell'uomo e lo ringrazio...» ha detto la showgirl, salutando la figlia Aurora. Colpo ruffiano ma da maestra. Prima di venir «messo in disparte», Baudo aveva lanciato il manifesto programmatico del suo dodicesimo Sanremo: «Come sarà questo Festival? Saranno cinque serate dedicate alla musica italiana. Viva la musica italiana...».

Eccole, allora, le canzoni di quest’anno. Alcune delle quali regalano emozioni autentiche. Come «Ti regalerò una rosa» di Simone Cristicchi, dolente ballata sul mondo dei manicomi, sui «matti», su quell’umanità che è più facile trovare fra gli emarginati, gli ultimi, i dimenticati da dio e dagli uomini. Emozioni di segno diverso, ma ugualmente positive, arrivano dalla struggente ninna nanna di Antonella Ruggiero «Canzone fra le guerre», dalla scoppiettante e autoironica «La paranza» di Daniele Silvestri, dalla «Luna in piena» malata di tentazioni avanguardistiche di Nada, dall’epopea dei musicisti falliti scritta da Giorgio Faletti e cantata da Milva con la teatralità di cui è capace («The show must go on»).

Anche se per la vittoria finale si confermano sin da ora in pole position le melodie semplici, orecchiabili, quasi minimaliste degli Zero Assoluto: con «Appena prima di partire» quest’anno potrebbero proprio farcela. Assai meno convincenti la scorribanda melodrammatica di Piero Mazzocchetti, la ballatona generazionale con marchio Pooh impresso di Francesco e Robi Facchinetti, i brani che non lasciano traccia di Mango e di Leda Battisti...

Gli ospiti newyorkesi Scissors Sisters e la grande Norah Jones hanno dato lustro musicale alla prima serata, che ha visto in scena anche i primi sette giovani, di cui abbiamo detto all’inizio. Stasera verranno scelti gli altri quattro finalisti.

Ma al Festival di Sanremo, come da diversi anni a questa parte, non è mancata l’ironia, la satira, il divertimento che serve a reggere una maratona così lunga. In apertura di serata ha cominciato Piero Chiambretti, conduttore del Dopofestival, che in un collegamento con l'Ariston ha sbottato: «Caro Pippo, sei partito con il piede giusto, non sembri avere novant’anni...». E ancora: «Pippo ha ascoltato 1400 canzoni e ha trapiantato 4000 capelli»... Ricordando poi che di recente Baudo non ha fatto altro che invitarlo a tornare alla Rai, «ora che è tornato il centrosinistra». Tuttavia, ha detto Chiambretti, «io mi giro e trac, cade il governo, non c'è più il centrosinistra. Non ci sono più direttori, nemmeno un comunista. L'unica rossa in giro è Milva...».

Poi è stata la volta di Antonio Cornacchione, che, introdotto dall'inno di Forza Italia un po' storpiato dall'orchestra, ha operato una piccola variazione sul suo classico tema del «Povero Silvio», già noto per lo spettacolo teatrale e per le tante ospitate da Fazio su Raitre. Stavolta il comico ha interpretato la parte del militante di centrodestra arrabbiato con il governo Prodi e con lo stesso Festival, ricettacolo di «no global». Lanciando anche un parallelo tra il premier e Baudo: «Anche Pippo ha chiamato i senatori a vita: Milva, Johnny Dorelli, Al Bano. Secondo me non arriva a sabato...».

Cornacchione ha denunciato la presenza di un'orchestra di comunisti perchè si è rifiutata di suonare l'inno di Forza Italia. «Qui ognuno va per conto suo, come il governo di Prodi. Questi due violinisti sono come i giornalisti del Tg1 che a forza di sviolinare Prodi sono diventati professionisti...».

«Qui sono tutti comunisti, le canzoni le ha scelte Veltroni. Tutti comunisti tranne te Fabrizio - ha detto rivolto al direttore di Raiuno Del Noce seduto in platea - perchè sei rimasto dalla nostra parte<CF><CP>. Con tutto quello che Silvio ha fatto per te...».

Sulla sconfitta al Senato, Cornacchione ha detto che «Andreotti è amico del Vaticano e ha votato contro Prodi perchè gli ha tassato le pere cotte. Ma i numeri non ce li hanno neanche stavolta perchè i senatori a vita non lo votano: Rita Levi Montalcini è andata dal parrucchiere una settimana fa e non è ancora tornata, Scalfaro ha la tosse, Pininfarina sta lavando la macchina e De Gregorio costa tanto perchè mangia troppo. Qualche senatore di Rifondazione lo troviamo: a quei due, Rossi e Turigliatto, gli possiamo dare il Telegatto...». Poi ha proseguito: «Secondo un sondaggio Silvio è al 70-75% di preferenze, per lo stesso sondaggio il Milan è davanti all'Inter di 20 punti».

Tocca al ministro Bersani: «Non può più prendere un taxi che lo lasciano in campagna, se va da un benzinaio gli versano la benzina ovunque tranne che nel serbatoio. Questo perchè vuole mettere a posto l'Italia. Ma fatti gli affari tuoi... Per durare non devi far niente, andare in Parlamento e leggere la Gazzetta dello Sport. Sai perchè Silvio è durato cinque anni? Perchè si è fatto gli affari suoi...».

Poi il colpo di scena.Baudo e il comico hanno chiamato in scena il presidente del Consiglio e a sorpresa è apparso sul palco un finto Prodi (con tanto di maschera), che ne imitava voce e movenze. Cornacchione ha proposto un patto politico tra il suo personaggio della Cdl e il finto Prodi (l’attore Roberto Valentino) e per «sancirlo» degnamente ha stretto a lungo le parti basse del finto premier.

Il previsto secondo intervento di Cornacchione è stato poi cancellato. Per motivi di tempo, ovviamente. O forse no...?

domenica 25 febbraio 2007

Trent’anni fa, con «Terra mia», Pino Daniele ha dato un robusto scossone alla scena musicale italiana. Indicando una terra di mezzo fra canzone d’autore e blues, fra musica etnica e rock. Era il suo album d’esordio, anche se aveva già pubblicato un 45 giri e aveva suonato con i Napoli Centrale. Quel disco fu notato da pochi (giusto per «’Na tazzulella e cafè», proposta da Arbore ad «Alto Gradimento»), il successo sarebbe arrivato solo in seguito, ma fra quei solchi c’era già tutto il meglio di un artista cresciuto con due tradizioni in corpo: quella mediterranea e quella americana, del rock e del blues. Oggi, trent’anni dopo, Pino Daniele è un signore di cinquantadue anni che sa di aver scritto la storia della musica italiana. E pubblica il nuovo album «Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui» (SonyBmg).

A distanza di due anni dalla pubblicazione del disco precedente «Iguana Cafè» e anticipato dal primo singolo «Back home», l’album propone dieci canzoni inedite: «Rhum and coca», «Il giorno e la notte» (duetto con Giorgia), «Salvami», «Vento di passione» (altro duetto con Giorgia), «Mardi gras», «Blues del peccatore», «L'africano», «Ischia sole nascente» e «Passo napoletano» e la citata «Back home».

Siamo ancora dalle parti di Napoli e del rock-blues, ma stavolta l’artista di spinge anche dalle parti del Brasile, di Cuba, persino della musica elettronica. Oltre ai suoi musicisti, lo hanno coadiuvato Peter Erskine, Tony Esposito e Alfredo Paixao.

«Per me - spiega Pino Daniele - fare un disco non vuol dire confezionare un prodotto. Il mio resta il percorso di un musicista che ama suonare. Oggi è sempre più difficile trovare qualcuno che ami suonare. La musica oggi è sempre un più un rumore di accompagnamento. Ormai faccio solo quello che ho voglia di fare, certo fare il musicista in questo modo è un lusso».

Ancora il musicista napoletano: «Vado avanti per la mia strada anche perchè sarei ridicolo se tentassi di adattarmi ai tempi di oggi. La cultura dà fastidio, perchè dove c'è cultura non ci può essere guerra. Oggi pochi sperimentano, al contrario individuano un tema e poi fanno lo svolgimento, l'ho fatto anche io. Ma in questo nuovo disco ci sono le canzoni brasiliane, gli esperimenti con l'elettronica, la canzone napoletana, la musica cubana...».

E infatti questa rinnovata curiosità, questa urgenza di trovare nuovi stimoli si percepisce chiaramente nel disco. Del resto, Pino Daniele ha abituato il suo pubblico, negli ultimi anni, a un vero e proprio nomadismo musicale: le strade battute hanno via via formato un percorso personalissimo che a tratti può averlo anche allontanato dalle origini, dalle proprie radici. Per poi riavvicinarlo alla base, sempre, ma arricchito da un tassello in più.

