venerdì 30 luglio 2004

Certo che in piazza Unità sarebbe stato un altro spettacolo. È quello che pensano in molti, alla vigilia del concerto che Joan Baez terrà stasera alle 21 al Teatro Romano. Provate a pensare: la paladina dei diritti civili, l’icona della protesta contro la guerra nel Vietnam, l’artista che da 45 anni mischia canzone e impegno, lì, sul grande palco che quest’estate troneggia nel salotto buono cittadino, per ospitare spettacoli per tutti i gusti e di tutti i livelli.

E lì, in piazza Unità, nell’estate del cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia, sentirla cantare l’inno pacifista «We shall overcome», la ballata su Joe Hill (dedicata l’altra sera a Roma a Michael Moore, il regista che sta svelando agli americani la vera faccia di Bush...), «Deportees», il brano di Woody Guthrie sull’immigrazione clandestina, le morandiane «Un mondo d’amore» e «C’era un ragazzo». E da lì, dal palco di piazza Unità, sentirla chiedere anche scusa al mondo da parte dell’America, proprio come ha fatto a Roma...

Joan Baez queste canzoni le canterà - e queste parole le dirà - invece nell’altrettanto suggestiva cornice del Teatro Romano, davanti a un pubblico per forza di cose più ristretto. Circa seicento spettatori, che hanno pagato 35 euro (più i famigerati diritti di prevendita) per esserci. I biglietti sono esauriti già da qualche giorno, con richieste anche da fuori regione, considerato che in Italia il tour tocca, oltre a Trieste, soltanto Messina e Roma.

In piazza Unità sarebbe stato possibile contare su un pubblico maggiore. Qualche migliaio di persone, se lo spettacolo fosse stato a ingresso gratuito (anche perchè organizzare uno spettacolo a pagamento, nella nostra grande piazza sul mare, non è facile...), come nei recenti casi di Edoardo Bennato e delle Orme. Ma qui cominciano le difficoltà. Innanzitutto il costo. Un concerto della Baez costa sessantamila euro, uno di Bennato undicimila (cifre alle quali vanno aggiunte spese varie: struttura, security, promozione, Siae e tasse varie...).

Il Comune, per garantire la gratuità degli eventi in piazza Unità, ha potuto contare sui fondi per le manifestazioni del cinquantenario. La Provincia organizza invece il Teatro Romano Festival con il contributo economico di Regione, Camera di Commercio, Fondazione Crt e Act.

«E poi la stessa Joan Baez - spiega Guido Galetto, attivissimo assessore provinciale alla cultura - ha scelto di fare questo tour in luoghi antichi, particolari. Rifiutando stadi e palasport, per intenderci. Da parte nostra vogliamo qualificare e far conoscere anche fuori Trieste il Teatro Romano, che ha duemila anni di storia ma che da soli due anni abbiamo restituito al suo ruolo di spazio di spettacolo. E quindi per noi un’artista come la Baez è perfetta...».

Ma sognare non costa nulla. E pensando alle centinaia di migliaia di persone che domani sera, a Roma, davanti al Colosseo, assisteranno (gratis) al concerto di Simon & Garfunkel, per un attimo abbiamo sognato anche noi un grande concerto (gratis) di Joan Baez a Trieste, in piazza Unità.

mercoledì 28 luglio 2004

Vent’anni fa al Parco Galvani di Pordenone, dieci anni fa in piazza a Spilimbergo, e più recentemente anche a Capodistria e a Udine (nell’estate 2000, ultima tournè europea prima di quella attualmente in corso), giusto per restare al passato prossimo e alle nostre zone.

Dopo esserci passata attorno un bel po’ di volte, insomma, domani sera Joan Baez arriva finalmente a Trieste, per un concerto nel suggestivo Teatro Romano che inaugura la terza stagione dell’omonimo festival. E per il pubblico (che in piazza Unità sarebbe stato molto più numeroso, a patto però di un ingresso libero che gli organizzatori evidentemente non si sono potuti permettere, considerato il costo dello spettacolo...) sarà come avvicinarsi a un mito, a una leggenda fatta di canzoni ma anche di impegno civile, cominciata dal Festival di Newport nel ’59.

Fu infatti quello il debutto ufficiale della diciottenne folksinger, nata nel ’41 a Staten Island, New York, seconda di tre figlie di Albert Baez, dottore in fisica, e di Joan Bridge, donna di origini scozzesi figlia di ministro della chiesa episcopale e professore di drammaturgia emigrato negli Stati Uniti.

