mercoledì 24 ottobre 2007

TRIESTE Dionne Warwick canterà a Trieste, al Politeama Rossetti, martedì 15 gennaio. Il concerto è previsto a conclusione del tour italiano che comincerà il 7 gennaio al Sistina di Roma e poi toccherà anche Napoli e Firenze, prima di ripartire per gli Stati Uniti. La tournèe mondiale della cantante del New Jersey è già in corso: ieri sera ha fatto tappa a New York.

E va detto che la stagione musicale dell’autunno/inverno triestino - cominciata l’altra sera con i Negramaro al Rossetti, dove il 7 novembre debutta il tour teatrale di Ornella Vanoni - promette sin da ora anche altre attrattive. Sabato primo dicembre arriva Max Pezzali (ex 883) al PalaTrieste, dove a marzo è annunciato un concerto di Biagio Antonacci e ai primi di aprile ritornano gli intramontabili Pooh. E il calendario si arricchirà certamente col passare delle settimane.

Ma torniamo a Dionne Warwick, vera signora della musica americana e internazionale, il cui concerto triestino di gennaio si preannuncia sin d’ora come un appuntamento da non perdere. Classe 1940, vero nome Marie Dionne Warrick. Dopo gli esordi da ragazza nel gospel, debutta nel ’63 col singolo «Don't make me over», sulla copertina del quale il suo cognome viene riportato in maniera errata (Warwick anzichè Warrick) originando però quello che sarebbe rimasto il suo cognome d’arte. Di quello stesso anno è l’album intitolato «Presenting Dionne Warwick».

Successivamente «Walk on by» ma soprattutto nel ’67 «Here where there is love» (in particolare grazie al singolo «I say a little prayer», rispolverato per il film «Il matrimonio del mio migliore amico») la consacrano come cantante di successo mondiale. Sono di quegli anni anche le sue partecipazioni al Festival di Sanremo, nel ’67 con «Dedicato all'amore» e nel ’68 con «La voce del silenzio».

Nei decenni successivi Dionne Warwick - famosa soprattutto per le sue interpretazioni delle canzoni di Hal David e Burt Bacharach - si è sempre mantenuta su un buon livello qualitativo, collaborando fra gli altri con Barry Manilow, gli Spinners, Barry Gibb dei Bee Gees (il famoso duetto di «Heartbreaker», nell’82),

Nell’85 partecipa alla registrazione di «We are the world». L’anno dopo è alla guida di un progetto benefico per la ricerca sull'Aids e canta «That's what friends are for» con Gladys Knight, Elton John e Stevie Wonder. È il suo quinto Grammy Award, dopo quelli vinti alla fine degli anni Sessanta.

<Nel suo attuale spettacolo, che sta portando in giro per il mondo, non mancano ovviamente i suoi cavalli di battaglia, quali «Walk on by», «Alfie», «I say a little Prayer», «That's what friends are for» e «I never fall in love again». Quest’anno è uscito il suo nuovo album intitolato «My friends & me», tutto al femminile, nel quale duetta fra le altre con Cindy Lauper, Gloria Estefan, Angie Stone, Kelis e Gladys Night.

Da segnalare ancora che la cantante - cugina per parte di madre di Whitney Houston - è stata arrestata per possesso di marijuana nel 2002 a Miami (condanna ritirata in seguito a un pattegiamento che prevedeva un programma di disintossicazione).

Per quanto riguarda gli altri protagonisti della stagione triestina, ricordiamo che Ornella Vanoni - che ha appena pubblicato l’album «Una bellissima ragazza» - farà due anteprime del tour teatrale il 30 e 31 ottobre a Cattolica, prima di debuttare mercoledì 7 novembre a Trieste, al Politeama Rossetti. In scaletta, le canzoni del nuovo album ma anche i tanti cavalli di battaglia della sua lunga carriera, senza dimenticare i brani che testimoniano il suo antico amore per il Brasile.