Dunque canzone napoletana, e poi blues, jazz, fusion, ma anche musica araba, africana, e ovviamente pop, rock’n’roll, suoni e colori caraibici e cubani, hip hop ed elettronica, musica etnica e latina...

Lo confermano queste dieci tracce. «Back home» è un omaggio alle vecchie sonorità del latin blues, «Rhum e coca» profuma di esotismo caraibico, «Il giorno e la notte» racconta l’amore quotidiano, «Ischia sole nascente» è un toccante tributo alle proprie origini, «Passo napoletano» innerva la cultura partenopea di nuove pulsioni elettroniche... È un lungo viaggio musicale verso lidi sconosciuti. Completo di ritorno a casa.


La donna più odiata del rock, cioè Yoko Ono, per festeggiare i 74 anni ha preso una manciata di brani del suo repertorio e li ha affidati ad altrettanti artisti della scena emergente/alternativa americana, da lei scelti personalmente. Ne è venuto fuori questo «Yes I'm a witch» (Emi Virgin), via di mezzo fra un’antologia, una compilation e una sorta di tributo a se stessa.

Il titolo dell’album è preso da una canzone dell’artista giapponese del ’74, qui affidata ai Brother Brothers. Cat Power aggiunge malinconia a «Revelations», Peaches è alle prese con «Kiss Kiss Kiss» (dal mitico «Double Fantasy», del 1980, uscito pochi giorni prima dell’assassinio di Lennon), col famoso orgasmo di Yoko, che denuncia tutti gli anni trascorsi. E poi Le Tigre che reinventa «Sister o sisters» (da «Sometime in New York City») in chiave elettro-funk, Jason Pierce (degli Spiritualized) che stravolge in chiave psichedelica «Walking on thin ice»... E ancora Antony and the Johnsons, Polyphonic Spree, Dj Spooky...

All’interno di un’operazione piuttosto deludente, due belle riletture: «Death of Samantha» (del ’73), che i Porcupine Tree trasformano in una fascinosa ballata acustica, e la reinvenzione di «Cambridge 1969» ad opera dei Flaming Lips, che hanno anche il merito di far sopravvivere l’originale chitarra di John Lennon.

Buone intenzioni, insomma, ma il risultato è uno di quelli che si potrebbero definire «di testimonianza». Da ascoltare con il rispetto dovuto a chi ha avuto la ventura di incrociare la vicenda umana e artistica di uno dei maggiori geni della cultura popolare del Novecento.

Il rapporto fra i due resta un grande mistero. Nata a Tokyo nel ’33, dopo la guerra la famiglia Ono si trasferisce a New York, dove Yoko diventa amica di La Monte Young e John Cage, entra nel gruppo avanguardista Fluxus. Pittrice, fotografa, scultrice, regista. Dal ’68, quando incontra Lennon, con cui il primo frutto artistico è l'album sperimentale «Unfinished Music N. 1: Two Virgins», Yoko Ono è anche musicista. Lui genio, lei avanguardia...


I romani Têtes de Bois da quindici anni coniugano pop, folk, jazz, rock e passione politica. E infatti il loro nuovo disco - che parte da «La leva», un classico di Paolo Pietrangeli - è un progetto musicale anche politico, che parla la lingua antica dell’impegno sociale e civile. «Dignità calpestata, lotta, ingiustizia e riscatto dell’Italia che lavora: alla ricerca di Storie sul camioncino musicale che viaggia nelle fabbriche, nei call center, nei campi di pomodori...». Quattordici tracce, nate dall’esperienza reale di un progetto di indagine e testimonianza artistica nel mondo di chi lavora. Spaziando fra Chico Buarque de Hollanda e Rocco Scotellaro, Piero Ciampi e Giorgio Gaber, e persino «Quarantaquattro gatti»...


Nopop è la neonata etichetta discografica indipendente di Guido Elmi, storico produttore di Vasco Rossi. E questo è il primo disco dell’etichetta. Sette «bands», sei italiane emergenti (i mantovani Terzobinario, i lucchesi Esterina, i romani K’io, i napoletani Spaccailsilenzio!, i veneti Riaffiora, i romani Zero Estensioni Neuronali) e una inglese, gli Amplifier. Per un totale di quattordici brani. Sei mesi di lavoro tra selezione, ideazione e produzione. Uno spaccato della nuova musica pop-rock, soprattutto italiana, del 2007.

Operazione coraggiosa e meritoria. Le case discografiche non investono più sui giovani. E i risultati si vedono.



Il settantenne Pippo Baudo che martedì sera apre il 57.o Festival di Sanremo è il m<IP>iglior simbolo di questa Italia gerontocratica che non va né avanti né indietro. Poco importa che al suo fianco ci sia l’ilare trentenne svizzera Michelle Hunziker, poco importa che per il resuscitato Dopofestival sia stato richiamato in servizio il cinquantenne folletto piemontese Piero Chiambretti. Il Sanremo di quest’anno ha soprattutto la sua faccia. La faccia di Pippuzzo nostro, giunto alla dodicesima conduzione del Festival e all’ennesima resurrezione. Lui, che nel ’68 era già su quel palco, è uno che è capace di imporre la sua debordante presenza e l’estroversa personalità in qualsiasi contesto. Sanremo, poi, è praticamente casa sua...

Ma vediamo le novità del Festival di quest’anno. Eliminate le categorie degli ultimi anni, si torna ai Campioni (venti) e ai Giovani (quattordici). Non sono previste eliminazioni per i primi, mentre soltanto otto dei secondi partecipano alla finale. Martedì e mercoledì: dieci Campioni e sette Giovani per sera (di cui quattro passano il turno), con contorno di ospiti stranieri (Norah Jones, Scissors Sisters, Take That...). Giovedì tutti e venti i Campioni, che propongono la loro canzone in una nuova versione, accompagnati da un collega italiano o straniero. Venerdì finale dei Giovani con proclamazione del vincitore e spazio ai superospiti italiani: Elisa, Franco Battiato, Tiziano Ferro, Gigi D’Alessio, Gianna Nannini, Renato Zero... Sabato finalissima con proclamazione del vincitore, a cui si arriverà mettendo assieme il voto della giuria demoscopica, della giuria di qualità e del pubblico attraverso il televoto.

La settimana scorsa è stata disinnescata anche una piccola grande bomba. Sembrava che il Festival venisse messo a rischio dal comma della Finanziaria che pone un tetto (250 mila euro) ai compensi dei consulenti esterni delle aziende pubbliche e partecipate pubbliche qual è la Rai. E come si fa con i compensi miliardari per il povero Pippuzzo (l’anno scorso Panariello ha preso un milione di euro), per l’ex signora Ramazzotti, per gli eventuali megaospiti stranieri dell’ultimo minuto (400 mila euro l’anno scorso per John Travolta, 350 mila per Mike Tyson l’anno prima...)?

Ma siamo in Italia, signori, dove una soluzione si trova sempre, soprattutto per favorire chi incassa in pochi giorni o minuti cifre con tanti zeri. Non ha importanza se al governo c’è la destra o la sinistra... Ecco allora che l’altro giorno, dopo alcune giornate di trepidazione, è finalmente arrivata la circolare che ha sbloccato la situazione. Si è mosso addirittura un ministro, quello per l'Innovazione e la Funzione pubblica, che ha spiegato che il tetto «non riguarda i professionisti: Pippo Baudo può quindi andare a Sanremo». Il Paese ringrazia. Cgil e Codacons hanno urlato un po’, ma chi vuoi che li ascolti...

Torniamo alle canzoni. Quest’anno dovrebbe vincere quella degli Zero Assoluto, il duo romano che l’anno scorso non ha vinto ma ha sbancato le classifiche con «Svegliarsi la mattina». Stavolta propongono «Appena prima di partire», canzone d’amore rassicurante e fischiettabile, di quelle sussurrate, com’è nel loro stile da fidanzatini in gita scolastica.

Gli altri. Francesco (ex Dj Francesco), per uscire dal target di cantante per ragazzini, ha chiamato in causa il papà, che è Robi Facchinetti dei Pooh. Ne è venuto fuori un duo familiare e questa canzone: «Vivere normale». Lo stesso problema, cioè cambiare pubblico, ce l’ha Paolo Meneguzzi: con «Musica» fa un po’ il verso all’epopea rocchettara degli Europe.