Ragazza che ama la musica e che è sensibile agli ideali del pacifismo e della non violenza. Nel ’58 la sua famiglia si trasferisce a Boston, dove Joan studia teatro alla Boston University e comincia a suonare e cantare nei caffè e nei locali della città. Un po’ alla volta la sua attività si estende lungo la East Coast, per arrivare - con quella particolare commistione di folk tradizionale e testi impegnati - al Festival di Newport, dove si guadagna il contratto con l’etichetta folk «Vanguard».

Il primo album, «Joan Baez», esce nel ’60 ed è una raccolta di canzoni tradizionali. Incontra Bob Dylan al Gerde’s Folk City. Per un po’ di tempo la loro unione è artistica e sentimentale. Sono gli anni delle manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam, la Baez diventa simbolo della protesta contro tutte le ingiustizie. Nel ’66 viene arrestata durante un picchettaggio al centro di reclutamento di Oakland. Nel ’69 è a Woodstock. La sua fama ormai è planetaria. E tale rimarrà, sempre in bilico fra musica e impegno civile, in tutti gli anni a venire.

L’album più recente dell’artista americana s’intitola «Dark chords on a big guitar», ed è uscito l’anno scorso, a sei anni di distanza dal precedente «Gone from danger».

In questo tour - che ieri sera ha fatto tappa all’Auditorium di Roma -, e dunque con ogni probabilità anche nel concerto triestino di domani sera, Joan Baez presenterà «Cable Meyer» e la storica «Farewell Angelina», «I dreamed I saw Joe Hill last night» e «Deportees» (il brano di Woody Guthrie che parla d'immigrazione clandestina...), «Diamonds and rust» e «Christmas in Washington», «Motherland» (dall'ultimo disco) e «The night they drove Old dixie down», di Robbie Robertson.

Ma nella scaletta ci sarà spazio anche per «Elvis Presley Blues» e la leggendaria «It's all over now, baby blue», per «Jerusalem» e la tradizionale «Lily of the west», ovviamente per «Gracias a la vida», di Violeta Parra, e la classicissima «We shall overcome». Forse anche per «C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones», l’inno pacifista di Gianni Morandi da lei ripreso tanti anni fa.

sabato 24 luglio 2004

L’estate musicale 2004 prosegue a tappe forzate. Nel capoluogo regionale - e questa è forse la vera novità rispetto agli anni passati - e nelle altre città e nei vari centri del Friuli Venezia Giulia.

Stasera a Grado, al Parco delle Rose, alle 21, fa tappa il tour estivo di Paola Turci. La cantautrice romana è in tour praticamente dall’inverno scorso, quando è uscito il suo disco «Stato di calma apparente», undicesimo capitolo della sua ormai lunga carriera artistica: un disco dal vivo nel quale «non ho messo tutte le mie canzoni più popolari, ma quelle che hanno segnato maggiormente la mia storia».

«Il gigante» (uno dei due inediti del cd) è dedicato ad Adriano Sofri, che l’artista romana è andata a trovare varie volte nel carcere di Pisa e di cui ricorda «la grande dignità e intelligenza, quasi la luce che emana dalla sua persona, e che rende radioso anche un luogo lugubre come la sua cella in carcere».

«Il titolo che ho scelto per questo cd - prosegue Paola Turci - è lo stesso di una mia canzone di una decina d’anni fa. Una canzone e un titolo che resistono al tempo, anche perchè la calma è una dote che è sempre bene mantenere, ma è indubbio che in tempi come questi finisce per mascherare qualcosa che spesso rimane sotto la superficie: preoccupazione, indignazione, voglia di dire no...».

Ma si diceva dei vari appuntamenti musicali di questi giorni. Domani alle 21, a Villa Manin di Passariano, suona Richard Galliano, considerato da molti il più grande fisarmonicista al mondo: accompagnato dal suo sestetto, presenterà i brani del suo recente album «Piazzolla forever», dedicato al grande musicista argentino.

Martedì, al Castello di Udine, fa tappa il tour europeo della Blues Brothers Band. Giovedì parentesi croata per il concerto di Eros Ramazzotti all’Arena di Pola. Venerdì a Trieste, al Teatro Romano, arriva un’icona della storia del folk: quella Joan Baez che dagli anni Sessanta a oggi ha segnato la musica ma anche il costume, negli Stati Uniti ma anche in tutto il mondo. E sempre venerdì, ma all’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro, è annunciato un concerto di Tiziano Ferro, il cantante pop più interessante - e più amato dai giovani, non solo in Italia - fra quelli emersi negli ultimi anni.

