mercoledì 30 settembre 2009

LORIANO MACCHIAVELLI


Spesso leggere le pagine dei quotidiani siciliani, purtroppo, è più appassionante di un romanzo giallo. Parola di Andrea Camilleri. Cui si deve anche questo giudizio: il giallo funziona, è vera letteratura; in televisione la tecnica del giallo, se ben riprodotta, può dare ottimi risultati.

A ”Grado Giallo”, il festival letterario giunto alla seconda edizione, che si terrà fra domani e domenica sull’Isola del Sole, il papà del commissario Montalbano non ci sarà. Ma ci sarà Salvatore Nigro, il suo editor, che racconterà il successo dell’investigatore più amato dagli italiani. Ci sarà anche Veit Heinichen, il giallista tedesco trapiantato da un decennio sulla costiera triestina. E ci sarà pure Loriano Macchiavelli, che racconterà assieme a Sandro Toni (inizialmente doveva esserci Francesco Guccini, che non potrà essere presente per un grave lutto) ”come si fa un giallo a quattro mani”...

Allora Macchiavelli, lo spieghi prima a noi...

«Per scrivere a quattro mani - dice lo scrittore, classe ’34 - bisogna innanzitutto avere delle cose in comune. Nel caso mio e di Guccini è stato importante venire dalla stessa zona, la stessa valle del Reno che dall’Emilia si inoltra verso la Toscana. Ciò per noi ha significato avere anche ricordi in comune, scoprire assieme cose che si erano dimenticate e ritrovarle, personaggi che erano rimasti in fondo alle nostre memorie».

Radici comuni, linguaggio comune.

«Fino a un certo punto, per la verità. Io sono di Vergato, soltanto venti chilometri a nord della Pavana di Francesco, che però è nato a Modena. Poco più di un tiro di schioppo, ma linguaggi diversi: il mio paese gravita infatti ancora su Bologna, il suo è quasi in Toscana. Fondendoli, nasce il nostro paese immaginario, il nostro personalissimo Macondo...».

Paesini comunque di montagna.

«La montagna, i nostri Appennini sono per noi una fonte infinita di storie e di personaggi. A volte capita che fra i monti ci si isoli, il mondo attorno arriva come attutito. Non si tratta di una scelta precisa. Piuttosto di un’imposizione da parte di un mondo esterno sempre più distante, sempre meno amato».

Mauro Corona le piace?

«L’ho letto, ma non lo conosco bene. Comunque sì, mi piace, anche perchè le sue storie sono come impregnate di un che di selvaggio, di primitivo. Ma lui viene dalla montagna vera, i nostri Appennini sono meno alti».

Ma com’è che con Guccini avete cominciato a scrivere assieme?

«La cosa è un po’ strana. Una sera eravamo assieme a una cena, dopo una manifestazione letteraria, e Francesco mi raccontò una storia che aveva recuperato non so dove. Voleva che la scrivessi io. Ero titubante, anche perchè per me, come per tanti altri, Guccini era e rimane un mito. L’editore era presente e buttò lì l’idea: ma perchè non la scrivete assieme? Detto e fatto».

Com’è, il grande cantautore, a lavorarci assieme?

«Intanto è una bella persona, e non lo dico perchè ne sono amico. Merita davvero di essere amato dalle tantissime persone che ascoltano le sue canzoni e leggono i suoi libri. A lavorarci assieme, beh, un problema c’è: è molto pigro, dunque bisogna un po’ adeguarsi ai suoi tempi. E magari farsi carico di un lavoro di ricerca e di documentazione che lui non farebbe mai...».

La documentazione è importante, nei vostri libri, che sono comunque di fantasia?

«Sì, perchè io voglio che il racconto sia sempre credibile. Dunque bisogna innanzitutto osservare la realtà circostante. Ma sono anche io che faccio le ricerche, vado negli archivi, in biblioteca, intervisto gli anziani del luogo... Devo dire che è un lavoro che mi piace, dunque non mi pesa assolutamente. Anzi, penso sia la parte più interessante del mio mestiere».