Altra coppia familiare quella dei fratelli Gianni e Marcella Bella, siciliani come il padrone di casa. Non lasceranno traccia. Torna anche Al Bano, che l’anno scorso era dato per sicuro ma poi non venne scelto: si affida a una canzone scritta dal figlio Yari e da Renato Zero. E tornano anche Milva (con un brano di Giorgio Faletti, «The show must go on», che parla di artisti falliti) e Nada, Tosca (che vinse qualche anno fa con Ron e ora propone l’originale «Il terzo fuochista») e Mango.

Ma il ritorno più legato al passato è quello di Johnny Dorelli, che ha appena compiuto settant’anni, ed era già al Festival nei lontani anni Cinquanta: vinse infatti nel ’58 e nel ’59, un po’ all’ombra di Domenico Modugno, con «Nel blu dipinto di blu» e «Piove». Stavolta canta l’elegante «Meglio così», scritta dai quasi ottantenni Gianni Ferrio e Giorgio Calabrese. Spazio ai giovani, insomma.

L’oscar del nome sconosciuto spetta di diritto a Piero Mazzocchetti, ma Baudo garantisce che in Germania è da tempo un’autentica star. Fra i giovani, ma nella categoria dei Campioni, tornano Simone Cristicchi, i rocchettari Velvet e Leda Battisti.

Promettono bene gli Stadio, la canzone d’autore di Fabio Concato, il fascino di Antonella Ruggiero, la voce jazz di Amalia Grè, l’ecletticità di Daniele Silvestri (altro candidato al podio). Ma soprattutto l’outsider Paolo Rossi, il teatrante monfalconese sempre più di casa a Trieste, che propone a sorpresa «In Italia si sta male», testo inedito di Rino Gaetano, il cantautore calabrese morto in un incidente stradale nel 1980: parole, quelle del titolo, che evidentemente valgono in ogni stagione. Dunque anche nell’Italia nel 2007.

giovedì 22 febbraio 2007

PORDENONE Omar Pedrini è uno che ha visto la morte in faccia ma può raccontarlo. Era la sera dell'8 giugno 2004. L’ex leader dei Timoria viveva un momento felice sia da un punto di vista professionale che personale. Quell’anno era stato a Sanremo con «Lavoro inutile» (premio per il miglior testo), aveva partecipato da protagonista al Concertone romano del Primo maggio, la strada da solista sembrava insomma lastricata di belle promesse. Quella sera un malore, lui credeva fosse una congestione, la sua compagna Elenoire Casalegno che lo costringe ad andare in ospedale. Responso: aneurisma aortico in atto, tre minuti per entrare in sala operatoria e riacciuffarlo prima che sia troppo tardi...

«Sono passati quasi tre anni - ricorda Pedrini, bresciano, classe ’67, che domani alle 21 comincia il suo primo vero tour da quell’incidente al Deposito Giordani di Pordenone - e sento che è arrivato il momento di ripartire. Ho fatto due anni di pausa, l’anno scorso è uscito il disco ”Pane burro e medicine», ma questo è il mio vero ritorno dal vivo, in una vera tournèe».

Una prima volta diversa da tutte le altre...

«Certo. L’estate scorsa ho rotto il ghiaccio con il Festivalbar e altre piccole cose. Ma ora riparto sul serio, con l’umiltà di chi vuole ricominciare da zero. Per questo ho scelto di fare all’inizio i club, che ti danno la possibilità di vedere la gente in faccia, da vicino. Voglio vedere se il pubblico si ricorda ancora di me. Non lo dico per falsa modestia. In questo mondo la gente si dimentica subito di chi non appare, non va in televisione, non fa notizia...».

Cosa ha fatto in questi due/tre anni?

«Mi sono preso una salutare pausa. Ho fatto qualche reading dei miei piccoli libri, ho fatto l’autore televisivo, e poi ho sempre continuato a insegnare all’università, alla Cattolica a Milano e a Brescia...».

Che cosa insegna?

«Ho al Dams un corso di contaminazione fra le arti, alla ricerca del filo che unisce la musica, la pittura, il cinema, la letteratura... E poi tengo un laboratorio sulla costruzione della canzone popolare: spiego ai ragazzi tutto il tragitto, dall’ispirazione fino alla canzone sul cd...».

Qual è quel filo?

«Mi piace immaginare l’arte come il più puro dei ghiacciai, e i corsi d’acqua che scendono a valle sono le varie forme di espressione artistica di cui l’uomo è capace. Il mio primo albu, nel ’91, s’intitolava ”Colori che esplodono”. Già lì parlavo di musica, ma anche di pittura, di letteratura...».

C’è differenza fra il pubblico dei concerti e gli studenti dell’università?

«In effetti poca. Mi chiamano ”il professore rock”. Ho fatto scoprir loro la Beat Generation. Il rock ha fama di musica ignorante, tipo sesso sudore ed energia. Ma nelle corde di tanti rockettari, anche illustri, c’è l’interesse per l’arte, per la cultura».

A Sanremo ci tornerebbe?

«Non sono snob, né faccio l’eremita. Se mi invitano da qualche parte ci vado, basta non scendere sotto certi livelli. Odio le cose volgari. Sanremo in Italia è uno dei pochi posti dove puoi presentare un lavoro. Non ci sono tante alternative».

È vero che porta il nome di Sivori?

«Sì, mio padre era un suo tifoso: l’ultimo artista del pallone. Ma il calcio ha perso la sua poesia. È stato avvelenato dal denaro. Io preferisco il rugby...».

domenica 18 febbraio 2007

di Carlo Muscatello

TRIESTE «Mi devo calmare, in fondo sono soltanto un comico...». Beppe Grillo se lo dice da solo, ma ormai lo sa lui per primo, che non è vero. E lo sanno i settemila che ieri sera hanno affollato il PalaTrieste per la seconda tappa del suo nuovo tour, dopo il debutto della sera prima a Pordenone.

Titolo dello spettacolo: «Reset». Come dire ricominciare tutto daccapo, ripartire dal basso, chiudere con i potenti della politica, dell’economia, delle banche. Formare piccoli gruppi di persone capaci di incidere nelle piccole realtà su grandi temi come il lavoro, l’energia, l'ambiente, i rifiuti, l’informazione, la Rete... Perchè «la democrazia è conoscenza». Uno spettacolo che, unito allo straordinario seguito del suo blog, porta a compimento la mutazione di Grillo: ieri comico, poi fustigatore di costumi, oggi informatore, forse domani guru e magari capopopolo.

Sbuca dalle retrovie una manciata di minuti dopo le ventuno. Luci ancora accese in sala, chiede: «Possiamo andare...?». Vede subito un neonato in braccio alla mamma e lo punta: «Poverino, neanche una babysitter ti hanno trovato. E pensa, tu hai già un debito di 23 mila euro...». Serve giusto per scaldare l’atmosfera. Poi lancia subito la sua proposta: «Voglio che questo palasport diventi un palazzo della ragione, come avveniva in passato, nelle antiche democrazie. Mica come ora, che le decisioni importanti vengono prese senza i cittadini, che sono invisivibili...».

Parte subito la prima di una lunga serie di stoccate e battutine al sindaco. «Dov’è Dipiazza, so che c’è, lui è uno che deve apparire...». Ci mette un secondo a identificarlo, seduto nella stessa fila col suo vice e il portavoce, ognuno con rispettiva signora. «E Illy? Quello va, viene, scompare, ogni tanto dice qualcosa sul rigassificatore...».

Grillo racconta dello studioso triestino che da Miramare studia e protegge il colibrì («uno che impollina duemila fiori al giorno, mica come Dipiazza, che ne stenta una alla settimana... ops, mi scusi signora...»). Sindaco e governatore l’anno scorso gli avevano promesso dei finanziamenti, non è successo quasi nulla. «Mi ha scritto dal Perù, pare che Dipiazza gli abbia mandato cinquemila euro della vostra Ici...».

Il tempo di una puntatina sull’attualità di giornata («A Vicenza si aspettavano i morti, invece sono andate le mamme e non è successo niente: c’erano duecentomila persone, per la questura milledue...»), e il nostro si risistema davanti alla fila degli amministratori locali: «Napolitano ha fatto quel discorso. Io dico basta con la Giornata del ricordo, della memoria. Voglio una Giornata del futuro. Ci vuole coraggio per dimenticare, per andare avanti, per non finire come israeliani e palestinesi che continuano ad ammazzarsi per una striscia di deserto...».

Si gira e sibila a un signore: «Siete tanti, non morite più. Siamo il popolo più vecchio del mondo: o troviamo un nuovo sistema delle pensioni, o ci serve un modo per farne fuori un po’. Magari li facciamo girare davanti al vostro inceneritore...».