Il tour di Max Pezzali, seguito all’uscita dell’album «Time out» e partito da Milano il 12 ottobre, dopo un’anteprima nel maggio scorso in un locale milanese, arriva al PalaTrieste quasi in chiusura: il 30 novembre sarà al Palaverde di Treviso, il primo dicembre è nel capoluogo giuliano e si conclude il 6 dicembre a Napoli.

Biagio Antonacci girerà invece la penisola nei palasport, a partire dal 9 novembre (debutto a Treviglio, provincia di Bergamo), dopo i due megaconcerti dell’estate scorsa allo Stadio San Siro di Milano e al Velodromo di Palermo. Prima di arrivare a Trieste a marzo, il «Vicky Love Tour» fa tappa martedì 13 novembre al palasport di Pordenone.

Da segnalare infine altri due importanti appuntamenti a Pordenone: il 9 novembre è in programma un concerto dei leggendari Deep Purple, il 22 febbraio sono invece attesi i californiani Korn.
TRIESTE Aromi di Negramaro, ieri sera al Politeama Rossetti. Aromi rock caldi e appassionati, con quel retrogusto amarognolo tipico del vino del Salento da cui Giuliano Sangiorgi e compagni hanno preso il nome. Aromi di grande musica italiana, che la band esplosa negli ultimi due anni e mezzo ha deciso di «denudare» e proporre in versione acustica nella cornice elegante di un tour teatrale, dopo i tanti club e spazi all'aperto riempiti dalla primavera/estate 2005 a oggi.

L'apertura offre uno splendido colpo d'occhio. Scenografia essenziale, lineare come l'operazione acustica richiede. Una grande griglia colorata fa da fondale. I musicisti sono disposti a semicerchio sul palco pieno di strumenti quasi tutti acustici e molti etnici: il piano Rhodes, l'organetto diatonico, la steel guitar, lo xilofono, il contrabbasso elettrico, ma anche la fisarmonica, il banjo, il bouzuki vestono di colori nuovi canzoni già conosciute e amate dal pubblico.

«La distrazione», il brano che apre l’ultimo disco registrato a San Francisco, è anche quello scelto per cominciare lo show. Si capisce subito che l'operazione è stata fatta con gusto e intelligenza. L'abito musicale è diverso ma l'anima, il cuore sono rimasti immutati. Né poteva essere altrimenti. Una sontuosa conferma arriva con «Mentre tutto scorre», il brano clamorosamente bocciato al Sanremo Giovani 2005, che poi nello spazio di poche settimane trasformò il gruppo pugliese nella grande sorpresa di quell'annata musicale italiana. Ebbene, per quello che rimane comunque la loro bandiera, per quello che si porta dentro il marchio di fabbrica che ha fatto grandi i Negramaro, ieri sera al Rossetti rilettura elegante ed essenziale, quasi scarna, soltanto per chitarra e voce, praticamente perfetta.

Sangiorgi si alterna fra piano e chitarra. Quando ha le mani libere si trasforma in uno scatenato folletto nero, una marionetta snodata che corre, salta, s’inginocchia, ma soprattutto permea lo spettacolo della sua splendida e poderosa vocalità meridionale. I cori del migliaio abbondante di spettatori fanno il resto.

Lo show, diviso in due parti, va a pescare nei tre album diciamo così «ufficiali» della giovane discografia del gruppo (il primo era stato una sorta di «album test» uscito nel 2003, dall'anima profondamente rock, un po' stile Radiohead, dovuto alla solita geniale intuizione di Caterina Caselli...), realizzando una riuscita operazione a ritroso. Canzoni che erano nate nella versione chitarra e voce, oppure pianoforte e voce, e che solo in un secondo tempo erano state rivestite di abiti rock, con un occhio alla tradizione melodica italiana e l'altro al miglior rock progressive degli anni Settanta, ritornano metaforicamente a casa, nude, semplici, acustiche, come mamma le ha fatte...

Ecco allora «Come sempre» e «Scusa se non piango», «Quel posto che non c’è» (ai sei Negramaro si aggiungono Andrea Di Cesare al violino e Claudia Della Gatta al violoncello) e «Solo per te», «Nuvole e lenzuola» (altra bandiera...) e «Neanche il mare», «Scomoda-mente» e «La finestra», che chiude il primo tempo.

