mercoledì 28 luglio 2004

Vent’anni fa al Parco Galvani di Pordenone, dieci anni fa in piazza a Spilimbergo, e più recentemente anche a Capodistria e a Udine (nell’estate 2000, ultima tournè europea prima di quella attualmente in corso), giusto per restare al passato prossimo e alle nostre zone.

Dopo esserci passata attorno un bel po’ di volte, insomma, domani sera Joan Baez arriva finalmente a Trieste, per un concerto nel suggestivo Teatro Romano che inaugura la terza stagione dell’omonimo festival. E per il pubblico (che in piazza Unità sarebbe stato molto più numeroso, a patto però di un ingresso libero che gli organizzatori evidentemente non si sono potuti permettere, considerato il costo dello spettacolo...) sarà come avvicinarsi a un mito, a una leggenda fatta di canzoni ma anche di impegno civile, cominciata dal Festival di Newport nel ’59.

Fu infatti quello il debutto ufficiale della diciottenne folksinger, nata nel ’41 a Staten Island, New York, seconda di tre figlie di Albert Baez, dottore in fisica, e di Joan Bridge, donna di origini scozzesi figlia di ministro della chiesa episcopale e professore di drammaturgia emigrato negli Stati Uniti.

Ragazza che ama la musica e che è sensibile agli ideali del pacifismo e della non violenza. Nel ’58 la sua famiglia si trasferisce a Boston, dove Joan studia teatro alla Boston University e comincia a suonare e cantare nei caffè e nei locali della città. Un po’ alla volta la sua attività si estende lungo la East Coast, per arrivare - con quella particolare commistione di folk tradizionale e testi impegnati - al Festival di Newport, dove si guadagna il contratto con l’etichetta folk «Vanguard».

Il primo album, «Joan Baez», esce nel ’60 ed è una raccolta di canzoni tradizionali. Incontra Bob Dylan al Gerde’s Folk City. Per un po’ di tempo la loro unione è artistica e sentimentale. Sono gli anni delle manifestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam, la Baez diventa simbolo della protesta contro tutte le ingiustizie. Nel ’66 viene arrestata durante un picchettaggio al centro di reclutamento di Oakland. Nel ’69 è a Woodstock. La sua fama ormai è planetaria. E tale rimarrà, sempre in bilico fra musica e impegno civile, in tutti gli anni a venire.

L’album più recente dell’artista americana s’intitola «Dark chords on a big guitar», ed è uscito l’anno scorso, a sei anni di distanza dal precedente «Gone from danger».

In questo tour - che ieri sera ha fatto tappa all’Auditorium di Roma -, e dunque con ogni probabilità anche nel concerto triestino di domani sera, Joan Baez presenterà «Cable Meyer» e la storica «Farewell Angelina», «I dreamed I saw Joe Hill last night» e «Deportees» (il brano di Woody Guthrie che parla d'immigrazione clandestina...), «Diamonds and rust» e «Christmas in Washington», «Motherland» (dall'ultimo disco) e «The night they drove Old dixie down», di Robbie Robertson.

Ma nella scaletta ci sarà spazio anche per «Elvis Presley Blues» e la leggendaria «It's all over now, baby blue», per «Jerusalem» e la tradizionale «Lily of the west», ovviamente per «Gracias a la vida», di Violeta Parra, e la classicissima «We shall overcome». Forse anche per «C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones», l’inno pacifista di Gianni Morandi da lei ripreso tanti anni fa.

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