Due appuntamenti anche per sabato: al Festival di Majano, arrivano gli Articolo 31, ovvero altri beniamini dei giovanissimi ma ormai anche dei bambini. E a Villa Manin, concerto del grande chitarrista Paco De Lucia. Lunedì 2 agosto, i Nomadi suonano all’Arena Alpe Adria di Lignano.

Grande festa di musica ieri sera in una piazza Unità gremita da migliaia di giovani e meno giovani, accorsi per il concerto gratuito di Edoardo Bennato.

Il cantautore napoletano, che proprio ieri ha compiuto 55 anni, ha cominciato il suo spettacolo alle 21.30 in una serata resa più gradevole da un vento leggero che ha spazzato via l’afa di una delle giornate più calde dell’estate triestina 2004. Completo jeans, scarpe da ginnastica e occhiali neri, ottima forma fisica, Bennato è partito con «L’uomo occidentale», il brano che dà il titolo al suo ultimo album.

Un’occasione per parlare della divisione fra Occidente avvantaggiato già dal clima e dall’alternarsi delle stagioni e Terzo mondo povero, affamato e lasciato indietro sulla strada del progresso già dalla situazione climatico-ambientale. Pochi brani più avanti, «Stop America» gli permette di ricordare che «dall’America vogliamo ancora musica e cultura, non il clamore delle armi, accompagnato dal ghigno di Condoleezza Rice...».

Nel corso della serata, accompagnato dal suo gruppo ma anche in versione «one man band», ha presentato altri brani tratti dal recente disco e i suoi classici cavalli di battaglia.

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«Sono l’uomo occidentale nella classica accezione, cioè nel senso che so bene cosa fare, e so fare molto bene tutto quello che mi pare...». Chitarra elettrica a tracolla, Bennato attacca con «L’uomo occidentale», che dà il titolo al suo ultimo album, e poi spiega che secondo lui non esistono divisioni razziali, c'è una sola umanità che assume diverse caratteristiche a seconda di dove vive. «Tutto dipende dalle variazioni di clima e dai cicli stagionali: l'uomo occidentale è quello che abita le parti più privilegiate del pianeta, e questo vantaggio lo ha spinto a una maggiore evoluzione». Sempre dal nuovo disco propone «Si scrive Bagnoli» e «Balli e sballi», partenza rock che poi vira sui toni della ballata melodica «Ritorna l’estate», fresca e accattivante, stile Beach Boys, proposta l’anno scorso anche come singolo.

Bennato ha voglia di parlare. Ricorda che le prime emozioni della sua vita le ha avute dall’America: da bambino i cartoni di Walt Disney, poi la musica, i juke-box, il blues, il rock... Ma il continente a stelle e strisce è responsabile di aver trasmesso modelli negativi e al tempo stesso di proporre rimedi. Applausi per la frase sulla musica e la cultura al posto delle armi, applausi anche per la tagliente «Stop America».

Ancora divisione del mondo fra fortunati e sfortunati, più che fra buoni e cattivi, con «Every day, every night». È la storia di un uomo che a Kiev, Ucraina, prima del crollo dell’impero sovietico, faceva il professore all’università: ora vive in Occidente, fa il lavavetri ai semafori, aspetta che scatti il rosso ed entra in azione...

Ma Bennato è anche e soprattutto il cantore didascalico delle fiabe, delle filastrocche, dei personaggi collodiani reinventati per tratteggiare argute metafore del potere e dei potenti, dei rapporti interpersonali, della vita. Ecco allora «Mangiafuoco», che stava in un disco del ’77, «Burattino senza fili», ma anche le più recenti «Sbandato» e «Meglio Topolino».

Quando presenta «Le ragazze fanno grandi sogni», il nostro si fa prendere un po’ la mano da un pistolotto «vetero-femminista». Ma si fa perdonare subito quando attacca a cantare e anche dopo, quando ricorda il verso «le ragazze di Trieste...»: «è l’unico che ricordo...», ammette sorridendo, poi introduce per qualche secondo sul palco la statuaria triestina Susanna Huckstep, vent’anni fa giovanissima Miss Trieste e Miss Italia, che nell’87 aveva girato con lui il videoclip di «Ok Italia». Baci, auguri di buon compleanno e via...

