domenica 30 agosto 2015

PIERO SIDOTI; sab al festival della mente, ven 11 a Udine

Tre settimane fa la prestigiosa platea del festival tedesco Rheingau Musik, sabato 5 settembre un altro palco importante: quello del Festival della mente, a Sarzana, in provincia di La Spezia. E una settimana dopo, venerdì 11 settembre, “ritorno a casa” nella sua Udine, al Palamostre. In scena sempre lui, Piero Sidoti, con il nuovo spettacolo “La la la, Quando non c’è risposta”. E con l’amico di sempre: l’attore suo concittadino Giuseppe Battiston. I due artisti - si legge in una nota della produzione - esplorano con ironia e leggerezza la quotidianità e le grandi domande dell’esistenza, suggerendo che poco importa se non ci sono risposte: il vero segreto è non smettere mai di interrogarsi. «Con Giuseppe - spiega Sidoti, udinese, classe ’68, insegnante e cantautore - ci conosciamo sin da quando eravamo bambini. Siamo coetanei, anzi, ha una settimana più di me. Lui era estroverso anche da piccolo, ma penso che in fondo sia un timido. La nostra è un’amicizia vera, in tutti questi anni siamo rimasti sempre in contatto». Lo spettacolo? «Fra musica e recitazione. Partiamo sempre da una frase, da una traccia. Poi c’è molto spazio per l’improvvisazione, una serata non è mai uguale a quella precedente. È ancora un “work in progress”». Con Battiston ha fatto anche l’attore. «Piccoli ruoli. A teatro ma anche al cinema. In “Agata e la tempesta”, di Silvio Soldini, una decina di anni fa, mi fece fare la parte di un suonatore di strada che sulla riviera romagnola cantava “Granada”...». A Sarzana si parla di responsabilità. «E vorrà dire che partiremo da quello spunto. L’Italia è un paese con un gran numero di irresponsabili, siamo sempre a caccia dei responsabili dell’ultima tragedia, dell’ultimo disastro, dell’ultimo scandalo. Amo il Friuli Venezia Giulia perchè ho l’impressione che da noi le cose funzionino abbastanza bene. Non è un discorso leghista, assolutamente, ma qui vedo un maggior rigore». Insegna ancora? «Certo, l’insegnamento è parte integrante della mia vita. A volte è un po’ faticoso conciliare l’impegno in classe (Sidoti, laureato in scienze biologiche, insegna matematica e scienze - ndr) con i dischi e i concerti, ma va bene così. Amo entrambi i lavori, anche se poi il rischio è farli male entrambi. La verità è che tutto il tempo libero dalla scuola lo dedico alla musica». Perchè “La la la”? «È una sorta di goder cantando. Dopo “Gente in attesa” (album del 2010, premiato con la Targa Tenco - ndr), ora mi dedico alla gente che cerca una risposta al mistero della vita. E in attesa di risposte a grandi domande, a volte canta. Una sorta di carpe diem, insomma». Lei aveva conosciuto Lucio Dalla. «Sì, dieci anni fa, al Festival di Recanati. Ricordo una persona molto curiosa, oltre che il grandissimo artista che sappiamo. Aveva presentato il mio primo disco, si era dimostrato interessato alle mie canzoni. Una perdita enorme». Con Gian Maria Testa ha suonato spesso in Francia. «Da lui ho imparato davvero tanto. È un caro amico, oltre che un collega. Sta combattendo una battaglia difficile. Gli auguro tutto il bene possibile». Cosa prepara dopo “La la la”? «Uno spettacolo teatrale su Pier Paolo Pasolini, sempre con Giuseppe Battiston. Debutteremo il primo novembre a Udine, sempre al Palamostre».

LUCA CARBONI A PAVIA DI UDINE (sab 29-8)

“Fisico & politico”, uscito due anni fa, era una raccolta. Che è poi diventata un “live” impreziosito da fior di ospiti: da Tiziano Ferro a Elisa, da Jovanotti a Miguel Bosè, da Alice a Franco Battiato, da Biagio Antonacci a Cesare Cremonini, fino a Samuele Bersani. Ma il precedente album in studio, “Senza titolo”, risale al 2011. C’è dunque una certa attesa per il nuovo album di Luca Carboni, annunciato per ottobre, e anticipato nei giorni scorsi dal singolo “Luca lo stesso”, con tanto di video diretto da Cosimo Alemà. Un video che è una citazione di un famoso clip degli anni Ottanta di Robert Palmer “Addicted to love”. «Mentre mixavamo in studio la canzone - spiega il cantautore bolognese, classe 1962, il cui tour fa tappa stasera alle 21 a Pavia di Udine, per la 51.a “Sagre dai Pirûs” -, pensavo proprio al video di Robert Palmer perché “Luca lo stesso” è un brano molto elettronico e mi piaceva l’idea di avere una band che fosse solo simbolica. Non è un caso che si citino gli anni Ottanta con il video del mio primo singolo. Lì affondano le radici della mia musica e della mia storia. Sono le radici di questo nuovo album, che arrivano fino a qui, per guardare il futuro». Un brano particolare, con «un testo a tratti ironico - si legge in una nota della casa discografica - che attraverso immagini semplici e dirette fotografa le contraddizioni della nostra società, dal rapporto con gli altri (“C’è chi ama la sua terra e i suoi confini / ed è così patriottico che sogna una patria senza vicini...”) al valore dei sentimenti, l’amore su tutto (“Se i figli possono nascere lo stesso anche da due che si odiano / dimmi allora cosa serve l’amore...”). “Luca lo stesso” è una canzone che mette l’accento sull’idea che l’amore possa farci essere per sempre i ragazzi che si amano, meravigliosamente descritti da Jacques Prevert». Con Luca Carboni, stasera sul palco di Pavia di Udine, ci saranno Antonello Giorgi alla batteria, Ignazio Orlando al basso, Mauro Patelli e Vince Pastano alle chitarre, Fulvio Ferrari alle tastiere. In scaletta, tutti i classici della sua trentennale carriera: da “Mare mare” a “Inno nazionale”, da “Persone silenziose” a “Ci vuole un fisico bestiale” a tante altre canzoni. Ma il tour prosegue: domani concerto acustico a Madonna di Campiglio, in provincia di Trento, per la prima edizione di “Running In Madonna di Campiglio”.