Lei nasce come autore teatrale. Perchè passò al giallo?

«Nel teatro io ho mosso i primi passi, negli anni Sessanta. Come organizzatore, come attore e come autore. Poi verso la metà degli anni Settanta scrissi il mio primo romanzo. Fu un giallo per il semplice motivo che io ero un antico lettore di libri gialli. Amavo soprattutto i grandi americani: Raymond Chandler, Mickey Spillane, Dashiell Hammett...».

Cos’è per lei il romanzo poliziesco?

«È il racconto di storie vicine al sentimento dell’uomo, nella consapevolezza che il mistero ha sempre affascinato e coinvolto l’essere umano. Ma dev’essere un mistero calato nella realtà, contestualizzato. Se ne parlava recentemente a Nizza, dove ho partecipato a un festival con dei colleghi francesi. Per esempio: ho sempre trovato vergognoso che Agatha Christie si dilettasse a descrivere i suoi delitti e le sue morti nelle idilliache campagne inglesi, senza fare un solo accenno ai drammi che avvenivano in quegli anni...».

E i drammi dei nostri tempi?

«È in fondo la grande lacuna anche dei nostri romanzi gialli. Noi raccontiamo piccole storie, piccoli fatti e personaggi. Ma intanto sopra di noi c’è un ”grande delinquente universale”, che sta uccidendo il mondo intero. Ovviamente non mi riferisco a una persona in particolare. Piuttosto l’intero sistema che ci governa, fatto di guerre, di ambiente massacrato, di interesse economico che tutto regola...».

Il vostro commissario Santovito non c’è più. Ma c’è già una prossima storia?

«Sì, con Guccini stiamo scrivendo un nuovo romanzo poliziesco. Siamo solo agli inizi. Posso dire soltanto che è sempre ambientato sui nostri Appennini. E che Santovito è citato nella storia. Vorremmo scoprire e raccontare la montagna oggi, in modo nuovo e diverso. Ma siamo solo agli inizi. Penso non uscirà prima della fine del 2010...».

La manifestazione gradese, curata da Elvio Guagnini e promossa dall’assessorato alla Cultura del Comune di Grado con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Trieste, si svolgerà nello Spazio Noir allestito alla Diga Nazario Sauro. Apertura domani alle 17.30 con la tavola rotonda ”I generi del mistero e i giornali”, ovvero giallo e cronaca, alla quale prenderanno parte gli autori Ermanno Paccagnini, Sergio Pent e Valerio Varesi, con il giornalista Alessandro Mezzena Lona.

A seguire, una ”dedica” al grande maestro del giallo Edgar Allan Poe, a duecento anni dalla nascita (incontro a cura di Leonardo Bonuomo). Alle 21 l’appuntamento con Macchiavelli e Sandro Toni. Altre informazioni sul programma su www.comune.grado.go.it e www.grado.info

lunedì 28 settembre 2009

DISCHI / JENNY SORRENTI


C'è chi azzecca il disco buono al primo tentativo, chi ha bisogno di riprovare più volte, chi sparisce dopo un esordio col botto. E poi c’è chi rimane sempre in scena, magari in posizione defilata, e quando gli altri sono pronti per la pensione se ne viene fuori con la cosa migliore della sua lunga carriera.

È il caso di Jenny Sorrenti, uscita da poco con il convincente ”Burattina” (Odd Times Records - Carta da Musica). Negli anni Settanta la ragazza era conosciuta innanzitutto per essere la sorella minore del ben più noto Alan, passato dal pop d’avanguardia di album come ”Aria” e ”Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto” a successi commerciali come ”Figli delle stelle” e ”Tu sei l’unica donna per me”.

Fratello e sorella erano nati nel Galles, madre gallese e padre napoletano, e si erano trasferiti giovanissimi a Napoli, all’inizio dei tumultuosi Settanta. Jenny (vero nome Jane) aveva seguito subito le orme del fratello formando i Saint Just, gruppo di rock progressive con influenze folk, che nell’ottobre del ’74 tenne un concerto anche nel teatrino del (non ancora ex) manicomio di San Giovanni.