La piazza intanto si è ulteriormente riempita. Molti assistono allo spettacolo dalle Rive. Arriva ancora un brano dal nuovo disco, «A cosa serve la guerra», anche questa chiara dichiarazione di intenti e scelta di parte, dopo le frasi sull’America e la contrapposizione fra Occidente ricco e Terzo mondo povero.

Ma un concerto di Bennato non può considerarsi tali senza alcune canzoni. Per introdurle, l’artista partenopeo rimane solo sul palco (in versione «one man band»: chitarra, tamburello azionato col tallone, armonica e kazoo...) e racconta degli esordi. Di quando lasciò Napoli per andare a studiare architettura a Milano, solo perchè lì ci stavano tutte le case discografiche, e da lì era più facile «sognare la musica».

Racconta di quel primo disco, uscito nel ’73, all’inizio passato inosservato ma che poi lo impose nientemeno che come «portavoce della protesta giovanile». E poi finalmente canta: «Abbi dubbi», «Sono solo canzonette», «Il gatto e la volpe», «L’isola che non c’è», «Il rock di capitan Uncino»... In piazza, è il momento dei bambini che hanno resistito al sonno: ora cantano e ballano anche loro.

domenica 18 luglio 2004

Sarà stato il ’71. O forse l’inizio del ’72. Le Orme erano già Le Orme. Anzi, grazie all’album «Collage» erano appena diventati fra i portabandiera del nascente - e glorioso - pop italiano. Il trio veneto (con Aldo Tagliapietra al basso e Michi Dei Rossi alla batteria allora c’era alle tastiere Toni Pagliuca, poi uscito e rientrato e di nuovo uscito dal gruppo...) fu protagonista di un memorabile concerto al Dancing Paradiso, storica balera di via Flavia che in quegli anni ospitò tanti protagonisti della scena musicale italiana e straniera. Per dire: un giorno arrivarono anche i Genesis, ma non poterono suonare (...) perchè era sparita una ragazza e il locale era stato chiuso dalla polizia.

Altri tempi. L’altra sera, in piazza Unità, con sindaco e assessori in prima fila, quello che nel frattempo è diventato un quartetto ha rievocato i tempi andati per vecchi e nuovi fan.

Nell’estate musicale triestina ora arriveranno anche Joan Baez, Pfm, Palmer (quello di Emerson Lake & Palmer), Edoardo Bennato, i continuatori della leggenda country-rock dei Creedence... Una stagione - con l’eccezione del transgenerazionale Vasco Rossi - che sembra concepita per un pubblico che ha passato gli «anta». Ma va bene anche così. Rispetto al nulla pneumatico degli ultimi anni, è tutto succulento grasso che cola...

sabato 17 luglio 2004

Alcuni dei «grandissimi» della scena jazz internazionale si danno appuntamento in questi giorni a Verona. Tutti ospiti del festival «Veneto Jazz». Oggi alle 21, al Castello Scaligero di Villafranca, è di scena la Super Jazz Band, formata da Herbie Hancock al pianoforte, Wayne Shorter al sassofono, Dave Holland al contrabbasso e Brian Blade alla batteria.

Quartetto di autentici mostri sacri, insomma, che lancia idealmente la sfida al trio di pari grado che lunedì, sempre alle 21, suona all’Arena di Verona: Keith Jarrett al pianoforte con i compagni di sempre Jack Dejohnette alla batteria e Gary Peacock al basso.

Hancock e Shorter sono due autentiche icone del jazz contemporaneo: il pianista sin dalle sue registrazioni per l’etichetta Blue Note negli anni Sessanta e Settanta; il sassofonista prima con i Jazz Messengers di Art Blakey, poi con i Weather Report e da solista. L’interazione dei due colossi del genere afroamericano con Holland risale alla fine degli anni Sessanta, quella con Blade è invece più recente ma non meno profonda. Dopo il concerto a Verona, il quartetto è atteso domani sera a Perugia, per Umbria Jazz 2004.