Si riparte con «Giuliano poi sta male» (che diventa un vibrante mix fra una taranta pugliese e una giga irlandese...), si prosegue con «Un passo indietro» e «L’immenso», «Estate» (con Sangiorgi che sbuca in platea, una piccola torcia in una mano e il microfono nell’altra...) e «Cade la pioggia» (con commossa dedica a Jovanotti, che la canta con loro nel disco, e proprio ieri sera ha perso il fratello in un incidente).

Fra i bis non può mancare «Parlami d’amore», tormentone dell’estate ormai conclusa. Dentro il Rossetti - fra suoni, aromi e colori del Sud -, canzone dopo canzone la temperatura ormai è calda. Fuori la notte autunnale non promette nulla di buono. E forse anche per questo il pubblico, ieri sera, non aveva nessuna voglia di andar via...

sabato 20 ottobre 2007

TRIESTE «Volevamo rimetterci in discussione, ripartire da zero. Come quando l’anno scorso siamo andati a San Francisco per registrare ”La finestra”. Anche stavolta, dopo il tour estivo nelle arene e nei grandi spazi, abbiamo sentito l’esigenza di metterci alla prova con un tour teatrale, il nostro primo tour teatrale, tutto acustico, con strumenti etnici, denudando le canzoni, per vedere se funzionano anche così...».

Giuliano Sangiorgi, cantante e leader dei Negramaro, racconta con entusiasmo genesi e motivazioni di questo tour teatrale, partito l’altra sera da Verona, dopo una «data zero» a Trento, che domani sera arriva a Trieste, al Politeama Rossetti.

«Finora il pubblico triestino - prosegue Sangiorgi - ci ha visti solo in versione elettrica, al Barcolana Festival di due anni fa e al Festivalbar dell’anno scorso, entrambe le volte nella vostra splendida piazza Unità. Stavolta scoprirà le nostre canzoni con nuovi arrangiamenti, quasi com’erano nate, nella ”stanzetta” delle origini».

A teatro per intercettare un pubblico più adulto?

«No. Non ci spinge una voglia elitaria, non cerchiamo un pubblico diverso, anche perchè noi abbiamo sempre avuto un pubblico vario, molto trasversale. Non decidi a tavolino a chi ti rivolgi. Diciamo anzi che con questo tour vogliamo rendere omaggio al nostro pubblico, quello che ci ha permesso di arrivare dove siamo».

Dalla bocciatura al Sanremo Giovani 2005 al trionfo nelle classifiche e nelle piazze già nell’estate successiva. Come avete mantenuto i piedi per terra?

«La nostra storia è cominciata sette anni fa, anche se negli ultimi tre anni ha subito una netta accelerazione. Il progetto era solido, radicato nelle nostre teste e nella nostra cultura, e ci ha dotato dei mezzi necessari per affrontare questo successo, per non farci andare fuori di testa. Oggi facciamo cento concerti all’anno, ma non dimentichiamo quel nostro primo concerto a Trani, sette anni fa, davanti a pochissime persone...».

Dal Sud arriva oggi molta della miglior musica italiana...

"Il Sud oggi è verità, c’è poco artificio, in un mondo come quello musicale che soffre proprio di artificiosità. La cultura musicale del Salento è sempre stata elevata, forse serviva solo che qualcuno la scoprisse. Noi non usiamo il dialetto, non suoniamo la pizzica per una scelta precisa: puntare sul lato internazionale della nostra musica, usufruibile ovunque».

Per questo siete andati negli Stati Uniti?

«Anche. Andando negli States non inseguivamo il sogno americano che peraltro non abbiamo mai avuto. Ci serviva ricominciare da zero, confrontarci con una realtà sconosciuta, con studi di registrazione e tecnici che ci dessero i consigli giusti, senza essere condizionati dal fatto che in Italia eravamo primi in classifica».