Di nuovo attualità con i brigatisti che si nascondevano nel sindacato. «Non voglio essere frainteso, ma come fa un sindacalista, che è un conservatore, un osservatore del mondo del lavoro, a diventare brigatista?». Sul megaschermo scorre la lista dei 246 morti sul lavoro nel 2006. «Caduti sul lavoro? No, assassinati sul lavoro. In questo paese dov’è normale che la Cia prenda uno, lo porti in Egitto e lo torturi per quattro anni. Segreto di Stato? Ma qui non c’era nessun segreto e forse non c’è neanche lo Stato...». L’applauso che parte è più forte dei precedenti.

Si continua con i «Meetup» (ne parliamo nell’articolo qui sotto), Grillo chiama alcuni rappresentanti del gruppo triestino: presentano un breve filmato che parla della ferriera di Servola, dell’inceneritore, delle polveri sottili, del problema dei rifiuti, della raccolta differenziata. Si parla di pannolini («occupano il 20 per cento delle discariche...»), degli assorbenti femminili, di soluzioni ecologiche e riutilizzabili. «I rifiuti sono un problema culturale. Anzi, i rifiuti siamo noi...».

Da lì al discorso sulle fonti di energia il passo è breve. «Per il gas abbiamo scelto di dipendere dal Kgb, da Putin, che se dici qualcosa che non gli va ti manda un po’ di polonio...». Si rifionda da Dipiazza, più volte bersagliato nel corso della serata: avvicina le mani alla sua pelata (rilanciata in primo piano sul megaschermo) come se fosse una sfera di cristallo e sibila: «Vedo un futuro strano, molto strano...».

Poi attacca questa «sinistra che è quasi peggio della destra. Ci avevano promesso che avrebbero tolto le leggi ad personam di Berlusconi, ma non ci avevano detto che alla giustizia avrebbero messo Mastella. Se no col cavolo che li avremmo votati. Basta! Io non voglio che le mie tasse vadano a questi cialtroni truffatori...». E continua: «Sono andato da Prodi. Gli ho portato dei problemi. Lui ha chiuso gli occhi e ha sorriso. Ho chiesto al portavoce se stava male. Mi ha detto che fa sempre così. È finita che abbiamo preso una camomilla gigante...».

Grillo è scatenato. Ora tocca all’informazione, al Tg3 e a Repubblica «che danno le notizie a metà, tralasciando la parte più importante». Mentre all’estero c’è già il giornale elettronico, e il New York Times ha annunciato che forse fra cinque anni sparirà l’edizione cartacea e uscirà solo sul web. Tocca alla Rai, ai suoi dodicimila dipendenti: sul megaschermo la lunga lista degli assunti che guarda caso sono figli, fratelli e sorelle, mogli e mariti, nipoti e cognati di politici o altri dipendenti...

Ma tutto questo mondo, azzarda il comico-guru, potrebbe finire. Anche grazie a quello straordinario strumento di democrazia diretta che è la Rete, col suo blog celebrato a livello internazionale, che in un anno si è insediato fra i primi quindici al mondo. «Dobbiamo resettare tutto, basta con gli intermediari...».

Ancora dalla Rete. Il mercato e il mondo parallelo di Second Life, il vettore di telefonia gratuita Skype, le nuove tecnologie Wi-Max. Lascia a Dipiazza un’antenna e implora: «Diventate un Comune virtuoso...». «E noi continuiamo con Buttiglione, con Bertinotti, con D’Alema che dice: il primo computer senza coperchio lo compro...». Dopo un’ora e mezzo l’uomo ha bisogno di un po’ d’acqua. Poi vede un tale e si riprende subito: «Una bretella così non la vedevo da anni...».

Il discorso vira sulle banche, sui costi medi dei servizi bancari che in Italia sono ovviamente i più cari (con annessa scheda esplicativa sul megaschermo). E le offerte di credito al consumo che nascondono trappole da usuraio. E il sito inglese «Zopa.com» dove è possibile prestare o ricevere in prestito denaro senza passare attraverso la mediazione delle banche. E ancora i nostri venticinque parlamentari condannati con sentenza passata in giudicato, e Telecom, e Tronchetti Provera, e...

A Trieste, quasi due ore filate di spettacolo. Col solito trionfo di pubblico, per quello che ieri era un comico e da tempo è qualcosa di diverso. Beppe Grillo sarà domani e<WC1> martedì al palasport Carnera di Udine e giovedì nuovamente al palasport di Pordenone. E sempre su www.beppegrillo.it

sabato 17 febbraio 2007

Stasera il suo tour debutta a Brescia. Domani sera sarà già nella nostra regione, per un concerto al Deposito Giordani di Pordenone, che avrà inizio alle 21. Stiamo parlando di Luca Carboni, quarantaquattrenne cantautore bolognese, di cui è uscito da pochi mesi il nuovo album «...Le band si sciolgono». Tour e album arrivano a cinque anni di distanza dai precedenti. Un periodo di silenzio piuttosto lungo, per un musicista...

«Sì, anche se discograficamente era uscito un ”live”. Ma in effetti avevo bisogno di pausa, di staccare con tutto, anche perchè nel frattempo sono diventato papà di Samuele: avevo semplicemente voglia di starmene a casa, con lui, in famiglia... C’era questa esigenza di rallentare i meccanismi che altrimenti sono abbastanza pesanti».

Pannolini a parte, che ha fatto?

«Mi sono preso del tempo per me, e mi sono anche dedicato molto al disegno, alla pittura, che dopo la musica sono la mia grande passione. Nel 2004 ho anche pubblicato un libro di miei disegni, intitolato ”Autoritratto”...».

Tanti musicisti dipingono, da Joni Mitchell a Patti Smith al nostro Battiato: per lei c’è un legame fra le due forme espressive?

«Forse chi ha un rapporto con la musica e le parole sente a volte il bisogno di una forma d’espressione più silenziosa. Chissà... Io comunque mi sono avvicinato alla pittura con grande umiltà, non penso a mostre o cose del genere, anche se mi piacerebbe prima o poi dipingere un quadro vero e proprio...».

Intanto, nel nuovo spettacolo...

«Purtroppo a Pordenone lo spettacolo arriva nella versione senza immagini. Nelle date successive, nei teatri, alcuni miei disegni verranno proiettati su dei maxischermi a forma di arco sistemati sul palco. Quasi dei supporti alle canzoni. Una sorta di gioco visivo legato alla pop art che amo, al surrealismo. Punto a farne venir fuori un racconto complessivo di musica e immagini, figlio di questi nostri anni...».

Le manca la dimensione del concerto?

«Beh, un po’ sì. Sono passati diversi anni. Per chi suona il concerto è una necessità anche fisiologica, e poi il rapporto col pubblico è sempre un momento di verifica della propria musica. Soprattutto dopo due anni passati in sala d’incisione...».

Di solito lei non era così lungo nella realizzazione di un disco...

«È successo che stavolta ho deciso di produrmi da solo e di suonare io quasi tutti gli strumenti. Una specie di viaggio in solitario, per giungere alla costruzione di un disco davvero tutto mio, che ha necessariamente richiesto più tempo».

Perchè questa scelta autarchica?

«Perchè io sono un autarchico. Penso che si debba condividere le proprie cose, ma partendo sempre dalla consapevolezza della propria solitudine. Una solitudina mai fine a se stessa, ma necessaria per affrondire le cose. Il gruppo dev’essere un insieme di personalità distinte...».

È per questo che, come nel titolo, «le band si sciolgono»?

«Quella frase, estrapolata dal brano ”Le band”, è in realtà una condanna dell’individualismo, nel mondo della musica ma anche più in generale nella società. A prima vista la frase sembra negativa e ironica, in realtà trasmette speranza: dà l’idea del tempo che passa e delle cose positive che intanto accadono...».

Lei ci va ancora a vedere il suo Bologna?

Ho l’abbonamento, ma non riesco ad andarci sempre. Quando vado, trovo spesso Morandi, Dalla, Mingardi... Un bel gruppo. Anche se non è più il calcio che tutti abbiamo amato. Quel ragazzino che cantavo anni fa, con ”la maglia del Bologna sette giorni su sette”, amava il gioco del pallone, il cortile, non conosceva una realtà fatta di stadi, tifosi, violenza... Quando cresci ti accorgi che la realtà è diversa da come te l’eri immaginata, in tutti i campi...».