E anche Keith Jarrett, con quello che è attualmente considerato dagli esperti il miglior trio jazz a livello mondiale, ha appena partecipato a Umbria Jazz 2004. In questo breve tour italiano propone un programma che comprende fra l’altro «Doxy» di Sonny Rollins, «Moment's notice» di John Coltrane, «John's Abbey» di Bud Powell, ma anche standard come «When I fall in love» e «One for Majid», oltre ovviamente a musiche di propria composizione, fra cui «Blues in G» e «I'm gonna laugh You right out of my life». Confermandosi la stella di quel triangolo in perfetto equilibrio fra i suoi vertici che gli appassionati ben conoscono.

«Veneto Jazz» quest’anno ha già ospitato George Benson e Pat Metheny a Verona, ma ha in cartellone altri pezzi da novanta. Fra i quali Rosa Passos il 21 luglio e Sarah Jane Morris il 25 luglio (entrambe a Bassano del Grappa), Dee Dee Bridgewater il 27 luglio a Cortina D’Ampezzo, Manhattan Transfer il 29 luglio a Bassano del Grappa, Dave Douglas il 31 luglio a Schio, Rosalia De Souza il 12 agosto a Chioggia e il 13 agosto a Crespano del Grappa...

Informazioni sul sito www.venetojazz.com o allo 0423 452069.
«L’Europa deve indicare il teatro come priorità. Il teatro e le arti sceniche devono essere considerati un’urgenza dell’Unione europea. E bisogna creare un ponte tra cultura ed economia. Queste sono le sinergie che vogliamo, quando sentiamo parlare tanto di macroregioni. Insomma, bisogna pensare in grande: il tempo delle piccole rendite di posizione è finito...».

Alla vigilia del debutto del «suo» Mittelfest, Moni Ovadia è un fiume in piena. Di idee, di riflessioni, di invenzioni, anche di intelligenti provocazioni. L’artista di origine bulgara, massimo divulgatore della cultura yiddish nel nostro Paese, cui la Regione Friuli Venezia Giulia ha affidato per tre anni la direzione artistica del Mittelfest di Cividale, in queste ore dice di essere in uno «stato d’animo di ragionevole soddisfazione: abbiamo affrontato mille inconvenienti, mille piccoli problemi, ma la squadra ha lavorato bene, con passione e dedizione».

La speranza?

«Che il pubblico capisca e apprezzi il nostro sforzo. E di fare meglio nelle prossime edizioni. E poi, allo scadere del mandato, di riconsegnare un festival che abbia capacità operative e progettuali cresciute rispetto a quando sono stato chiamato qui».

È appena arrivato e parla già del commiato...

«Sì, perchè dev’essere chiara una cosa: fra due anni non ci sarà il problema di ”che cosa fare di Moni Ovadia”. Le mie dimissioni sono già pronte. Quello che chiedo è soltanto di essere messo nelle condizioni di lavorare al meglio nei prossimi due anni».

In questo primo anno che cosa è mancato?

«Beh, c’è un problema di budget. Al festival vero e proprio va solo il 41% dello stanziamento. E i conti sono presto fatti: su un milione e mezzo di euro, per gli spettacoli che proponiamo in questa edizione noi abbiamo potuto contare su 650 mila euro. Il resto? Se ne va in mille rivoli: la struttura, la promozione, il film di Maurensig che costa centomila euro quest’anno e centomila il prossimo...».

Dunque?

«Dunque bisogna capire che cosa si vuol fare. Una volta i festival erano luoghi di eccezione: vedevi lì ciò che non vedevi altrove. Ora ci sono mille festival, il grande artista arriva ovunque, anche nelle piccole realtà. E una realtà come il Mittelfest deve decidere cosa vuol fare da grande».

Lei aveva detto: voglio coniugare qualità e respiro popolare...

«Lo penso ancora. Di solito ci si dibatte fra due estremi: il nome commerciale, che è di grande richiamo, e le cose d’avanguardia, buone per le minoranze. Bisogna trovare una via intermedia: sono convinto che i due estremi non siano in contraddizione. Non è vero che le cose di qualità debbano essere necessariamente d’élite. Bisogna avere fiducia nel pubblico e sollecitarlo, senza ovviamente scendere a compromessi col gusto di basso livello».

Dunque l’anno prossimo...?

«Se non ce la faccio l’anno prossimo sarà sicuramente nel 2006: penso a una grande coproduzione internazionale, di area mitteleuropea, magari di teatro musicale. Ho già dei contatti in Austria e in Ungheria. Penso a un grande regista di quest’area. Ma per pesare ci vogliono fondi...».

E torniamo al discorso del budget...