sabato 15 agosto 2015

ELVIS AVREBBE 80 ANNI

Elvis Presley è morto a Memphis il 16 agosto di trentotto anni fa. E milioni di fan sparsi in tutto il mondo, ogni anno, in questa data, ricordano il loro idolo, ridando fiato alla mai sopita Elvismania. Stavolta l’anniversario ha un sapore diverso, perchè il re del rock’n’roll, se il suo cuore non si fosse fermato per quell’infernale cocktail di farmaci ingerito quel giorno dell’agosto 1977, oggi avrebbe ottant’anni. Per la precisione li avrebbe compiuti l’8 gennaio, e la ricorrenza è stata già celebrata dal popolo dei fan. Ora le iniziative si ripetono e si arricchiscono. Due libri, un film, altri dischi. Che non mancheranno di accrescere il “business del caro estinto” che si muove attorno all’artista nato a Tupelo, Mississippi (nella speciale classifica è secondo solo a Michael Jackson). Il libro, “Taking care of Elvis”, è firmato dall’infermiera che lo assistette per otto anni nella sontuosa dimora di Graceland. Lei si chiama Laetitia Henley Kirk, conferma eterna riconoscenza al suo datore di lavoro ma anche gli enormi problemi di dipendenda dai farmaci. «C’erano pillole dappertutto - scrive -, spuntavano ovunque. Niente droghe, solo medicine, ma era un vero e proprio incubo: impossibile fermarlo». Altro libro: “Elvis, behind the legend”, della giornalista Trina Young. Ricorda i problemi di balbuzie che afflissero l’artista da piccolo, che cominciò a cantare proprio per tentare di superare (cosa che avvenne decisamente con successo...) tale handicap. Racconta poi del terrore che lo assalì quando venne chiamato a svolgere il servizio militare. E del fatto che in fondo Presley non aveva nessuna intenzione di diventare il re del rock’n’roll, il rivoluzionario che cambiò la musica e i costumi: gli sarebbe bastato essere una popstar tradizionale, ma... Il film, intitolato “Elvis & Nixon”, arriverà nelle prossime settimane. Diretto da Liza Johnson, ripercorre il rapporto fra il cantante e l’allora presidente degli Stati Uniti d’America. Nel cast: Michael Shannon nel ruolo di Presley e Kevin Spacey in quello del presidente. Ma l’Elvismania vive di mille episodi. A Tupelo, città natale, sono state inaugurate due nuove statue dedicate all’artista, una da ragazzo e l’altra nel pieno del successo. Ed è stato appena pubblicato un francobollo celebrativo, serie “Music icons” dell’Us Postal Service, con tanto di cerimonia ufficiale a Graceland. Versante dischi. Il 30 ottobre esce “If I can dream: Elvis Presley with the Royal Philharmonic Orchestra”. Distribuito da Sony Music, l’album accosterà alcuni classici del repertorio intonati dal cantante alle inedite performance della prestigiosa orchestra britannica. All’album partecipano vari musicisti contemporanei, che duetteranno a distanza con il compianto re del rock. Il cantante Michael Bublé (che propone “Fever”), il chitarrista Duane Eddy e persino l’italianissimo trio Il Volo accompagneranno la calda voce di Elvis. Fra i brani, registrati agli Abbey Road Studios di Londra, ci saranno “Love me tender”, “In the ghetto” e la “If I can dream” del titolo. I tre del Volo canteranno “It’s now or never”, versione anglosassone di “O sole mio”, cantata e pubblicata da Elvis nel 1960.

venerdì 14 agosto 2015

FLO MORRISSEY, TOMORROW WILL BE BEAUTIFUL

FLO MORRISSEY “TOMORROW WILL BE BEAUTIFUL” (Glass Notes) Si chiama Flo Morrissey, è inglese, a Natale fa ventuno anni, e non è parente dell’ex leader degli Smiths. Se la guardi, sembra venuta fuori da qualche comune hippy degli anni Sessanta, figli dei fiori, pace amore musica e quella roba là. Per la verità, anche se ascolti queste dieci canzoni che formano il suo primo album, l’impressione è più o meno la stessa: ballate costruite su voce, chitarra e pochissimo altro. Ma sufficiente a rapire l’ascoltatore e trasportarlo in un universo nuovo e antico al tempo stesso, di certo molto diverso da tanto piattume che popola la discografia contemporanea. Nonostante l’età e il brevissimo curriculum, in Inghilterra la dolce Flo è già una star. Qualcuno l’ha paragonata alla Lana Del Rey degli esordi. Ma forse qui c’è qualcosa di più. C’è la lezione del folk revival inglese di qualche decennio fa, assimilata e fatta propria, attraverso una sensibilità originale e personalissima. È nata una star?

MIKA, NO PLACE IN HEAVEN

Mika è diventato il personaggio del Ferragosto italiano 2015. Non per le sue canzoni, che sono belle. Non per la grazia, l’educazione, la sensibilità che ha dimostrato come giudice della passata edizione di “X Factor” (e che ritroveremo nella prossima edizione, in partenza a metà settembre, sempre su SkyUno). Non per questo album, “No place in heaven” (Virgin), assolutamente meritevole del gradimento che anche il pubblico italiano gli sta tributando. No. Mika è finito sulle prime pagine dei giornali perchè un idiota, ma forse sarebbe meglio dire un poveretto, ha scritto a caratteri cubitali su un manifesto che annuncia un suo concerto a Firenze la parola “frocio”. All’inizio l’artista voleva lasciar perdere. Poi la campagna di solidarietà partita sul web lo ha convinto a denunciare l’omofobia che ancora impera in certi strati della popolazione, italiana e non. «Non ho paura di chi discrimina. Nessuno deve averne. L’amore fa quel che vuole», ha scritto Mika su Twitter. La terza frase, assieme all’hashtag #rompiamoil silenzio, in poche ore è diventata virale sul web. «Rifiutando di riconoscere gli insulti - ha poi scritto sul Corriere della Sera l’artista inglese, nato a Beirut nell’83 -, avrei commesso un errore: avrei dimenticato il tredicenne che sono stato e avrei fatto male alle persone che non hanno quel lusso e quel privilegio. Io posso salire sul palco. Ma quando sei implume e quella parola ti riguarda, se vedi quel manifesto ma non trovi una risposta che ti faccia da scudo, allora per te significa che ti hanno abbandonato». Triste dover parlare e scrivere di queste cose, nell’Italia del 2015, in un’Europa che dovrebbe essere innanzitutto quella dei diritti, delle libertà e del rispetto delle persone. Ma tant’è. E la speranza è solo che l’enorme cassa di risonanza che l’episodio ha avuto, grazie alla popolarità e all’intelligenza del personaggio in questione, possa servire a fare un passo avanti sulla strada della civiltà. Rimarrebbe da dire dell’album. Canzoni semplici ma non banali, scritte e arrangiate con gusto, interpretate meglio, nel segno del miglior pop, eleganza e melodia. Qualcuno vi ha trovato echi del primo Elton John, altri hanno colto la freschezza della miglior Carole King. Quel che è certo è che le canzoni sono talmente gradevoli che a volte sembra di averle già sentite, anche se sono nuove. Una sorta di mainstream del miglior cantautorato pop anglosassone, insomma. Fra i brani: “Good guys” (con citazione di Andy Wharol), “Talk about you” (sorta di “interpolation” - così si legge nel libretto - dell’italiana “Sarà perchè ti amo”, con tanto di crediti fra gli autori), “All she wants”, “Hurts”, “Let’s party”... Con una vena malinconica di fondo. Figlia forse di quel tredicenne che Mika è stato.

ORNETTE COLEMAN, 15-5-74 a TRIESTE, MANICOMIO DI SAN GIOVANNI

Quel giorno la libertà entrò nel manicomio di San Giovanni vestita di una splendida giacca patchwork. Pezzetti di velluto cuciti l’uno con l’altro. Di tutti i colori. Quasi la rappresentazione visiva della musica che usciva a scatti nervosi dal sax di quel signore che vestiva la giacca in questione. E noi ragazzi, affamati di musica, rimanemmo a bocca aperta. Lui era Ornette Coleman, classe 1930, americano del Texas, nero, uno dei maggiori innovatori della musica jazz degli anni Sessanta e Settanta. Il profeta del “free”, forma di jazz nata fra New York e Chicago, quasi parallelamente alle grandi battaglie razziali di Martin Luther King e di Malcom X. E in quel maggio del ’74, in una Trieste che viveva un’altra grande battaglia di libertà e di dignità delle persone, il concerto di Coleman fu il primo di una serie che contribuì ad abbattere il cancello che separava il vecchio frenocomio aperto nel 1908 dal rione di San Giovanni e dalla città di Trieste. E a dar corpo all’unica rivoluzione, quella basagliana, che la città ha visto nascere e compiersi. In quella sera di maggio il jazzista statunitense propose con il suo quartetto una musica assolutamente libera, fuori dagli schemi conosciuti, basata quasi interamente sull’improvvisazione. Seguiva l’estro del momento. Ispirato da una situazione circostante che vedeva centinaia di giovani appassionati di musica, attirati dal grande nome, mischiati a qualche decina di pazienti. I cosiddetti matti, a tratti divertiti ma forse più spesso spaesati dinanzi a quel che stava accadendo attorno a loro. In quel campetto di calcio che anni dopo lasciò il posto a una brutta costruzione ma quella sera era un luogo di libertà. Dove i presunti normali stavano fianco a fianco ai presunti matti. Di più. Nei momenti in cui la frammentazione e l’irregolarità del ritmo e della metrica venivano portate alle estreme conseguenze, in una cavalcata musicale condotta da un sax quasi impazzito e supportata da una solida sezione ritmica, alcuni di quei matti ridevano, altri si chiudevano le orecchie con le mani. Rimpiangendo probabilmente il silenzio e la tranquillità che in quel parco, fino a quella sera, l’avevano fatta da padrone. Sì, perchè dopo quella sera, nel parco e nel piccolo teatrino del grande ospedale psichiatrico, nulla fu più come prima. Poco meno di un mese dopo, il 12 giugno, arrivano gli Area del compianto Demetrio Stratos. Dopo l’album d’esordio, “Arbeit macht frei”, ovvero “il lavoro rende liberi” (frase che stava scritta all'ingresso dei campi di sterminio nazisti...), era appena uscito il disco “Caution Radiation Area”. Con dentro un brano intitolato “Lobotomia”, dedicato a Ulrike Meinhof e caratterizzato da suoni ossessivi e lancinanti: l’ideale per un concerto dentro a un manicomio... A settembre a San Giovanni arriva il quartetto di Giorgio Gaslini, poi Gino Paoli, i napoletani Saint Just, Dodi Moscati, Franco Battiato con Juri Camisasca, tanti altri. Maggio ’74, giusto un secolo fa.