In tutti questi anni, mentre Alan si perdeva fra disavventure oltreoceano e revival casalinghi, Jenny ha proseguito per la sua strada, il suo percorso musicale e linguistico attraverso la musica delle tradizioni folk e popolari dell’Europa e del Mediterraneo.

Un lavoro stimolante che, dopo lo scioglimento dei Saint Just, ha prodotto solo cinque album in oltre un trentennio. Dopo ”Suspiro”, del ’76, realizzato assieme a Pino Daniele, Peter Kaukonen (fratello di Jorma, chitarrista dei Jefferson Airplane) e Lucio Fabbri (violinista della Pfm), e il secondo album, ”Jenny Sorrenti”, del ’79, con un duetto con Francesco De Gregori nel brano "Lampo", c’è stata una lunga pausa impiegata a fare altre cose e collaborare con altri artisti. Fino al 2001, quando è uscito ”Medieval Zone”, originale tentativo di fondere il folk partenopeo col folk celtico, bissato nel 2004 da ”Com’è grande enfermidade”.

Ora arriva questa raccolta di nuove canzoni, che parlano di solidarietà fra i popoli, di attenzione verso gli altri, di quei gesti d’amore di cui sono capaci le persone semplici. Napoli è il centro musicale del disco, le cui atmosfere vagano per il Mediterraneo, esplorano l’Africa ma anche le terre del Nord Europa. E il risultato sembra una ricerca multiculturale per la nuova canzone d’autore napoletana.

Laddove invece il collante è la voce della signora: forte e delicata, armoniosa e suadente. Come in ”Fragili”, pianoforte e voce, dedicata alle persone che non trovano un posto nella società. ”Ali in prestito” alterna italiano e gallese. ”Bachgen bach o dincer” è ispirata a una filastrocca gallese per bambini In “Nessuno è più forte di chi non ha nulla da perdere” canta anche Enzo Gragnaniello.

Con Jenny Sorrenti - che ha detto di voler riformare i Saint Just - l’Orchestrina Malombra capitanata da Marcello Vento, con Piero Viti, Vincenzo Zenobio e Vittorio. Bentornata, signora.


MORANDI Gianni Morandi torna in tivù il 26 ottobre, su Raiuno, con ”Grazie a tutti”. Intanto esce con ”Grazie a tutti, il concerto” (Sony), cofanetto comprendente cd e dvd a prezzo speciale.

Il cd è stato registrato dal vivo e raccoglie alcuni dei successi di una carriera lunga mezzo secolo. Si parte con ”Vita” e ”Se perdo anche te”. Si prosegue con ”Bella Signora”, ”Se non avessi più te”, ”Solo all’ultimo piano”, ”Scende la pioggia”, ”La fisarmonica”, ”Non son degno di te”, ”Il tempo migliore”... Si conclude con un medley (”Andavo a cento all’ora”, ”Fatti mandare dalla mamma”, ”In ginocchio da te”), ma anche con ”Uno su mille”, ”Non ti dimenticherò” e l’inedito ”Grazie a tutti”: «Per quanto ho dato e quanto ho avuto, per quanto ho riso pianto e sperato, per ogni giorno che ho ricominciato, per ogni istante regalato, voglio dire grazie a tutti...».

Ma parliamo del dvd, ”il primo della mia carriera”. Costruito come una fiction, comprende immagini inedite e scene di backstage e vede la partecipazione del figlio Pietro. C'è anche il duetto ”Grazie perchè” con Alessandra Amoroso, che sarà al suo fianco anche su Raiuno. «Ha partecipato con impegno e grinta a un talent show che ha vinto con pieno merito - dice Morandi della vincitrice di ”Amici” -. Ha già venduto centinaia di migliaia di dischi ma non si è montata la testa. È piacevole lavorare con lei...».

Le immagini del dvd sono state registrate durante il concerto di Ravenna del maggio scorso, una delle tante tappe del tour che in due anni ha toccato ventitre città per un totale di novanta repliche: ogni sera quaranta canzoni.