«Certo, perchè centomila euro nel cinema non sono nulla. Ci fai giusto un documentario che poi fai vedere al massimo nelle scuole. Ma nel teatro, e con le cifre con cui ho dovuto lavorare quest’anno, possono fare la differenza...».

Diceva che bisogna pensare in grande...

«Sì, io le nozze con i fichi secchi non le faccio. E non sono disposto nemmeno a produrre un mio spettacolo con i soldi del Mittelfest. Ma voglio dare il mio contributo a costruire progetti culturali di grande respiro, che guardino al futuro...».

Continui...

«Una volta c’era l’Occidente e dettava legge. Ora, in un mondo multipolare oltre che multietnico, dove si va con i pensieri e i progetti piccoli? Le piccole regioni devono pensarsi e proporsi grandi con il pensiero, con i progetti culturali. È finita l’epoca del proprio campicello...».

Il Friuli Venezia Giulia? Trieste?

«Trieste, che ha una storia e una configurazione importanti, deve porsi come ponte fra Mitteleuropa e Mediterraneo. Il futuro della città può e deve essere costruito anche attraverso la cultura. Cultura ed economia non sono disgiunte, non devono essere considerate antagoniste».

Bensì?

«Devono lavorare assieme. Bisogna convincere le forze economiche a investire sulla cultura. Bisogna raccogliere le radici, raccontare le storie, identificare le eccellenze per costruire una grande città, una grande regione che sia parte di una grande unione europea, anzichè una città e una regione periferiche».

Fra confini che cadono...

«Appunto. Finora il confine era luogo di scontro, di separazione. Ora diventa luogo di incontro, di progettazione. Ci sono sempre almeno due modi per affrontare i cambiamenti: arrancare dietro i fenomeni nuovi, oppure studiarli e magari farsene capofila. Trieste, città della psicanalisi, può essere luogo di eccellenza per studiare nuove identità, per costruire progetti. Perchè non pensare a un festival, a un museo su tutte le esperienze di confine...?»

Le sembra che Trieste sia su questa strada?

«Per la verità, no. La cultura serve a mettere in movimento le idee, a creare un humus favorevole a nuovi progetti. Bisogna aprirsi, non escludere. Chi non accoglie le diversità è destinato a non eccellere. Gli Stati Uniti sono gli Stati Uniti perchè hanno sempre accolto le diversità. Anche Trieste lo ha fatto, in passato. Oggi la città ha eccellenze nel campo della scienza, della psichiatria. Ma con la vecchia retorica patriottarda non si va da nessuna parte».

«Una città, una regione rimangono nel mondo per le idee di quei pazzi che hanno avuto il coraggio di guardare più in là. Vogliamo una Trieste chiusa, piena di tricolori proprio nel momento in cui ci si apre all’Europa, o la vogliamo grande città europea? C’è bisogno di lungimiranza, è necessario affrontare il rischio dell’incontro, della contaminazione. Dobbiamo raccogliere le sfide, seminare idee, misurarci con gli altri, anzichè sognare logiche protezioniste, peraltro ormai impossibili...».

«Rinchiudersi nella propria piccola dimensione - conclude Moni Ovadia, ”ebreo milanese de Bulgaria”, triestino ormai quasi d’adozione - significa andare incontro a una sconfitta sicura, significa perpetuare la propria marginalità».

Nello spettacolo, verrebbe da pensare, come nella vita.

sabato 10 luglio 2004

Se uno splendido parco friulano a Osoppo si può trasformare in un’isola giamaicana, anche un suggestivo scorcio del Carso triestino può tramutarsi in un’enorme festa brasiliana... È quello che devono aver pensato gli organizzatori di «Brasil Samberfest 2004», ovvero la prima edizione del Samba Summer Festival che si terrà dal 22 al 25 luglio a Prepotto, a pochi chilometri da Trieste.

In arrivo molti artisti brasiliani ma anche tanti gruppi italiani che si rifanno alla cultura di Bahia e dintorni. Apertura giovedì 22 con il gruppo Bandaxè, cinquanta tra percussionisti, cantanti e ballerini, e i Tribo de Jah, che erano ospiti anche del Reggae Sunsplash di Osoppo, di cui si faceva riferimento all’inizio.

Venerdì 23 tocca al samba-reggae dei piemontesi Timbales e al virtuosismo di Hamilton de Holanda, direttamente da Rio de Janeiro. Sabato 24 verrà presentato il disco di musica afro-brasiliana «Dominio Publico», con la partecipazione dei gruppi Jinka Percussion, Mitoka Samba e AncheFunky.