E avete registrato in analogico.

«Fa parte dello stesso discorso minimalistico del tour teatrale. Volevamo giocare con poche cose, catturare le emozioni, la magia che sta nell’essenza delle canzoni».

Cos’è questa storia che ora vivete tutti assieme in campagna?

«È vero. Ci dividiamo fra il nostro Salento, che non abbiamo abbandonato, e questo casolare di campagna, vicino Parma, dove torniamo tutte le volte che è possibile. C’è anche una sala prove. Chi è venuto a trovarci ha detto che c’è l’atmosfera di una vecchia comune degli anni Settanta...».

lunedì 15 ottobre 2007

Archiviata la grande festa di mare e di popolo che è stata anche quest’anno la Barcolana, è d’obbligo ritornare per un momento su quello che è successo sabato sera in piazza Unità. Nella terza e conclusiva serata del Vodafone Barcolana Festival, quando mancavano cinque minuti alla mezzanotte e i Negrita stavano suonando da poco più di mezz’ora, l’intervento dei vigili urbani ha costretto gli organizzatori a chiudere lì concerto e festival. Fra i fischi del numeroso pubblico che affollava la piazza e voleva ascoltare ancora il rock della popolare band toscana. Che non l’ha digerita.

Ma sentiamo i fatti come li hanno vissuti loro, i Negrita. «Veniamo invitati - scrive la band in una nota inviata al ”Piccolo” - per chiudere con un concerto i festeggiamenti per l’evento annuale della Barcolana. È l’organizzazione locale, e non la nostra agenzia, a pianificare gli orari del nostro intervento. Tutto si svolge regolarmente. Al momento del nostro ingresso sul palco, il pubblico e la piazza scolpiscono un gran colpo d’occhio».

«Eppure - proseguono - appena il tempo d’iniziare e ci viene intimato di chiudere perché è già troppo tardi. Le luci si spengono e a noi resta da affrontare la frustrazione di molti che hanno dedicato la serata, se non l’intera giornata e svariati chilometri d’autostrada, a qualcosa che alla fine è mancato».

Conclusione dei Negrita: «Siamo un gruppo rock. Questa lettera non è per salvare la nostra reputazione, ma per segnalare ai cittadini di Trieste il caso, amministrativo e tutto italiano, di una città che spende dei soldi per organizzare una festa, e sul più bello stacca la spina».

Postilla: «L’idea di occupare uno spazio importante su un quotidiano per dare spiegazioni su qualcosa che ci riguarda non c’è mai piaciuta. Questa, dunque, in tredici anni, da quando suoniamo, è la prima volta. Ma il motivo c’è, e ci sembra opportuno sottoporlo all’attenzione dei numerosi cittadini che sabato sera hanno affollato la piazza».

Qualcosa dunque non ha funzionato nell’organizzazione della serata. Mario Viscardi, dell’agenzia Piano B di Milano, direttore del festival: «Mi assumo la responsabilità di quanto è successo. Anche se alla fine, su una scaletta prevista di un’ora, i Negrita hanno potuto suonare per quaranta minuti. Se loro pensavano a un concerto di un’ora e mezzo, beh, questo non era previsto da nessuno...».

«Comunque - prosegue Viscardi, che negli ultimi anni ha curato quattro edizioni del festival - qualcosa non è andato per il verso giusto. Il Comune di Trieste ci aveva chiesto di chiudere le tre serate alle 23.30, ma una mezz’ora di flessibilità era sottintesa. Giovedì e venerdì abbiamo chiuso dieci minuti dopo mezzanotte. Sabato, dopo che nel pomeriggio il sindaco si era già lamentato per il volume degli amplificatori durante le prove, alle 23.30 si sono presentati i vigili intimandoci di chiudere. Abbiamo trattato ma sono stati inflessibili. E alle 23.55 siamo stati costretti a concludere...».