Il maratoneta Gianni, classe ’44, che a dicembre compie sessantacinque anni, non mostra segni di stanchezza: dopo lo show televisivo (parola d’ordine: «Intrattenere senza disturbare, fare una tv semplice, senza effetti mirabolanti, senza una spasmodica ricerca di audience a tutti i costi...»), a gennaio riparte in tour, perchè vuole «portare lo show anche nelle città non ancora toccate dal tour». Chissà che non arrivi anche a Trieste.


STREISAND Una grande carriera dietro le spalle, ma nessuna intenzione di passare la mano. Barbra Streisand torna sulla scena musicale con un nuovo album: ”Love is the answer”, che arriva a quattro anni dall'ultimo lavoro, ”Guilty pleasures”, e a tre dal ”Live in concert 2006”. Un album, coprodotto assieme alla cantante jazz canadese Diana Krall (il cui tocco si sente...) e a Tommy Lipiuma, in cui la Streisand ripropone grandi classici in chiave jazz. Tra i brani spiccano ”If you go away”, versione di ”Ne me quitte pas” di Brel, cantata in francese e in inglese, ”In the wee small morning”, portata al successo da Frank Sinatra, e la classicissima ”Smoke get in your eyes”. La cantante, vincitrice di cinque Emmy Award e dieci Grammy, reinterpreta, tra gli altri, pezzi come ”Here’s to life”, "Love dance” e ”You must beleive in spring”. Arrangiamenti di Johnny Mandel. La versione deluxe del disco contiene due cd: il primo è identico all'edizione standard con arrangiamenti per orchestra, il secondo contiene invece canzoni arrangiate per quartetto (quello di Diana Krall).


TOZZI ”Superstar” è l’album numero ventinove nella carriera di Umberto Tozzi e arriva a quattro anni dall’ultimo inedito e a pochi mesi dall’ultima raccolta. Si tratta di una raccolta di sedici ”lati b” riarrangiati (fra cui ”L’amore è quando non c’è più”), estrapolati da vecchi dischi, a cui si aggiunge una versione dal vivo della celebre ”Ti amo”, che trent’anni fa, assieme a ”Gloria”, fece del cantante piemontese una star internazionale da quaranta milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Il disco è stato registrato tra Pistoia e Los Angeles e comprende un libretto di 32 pagine con le foto del romano Gianmarco Chieregato. «Erano due anni che avevo in mente questo progetto - ha spiegato Tozzi -. Mi è venuto in mente riascoltando vecchio materiale: ho trovato testi attualissimi, andavano soltanto rinfrescati gli arrangiamenti. Si tratta di brani che non erano stati presi in considerazione perchè vicini a titoli più forti...». Il disco è prodotto dal figlio Gianluca, 23 anni, udinese, per l'azienda ”di famiglia” Momy Records. Dal 4 dicembre Tozzi parte in tour da Milano.



MICHAEL JACKSON, BUSINESS DOPO MORTO


NEW YORK La faccia di Michael Jackson ti accoglie stampata sulla maglietta del taxista pachistano già all’aeroporto Jfk. La ritrovi, a far concorrenza a quella del presidente Obama, sui gadget che i negozietti gestiti da immigrati indiani di prima generazione propongono fra la Sesta e la Ventitreesima, sulle bancarelle a Central Park e su quelle a Battery Park, vicino all’imbarco del traghetto per Staten Island e dei barconi che portano i turisti a vedere la Statua della Libertà.

Ma il trionfo di ”Jacko” si celebra ovviamente ad Harlem, nei mercatini e nei negozi attorno al mitico Apollo Theatre che fu di Ella Fitzgerald, di James Brown, dei Blues Brothers. Lui stesso aveva debuttato bambino, a cinque anni, nel ’63, con i Jackson Five, in questo teatro che ha fatto e visto passare la storia della musica nera. E oggi, sulla 125th Street dove sorge il teatro, guardandosi attorno sembra quasi che il re del pop sia ancora vivo.