Domenica 25 grande attesa per il Trio Mocotò e la loro miscela di samba, rock e funky. La serata sarà aperta dall’esibizione dei percussionisti delle varie formazioni presenti al festival. Al quale parteciperanno anche il chitarrista Alberto Chicayban, il gruppo Xodò Baiano con il percussionista Gilson Silveira, il gruppo della cantante baiana Denise Dantas affiancata da Kal dos Santos, e la Banda Berimbau.

Nell’ambito della manifestazione sono previsti anche seminari di percussione, laboratori di costruzione di strumenti, incontri di capoeira, corsi di ballo e di cucina, una rassegna cinematografica. Tutto ovviamente all’insegna del Brasile.

Informazioni sul festival, organizzato dall’Associazione Culturale Quilombo, al 320-26350724 oppure sul sito www.samberfest.com

Ma in attesa della rassegna triestina, che promette di diventare una vera e propria «full immersion» del mondo della musica e della cultura brasiliana, gli appassionati del genere non mancheranno la prossima settimana di recarsi a Udine, dove da mercoledì 14 a martedì 20 luglio si terrà «Conexao Brasil». Anche qui musica, danza, cinema, cultura brasiliana, ma soprattutto l’appuntamento venerdì 16, con il grande Gilberto Gil. Il ministro della cultura del governo Lula - nonchè figura di primissimo piano della storia della musica brasiliana del Novecento - terrà un concerto sul palco del Castello di Udine che promette di essere un evento.

giovedì 8 luglio 2004

Folkest, Rototom Sunsplash, Onde Mediterranee... Ma anche tante altre rassegne, grandi e piccole, che contribuiscono ad animare l’estate musicale del Friuli Venezia Giulia. Fra queste, un ruolo di rilievo è rivestito ormai da anni da «No Borders Music Festival», rassegna di qualità che ha già visto nelle precedenti edizioni salire fino a Pontebba alcuni dei maggiori protagonisti della scena musicale internazionale: George Benson, Moby, Earth Wind & Fire, Joe Jackson, Caetano Veloso, Terence Trent d’Arby, Manu Chao, Chick Corea, Miriam Makeba...

Stasera si ricomincia, con quello che è considerato una delle personalità più innovative della scena jazz americana: Marcus Miller. Newyorkese di Brooklin, quarantacinque anni, già alla corte di Miles Davis, il bassista ha vinto vari Grammy, uno dei quali due anni fa per l’album «M2», realizzato con Kenny Garett, Herbie Hancock, Fred Wesley, Wayne Shorter, Maceo Parker. L’anno scorso ha dato alle stampe «The Ozell tapes - The Official Bootleg», testimonianza del suo tour mondiale.

Ma vediamo il resto del cartellone di «No Borders». Domani sera tocca al quartetto di Don Byron, domenica arriva Femi Kuti (figlio del grande Fela), martedì 13 è il turno dei Groove Armada, giovedì 15 suona Buddy Guy, venerdì 16 è di scena Marc Ribot Mystery Trio. Gran finale sabato 17 con Z-Star e domenica 18 con Solomon Burke. Tutti i concerti del festival si terranno al Teatro Italia di Pontebba, con inizio alle 21.15.

Ma come si diceva, sono tanti i festival, le rassegne, le manifestazioni, i singoli concerti che animano l’estate. Stasera alle 21, nella vicina Slovenia, al Tivoli di Lubiana, fa tappa il tour di tre mostri sacri della chitarra elettrica: Steve Vai, Joe Satriani e Robert «King Crimson» Fripp, accomunati per l’occasione dalla sigla «G3» («Guitar 3»).

Domani sera, alle 21, al Castello di Udine, il cartellone di «UdinEstate» propone il ritorno di Suzanne Vega, la cantautrice americana che molti ricorderanno, alla fine degli anni Ottanta, soprattutto per un successo intitolato «My name is Luka».

E domenica, al Parco delle Rose di Grado, sempre alle 12, stavolta per «Onde Mediterranee», grande attesa per il concerto di Pino Daniele. Un’occasione per vedere dal vivo l’eclettico artista napoletano che ha sorpreso molti vecchi fan per la particolarità di alcuni brani compresi nel suo ultimo album, «Passi d’autore».