Il tour di Luca Carboni, che domani sera fa tappa a Pordenone, ha come supporter il cautautore Rosario Di Bella, di cui esce in questi giorni l’album «Negozio della solitudine». In alcune tappe potrebbero arrivare a sorpresa Tiziano Ferro, Pino Daniele e Gaetano Curreri degli Stadio, che sono stati ospiti del disco del cantautore bolognese. Di Luca Carboni è appena arrivato in libreria «Segni del tempo» (Aliberti editore), carrellata di suoi momenti personali e artistici raccolti dalla penna di Massimo Cotto.

domenica 11 febbraio 2007

«Tempo non c'è tempo sempre più in affanno, inseguo il nostro tempo vuoto di senso senso di vuoto, e persone quante tante persone un mare di gente nel vuoto...». E sotto un tappeto di suoni intricati e nevrotici come i tempi in cui viviamo. Signori, è tornato Franco Battiato, uno dei pochi artisti di casa nostra che ha ancora qualcosa da dire. Uno che tiene sempre gli occhi aperti sulla realtà e il cervello inserito con le altre funzioni vitali. Uno che si permette il usso di fare un disco - o un film, o un quadro... - soltanto quando ha qualcosa da dire. Altrimenti se ne sta nel suo buen retiro a Milo, alle pendici dell’Etna. O se ne va in giro per il mondo, preferibilmente verso Oriente. I versi sono quelli che aprono «Il vuoto», brano che dà il titolo al suo nuovo album, pubblicato dalla Universal.

Lavoro scritto ancora una volta in collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro (i due, dopo anni di collaborazione e frequentazione, si danno ancora del lei...). Sezioni di archi registrate dalla Royal Philarmonic Orchestra agli Olympic Studios di Londra. Iniezioni di contemporaneità garantite dalle Mab, ragazze sarde trapiantate a Londra, band hard rock tutta al femminile («Le conosciute durante il mio concerto agli Arcimboldi, a Milano, sono venute a trovarmi nel camerino e poi a Londra ho chiesto alle due chitarriste di provare a cantare nel singolo ”Il vuoto”...»), dai Fsc di Davide Ferrario, che parteciperanno a Sanremo fra i giovani, e dalle ritmiche computerizzate di Pino «Pinaxa» Pischetola.

Un album nel quale Battiato torna ad affrontare le patologie del quotidiano, stretto tra «il vuoto di senso» dell'esperienza sociale e «il senso di vuoto» di quella personale, che spesso si trasforma in un cieco e inutile iperattivismo. Il segreto: «Guardare una cosa come se fosse la prima volta».

Battiato disegna con le note uno scenario colmo di nuvole, un mondo contemporaneo dove si cerca disperatamente un punto di riferimento a cui aggrapparsi. Il vuoto che viviamo - dice - è una grande scatola che può essere riempita con qualsiasi cosa. È l'alienazione, la perdita di tempo di chi è bloccato nel traffico per ore, rinchiuso in pochi metri di lamiera, è lo stress e il tempo che scorre, è la cronaca con la violenza negli stadi.

«La prima causa - sostiene il musicista siciliano - è la famiglia incapace di dare una corretta educazione e poi il fatto che oggi si scambia il significato di democrazia col fare quello che si vuole».

L'album descrive un percorso circolare, l’inizio e la fine si mescolano, proprio come il tempo e lo spazio, il passato e il futuro, l'inglese e il latino, il rock e il pop... Unico punto fermo è l'individuo nel suo essere differente da ogni altro, «tutto il resto non conta». Dice Battiato: «Ognuno deve trovare il suo specifico, il vero miracolo è che siamo tutti diversi: io considero solo l'individuo, il resto non conta».

I nove brani: «Il vuoto», «I giorni della monotonia», «Aspettando l'estate», «Niente è come sembra», «Tiepido aprile», «The game is over», «Era l'inizio della primavera», «Io chi sono?» e «Stati di gioia».

«Niente è come sembra» è anche il titolo del suo terzo film dopo «Perduto Amor» e «Musikanten». Titolo ispirato a una frase del Buddha: «È un dialogo teologico che non concede nulla alla meccanica cinematografica tradizionale e, quindi, provoca allo spettatore un piccolo trauma...». Uscirà a metà marzo.


La festa e la tradizione del Carnevale di Venezia sono i protagonisti del nuovo cd di Angelo Branduardi, «Futuro Antico IV - Venezia e il Carnevale» (Emi). «Futuro antico è un paradosso - dice il musicista - ma a me piacciono i paradossi. Perchè facendo un passo indietro, si rischia di farne tre avanti...». Il cd è il nuovo capitolo della ricerca musicale che da anni Branduardi sta portando avanti: in questo caso il musicista, con l'Ensemble Scintille di Musica, diretto da Francesca Torelli, ha riletto pagine dei maestri di Cappella veneziani del XVI e XVII secolo (Monteverdi, Bellaver, Banchieri, Corradi...) che si possono considerare la base del Carnevale di Venezia.

C’è anche «Buonanotte fiorellino», la classica filastrocca di De Gregori, nel nuovo album degli Inti Illimani, intitolato «Pequeno Mundo» (Alabianca - Warner). Dopo il «best» pubblicato lo scorso anno, nel quarantennale del gruppo cileno, Jorge Coulon e i suoi nuovi compagni propongono un album di inediti. «Un lavoro controcorrente - spiega Coulon - perché noi crediamo ancora in un artigianato musicale, che molte persone perseguono in tante parti del mondo e in America Latina, e la cui dimensione speriamo non venga mai persa. E un grande contributo è venuto dai giovani musicisti del gruppo, che lavorano con competenza e sensibilità».

I Rio sono famosi soprattutto per essere il gruppo di Marco Ligabue, fratello minore del «Liga». Dopo «Mariachi Hotel», uscito nel 2004, ora si ripropongono con «Terra luna e margarita» (Riservarossa - Warner). Dieci brani, fra cui le già apprezzate «Come ti va» e «La vita è perfetta», che confermano la band come una bella nuova realtà del panorama pop-rock italiano. Dicono: «La Terra è elemento che ci lega alle radici, alla vita di tutti i giorni; la Luna è l’elemento che continua a farci sognare, a galleggiare sopra un letto di nuvole; il Margarita ci riporta ai sapori e ai colori del Messico, terra di festa dove si viaggia a un ritmo blando...». Il 9 marzo i Rio suonano a Pordenone, al Deposito Giordani.


BUSCAGLIONE Era il ’56, alla radio suonavano «Che bambola». Canzone rivoluzionaria per l’epoca. Voce di Fred Buscaglione, parole del suo amico Leo Chiosso. Swing e ironia a tutta forza... L’alchimia era perfetta, ma durò poco: fino alla morte di Buscaglione in un incidente d'auto nel 1960. In questo cofanetto ritorna quell’epoca. Nel libro di Chiosso «I giorni di Fred» si ripercorre la storia autobiografica di un'amicizia nata sotto i portici della splendida Torino di fine anni Quaranta, che si trasformò in un eccezionale sodalizio artistico nel dopoguerra. Il dvd raccoglie tutte le sue apparizioni ed esecuzioni video di Buscaglione: «Eri piccola così», «Whisky facile», «Ninna nanna del duro», «Il dritto di Chicago», «Che notte»...


ERRI DE LUCA L’affascinante progetto teatrale - con lo scrittore Erri De Luca, il cantautore Gianmaria Testa e il musicista Gabriele Mirabassi - diventa un libro-dvd. La cantata a tre voci, nata al tavolino tra i tre artisti, si sposta a teatro, sul palcoscenico, e diventa un omaggio ai sognatori che non si arrendono, a quelli che si fanno coinvolgere, che non sono mai spettatori passivi di quanto accade. A quei seguaci delle cause perse che proprio in quanto tali sono invincibili. Ai migratori, agli innamorati, ai prigionieri, ai suicidi... Nelle parole di Erri De Luca «invincibile non è chi sempre vince, ma chi mai si fa sbaragliare dalle sconfitte. Invincibile è chi da nessuna disfatta, da nessuna batosta si fa togliere la spinta a battersi di nuovo...».

 Doveva arrivare due mesi fa. Poi il concerto è stato rinviato. E il tour di Ivano Fossati fa dunque tappa domani sera alle 21 al «Nuovo» di Udine. Uno dei padri nobili della nostra canzone d’autore torna dunque nella nostra regione con lo stesso «L’Arcangelo Tour» che nel maggio dell’anno scorso, all’inizio della lunga serie di concerti seguita alla pubblicazione dell’album «L’Arcangelo», aveva suonato a Pordenone.