A MAJANO, UDINE, LA BAND DI LIGABUE, TRA PALCO E REALTÀ

“Tra palco e realtà” non è soltanto una delle canzoni di Ligabue più amate dal suo popolo (stava nel disco dal vivo “Su e giù da un palco”, del ’97). È anche il nome scelto dalla band del rocker di Correggio per la propria attività “live” autonoma, senza il popolarissimo capobanda. Stasera alle 21.30 sono all’Area Concerti di Majano (ingresso libero), a conclusione dell’edizione 2015 del tradizionale festival che si svolge nella città friulana. Sul palco ci saranno Fede Poggipollini e Mel Previte alle chitarre, Antonio Rigo Righetti al basso e Robby Pellati alla batteria: la stessa formazione che a settembre affiancherà Ligabue nel megaconcerto di Campovolo. Hanno scelto quel nome non a caso. Il brano in questione parla infatti del mestiere del cantante rock e di come esso venga percepito dal pubblico. Con una sorta di orgoglio misto a un pizzico di ingenuità l’artista cerca di comunicare il suo punto di vista, ma soprattutto il fatto che questa canzone lo rappresenti più personalmente e caratterialmente che professionalmente. In questo tour il gruppo festeggia due importanti anniversari: i loro dieci anni di carriera “autonoma”, senza il leader, ma anche il ventennale dall’uscita di “Buon compleanno Elvis”, uno degli album più importanti di tutta la discografia di Ligabue. E per celebrare degnamente questo anniversario, la band suonerà per intero questo album: da “Vivo o morto X” a “Hai un momento, Dio?”, da “Certe notti” a “Viva!”, da “I ragazzi sono in giro” a “Leggero”. Brani già passati alla storia del rock italiano degli ultimi anni, che vanno a formare un’autentica colonna sonora delle vite di tanti ragazzi. «Se mi trovo sul palco - dice Federico “Fede” Poggipollini, che suona con Ligabue dal ’94 - mi sembra che tutto sia cominciato ieri, ma se mi fermo e ci ragiono il periodo è davvero lungo. A pensarci mi stupisco. Ne abbiamo fatte di cose: album, concerti, i grandi stadi. Eppure c’è sempre rimasta addosso un’emozione di fondo, la voglia di dare sempre tutto. Mai routine, ecco». Ancora Poggipollini: «Il mio rapporto con Ligabue ha avuto tanti stimoli, non abbiamo mai dato per scontato niente e siamo (ancora) in piedi anche per questo. Tutto è cominciato nel settembre ’94. Non sapevo che fosse per Liga, ancora non famosissimo. Io ero uscito da poco dai Litfiba e tornato da un viaggio in India...».

ADDIO A GIANCARLO GOLZI, MATIA BAZAR

Appena una settimana fa era sul palco, con i “suoi” Matia Bazar, in una delle tante tappe del tour celebrativo dei quarant’anni del popolare gruppo italiano. Quel tour non proseguirà. È stato ovviamente interrotto perchè Giancarlo Golzi, il batterista del gruppo, ma anche il co-fondatore, l’unico superstite con Piero Cassano di quella formazione originaria che vide la luce nel ’75, ebbene, Giancarlo Golzi è morto per un infarto a sessantatre anni. Era a casa sua, a Bordighera. Era nato il 10 febbraio ’52 proprio a Sanremo, la città del festival. Lo chiamavano “il capitano” dei Matia Bazar perchè era l’unico a non aver mai abbandonato il gruppo in quarant’anni di storia (l’altro co-fondatore, Piero Cassano, era uscito e poi rientrato dopo un’assenza di molti anni). Batterista e autore di molti dei successi dei Matia (da “Vacanze romane” a “Brivido caldo”, da “Messaggio d’amore” a “Questa nostra grande storia d'amore”), Golzi aveva dedicato la sua vita al gruppo, tenendolo sempre assieme attraverso varie e alterne vicende, a partire dall’uscita nell’89 della cantante Antonella “Matia” Ruggiero. Che oggi dice: «Faccio fatica a credere che non ci sia più. Sento la sua voce risuonare nella mia mente, vedo il suo viso davanti ai miei occhi. Abbiamo iniziato insieme e per quattordici anni abbiamo avuto uno strettissimo contatto quotidiano. Vivevamo fianco a fianco. Poi io ho preso una strada diversa e ci frequentavamo meno. Ci incrociavamo ogni tanto in qualche aeroporto, ma non importa da quanto tempo non ti vedi o non ti senti, certi rapporti basati su anni di vita in comune, di viaggi e di migliaia di chilometri macinati, rimangono forti e intensi. E sai che quando hai bisogno, l’amico c’è. E Giancarlo era così, c’era». Ancora la cantante: «Sono tante le cose che abbiamo diviso, e in quei primi anni di vita dei Matia Bazar oltre all’entusiasmo e alla voglia di vedere dove ci avrebbe portato quell’avventura, a unirci erano i viaggi, tanti viaggi. Credo che, da idealista quale era, il gruppo fosse per lui un ideale di vita. I Matia Bazar erano il suo riferimento insieme alla famiglia. Gli altri, me compresa, si sono mossi in altre maniere, lui è rimasto fedele a un sogno». Tanti i ricordi e i messaggi di cordoglio pervenuti, da Eros Ramazzotti a Enrico Ruggeri, da Paola Turci ai Pooh, da Gianluca Grignani a Pupo.