Magliette, poster, murales, fotografie, quadri, spille, gadget di vario tipo, ma anche giovani e meno giovani vestiti ”alla maniera di Michael”, i suoi classici trasmessi da radio e tivù, manifesti attaccati sui muri nei quali la tal famiglia Woods «unisce le proprie preghiere a quelle della famiglia Jackson e ringrazia per la musica e i ricordi che nutrono le nostre anime».

Sentimenti a parte, girovagando per le strade di quel riassunto del mondo che è la Grande Mela, si ha l’impressione che il grande sfruttamento post mortem dell’immagine e dell’opera dell’artista scomparso sia solo agli inizi. Jackson è sicuramente in grado, da morto, di produrre un fiume di dollari. Quasi più che da vivo.

Il re del pop, primo artista di colore a diventare una star mondiale, l’uomo dei primati che ha venduto in vita 750 milioni di dischi è stato anche l’uomo che negli ultimi anni spendeva trenta milioni di dollari più di quanto incassava, che aveva speso altri milioni (avvocati, spese legali, somme versate alle famiglie per tacitarle...) per uscire assolto dai processi seguiti alle infamanti accuse di pedofilia, che pochi anni fa aveva ottenuto un prestito da duecento milioni di dollari dalla Bank of America, che aveva accettato di tornare in scena (dieci concerti a Londra, poi diventati cinquanta, che si sarebbero dovuti tenere dal 13 luglio scorso e che invece lo hanno portato alla morte...) proprio per far fronte ai debiti.

Oggi, sugli eredi - dopo aver pagato debiti e tasse - sta per rovesciarsi una montagna di denaro. Le prove del suo ultimo spettacolo sono già diventate un film i cui diritti sono stati acquistati dalla Sony per sessanta milioni di dollari. ”This is it” - che uscirà in tutto il mondo il 28 ottobre - ripercorre il periodo che va da aprile a giugno 2009 ed è stato tratto da più di cento ore di riprese dietro le quinte in cui si vede Jackson provare i brani per il concerto. E ”This is it” è anche il titolo della prima canzone postuma, annunciata per il 12 ottobre, e del doppio cd che uscirà in concomitanza con il film: primo disco con le versioni originali dei suoi più grandi successi, secondo con versioni ancora inedite e una poesia, intitolata ”Planet earth”.

Ma intanto il business non si ferma. Anzi. L'ultima villa in cui l’artista ha vissuto, e nella quale è morto, è stata comprata dallo stilista francese Christian Audigier, che intende organizzare sfilate a ogni anniversario della scomparsa del re del pop. Che negli ultimi tempi già la affittava per centomila dollari al mese.

Poi ci sono i vecchi dischi, schizzati ai vertici delle classifiche negli Stati Uniti (dove in queste settimane tengono loro testa solo i Beatles rimasterizzati in digitale e la ritrovata Whitney Houston) ma anche in tutto il mondo. E le biografie, i tour della memoria, il megaconcerto in sua memoria previsto per il 26 settembre a Vienna e poi slittato al giugno prossimo a Londra, il musical ”Thriller-Live” che arriva in Italia quest’autunno (attesa per le date al Rossetti di Trieste dal 3 novembre), il merchandising che tutto avvolge e fagocita e da tutto produce denaro.

Basti pensare a quel che è successo a Melbourne, in Australia, dove il famoso guanto bianco tempestato di cristalli che Jackson indossò alla prima del suo film «Ghosts» (nel ’96, a Sydney) e il giorno del matrimonio con la seconda moglia, Debbie Rowe, è stato battuto all'asta per 34 mila euro, il doppio rispetto alle previsioni. Soldi sganciati dall'Hard Rock Hotel e Casino di Las Vegas. Che non è un ente di beneficenza, dunque ne ricaverà altro denaro.

Una curiosità. Nella speciale classifica statunitense degli incassi post mortem degli artisti, per il 2008 la vetta è saldamente nelle mani di Elvis Presley, con 52 milioni di dollari. Seguono il disegnatore Charles Schultz (quello dei Peanuts, con 33 milioni), l’attore Heath Ledger (20), lo scienziato Albert Einstein (ebbene sì..., 18), e solo qualche posizione più in basso John Lennon e Andy Warhol con nove milioni, Marilyn Monroe con sei milioni e mezzo, Steve Mc Quenn (sei), Paul Newman e James Dean (cinque), Marvin Gaye (tre e mezzo).