Nella scaletta non mancano i classici («Panama», «La pianta del tè», «Lindbergh», «Smisurata preghiera» scritta con De Andrè, l’omaggio a Tenco con «Ragazzo mio»...) e le canzoni di impegno civile che da tempo caratterizzano la produzione del cinquantaseienne cantautore genovese: da «Mio fratello che guardi il mondo» a «Il disertore» («Ma io non sono qui, egregio presidente, per ammazzar la gente più o meno come me...»), fino ovviamente alla più recente «Cara democrazia», stringata ballata rock ma anche lucida e appassionata esortazione civile nonchè atto d’accusa politico giunto l’anno scorso, quattordici anni dopo «La canzone popolare» che era stata presa a prestito dalla prima stagione dell’Ulivo.

Parole pesanti, quelle di «Cara democrazia»: «Sono stato al tuo gioco anche quando il gioco si era fatto pesante, così mi sento tradito, o sono stato ingannato, mi sento come partito e non ancora approdato, sento un vuoto, sento un vuoto al mio fianco, e nessuna certezza messa nero su bianco...».

Parole che Ivano Fossati ha spiegato così: «Mi sono reso conto, leggendo anche i giornali stranieri, che c'è una preoccupazione in giro per il mondo. Quella dello svuotamento delle parole. Si fanno dei sensatissimi dibattiti tra persone serie, tra persone preoccupate, in Francia o in America, su questo svuotamento dall'interno della parola democrazia e della parola libertà. Sembra, e sottolineo sembra, che queste parole contengano meno di prima. C'è il timore che questi termini tanto sbandierati alla fine si riducano a un simulacro e poi contengano altro...».

Sono giorni duri - canta Fossati - «sono giorni bugiardi, cara democrazia ritorna a casa che non é tardi, non sai con quanta pazienza ho dovuto aspettare, non sai con quanta buona fede sono stato ad ascoltare...». Uno di quei casi in cui un’opera dell’ingegno, della creatività artistica, in questo caso un’opera di quell’arte povera che è la canzone, vale più di un discorso politico.

Anche grazie a brani come questi, e a dischi come «L’Arcangelo», Fossati - in carriera dal ’71, quando esordì come cantante e flautista dei Delirium - è oggi la figura più alta della canzone d’autore italiana. Un motivo in più per andare a vederlo.

Con lui, domani sul palco, Pietro Cantarelli (tastiere), Fabrizio Barale e Riccardo Galardini (chitarre), il figlio Claudio Fossati (batteria), Daniele Mencarelli (basso), Mirko Guerrini (fiati e tastiere), Marco Fadda (percussioni).
UDINE L’unico concerto italiano del tour 2007 dei Red Hot Chili Peppers si terrà giovedì 28 giugno allo Stadio Friuli di Udine. E possiamo star certi sin d’ora che l’appuntamento con la band californiana - l’annuncio non è ancora stato dato ma la notizia è sicura - sarà il grande evento musicale della prossima estate nel Friuli Venezia Giulia. Di più: è la prima volta che la nostra regione ospita l’unica tappa italiana del tour mondiale di un artista o gruppo di fama planetaria quali sono da anni John Frusciante e compagni. Di solito, quando il concerto italiano è uno solo, la città prescelta è Milano, Roma, al massimo Torino, Bologna, Verona... Stavolta tocca a Udine, che ultimamente era stata un po’ snobbata dagli organizzatori, e gli spettatori arriveranno da mezza Europa, oltre che dal resto della penisola.

Fra l’altro, proprio questa notte (per la precisione alle due del mattino di domani, in diretta ed esclusiva per l’Italia su Music Box, tv interattiva sul canale 821 di Sky e sul canale 121 di Fastweb), allo Staples Center di Los Angeles, nel corso della cerimonia di consegna dei Grammy Awards, i Red Hot Chili Peppers riceveranno almeno qualcuno dei prestigiosi Oscar della musica, considerato che hanno ricevuto ben sei nomination (solo Mary J. Blige ne ha ottenute di più: otto), fra cui miglior album, miglior canzone e miglior video.

Merito del successo del loro nono album in studio, il doppio «Stadium Arcadium», uscito nel maggio scorso, ormai vicino ai dieci milioni di copie vendute, che hanno portato a quota sessanta milioni le copie di album vendute in tutto il mondo nel corso della loro lunga carriera.

Considerati la miglior rock band degli ultimi vent’anni (forse soltanto gli U2 tengono loro testa), i «Red Hot» affascinano milioni di giovani in tutto il mondo grazie alla loro miscela trasversale ed esplosiva fatta di rap e punk, funk e rock, pop e melodia. Rabbia e passione possono essere considerate la loro cifra stilistica.

Si sono formati a Los Angeles nei primissimi anni Ottanta, diventando in breve un gruppo di culto grazie soprattutto alle loro performance dal vivo. All’inizio erano solo quattro ragazzi dalla Fairfax High School: il bassista Michael «Flea» Balzary, il cantante Anthony Kiedis, il batterista Jack Irons e il chitarrista Hillel Slovak. E si chiamavano Tony Flow and the Miraculously Majestic Masters of Mayhem.

Il primo album, intitolato semplicemente «Red Hot Chili Peppers» e non baciato dal successo, esce nell’84. Sono gli anni in cui dal vivo i «ragazzacci» si presentavano spesso nudi e coi calzini infilati sui genitali... Seguono «Freaky Styley» (’85), «The Uplift Mofo Party Plan» (’87) e il minialbum «Abbey Road» (’88), con copertina-parodia dell’omonimo album dei Beatles. Una tragica pausa, seguita alla morte per overdose di Slovak. Irons lascia. Kiedis e Flea incontrano il chitarrista John Frusciante e il batterista Chad Smith (quest’ultimo trovato grazie a un annuncio su un giornale...) e l’avventura riparte.

Nell’89 esce «Mother's Milk», album di inediti seguito da un lungo tour. E nel ’91 il contratto con la Warner, l’uscita di «Blood Sugar Sex Magik» (un milione di copie vendute), e la fama del gruppo arriva anche in Europa. L’energia del loro rock, la miscela fra rap e funky, la rilettura attualizzata di stilemi del rock anni Settanta fanno schizzare il gruppo - che ormai ha sviluppato uno stile proprio - ai vertici delle classifiche e del gradimento dei giovani di mezzo mondo.

Il resto è storia di ieri, quasi di oggi. Anche l’uscita dal gruppo di John Frusciante nel ’92 (sostituito prima da Jack Marshall e poi da Dave Navarro, ex Jane’s Addiction) non cambia la situazione. Nel ’95 esce «One Hot Minute», nel ’98 esce Navarro e rientra Frusciante, il ’99 è l’anno di «Californication» (primo in Italia per nove settimane di fila), che con i suoi quindici milioni di copie è il loro album più venduto.

Estate 2002: esce «By the way», lavoro introspettivo, di grande intensità. E dopo le due raccolte («The greatest hits» nel 2003, «Live in Hyde Park» nel 2004), l’anno scorso è arrivato il citato «Stadium Arcadium», considerato da molti il miglior disco del 2006. Ventotto canzoni nuove distribuite in due cd, intitolati rispettivamente «Jupiter» e «Mars», e trainate dal singolo «Dani California».

In origine le canzoni dovevano essere trentotto, contenute in tre album separati, usciti a sei mesi di distanza l’uno dall’altro. Poi è stata fatta una scelta diversa. Con risultati di tutto rispetto: è stato il primo disco del gruppo a debuttare al numero uno delle classifiche statunitensi e di altri 26 paesi, fra cui l’Italia. E solo nella prima settimana ha venduto più di un milione di copie.

Quello che arriva il 28 giugno a Udine è la ripresa di un tour biennale, che nel 2006 ha toccato gli Stati Uniti e l’Europa (con tappa anche a Milano) e nella seconda metà di quest’anno punterà anche su Giappone e Australia.

Da segnalare ancora che giugno sarà un mese rock nel Triveneto anche grazie al concerto dei ricostituiti Who all’Arena di Verona lunedì 11 giugno (unica data italiana del tour). E alla decima edizione dell'Heineken Jammin' Festival, che dopo nove edizioni lascia Imola e approda a Venezia, al parco San Giuliano: quattro giorni con un cast che va dai Pearl Jam agli Aerosmith, e la giornata finale affidata a Vasco Rossi. Ecco il programma, peraltro ancora suscettibile di modifiche: 14 giugno Iron Maiden, Slayer, Stone Sour, Papa Roach; 15 giugno Pearl Jam, Linkin Park, The Killers, My Chemical Romance; 16 giugno Aerosmith, Smashing Pumpkins, Incubus; 17 giugno Vasco Rossi e J Ax. Prevendite dei biglietti (40 euro per una giornata, 140 euro per tutto il festival) già in corso su TicketOne.

venerdì 9 febbraio 2007

TRIESTE Entrano in scena uno col tamburo e l’altro con i piatti, cantando «Cosa aspettate a batterci le mani...». Entrano in scena come due saltimbanchi, e vien da pensare: ma chi l’ha detto che una minestra riscaldata non può essere più gustosa, più saporita, più fresca di un elaborato piatto cucinato lì per lì?