mercoledì 12 agosto 2015

TUTTO ESAURITO PER DAVID GILMOUR 12-9 ARENA DI POLA

Già tutti esauriti i biglietti per il concerto che David Gilmour terrà sabato 12 settembre, alle 20.30, all’Arena di Pola. Nonostante i prezzi assolutamente non popolari (platea dai 70 ai 110 euro, giù fino ai posti in piedi a “soli” 43 euro), l’ex Pink Floyd ha fatto il botto anche nella tappa croata del suo tour europeo, a dimostrazione del successo che premia da anni anche la sua carriera solista. Ciò nonostante l’esito incerto toccato a “The endless river”, il recente disco dei Pink Floyd ricavato da incisioni effettuate tra il 1993 e il 1994, dallo stesso Gilmour con Nick Mason e Richard Wright. Il concerto di Pola sarà fra l’altro una sorta di anteprima rispetto alle due date italiane previste nel tour: il 14 settembre a Verona e il 15 a Firenze, prima delle tappe in Francia e in Germania. Gilmour (inglese di Cambridge, classe 1946) entra nel ’67 nei Pink Floyd, precedentemente fondati da Roger Waters e Syd Barrett, inizialmente come chitarrista aggiunto a fianco del sempre più inaffidabile Barrett, e poi via via sempre più leader del gruppo, prima assieme a Waters e poi da solo. Una carriera che ha consegnato la band inglese alla storia della musica contemporanea. Da segnalare che, pochi giorni dopo il concerto all’Arena di Pola, il 18 settembre verrà pubblicato in tutto il mondo, il nuovo album solista, il quarto, di Gilmour. «Ho buttato giù un po’ di idee - aveva detto l’anno scorso -, alcuni pezzi sono ancora da rifinire mentre altri sono già completi. Per il momento posso dire solo che il lavoro sta venendo molto bene, ma ci vorrà ancora qualche mese prima di riuscire a completarlo. La mia speranza è quello di riuscire a pubblicarlo entro la fine del 2015. Inoltre mi piacerebbe suonare dal vivo ma in un tour per “vecchietti”. Quindi niente calendari con duecento date o cose del genere...». L’album s’intitola “Rattle that lock” (Columbia Records) e arriva nove anni dopo il successo di “On an island”, che vedeva la partecipazione di ospiti di lusso come David Crosby, Graham Nash, Robert Wyatt, Rick Wright, Georgie Fame e Phil Manzanera. Al disco fece seguito un tour che toccò anche l’Italia e dal quale furono estratti un doppio dvd, “Remember that night” (realizzato alla Royal Albert Hall di Londra), e un doppio cd (con bonus dvd), “Live in Gdansk”, registrato nei cantieri di Danzica, in Polonia, per i ventisei anni di Solidarnosc. Il nuovo album è stato anticipato nei giorni scorsi dal primo singolo omonimo, con la partecipazione del Liberty Choir e delle cantanti Mica Paris e Louise Marshall. Il brano comincia con le quattro note, create da Michael Boumendil, che precedono gli annunci delle stazioni ferroviarie francesi e che Gilmour racconta di aver registrato con il suo iPhone ad Aix-en-Provence. Il video del brano, prodotto dal team londinese Trunk Animation, è ispirato al poema epico del 1667 di John Milton “Paradiso perduto” e segue - stando alle note di produzione - «la caduta di Satana dal Regno dei Cieli e il suo viaggio attraverso il Pandemonio, il Purgatorio e il Caos per corrompere la terra vergine». Ma il tour mondiale di Gilmour non si ferma. Sono state infatti annunciate le prossime date in Nord America, le prime da dieci anni a questa parte, dai tempi cioè del tour di “On an island” del 2006. I concerti del “David Gilmour Live 2016” si terranno toccheranno Los Angeles (24 marzo), Toronto (31 marzo), Chicago (8 aprile) e New York (11 aprile).

lunedì 10 agosto 2015

BALLABEN, concerto all'alba sul molo audace

Centinaia di persone hanno affollato ieri mattina all’alba il Molo Audace, per il concerto del pianista Marco Ballaben, che ha concluso la nona edizione di TriesteLovesJazz. Un set di quaranta minuti, in un’atmosfera magica, cominciato nel buio delle cinque meno dieci e conclusosi alle prime luci del giorno, poco dopo le cinque e mezzo. Concerto acustico, non amplificato, nel quale il cinquantacinquenne musicista gradiscano ha proposto alcuni brani originali, ancora inediti, “The wind” di Keith Jarrett, “Let the sunshine” (dal musical “Aquarius”) e, nel finale, una rilettura in chiave jazzistica di “Alba chiara” di Vasco Rossi e il classico di Ryuichi Sakamoto “Merry Christmas Mr. Lawrence” (dal film “Furyo”). «È stata un’esperienza davvero unica - dice Ballaben, insegnante alla Scuola 55 e protagonista nel trio Giulia Pellizzari Ballaben -, negli anni passati ero fra il pubblico, assistevo ai concerti all’alba degli altri. Stavolta al centro dell’attenzione c’ero io, non mi sarei mai immaginato sensazioni così forti: il buio, poi la luce, il silenzio, il mare vicino...». La tradizione del concerto all’alba ha visto negli anni passati suonare sul Molo Audace Bruno Cesselli, Glauco Venier, Iuri Dal Dan. E in anni precedenti, in piazza Unità e a San Giusto, Markus Stockhausen, Marco Castelli, il compianto Marco Tamburini. «Ringraziamo tutte le persone che hanno partecipato al concerto - dice Gabriele Centis, patron della manifestazione e direttore artistico della rassegna Trieste Estate - e ci scusiamo con chi a causa di uno straordinario numero di presenze non ha potuto assistere in maniera ottimale all’evento. Visto questo crescente successo provvederemo nelle prossime edizioni, senza rinunciare alla particolare suggestione di questo ormai tradizionale appuntamento, ad accogliere una ancor più ampia partecipazione». Il concerto all’alba ha concluso la nona edizione di TriesteLoves Jazz. Un’edizione di successo, divisa fra piazza Verdi e il giardino del Museo Sartorio, che ha ospitato artisti del calibro di Kenny Garrett, Mike Stern, Brian Auger con gli Oblivion Express e Alex Ligertwood (per tanti anni cantante dei Santana). E l’anno prossimo è già decennale.

LACOSEGLIAZ, venerdì a Trieste La sposa di Sarajevo

Dieci giorni fa, nel suo monologo quasi apologetico su Trieste griffato Salone del caffè, il grande Moni Ovadia Ne ha tessuto entusiastiche lodi. «Alfredo Lacosegliaz - ha detto più o meno il massimo divulgatore della cultura yiddish nel nostro Paese - è quello che mi ha introdotto, quasi quarant’anni fa, alla musica balcanica. E gliene sarò sempre grato. Spero che questa città prima o poi lo onori come si deve...». Incassati cotanti complimenti da cotanto pulpito, il sessantaduenne musicista triestino è già pronto per una nuova avventura, a metà strada fra musica e teatro. Venerdì alle 21 alla Biblioteca Quarantotti Gambini, in via del Vento, e in caso di maltempo all’Auditorium della Casa della Musica, debutta infatti con il suo nuovo spettacolo: “La sposa di Sarajevo e Ahmet Jusuf”, tratto dalla novella “Zapisi o Simeunovici i Ahmet Jusufu”, di Novak Simic. Ovvero: «Una narrazione dal sapore popolare dei Balcani che porge leggera significanti profondi. Il peccato é dentro di te. Lo si può mai sfuggire?» «Lessi la novella da cui è tratto lo spettacolo forse quarant’anni fa - ricorda Lacosegliaz -. Successivamente conobbi Giacomo Scotti, il traduttore. L’altr’anno a giugno portai al Sarajevo Peace Event la mia installazione “L’insostenibile arte della guerra” e visitai i luoghi della narrazione. Sempre l’estate scorsa ebbi il privilegio di conoscere in un festival a Brioni Ahmed Buric, poeta, autore, attore e musicista di Sarajevo. Finì a tarallucci e rakija (super alcolico per eccellenza nei Balcani - ndr) suonando e cantando sevdalinke (canzoni d’amore della Bosnia - ndr) fino alle quattro del mattino. Fu un segnale. Decisi di mettere in scena la novella per le troppe coincidenze bosniache». Lo spettacolo è un omaggio allo scrittore Novak Simic e a Sarajevo, a sottolineare che la Bosnia Erzegovina non è soltanto terra di guerre e di conflitti ma anche di culture, religioni, tradizioni e convivenze. Viene guidato da una proiezione di disegni animati (a cura di Giulia Marsich), nei quali gli attori virtuali dialogano dallo schermo con una danzatrice e un mimo, alternati e integrati da una piccola grande orchestra. Quasi un’operetta di sapore etnico, insomma. Ancora Lacosegliaz: «Siamo all’interno di un ambiente cosmopolita dove musulmani, ortodossi e cattolici si affannano a scacciare una presunta possessione diabolica e dove Ahmet Jusuf, paradigma universale di guerriero stanco di guerra, si interroga nelle sue allucinazioni sull’esistenza del demonio». Lo spettacolo - che rientra nella stagione Trieste Estate, promossa dal Comune, con la collaborazione della Casa della musica - è in italiano e bosniaco. Ed è con Valentina Norcia, Valentino Pagliei, Ornella Serafini, Orietta Fossati, Cristina Verità, Sašo Debelec, Fabio Zoratti. Voci recitanti: Ahmed Buric, Daniela Picoi, Sabina Nuhefendic, Ornella Serafini, Maurizio Zacchigna, Gualtiero Giorgini, Adriano Giraldi, Paolo Privitera, Amir Karalic. Consulenza linguistica e ricerche iconografiche a cura di Sabina Nuhefendic. Il giornalista e traduttore Giacomo Scotti, napoletano, classe 1928, che nel ’47 scelse la Jugoslavia, vivendo prima a Pola e poi a Fiume, nello spettacolo compare in voce come attore.