Ebbene, secondo le previsioni degli esperti, nella classifica che uscirà l’anno prossimo - riferita dunque al 2009 - Jackson potrebbe già piazzarsi a ridosso del finora irraggiungibile Elvis. Dato di tutto rispetto, considerato che la popstar è morta il 25 giugno, e che dunque gli incassi si riferiscono soltanto al secondo semestre. Ancor meglio dovrebbe andare nel 2010, se la tendenza verrà confermata, come tutto lascia supporre.

Intanto, ”Jacko” riposa finalmente in pace nel mausoleo del cimitero di Forest Lawn, a Hollywood Hills, California. È il cimitero più «spettacolare d'America», meta di turisti, dove riposano Clark Gable, Humphrey Bogart, Walt Disney, Sammy Davis Junior. Ospita copie delle statue di Michelangelo, dalla Pietà al David, e vi è riprodotta anche una vetrata dedicata all'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, dipinto amato da Michael al punto che ne aveva realizzata una ”sua versione”, custodita al Neverland Ranch. Prossimo a essere trasformato in una nuova Graceland.

sabato 19 settembre 2009

FLAVIO GIURATO A TRIESTE


Nella genialità c’è sempre una vena di lucida follia. E nella follia abitano spesso sprazzi di combattuta genialità. Prendete Flavio Giurato, che l’altra sera ha tenuto il primo concerto triestino della sua lunga e particolarissima carriera nel restaurato teatrino dell’ex manicomio di San Giovanni, davanti a un centinaio di estimatori vecchi e nuovi.

Quando aveva trent’anni, il cantautore romano - classe ’49, fratello minore di Luca, giornalista e gaffeur ben noto all’Italia televisiva - diceva che voleva ”essere un tuffatore, per rinascere ogni volta dall’acqua all’aria”. Uno dei suoi versi cult, dal brano ”Il tuffatore”, che dava il titolo al suo album capolavoro uscito nell’82.

Con ”Per futili motivi” (’78) e ”Marco Polo” (’84), formava una trilogia da togliere il fiato. Sconosciuta ai più ma capace di farlo diventare artista di culto per una ristretta ma fedelissima schiera di appassionati. Dopo oltre vent’anni di silenzio, interrotti da concerti quasi clandestini e nuove canzoni diffuse in maniera autarchica, ma impiegati soprattutto a occuparsi d’altro (regia televisiva, musicoterapia e chissà cosa), il nostro è riapparso un paio d’anni fa con l’album ”Il manuale del cantautore” - già titolo di un mini-cd uscito precedentemente - e un libro a lui dedicato.

A Trieste, l’altra sera, si è presentato da solo, voce e chitarra: una classica e un’acustica che ha presentato con orgoglio (”opera di liuteria”) come fossero delle persone. Parte con una sorta di medley con alcune cose tratte dalla mitica trilogia: ”Simone”, ”Mauro”, ”Valterchiari”, ”Storia di un’osteria”...

Poi offre «la prima esecuzione in pubblico» delle canzoni che formeranno il prossimo album («ma devo ancora trovare chi me lo pubblica...», confessa prima del concerto): ”Italia Italia” («voglio sapere perchè questo paese somiglia a un villaggio di donne indifese...») e ”I cavalieri del re”, ”Gatton gattoni” e ”La banda dei topini” («la nuova canzone dei bambini...»), ”La grande distribuzione” e ”La scomparsa di Majorana”, che racconta il mistero del fisico italiano sparito misteriosamente nel 1938 e darà il titolo al disco.

Alla fine, fra i bis, in un’atmosfera ormai da serata fra amici, altre perle del passato: ”Marco e Monica”, ”Centocelle” e - ”a grande richiesta” - finalmente ”Il tuffatore”.