L’organizzatore non comprende motivo e cause di quel che è successo e comunque non reputava possibile un anticipo dell’orario di inizio, pur considerando che sabato c’erano quattro gruppi in programma (Makako Jump, L’Aura e Styles, prima dei Negrita, con lunghi cambi palco occupati dalla musica lanciata dal dj), al posto dei tre delle serate precedenti. «Non volevo e non potevo - dice Viscardi - far cominciare i Makako Jump, che fra l’altro suonavano gratis, alle 20.30 con la piazza mezza vuota».

«E comunque - conclude l’organizzatore - c’è qualcosa che mi sfugge: mi sembra strana tutta questa rigidità alla fine, dopo il grande sforzo fatto da tutti perchè le cose andassero per il meglio».

Già, sarebbe come organizzare il Carnevale di Rio a casa tua e poi pretendere che a mezzanotte meno cinque si concludano le danze e tutti a nanna...
La musica di consumo? Non ci interessa. Meglio sperimentare, meglio cercare stimoli nuovi, intrecci inediti, scenari inesplorati. Come fanno a «All Frontiers - Indagini sulle musiche d’arte contemporanee».

L’appuntamento è già fissato per il 9, il 10 e l’11 novembre, alla Sala Bergamas di Gradisca d’Isonzo. Dove va in scena la creatura di Tullio Angelini giunta alla sua ottava edizione nell’arco di diciannove anni. «Ebbene sì - conferma l’anima della rassegna -, l’anno prossimo festeggiamo il nostro ventennale, visto che abbiamo cominciato nel lontano 1988 a Gorizia, dove si sono svolte le prime cinque edizioni, una all’anno, con continuità, fino al ’92, quando si è aperto quello che io chiamo il lungo buco...».

«All Frontiers» è andata infatti in letargo per una dozzina d’anni, soprattutto per la mancanza di finanziamenti e le conseguenti difficoltà economiche che attanagliano qualsiasi iniziativa che non strizza l’occhio alle mode e al mercato. Anche se con l’associazione More Music - che a un certo punto era più nota in certi ambienti musicali newyorkesi che non in Italia - ha continuato a produrre dischi e iniziative di qualità.

«Ci siamo risvegliati da questo letargo - prosegue Angelini - con l’edizione del 2005 e poi dell’anno scorso a Gradisca, dove torniamo anche quest’anno, perchè era il momento giusto. Noi non siamo cambiati. Vent’anni fa la nostra proposta pioneristica cresceva e si sviluppava nel deserto, musicalmente parlando, che era l’Isontino ma anche tutta la regione. Che ora propone un ventaglio incredibile di proposte, solo se raffrontato alla situazione di due decenni fa».

«Noi continuiamo a rivolgere la nostra attenzione - conclude l’organizzatore monfalconese - alle proposte e alle produzioni non commerciali. Il solco è sempre quello, quello tracciato vent’anni fa, che vogliamo percorrere ancora, senza presunzione, ma con la consapevolezza che esistono dei vuoti da colmare. Il pubblico, o almeno una parte di pubblico, ha bisogno di musiche ”altre”. Musiche per sperimentare e forse, alle volte, per avvicinare qualcosa che ci sfugge...».

Vediamole, allora, le musiche ”altre” scelte per questa edizione di «All Frontiers». Venerdì 9 novembre si comincia con la violoncellista statunitense Frances-Marie Uitti (per lei ha scritto anche Luigi Nono, è considerata «the Grande Dame of the avant garde»); l’italiano Federico Passera con il suo ensemble e lo spettacolo «Tema con soffio inverso»; il trio tedesco/svizzero formato da Peter Brötzmann (fiati), Marino Pliakas (basso elettrico) e Michael Wertmüller (batteria); la cantante turca Saadet Türköz (che vive da tempo a Zurigo).

Sabato 10 novembre tocca a Wayne Horvitz & Gravitas Ensemble (Stati Uniti); il duo formato da Margareth Kammerer (voce) e Daniela Cattivelli (computer e campionatore) con lo spettacolo «I miss you paradise»; il chitarrista americano Marc Ribot (uno che ha messo le sue corde al servizio di gente del calibro di Wilson Pickett, Tom Waits, Elvis Costello, Marianne Faithfull...).