domenica 9 agosto 2015

JACK SAVORETTI oggi conclude NO BORDERS

Nel Friuli Venezia Giulia Jack Savoretti è ormai di casa. E torna ancora una volta nella nostra regione, per un concerto in alta quota, oggi con inizio alle 14 (ingresso gratuito), a conclusione del No Borders Music Festival. Il cantautore suonerà infatti al Rifugio Gilberti (1.850 metri sul livello del mare), a Sella Nevea, nel tarvisiano. Nell’ultimo anno la popolarità dell’artista, inglese di origini italiane (il padre genovese lo ha cresciuto a pane e cantautori italiani, la madre tedesco-polacca faceva la modella della swinging London...), classe '83, è cresciuta in maniera esponenziale. Quest’estate è tornato in Italia sulla scia del successo riscosso nel recente tour inglese, conclusosi con un “sold out” a Londra, nello storico “02 Shepherd’s bush empire”. Lo scorso anno Savoretti - da molti paragonato nientemeno che a Bob Dylan, del quale nel nuovo album ha riletto “Nobody ‘cept you” - ha aperto i concerti di Bruce Springsteen e Neil Young ad Hyde Park, a Londra. Con Elisa ha duettato a Trieste, in piazza Unità, ma anche sul palco dell’Arena di Verona. Da Laura Pausini ha ricevuto più di un apprezzamento. E questo lungo tour (a primavera nei club e nei teatri, ora all’aerto) sta andando benissimo. Nel concerto di oggi presenterà il nuovo album “Written in scars”, pubblicato a febbraio ed entrato direttamente nei primi posti delle classifiche di vendita inglesi. Il secondo singolo “The other side of love” è fra i brani più trasmessi in queste calde settimane dalle radio. «Questo disco - spiega l’artista - è il risultato della presa di coscienza del mio percorso e di quello che per me è stato ed è tuttora fare musica ed essere un cantautore. Il disco è un concept album vero e proprio. Ascoltando ogni brano si può comprendere ciò che ho vissuto e le cicatrici (scars - ndr) che ci si procura per ottenere un risultato».

sabato 8 agosto 2015

REMO ANZOVINO oggi Lago Fusine, No Borders Music Festival

Lo scorso anno ha portato il suo pianoforte in alta quota, per un concerto al Rifugio Alberti (1.850 metri sul livello del mare), a Sella Nevea, nel tarvisiano. E per sentirlo sono arrivati, oltre che dall’Italia, anche dalle vicine Austria e Slovenia. Un parterre che si ripeterà oggi, ai Laghi di Fusine, quando alle 14, per il penultimo appuntamento della ventesima edizione del No Borders Music Festival, il pianista pordenonese Remo Anzovino terrà un concerto. In un luogo letteralmente da favola, dove hanno già suonato artisti come Ludovico Einaudi nel 2008, Paolo Conte nel 2009 e Mario Biondi nel 2010. Anzovino torna a esibirsi nella sua regione dopo un mese dopo il concerto all’alba (più o meno: erano le sette e trenta del mattino...) a Udine, in piazza San Giacomo, quando ha attirato duemila persone accorse per assistere al suo “Concerto del risveglio”. In questo tour estivo ha suonato fra l’altro al festival di Mariano Comense (Como) nella bellissima Villa Sormani, al Tuscia in Jazz Festival, in provincia di Viterbo, e in alcuni borghi medioevali. L’artista sta lavorando al suo quinto album di inediti, che arriverà dopo il successo del recente doppio live “Vivo”. Il disco era arricchito dal video integrale del “Concerto della memoria” tenuto nel settembre 2013 sulla diga del Vajont, in occasione del cinquantesimo anniversario della grande tragedia. Un onore che gli era stato riservato soprattutto per “Suite for Vajont (9 ottobre 1963)”, composizione riconosciuta dalla Fondazione Vajont come musica ufficiale del ricordo del Vajont. Per quella musica il pianista pordenonese è stato insignito in Campidoglio, a Roma, nell’ottobre 2013, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, del “Premio Anima 2013 - Sezione musica”. Motivazione: «per il contributo significativo dato al senso dell'etica e della responsabilità nel nostro Paese».

DANILO REA, concerto nel decennale scomparsa FRANCO RUSSO

Franco Russo è stato uno dei più importanti pianisti triestini della seconda metà del Novecento. Quest’anno ricorre il decennale della scomparsa. E lunedì 14 settembre, al Ridotto del Teatro Verdi, verrà ricordato come si conviene da un concerto di piano solo di Danilo Rea, considerato fra i più importanti pianisti italiani contemporanei. Classe 1931, Franco Russo studia pianoforte al Conservatorio Tartini e con il maestro Giulio Viozzi. Si appassiona al jazz fin da ragazzo e negli anni dell’amministrazione alleata suona con vari musicisti americani. Nel ’48, giovanissimo, entra nell’orchestra Guido Cergoli alla Rai di Trieste. Collabora a vari programmi radiofonici, poi la Rai lo chiama a dirigere, fra il ’62 e il ’67, le orchestre di Milano, Torino e Roma. Intanto suona in trio, in quartetto, in ottetto. Nel ’69 è a Roma, lavora con Garinei e Giovannini al Teatro Sistina nelle commedie musicali “Angeli in bandiera” (Milva e Gino Bramieri) e “Alleluja, brava gente” (Renato Rascel e Gigi Proietti). Ma collabora anche con Carlo Dapporto, Alberto Lupo, Ornella Vanoni, Enzo Tortora, Loretta Goggi, Massimo Ranieri, Raffaella Carrà. E ancora Miranda Martino, Wilma De Angelis, Gino Latilla, Sergio Endrigo, Achille Togliani... Nell’orchestra di Gianni Ferrio, partecipa a programmi come “Canzonissima” e “Studio Uno”. Lavora alla realizzazione di varie colonne sonore. Lavora come pianista accompagnatore al Conservatorio di Frosinone e poi al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Negli anni Novanta tiene concerti come solista, in Italia e in Germania, rivisitando e interpretando i temi a lui cari da sempre, come il jazz degli anni Cinquanta e le musiche da film. Da anni Franco Russo viene ricordato anche da un premio per giovani pianisti a lui intitolato, che si svolge ogni estate nell’ambito della rassegna TriesteLovesJazz. Quest’anno è stato vinto dal pianista Giulio Scaramella. Nel corso delle varie edizioni si sono sviluppate anche delle preziose forme di collaborazione fra i giovani pianisti che hanno vinto il premio. Il concerto del 14 settembre, intitolato “Danilo Rea piano solo - In ricordo di Franco Russo”, è organizzato dall’associazione Chamber Music e dalla Scuola di musica 55/Casa della musica. Con la preziosa collaborazione della vedova del musicista, la signora Silvia Russo, che da anni è presente anche nelle varie edizioni del premio organizzato nell’ambito di TriesteLovesJazz. Come protagonista del concerto è stato scelto il vicentino di nascita e romano d’adozione Danilo Rea, che proprio domani compie cinquantotto anni. Una carriera lunga ormai quarant’anni, cominciata nel ’75 nel trio con Enzo Pietropaoli e Roberto Gatto, che oltre al jazz ha perlustrato i territori della musica progressive (era nel New Perigeo con Giovanni Tommaso) e popolare. Proprio recentemente ha collaborato con Claudio Baglioni (era uno degli artisti ospiti dell’album doppio “Q.P.G.A.”) e con Gino Paoli, con cui è stato a Sanremo lo scorso anno, ha realizzato alcuni album e tenuto vari tour. Sia da solo che con il gruppo composto da Flavio Boltro (tromba), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria).