L’impressione? Sicuramente Flavio Giurato è una delle penne più originali e creative che abbiano mai abitato la nostra canzone d’autore. Le canzoni di quei suoi tre vecchi album sopravvivono agli anni, alle mode e ai capelli bianchi. Tuttora scrive testi intelligenti e originali, assolutamente non commerciali. Per questo la discografia, che gli ha concesso spazio a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, quand’era ancora possibile sperimentare, da tempo lo tiene ai margini.

Forse, nella società dei numeri e del profitto (se vendi ok, altrimenti ciao...), la cosa ha una sua cinica logica. Perchè Giurato - ”antidivo e antimercato”, come scriveva Carlo Massarini nella prefazione del libro - è oggi un ragazzone di sessant’anni un po’ borderline che continua a muoversi con abilità sul crinale insidioso che divide genialità creativa e follia visionaria.

Scrive canzoni belle e struggenti, permeate d’ironia e drammaticità, non riconducibili a nessun filone, a nessuna scuola musicale né cantautorale. Forse proprio per questo capaci di mantenere tuttora intatta una loro sofferta attualità.

domenica 13 settembre 2009

ANTONELLA RUGGIERO


Certo che ascoltare i canti ebraici della tradizione klezmer dalla superba voce di Antonella Ruggiero è un’altra cosa. Con tutto il rispetto dovuto ad altri interpreti. Aggiungi una manciata di brani della sua seconda giovinezza artistica e alla fine persino un omaggio ai tempi dei Matia Bazar, ed ecco che il concerto dell’artista genovese, ieri sera sulle Rive triestine, è diventato un piccolo grande evento per le tre/quattrocento persone che hanno trovato posto a sedere nel piazzale dell’ex piscina Bianchi minacciato dal cemento.

Che emozione, ascoltare a due passi dal mare, con una brezza leggera, le musiche della tradizione dell’Est europeo legate al teatro in lingua yiddish. Parlano di quotidianità, celano messaggi di protesta sociale, sono sempre velate di autoironia. Da ”Chichi Bonichi” a ”Kinder yorn”, composta da Mordechay Gebirtig, falegname e poeta che ricorda l'infanzia in quel ghetto di Cracovia nel quale venne ucciso dai nazisti nel ’42. Da ”Belz”, canto dell’immigrato ebreo in America che ricorda il paesello, a ”If I were a rich man” (repertorio della diaspora americana, dal musical ”Il violinista sul tetto”) fino alla notissima ”Tumbalalaika”. All’inizio e in mezzo, brani strumentali per il clarinetto di Amit Arieli e la chitarra di Giovanni Cifariello, componenti del gruppo assieme a Carlo Cantini (violino) e Roberto Colombo (tastiere).

A guardarla e ascoltarla, la Ruggiero, vien da pensare al suo percorso artistico: vent’anni ”leggeri” coi Matia Bazar, poi la parentesi privata, un viaggio in India, e il ritorno nel ’96, con il primo album solista, ”Libera”, sospeso fra Oriente e Occidente. Non smette di frequentare Sanremo ma il suo mondo parla di musiche sacre, concerti nelle chiese e nei teatri antichi, curiosità per la classica, passione per i musical ma anche per i canti popolari alpini (spettacolo ”Echi d'infinito - La montagna canta”). E poi l’omaggio ai cantautori storici della sua città (”Genova, la Superba”), quello ad Amalia Rodrigues e al fado portoghese, fino allo spettacolo ”Canzoni italiane tra le due guerre”, visto anche a Trieste sei mesi fa.

Ora questo spettacolo dedicato alla musica ebraica, presentato in anteprima al Giorno della Memoria del 2004, che nel finale non lascia le orecchie orfane di autentiche perle del suo passato: ”Amore lontanissimo” (seconda a Sanremo ’98), ”Echi d’infinito”, ”Vacanze romane”... A Trieste, successo affettuoso. Per un’artista da cui impariamo che dalla gabbia dorata del successo, volendo, si può uscire. Per scoprire che c’è tutto un mondo intorno.