Domenica 11 novembre gran finale con il musicista e compositore inglese Clive Bell (collaborazioni con David Sylvian e Brian Eno, fra i tanti); il trio del trombonista Giancarlo Schiaffini (con Walter Prati al violoncello e la cantante Silvia Fanfani Schiavoni); il chitarrista giapponese Keiji Haino (figura quasi misteriosa attorno alla quale gravita tutta la scena del rock psichedelico nipponico, per la prima volta nella nostra regione), prima da solo e poi in duo con il sassofonista tedesco Peter Brötzmann; il duo femminile svedese Midaircondo.

Tutti i concerti sono «eventi unici» per l’Italia, si svolgono alla Sala Bergamas di Gradisca, con inizio alle 20.30, e sono a ingresso libero. Altre informazioni su www.moremusic.it

domenica 7 ottobre 2007

ANNIE LENNOX Eleganza e fascino, nel pop-rock inglese degli anni Ottanta, avevano il volto e la voce di Annie Lennox. Negli Eurythmics (con Dave Stewart) e poi da sola, la bionda signora scozzese ha venduto quasi 80 milioni di dischi, vinto un Oscar e quattro Grammy. Oggi, con l’esperienza dei suoi cinquantatre anni, dimostra di volersi occupare delle cose di questo nostro vecchio e malandato mondo. Lo fa con l’impegno al fianco di Nelson Mandela in un’organizzazione che lotta per i diritti e la cura dei malati di Aids. Lo fa con questo nuovo disco, quasi un compendio musicale del suo impegno civile: «Songs of mass destruction»(SonyBmg), un titolo («canzoni di distruzione di massa») che evoca la balla guerrafondaia di Bush sulle «armi di distruzione di massa» che Saddam non aveva...

Nel disco, a tratti sembra di ascoltare una cantante soul, a tratti quella grande pop singer britannica che è sempre stata. E gli anni trascorsi non hanno scalfito il fascino di una voce inconfondibile e di una personalità carismatica con cui è difficile mettersi a confronto.

L'album - prodotto da Glen Ballard, quello di «Jagged little pill» di Alanis Morrissette, e registrato a Los Angeles - è un pesante atto di accusa contro chi, mentendo sulla questione delle armi di distruzione di massa, ha provocato la guerra in Iraq. Un attacco quindi agli Stati Uniti, ma anche all’Inghilterra che ha seguito Bush in quella scelta. Ma il disco è anche un netto richiamo al rispetto dei diritti delle donne e dei malati.

«Dark road» è il titolo del singolo apripista: una ballad azzeccata che ben rappresenta il clima e l’atmosfera del disco. Ma fra gli undici brani del disco, per un totale di cinquanta minuti scarsi, le ballad di qualità sono diverse: si ascoltino al proposito «Through the glass darkly» e «Fingernail moon». E non manca nemmeno qualche richiamo al techno pop elettronico che era un po’ il marchio di fabbrica dell’epopea degli Eurythmics (per esempio: «Coloured redspread»).

Insomma, un disco di ottima fattura che lancia anche una spettacolare iniziativa benefica. Per appoggiare Mandela e la sua Treatment Action Campaign, l’organizzazione che si batte per la cura e i diritti dei malati di Aids, Annie Lennox ha radunato un coro formato da colleghe del calibro di Madonna, Anastacia, Angelique Kidjo, Bonnie Raitt, Celine Dion, Dido, Gladys Knight, Joss Stone, Shakira... Assieme cantano «Sing», i cui proventi andranno alla citata organizzazione.

«È un potente brano femminista, un vero e proprio inno alla forza e alla determinazione delle donne di tutto il mondo», ha detto la cantante inglese. Aggiungendo: «Sento che il periodo che stiamo vivendo è mostruosamente distruttivo. Stiamo osservando alcuni dei risultati raggiunti dalla potenzialità negativa del genere umano». E ancora: «La vita è politica, e non si può fare semplicemente finta di niente e voltare lo sguardo dall’altra parte. Tutta la nostra esistenza è influenzata dalle scelte che compiamo ogni giorno».