venerdì 7 agosto 2015

LACUNA COIL domani a majano

Ma c’è solo l’imbarazzo della scelta, per la serata musicale di domani. Mentre a Lignano si rivivranno le atmosfere pop romantiche molto anni Ottanta degli Spandau Ballet (vedi articolo qui sopra), a poche decine di chilometri, al festival di Majano, alle 21.30, a ingresso gratuito, saranno infatti di scena i milanesi Lacuna Coil. Capitanati dall’affascinante Cristina Scabbia, sono gli alfieri del “gothic-metal” italiano, ormai più conosciuti all’estero che nel proprio paese. Nati nel ’94, due anni dopo hanno firmato il loro primo contratto discografico e hanno subito intrapreso un tour negli Stati Uniti, dove sono tornati diverse volte in questi vent’anni. Inizialmente si facevano chiamare Ethereal, nome che dovettero abbandonare perchè già “occupato” da una band greca, particolare che li costrinse poi ad adottare il definitivo Lacuna Coil (che significa “Spirale vuota”). Dopo l’ep omonimo “Lacuna Coil”, il primo album vero e proprio, “In a reverie”, uscì nel ’99, e fu presentato dal vivo in vari festival e tour europei. In questi anni i titoli successivi sono stati “Unleashed memories” (uscito nel 2001 e anticipato dall’ep Halflife”), “Comalies” (2002), “Karmacode” (2006), il dvd dal vivo “Visual Karma (Body, mind and soul)”, del 2008, il best “Manifesto of Lacuna Coil” (2009), “Shallow life” (sempre nel 2009), “Dark adrenaline” (2012) e “Broken crown halo”, pubblicato lo scorso anno in oltre trenta paesi e anticipato dal singolo “Our truth” (presente nei videogiochi musicali “Guitar Hero World Tour”, “Rock Band” e “Rock Band 2”). Attualmente, dopo vari cambi e avvicendamenti, i Lacuna Coil sono la cantante Cristina Scabbia, il cantante Andrea Ferro, Marco Coti Zelati al basso, Marco Emanuele Biazzi alla chitarra, Ryan Blake Folden (entrato lo scorso anno, al posto di Cristiano Mozzati) alla batteria. Da segnalare che, sempre nell’ambito del festival di Majano, un altro appuntamento ad alta gradazione rock è già in programma per martedì. Sempre alle 21.30, e sempre a ingresso gratuito, l’area concerti ospiterà infatti l’esibizione dei Trivium, gruppo statunitense “metal”. Nati nel ’99, hanno dovuto attendere l’album “The crusade”, uscito nel 2006, per ritagliarsi un proprio spazio di rilievo nell’olimpo del genere. Da allora, ogni disco e ogni tour in giro per il mondo è stato un successo.

SPANDAU BALLET domani a Lignano

Chi se li è persi nel trionfale tour primaverile ha l’occasione per rivederli anche in questa caldissima estate. Un’altra manciata di concerti italiani per gli Spandau Ballet, uno dei quali domani alle 21.30 a Lignano Sabbiadoro, all’Arena Alpe Adria, dove Tony Hadley e compagni tornano ben ventotto anni dopo lo show dell’87 che molti fan ancora ricordano. Questa appendice estiva del loro “Soul Boys of the Western World Tour” - prodotto per il nostro paese da David Zard e Saludo Italia - dimostra che gli anni e i decenni passano, con loro scorrono le mode e i gruppi del momento, ma la band inglese che è stata il maggior simbolo del pop più raffinato degli anni Ottanta - il cosiddetto “new romantic” - non depone le armi. Stile e qualità dell’offerta musicale rimangono insomma ad alti livelli, anche se il cantante Tony Hadley, il sassofonista Steve Norman, il batterista John Keeble, il bassista Martin Kemp e il chitarrista Gary Kemp mostrano i segni dell’età che avanza. Del resto, non c’è da meravigliarsi. Qui stiamo parlando di una delle band che hanno scritto la storia della musica degli ultimi decenni, vendendo decine di milioni di dischi nel mondo. Negli anni Ottanta gli “Spands” - nati sul finire degli anni Settanta, successo col botto a partire dall’83, con il terzo album “True” - si contendevano i favori del pubblico assieme ai “rivali” Duran Duran, facendo rivivere, seppur in sedicesimi, la contrapposizione che negli anni Sessanta aveva visto affrontarsi Beatles e Rolling Stones. Un tour, questo che arriva domani a Lignano, che segue la pubblicazione del greatest hits dal titolo “The Story: The Very Best Of Spandau Ballet”, del 2014, disco doppio che raccogli i successi di oltre trent’anni di carriera più tre inediti. «Volevamo tornare a lavorare insieme - ha detto Hadley in un’intervista al nostro giornale - e abbiamo capito che i fan vogliono sentire le nostre hits. Per noi è importante dare loro quello che cercano e soprattutto suonare al meglio, perciò questo è quello a cui abbiamo lavorato preparando prima il tour che abbiamo appena concluso e ciò che continuiamo a fare in vista di quello estivo». Domani, biglietti ancora disponibili alle casse dell’arena alle 18.30. Cancelli aperti alle 19.30. Attesi fan anche da Austria, Slovenia e Croazia. Informazioni su www.azalea.it

giovedì 6 agosto 2015

ECLIPSE 29-9 A TRIESTE

Primi fuochi della stagione musicale autunnale. Martedì 29 settembre si terrà infatti al Naima Club di Trieste (l’ex Macaki di viale XX Settembre) un concerto degli svedesi Eclipse. Organizzato dall’associazione Trieste is rock, l’evento punta a bissare il successo ottenuto recentemente dagli Heat, altra band scandinava ai vertici del gradimento dei fan europei. La colonna portante dell’hard rock/metal proposto dagli Eclipse è formata dal cantante Erik Martensson e dal chitarrista Magnus Henriksson, fondatore nel ’99 della band. Band che ha una discografia ricca di ben cinque album, l'ultimo del quale il recente “Armageddonize”, pubblicato dall’etichetta Frontiers Records. L’album ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica. Ha ricevuto ottime recensioni e un paio di riviste specializzate lo ha addirittura incoronato come “The best hard rock album of 2015”. Sull’onda di questo successo la band sta partecipando ai più importanti festival estivi del settore. Secondo una nota diffusa dagli organizzatori, gli Eclipse propongono un hard rock potente ed energico, muscolare e melodico, che prende spunto da un melodic hard rock di chiara estrazione scandinava e da un class metal tipicamente ottantiano. Insomma, un po’ come se si intersecassero gli Europe e i Talisman con i Tnt e i Pretty Maids. A tutto ciò si aggiungono poi suoni più moderni, specie per quel che riguarda le chitarre, a tratti simili a quelle già sentite lo scorso anno in “III” dei loro connazionali Dogpound, condendo il tutto infine con un tocco sempre elegante e mai ridondante di tastiere. Grazie anche alle soluzioni melodiche approntate e ai vocalismi del cantante, in possesso di un timbro vocale che sembra unire il carisma e l’estensione di Joey Tempest con quel tocco più bluesy e caldo di David Coverdale, la loro proposta appare talvolta come un moderno surrogato degli Europe, band fondamentale per tutto l’hard’n’heavy scandinavo a cui chiaramente sembrano ispirarsi. Potente, esplosivo e melodico, pervaso da un gusto retrò e tipicamente anni Ottanta che si mescola ai suoni moderni delle chitarre e quelli attuali di una produzione impeccabile e imponente. Apriranno la serata del 29 settembre al Naima Club un altro gruppo svedese, i Reach, e gli italiani Hell in the club. Informazioni su www.triesteisrock.it