Fuor di metafora gastronomica, Cochi (Ponzoni) e Renato (Pozzetto) ieri sera hanno presentato al Politeama Rossetti il loro nuovo spettacolo «Nuotando con le lacrime agli occhi», riscuotendo un successo di pubblico notevole. Ai più giovani bisognerebbe spiegare che quei due, a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, hanno contribuito a rivoluzionare la comicità di casa nostra, partendo dal Derby di Milano e finendo nel sabato sera di Raiuno (che allora era semplicemente il primo canale...). Declinando la comicità in musica ben prima degli Skiantos e di Elio e le Storie Tese. Nel ’75, all’apice del successo, toccato con la canzone «E la vita l’è bela» (scritta come altre dal loro antico sodale Enzo jannacci), i due si separano. Pozzetto diventa una star del cinema italiano, quello dei grandi incassi. Ponzoni fa una scelta più defilata: un po’ di cinema anche lui, ma soprattutto teatro.

Passano più di vent’anni, i due fanno ognuno la sua strada ma non si perdono mai di vista. A Pozzetto ormai offrono solo le comiche con Villaggio, Ponzoni un giorno è a Trieste - sì, proprio a Trieste... - per le sue cose teatrali, va in un grande magazzino e una commessa lo guarda con gli occhi sbarrati e gli dice: «L’ho riconosciuta, sa, mi scusi, ma ero convinta che lei fosse morto...». Anche da lì, forse, la voglia di rifare qualcosa di visibile dal grande pubblico, in un mondo dello spettacolo in cui se non vai in televisione non ti vede nessuno. Anzi, pensano che tu sia morto...

Ecco allora la coppia che si ricostituisce. Qualche anno fa il programma tivù «Nebbia in Val Padana», poche settimane fa «Stiamo lavorando per noi». Dovevano andare anche a Sanremo, ma la loro canzone («Finché c’è la salute», storia di due cantanti che dicono che canteranno fino alla morte...) non è stata accettata. Poco male, darà il titolo al loro nuovo album.

Intanto Cochi e Renato si consolano con questo tour, passato ieri sera da Trieste. Uno spettacolo di «canzoni e ragionamenti», una performance musical-cabarettistica frizzante e gradevole, in perfetto equilibrio fra passato e presente. La loro comicità stralunata si è adattata ai tempi ma di fatto è rimasta uguale, basata sempre sull’assurdo, sul surreale, sul nonsense. Certo, i versi di alcune canzoni (da «Silvano» a «La canzone intelligente», da «Libe-Libe-Là» a «Come porti i capelli bella bionda» e «L’uselin de la comare», proposte fra i bis) come anche le frasi dei loro sketch storici (dal maestro con l’alunno al prete che dice messa...) vengono riletti e aggiornati con nomi e riferimenti presi dalle cronache di oggi. Ma mantengono il sapore e le movenze del vecchio cabaret trasportato tanti anni fa sul piccolo schermo, in un’Italia che non c’è più.

«Nuotando con le lacrime agli occhi», la canzone scritta con Jannacci che dà il titolo allo show, proposta ieri in chiusura di primo tempo, fa invece storia a sé. Racconta con un sorriso di uno dei drammi più dolorosi del nostro tempo: l’odissea degli extracomunitari che sbarcano sulle coste del nostro Sud, a cercare un mondo e una vita migliore che non troveranno. I due la mettono in scena «come un videoclip», con Cochi che «nuota» in delle vaschette sistemate sul palcoscenico...

E quando nel finale intonano che «La vita l’è bela, l’è bela, basta avere un’ombrela...», si svela - per modo di dire - anche il significato di quel grande ombrello disegnato sul sipario trasparente che divide Cochi e Renato dai sette romagnoli dei Goodfellas che li accompagnano con brio e swing. Al Rossetti, come si diceva, successo affettuoso e caloroso.

domenica 4 febbraio 2007

Paolo Rossi che torna a Sanremo, tredici anni dopo, è una delle sorprese del Festival che comincia il 27 febbraio. Nella macedonia tuttifrutti preparata dal redivivo Pippo Baudo, quella del comico monfalconese di nascita e milanese d’adozione - che ultimamente è sempre più spesso a Trieste - promette di essere una boccata d’ossigeno. Anche grazie al fatto che proporrà un inedito di Rino Gaetano.

Rossi, ma che fa: torna sul luogo del delitto?

«Se intende Sanremo, io quella volta con Jannacci non ho mica ammazzato nessuno. Fino all'ultimo io e Enzo scherzavamo, poi il clima della competizione era così contagioso che per un attimo ci abbiamo creduto anche noi. Quando ci hanno detto "tra un minuto in scena", ci siamo quasi dimenticati il testo. E sul palco abbiamo anche sbagliato le parole...».

Tutti parlano male del Festival, ma...

«Se anche per il Teatro Ariston reggesse la metafora del ristorante, a chi mi dice perchè vai in quel posto dove si mangia così male, io risponderei: io ci vado, sì, ma a fare il cuoco, e spero di farlo bene. Il problema, poi, è per chi in quel ristorante ci deve mangiare...».

Metafore e battute a parte, perchè ci torna?

«Per me andare a Sanremo presuppone che ci sia una storia dietro, senza la quale ovviamente non accetterei di partecipare. Visto fra l’altro che faccio l’attore, anzi, il comico, e non il cantante...».

Anche se lei ha fatto dei dischi, anche se nei suoi spettacoli la musica ha un ruolo importante...

«Certo, sin dal mio primo ”Chiamatemi Kowalski” la musica è sempre stata presente, ma non mi considero né un musicista né un cantante. Diciamo che mi diverto. Ma non è che mi interessa andarci per vendere i dischi. Pensi che l’altro giorno ho comprato un cd e mio figlio mi ha detto: ma sei scemo, compri ancora i cd, sarete rimasti in tre a comprarli...».

D’accordo, torniamo a Sanremo. Diceva che ci dev’essere una storia dietro.

«Appunto. Nel ’94 Enzo Jannacci aveva voglia di fare una cosa in due a Sanremo. Mi propose quella canzone, ”I soliti accordi”, e per me fu un grande onore e un enorme divertimento duettare con lui».

Quest’anno, invece...?

«C’era questa storia su Rino Gaetano che è venuta fuori all’improvviso e mi è piaciuta. La sorella del cantautore (nato nel ’50 a Crotone, morto nell’81 a Roma in un incidente stradale - ndr) aveva trovato durante un trasloco questa cassettina con sopra una scritta a mano. L’ha data a Claudia Mori, che stava producendo una fiction su Gaetano. Lei ne ha parlato con Mauro Pagani, che mi ha chiamato, mi ha spiegato la cosa e fatto sentire la registrazione...».

Il brano l’ha convinta subito?

«Sì, mi ha emozionato e commosso. Al di là che io ero un fan di Rino Gaetano, trovo che sia una canzone ancora assolutamente attuale. Nelle sue cose lui giocava spesso sui non-sense, per vari motivi era uno fuori dalle regole. Lui ha fatto uscire nello stesso periodo ”Nuntereggaepiù” e ”Gianna”. Era il ’78, e portò la seconda canzone proprio a Sanremo, ma per quel che ne so io magari avrebbe preferito portare al Festival la prima, che era molto più controcorrente ed è ancora attuale...».

Come è attuale, almeno nel titolo, anche questa «In Italia si sta male» che lei canterà...

«Da quello che ho capito, la canzone dev’essere dello stesso periodo, fine anni Settanta. Sì, è ancora attuale e non solo nel titolo. Una ballata delle sue, evocativa, di grande impatto, con tante immagini del nostro Paese, che potrebbe essere stata scritta anche oggi. Credo abbiano chiamato me, che sono un attore, proprio perchè non essendoci più l’autore, è il modo in cui porgi la canzone che ti dà il senso delle cose».

Sarà dunque un’interpretazione teatrale...

«Sì, nel solco dei tanti attori che cantano. Perchè non è la prima volta che un attore, un comico partecipa al Festival di Sanremo. Nella tradizione della canzone popolare italiana c’è poi tutta una parte che va dal cabaret al varietà, dall’avanspettacolo alla rivista... Da Totò a Petrolini, da Cochi e Renato al triestino Cecchelin...».