«Songs of mass destruction» è il quarto album solista di Annie Lennox, che aveva debuttato - dopo la separazione artistica da Dave Stewart - quindici anni fa con «Diva».


 


ORNELLA VANONI Ornella Vanoni sarà a Trieste, al Rossetti, il 6 novembre. Intanto ascoltiamo il suo nuovo album, «Una bellissima ragazza» (SonyBmgEpic), con cui realizza uno dei suoi dischi più autobiografici e vitali della sua produzione più recente. La canzone d’autore, il jazz, il Brasile sono i suoi grandi amori musicali che si ritrovano nel disco. Tra gli ospiti il trombettista Paolo Fresu e il vocalist Mario Biondi, mentre la lista degli autori comprende Renato Zero, Ron, Gino Pacifico, Bungaro, Grazia Di Michele. La produzione artistica è di Mario Lavezzi.

Guardando ai brani vien da pensare che si tratti di scelte fatte per raccontare una storia attraverso le canzoni, mentre appare evidente lo sforzo di uscire dallo schema cantautorale. «Credo che oggi - dice la Vanoni - il cantautorato declamatorio non possa più dire niente di nuovo. Ormai si può parlare solo di poesia. La verità è che l'Occidente si è dimostrato superficiale e indifferente rispetto ai drammi del mondo. Allora piuttosto che brani che definiamo impegnati preferisco riprendere un pezzo come ”La costruzion”, di Chico Buarque de Hollanda, che ha una melodia dolcissima ma parla di morti bianche, di operai che cadono dalle impalcature».

Ornella Vanoni è cresciuta in un'epoca straordinaria in cui a Milano il mondo della canzone si fondeva con quello del teatro, del cinema e della musica colta. «Noi andavamo in Galleria e ci incontravamo. Ci si scambiavano idee, fermenti, scoprivamo insieme nuovi universi espressivi. Io potevo mettere sul tavolo la mia rabbia perchè mi ero stufata di fare la cantante della mala. Adesso questo tipo di scambio non esiste più. La gente si incontra nei salotti ma per fare altro. E per questo che si finisce per importare o copiare I modelli inglesi e americani. Ci sono delle eccezioni: tra le mie colleghe trovo che Elisa sia bravissima. È diversa dalla tipica cantante italiana, non strilla. Diamole tempo e sarà una grande. E poi adoro Gianna Nannini...».


POVIA Dopo la vittoria a Sanremo 2006 con «Vorrei avere il becco» e due lunghi tour, Povia torna con un album che potrebbe segnare una svolta nella sua carriera. Sembra infatti abbandonare la spensieratezza dei lavori precedenti (almeno nei brani più famosi), affrontando temi più impegnativi. C’è una maggiore profondità, una diversa consapevolezza, che peraltro già si intravedevano in alcune canzoni dei dischi precedenti. I dieci brani nuovi spaziano fra riflessioni sulla spiritualità («È meglio vivere una spiritualità»), sull'amicizia («L'amicizia»), sugli incidenti del sabato sera («Maledetto sabato»), sulla responsabilità degli uomini nei confronti di un mondo da salvare («Vuoi!?»). Riflessivo e garbato.


 


NICK THE NIGHTFLY Un triplo cd con 48 brani per la più celebre e raffinata delle compilation, creata e pensata da Nick The NightFly, musicista e dj di Radio Monte Carlo. Una raccolta di brani più o meno famosi che spaziano dal jazz al chill-out, dal soul alla world music e alla musica brasiliana. Nick ha creato un viaggio musicale in tre cd: «Yesterday», «Today» e «Tonight», distinti per tipologie di musiche. E spiega: «Pensavo alle musiche che ho incontrato, passate e recenti, e come spesso, quando non le senti più per un po’ di tempo, ti passano di mente. Cosi mi è venuta la voglia di rispolverare la memoria e raccoglierle in questo cofanetto...».