INTI ILLIMANI STASERA A PORDENONE

Tornano gli Inti Illimani. Ed è come fare un romantico salto indietro nel passato di una quarantina d’anni. Stasera alle 21.15, in piazza XX Settembre, a Pordenone, il gruppo simbolo della “nueva cancion chilena” terrà infatti un concerto, nell’ambito del tour di presentazione del nuovo album “Teoria de cuerdas”. Nati nel ’67 come gruppo studentesco all’interno dell’Università di Santiago del Cile, gli Inti Illimani furono sorpresi in tour proprio in Italia quando l’11 settembre del ’73 il sanguinario golpe di Pinochet cancellò la libertà e la democrazia nel loro paese. All’epoca il gruppo era formato da Max Berrù Carrion, José Miguel Camus Vargas, Jorge Coulón Larrañaga, Horacio Duran Vidal, Horacio Salinas Alvarez, José Seves Sepulveda. Divennero esuli, si stabilirono a Roma, venne loro riconosciuto il diritto all’asilo politico. Le loro canzoni - da “El pueblo unido jamàs serà vencido” a “Fiesta de San Benito” - divennero parte della colonna sonora dei nostri anni Settanta. I loro concerti erano abituali, non solo nelle feste dell’Unità e nelle manifestazioni politiche, ma anche nei nostri teatri e palasport e nelle nostre piazze. Nell’88, dopo quindici anni di esilio, gli Inti Illimani sono rientrati in un Cile finalmente restituito alla libertà e alla democrazia, proseguendo nel loro impegno politico e nella loro attività musicale anche attraverso un rinnovamento del repertorio, considerato alla base di tutto il fenomeno della cosiddetta world music. “Teoria de cuerdas” è il loro lavoro più recente, che ora viene presentato in Italia, la loro seconda patria. Oggi gli Inti Illimani sono il fondatore Jorge Coulon (guitara, tiple, percussioni, voce) con il fratello Marcelo (chitarra, vientos, percussioni e voce), Daniel Cantillana (violino, mandolino, percussioni e voce), Efrén Viera (clarinetto, sassofono, percussioni e voce), Manuel Meriño (chitarra, tiple, percussioni e voce), Juan Flores (charango, cuatro, ronrroco, chitarra, voce, percussioni), César Jara (chitarra voce e percussioni), Camillo Lema (contrabbasso), Christian González (flauti, sassofono, percussioni e voce). In programma anche questa sera un repertorio molto ampio, che brilla anche di motivi tradizionali e brani originali con testi di Pablo Neruda e Rafael Alberti e musiche di Violeta Parra, Víctor Jara e Atahualpa Yupanqui. Oggi alle 18, alla Biblioteca Civica di Pordenone, si terrà un incontro pubblico con gli Inti Illimani, nel corso del quale verrà proiettato il video documentario “Dove cantano le nuvole”, di Francesco Cordio, che racconta la storia quarantennale del gruppo attraverso alcuni momenti musicali dal vivo e le interviste ai componenti della band di oggi. Aprirà il concerto il gruppo “Capitano tutte a noi”, nato all’interno di un progetto della Cooperativa sociale Itaca. In caso di maltempo, il concerto - che si svolge nell’ambito della rassegna Estate in città, organizzato in collaborazione con Folkest - si svolgerà al Deposito Giordani.

mercoledì 5 agosto 2015

CREEDENCE CLEARWATER REVIVED merc a Gradisca

I tanti fan di queste zone dei Creedence Clearwater Revival hanno ancora l’amaro in bocca, da quel concerto di John Fogerty (fondatore della storica band americana, che ne porta ancora avanti il verbo) di un anno fa, in piazza Unità, a Trieste, interrotto dopo quaranta minuti causa nubifragio. Ebbene, se qualcuno vuol risentire classici come “Proud Mary” e “Have you ever seen the rain” (l’abbiamo vista, l’abbiamo vista...), “Traveling band” e “Fortunate son”, “Up around the band” e tanti altri, rifatti come si deve, vada domani alle 21.30 a Gradisca, al Parco del Castello. Non ci saranno ovviamente i veri Creedence, quelli si sciolsero nel lontano ’72, dopo appena quattro anni di attività discografica e live, sufficienti però a farli entrare nella storia del rock. Ma suoneranno, nell’ambito del Ciao Luca Festival, i Creedence Clearwater Revived, gruppo visto negli anni passati anche a Trieste. I veri Creedence erano il cantante e chitarrista John Fogerty (classe 1945), suo fratello Tom Fogerty (classe 1941, chitarrista, uscito dalla band nel ’70 e scomparso nel ’90), il bassista Stu Cook e il batterista Douglas “Cosmo” Clifford (entrambi del ’45). I loro album si intitolavano “Creedence Clearwater Revival” (uscito nel ’68), “Bayou country”, “Green river” e “Willy and the poor boys” (tutti del ’69), “Cosmo's Factory” e “Pendulum” (del ’70) e “Mardi Gras” (’72). I Creedence Clearwater Revived furono fondati dallo stesso Tom Fogerty per far rivivere i classici della band di cui aveva fatto parte. Con lui, l’amico chitarrista Johnny “Guitar” Williamson, che tiene tuttora alta la bandiera con il cantante Peter Barton, il bassista Chris Allen e il batterista Wally Day. Un progetto parallelo fu anche quello dei Creedence Clearwater Revisited, creato quasi per gioco da Stu Cook e Doug Clifford e apprezzato soprattutto grazie all’album “Recollection”, pubblicato nel ’98.

lunedì 3 agosto 2015

MUSICI DI GUCCINI VEN A MAJANO

Francesco Guccini si è ritirato nella sua Pavana, appennino tosco-emiliano, fra libri da leggere e da scrivere. Ma la sua leggendaria band, quella che lo ha accompagnato per decenni nei suoi concerti, non se la sentiva di restare con le mani in mano. Né di cercare nuovi artisti con cui suonare. Ecco allora che i Musici - così hanno scelto di chiamarsi - sono ancora in tour, a far rivivere l’epopea del grande modenese. Venerdì alle 21.30 suonano a Majano, nell’Area concerti festival, e per il pubblico sarà un po’ come andare a un concerto di Guccini, anche se in assenza dello stesso. I Musici sono il chitarrista Juan Carlos “Flaco” Biondini, il pianista e tastierista Vince Tempera, il bassista Pierluigi Mingotti, il batterista Ivano Zanotti e Antonio Marangolo alle percussioni, al sax e alle tastiere. Il repertorio, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, è quello che i fan del nostro hanno da tempo mandato a memoria: da “La locomotiva” a “Il vecchio e il bambino”, da “Auschwitz” a “L’avvelenata”, da “Dio è morto” a “Noi non ci saremo”, passando per “Incontro”, “Vedi cara”, “Canzone delle osterie di fuori porta” («sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio...»), “Autogrill”, “Cyrano”... Come da antica e consolidata tradizione gucciniana, il concerto comincia sempre da “Canzone per un’amica”. E qualche volta dalla scaletta spuntano piccole sorprese, per esempio brani come “Asia” e “Statale 17”, inseriti recentemente in alcune tappe di questo tour. Tra una perla e l’altra, nell’apprezzabile ma non facile tentativo di non far sentire troppo la pesantissima assenza, ci pensa il vecchio “Flaco” (Juan Carlos Biondini, argentino trapiantato in Italia dal lontano 1974) a raccontare qualche aneddoto legato alla storia e al significato delle canzoni. «Siamo qui - spiega - semplicemente per portare in giro ancora per un po’ di tempo le canzoni di Francesco, dopo che per quarant’anni le abbiamo suonate assieme a lui...».