E che direbbe Cecchelin di questa Italia, del reality fra Veronica e Berlusconi...?

«Chi lo sa. Forse resterebbe anche lui sconcertato, dinanzi al livello culturale a cui si è abbassato il Paese. Magari direbbe che ognuno litiga con i mezzi di comunicazione che ha a disposizione. In una casa di ringhiera cosa succederebbe? Che lei esce e gli butta tutta la roba giù in cortile. E poi tutti i vicini si affacciano per vedere cosa sta succedendo. Nel caso in questione, invece, lei scrive a Repubblica e l’altro gli risponde sul Giornale...».

Sul palco dell’Ariston porterà qualche triestino?

«No, ci saranno due musicisti dell’ultimo spettacolo su Kowalski e un coro, nel quale canta anche il nipote di Rino Gaetano. I triestini del Pupkin Kabarett saranno invece con me quindici giorni dopo, a Como, per il debutto de ”Il giocatore” di Dostoevskij...».

Grazie a Paolo Rossi e alla fiction prodotta da Claudia Mori, il 2007 promette di diventare l’anno in cui tanti riscopriranno (o scopriranno per la prima volta) Rino Gaetano. Ma su questa canzone che sentiremo a Sanremo vige il silenzio da parte di tutti. Anche da parte di Mauro Pagani, che ha detto: «La cassetta è la prima stesura, un pezzo di prova, destrutturato ma con una sua fisionomia. Sto facendo un diligente lavoro di riordino, articolando le ripetizioni: nessuno voleva mettere una parola di più, se non finire i collegamenti. C’è la solita ironia graffiante di Rino: è una presa per i fondelli, che parla di un atteggiamento tipico degli italiani nel guardare quel che ci sta intorno...».

venerdì 2 febbraio 2007

Non si vive di solo Sanremo, si diceva un tempo. Ma la frase va benissimo anche quest’anno, che proprio in queste settimane che precedono il Festivalone di nuovo affidato alle cure del settantenne Pippo Baudo (dal 27 febbraio al 3 marzo, per chi fosse interessato) vede un notevole affollamento di concerti e spettacoli a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia.

Anzi, se vogliamo dirla tutta, questo inizio del 2007 vede la conferma di una tendenza che si era già fatta notare nell’anno passato: il capoluogo regionale, che storicamente era la cenerentola della scena musicale del Friuli Venezia Giulia, sta vivendo un momento di assoluta rinascita. Dividendo con Pordenone - che nelle settimane scorse ha ospitato fra gli altri i concerti di Elisa e Tiziano Ferro - la palma delle due città più ricche di appuntamenti, e relegando a un ruolo più defilato quella Udine che in passato l’aveva spesso fatta da padrone (Gorizia è sempre stata la meno toccata dai tour, ampiamente battuta dalla città gemella slovena, grazie alle ampie disponibilità economiche del circuito dei casinò...).

Le prossime stagioni, estive e invernali, ci diranno se trattasi di inversione di tendenza autentico o di semplice fuoco fatuo. Nel frattempo, godiamoci questa messe di concerti e appuntamenti vari, alcuni dei quali concentrati, uno dietro l’altro, la prossima settimana.

Si parte martedì 6 febbraio, con ben due appuntamenti triestini nella stessa sera. Al Teatro Miela, per la rassegna «Ritratti italiani», è in programma il concerto del cantautore <CF32>Gianmaria Testa</CF> (chitarra e voce) con il jazzista Paolo Fresu (tromba e flicorno).

Sempre martedì c’è anche lo spettacolo di <CF32>Cochi e Renato</CF> al Politeama Rossetti. «Nuotando con le lacrime agli occhi» è il titolo dello spettacolo che sta riportando in giro per l’Italia il da poco ricostituito duo formato da Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto, che negli anni Settanta ha contribuito a scrivere la storia della nuova comicità italiana, rilanciato in tivù lo scorso anno da «Zelig» e nelle settimane scorse da «Stiamo lavorando per noi». I due, accompagnati dai Goodfellas, proporranno «canzoni e ragionamenti», brani nuovi e vecchi classici.

Giusto il tempo di sbaraccare e la sera dopo, mercoledì 7, sempre al Rossetti, è in programma il concerto della <CF32>Pfm</CF> (originariamente previsto a dicembre). Il gruppo storico del pop-rock italiano torna ancora una volta in città, a trentacinque anni di distanza dal concerto al Dancing Paradiso in cui aveva presentato l’album di debutto «Storia di un minuto». Il loro nuovo lavoro s’intitola «Stati di immaginazione», è un album interamente strumentale, ma dal vivo Di Cioccio e compagni non mancano di ripercorrereo le tappe più importanti della loro strepitosa carriera <CF31>(ne parliamo qui sotto)</CF>.

Il tris del Rossetti si completa giovedì 8 febbraio, con il concerto di <CF32>Goran Bregovic</CF>. Anche per il poliedrico artista di Sarajevo si tratta di un ritorno, dopo vari concerti triestini e la sua «Karmen» proprio al Politeama. Accompagnato come al solito dalla sua Weddings and Funerals Band, proporrà la sua produzione più recente accanto ai classici, fra cui le musiche dei film «Underground», «Il tempo dei gitani» e «Arizona Dream».

Due appuntamenti regionali per la sera di venerdì 9 febbraio. A Gorizia, al Teatro Verdi, è di scena il cantautore-rapper pugliese <CF32>Caparezza</CF> (anche nel suo caso si tratta del recupero di un concerto che era stato rinviato). Al «Velvet» di Giais d’Aviano, vicino Pordenone, arrivano invece gli <CF32>Assalti Frontali</CF>.

Soltanto qualche giorno di pausa e si riparte alla grande martedì 13 febbraio. Al «Nuovo» di Udine è in programma il concerto di <CF32>Ivano Fossati</CF>. È la terza parte dell'«Arcangelo Tour», uno spettacolo di forte impatto teatrale che coniuga la forza rock degli esordi del musicista ligure con le atmosfere più soffici e avvolgenti di canzoni come «E di nuovo cambio casa» o «Una notte in Italia», ma anche la nuova energia di «Cara democrazia» e la stessa «L’Arcangelo».

Giovedì 15 febbraio, al «Nuovo» di Udine, concerto del pianista <CF32>Giovanni Allevi</CF>, che torna così in regione dopo il grande successo della settimana scorsa al Comunale di Monfalcone. Venerdì 16 febbraio, al Teatro Miela di Trieste, sempre per «Ritratti italiani», <CF32>Paolo Hendel</CF> propone battute e canzoni nello spettacolo «Il bipede barcollante». Sabato 17 febbraio, nella stessa sera in cui al PalaTrieste è il programma il ritorno del fustigatore <CF32>Beppe Grillo</CF> (che sarà anche il 19 e il 20 al palasport di Udine e il 22 a quello di Pordenone), al Teatro Miela arriva il California Guitar Trio con <CF32>Tony Levin</CF> (già bassista dei Genesis), mentre al Deposito Giordani di Pordenone è di scena il nuovo spettacolo del bolognese <CF32>Luca Carboni</CF>. E martedì 20 febbraio, di nuovo al Rossetti, a Trieste, luci puntate su <CF32>Fiorella Mannoia</CF> in versione brasileira con lo spettacolo «Onda tropicale».

Siamo a marzo. Venerdì 2 al Teatro Odeon di Latisana fa tappa il tour di <CF32>Enzo Jannacci</CF>, che ieri sera era in concerto a Cormons e che il 24 marzo tornerà per la terza volta in meno di due mesi in regione, per partecipare al festival di poesia «Absolute Poetry» al Comunale di Monfalcone.

Domenica 11 marzo grande appuntamento al PalaTrieste con il concerto di <CF32>Claudio Baglioni</CF>, che due sere prima, venerdì 9, sarà anche al palasport di Pordenone. È il «Tutti qui tour», tre ore di musica dal vivo, con le canzoni delle raccolte «Tutti qui» e «Gli altri, tutti qui», ma ovviamente anche con i classici della lunga carriera del cantautore romano. Con lui, sul palco, Paolo Gianolio (chitarre, violoncello, sax baritono, cori), John Giblin (basso, contrabbasso, chitarra), Stefano Pisetta (batteria, percussioni, chitarra), Roberto Pagani (pianoforte, tastiere, vibrafono, clarino, sax contralto, fisarmonica, banjo, viola, chitarra, cori) e Pio Spiriti (violino, tastiere, fisarmonica, melodica, chitarra, cori).

Il seguito - perchè c’è da scommetterci che ci sarà un seguito - alle prossime puntate...