domenica 2 agosto 2015

KHORAKHANE' STASERA A TRIESTE, NELLA SERATA IN RICORDO DI ALEX LANGER

Un ricordo del grande Alex Langer e il concerto dei Khorakhané. È il menù della serata di oggi, inizio alle 20.30, al Museo ferroviario di Trieste (via Giulio Cesare 1, Campo marzio), nell’ambito della manifestazione “Trieste Estate 2015”. Langer (“viaggiatore leggero e costruttore di ponti”, come recita il titolo della serata: una riflessione a più voci sul significato della convivenza oggi e sull’ecologismo) ci manca dal 3 luglio 1995, giusto vent’anni fa, quando decise di porre fine alla sua vicenda terrena. Sudtirolese di lingua tedesca, nato nel '46 a Vipiteno da padre ebreo (un medico viennese che si era trasferito a Bolzano da ragazzo) e madre cattolica, vicino ai cattolici del dissenso, conosce don Milani nella Firenze degli anni Sessanta, dove studia giurisprudenza: una delle sue due lauree, quella in sociologia, la consegue poi a Trento. L'insegnamento, a cui si era dedicato a Bolzano, Merano e a Roma, viene ben presto abbandonato dalla passione per il giornalismo e per la politica, che lo porta a essere prima consigliere regionale per la Nuova sinistra in Alto Adige e poi parlamentare europeo. Per i verdi, nell'89 e nel '94, del cui movimento fu fondatore in Italia e fra i maggiori esponenti a livello continentale. Un anno dopo la sua conferma al parlamento di Strasburgo si tolse la vita. Una vita troppo breve, dedicata a tre grandi filoni di militanza civile e politica: l'impegno per la convivenza interetnica e interculturale nel suo Sudtirolo, i movimenti ecologici verdi, le carovane per la pace nell'ex Jugoslavia, ai tempi della guerra dei primi anni Novanta. Chissà cosa direbbe, oggi, dinanzi allo sfascio dei nostri tempi, che forse lui aveva intuito per primo... Il gruppo dei Khorakhanè suonano per la prima volta a Trieste. Vengono dall’Emilia Romagna e nascono come “tribute band” a Fabrizio De André, da una cui canzone, “Khorakhanè (A forza di essere vento)”, prendono il nome. Per quel titolo Faber si ispirava a sua volta ai “lettori di Corano”, in lingua rom. I Khorakhanè (o Korakhanè) sono infatti rom musulmani originari soprattutto del Kosovo. Rappresentano il gruppo più numeroso di rom stranieri presente nel bresciano ma anche nel resto d’Italia, dove sono arrivati fra il ’91 e il 93, con l’aggravarsi della situazione bellica nella ex Jugoslavia. Il gruppo ha partecipato al Sanremo 2007 con il brano “La ballata di Gino”, secondo premio della critica nella sezione giovani.

PATTI SMITH STASERA A LUBIANA, NEL RICORDO DI PASOLINI

Ieri sera a Villa Manin, a Passariano. Stasera alle 20.30 a Lubiana, alle Križanke. Prosegue il tour europeo di Patti Smith, la grande sacerdotessa del rock che ha voluto dedicare il concerto in Friuli a Pier Paolo Pasolini e alla sua opera, nell’anno in cui cade il quarantennale dell’assassinio del poeta, regista e intellettuale di Casarsa. In quello stesso 1975 usciva “Horses”, l’album capolavoro dell’artista statunitense, inserito dalla rivista Rolling Stone fra i migliori cinquanta dischi del Novecento, oltre che nella National Recording Registry alla Library of Congress. E riproposto in questo tour. Un doppio anniversario, due eventi così apparentemente distanti come l’uccisione di un artista e la pubblicazione di un disco di musica rock, che però si intrecciano nello spettacolo che Patti Smith sta portando in giro per l’Europa. Prodotto da John Cale, “Horses” è un disco che segna l’ingresso in un nuovo linguaggio musicale, ancor oggi di grande attualità: da “Gloria”, cover del classico di Van Morrison, che apre il disco, ai ritmi reggae di “Redondo Beach”, fino ai lunghi nove minuti di “Birdland”, suite di piano voce e chitarra. In questo tour, l’artista è affiancata sul palco da Lenny Kaye alla chitarra e Jay Dee Daugherty alla batteria, storici compagni che erano presenti anche in “Horses”, il figlio Jackson Smith alla chitarra e un altro fedelissimo, Tony Shanahan. La parte italiana del tour si era aperta il 14 giugno a Roma e, dopo le tappe a Catania, Firenze, Verona, Milano, Torino, Brescia, La Spezia, si è conclusa ieri sera proprio a Villa Manin. Ma la vicinanza fra Friuli Venezia Giulia e Slovenia fa sì che il concerto di stasera a Lubiana è una sorta di appendice delle date italiane, oltre che un’occasione per gli appassionati che vivono in queste terre, e che si sono persi il concerto di ieri sera, per vedere dal vivo la grande artista statunitense.

2CELLOS STASERA A TARVISIO, NO BORDERS MUSIC FESTIVAL

Dal selfie con George W. Bush (dopo il concerto alla serata di gala della fondazione Starkey Hearing Foundation a St. Paul, Minnesota, presenti anche Bill Clinton, Katy Perry, Gene Simmons dei Kiss...) al concerto di stasera a Tarvisio, in piazza Unità, per il No Borders Music Festival. Passando per un tour mondiale che, oltre alle trionfali date italiane (Torino, Ferrara, Roma, ieri sera a Molfetta, in Puglia, stasera conclusione in Carnia...), ha fatto tappa in Giappone, Corea, a Hong Kong e Singapore. E già prevede fino all’inizio del 2016 concerti nei quattro continenti. Stiamo parlando ovviamente dei 2Cellos, ovvero Luka Sulic (Maribor, Slovenia, classe ’87) e Stjepan Hauser (Pola, Croazia, classe ’86), i due virtuosi del violoncello che in pochissimi anni sono stati in grado di conquistare le platee mondiali con il loro accattivante mix di classica e rock, con contorno di un megashow fatto di luci, suoni ed effetti speciali. Provenienti dalla classica, i due formano nel 2011 il duo arrangiando brani di musica contemporanea in chiave moderna. Primo album “2Cellos”, secondo “In2ition”, terzo il recente “Celloverse”. Elton John li ha definiti «la cosa più emozionante vista dal vivo dai tempi del concerto londinese di Jimi Hendrix al Marquee Club negli anni Sessanta». Dagli Ac/Dc ai Radiohead, dai Muse a Michael Jackson, per poi rileggere brani di Sting, U2, Iron Maiden, Rolling Stones, Mumford & Sons, Prodigy, Paul McCartney, Avicii: musiche a artisti diversissimi, che i due violoncellisti ripropongono nei loro show con il loro stile inconfondibile e tecnicamente impeccabile. Accanto a questi brani, nella scaletta, un posto speciale è ormai riservato a “Celloverse”, il pezzo originale, scritto dai due artisti, che dà fra l’altro il titolo al terzo e più recente album di inediti, uscito a gennaio per la Sony. Un lavoro completamente autoprodotto, che ha esaltato il talento dei due giovani artisti, capaci di superare con naturalezza le barriere tra i vari generi musicali (rock, pop, classica, dance, folk...). Non più solo riletture, dunque, ma vere e proprie fusioni, come l’originale unione fra Iron Maiden e l’”Ouverture” del “Gugliemo Tell” di Rossini in “The trooper overture”, o il passaggio dalle “Quattro stagioni” di Vivaldi all’hard rock degli Ac/Dc in “Thunderstruck”. Da segnalare nell’album anche il duetto con il pianista cinese Lang Lang, amico personale del duo, con il quale rileggono “Live and let die”, classico di Paul McCartney dei tempi con gli Wings. La serata di Tarvisio verrà aperta dal songwriter folk-rock The Leading Guy, che ha già aperto i concerti di Ferrara e Roma e a settembre pubblicherà l’album d’esordio “Memorandum”; alla fine del concerto si terrà un aftershow con il dj Albert Marzinotto, che ha aperto i concerti di Jovanotti a Milano e Roma. Martedì i 2Cellos - che dal vivo si fanno accompagnare dal batterista Dušan Kranjc - saranno ospiti del concerto evento di Andrea Bocelli al Teatro del Silenzio a Lajatico, provincia di Pisa, assieme a Renato Zero, Gianna Nannini e la nostra Elisa.