...sogni e bisogni fra musica e spettacolo, cultura e politica, varie ed eventuali... (blog-archivio di articoli pubblicati + altre cose) (già su splinder da maggio 2003 a gennaio 2012, oltre 11mila visualizzazioni) (altre 86mila visualizzazioni a oggi su blogspot...) (twitter@carlomuscatello)
martedì 19 luglio 2005
Mehldau è oggi considerato uno dei migliori pianisti jazz del mondo. Il migliore in assoluto, fra quelli della nuova generazione. Ha suonato fra gli altri con Joshua Redman, Charlie Haden, Lee Konitz, Wayne Shorter, Charles Lloyd e John Scofield. Dal ’95 ha costituito il suo trio con Grenadier al basso e Jorge Rossy alla batteria, poi sostituito da Ballard.
Nato in Florida el 1970, Brad è stato il classico bambino prodigio che eccelleva nella musica. All’inizio, i suoi interessi erano attirati dalla musica classica e dal rock. La scoperta e l’amore per il jazz sono arrivati solo in un secondo tempo.
«Mio padre - raccontò una volta l’artista - aveva alcuni dischi di jazz sparsi per casa. Non mi avevano per nulla impressionato quand’ero molto piccolo. Poi sono andato a una specie di campo estivo di musica classica per tre anni. Quando trascorsi lì la terza estate era l’82, avevo dodici anni, e c’era un giovane violoncellista che aveva tre anni più di me. Aveva una registrazione ”live” del quartetto di John Coltrane che suonava ”My favourite things”. Mi ricordo che ci sedemmo sul pavimento per ascoltarla e mi sentii catturato: pensai che fosse la cosa più meravigliosa che avessi mai ascoltato».
Insomma, una sorta di illuminazione. Da quel momento per il ragazzo Brad non sono più esistiti né classica né rock né niente altro. Jazz, soltanto jazz, con una di ispirazione di nome Miles Davis.
«Sì, credo che come lui non ci sia nessuno - ha detto Mehldau - soprattutto per la bellezza della musica che ci ha lasciato e la sua capacità di mettere insieme una band pur mantenendo sempre la propria identità. Miles ha dimostrato in ogni situazione cosa voglia dire avere una forte identità musicale. La sua abilità di fare degli assoli improvvisati era sempre caratterizzata da forza, semplicità e integrità d’intenti. Ma sono stati notevoli anche la sua capacità di usare lo spazio e l’attitudine a non compromettere mai la sua visione personale».
Presenza fissa delle ultime edizioni di Umbria Jazz (la sua stella è brillata anche la settimana scorsa, a Perugia), Mehldau ha già suonato nella nostra regione. Nell’estate del 2003 è stato ospite del «No Borders» di Tarvisio. Nel ’99 e nel 2000 ha suonato a Gorizia.
Memorabile soprattutto il concerto per «Gorizia Jazz 2000», con molti spettatori rimasti fuori dall’Auditorium, riempito dalla magia di una serata di piano solo. Uno splendido concerto acustico, in due set, con una prima parte dedicata a brani originali, anche inediti, e la seconda con composizioni di altri autori. E tutti ammaliati dalla raffinatezza dello stile compositivo di Mehldau: idee ritmiche, spunti, citazioni, prestiti dal repertorio classico... La ricetta che con ogni probabilità proporrà stasera, arricchita da altri anni di esperienza e dalla formazione in trio.
lunedì 18 luglio 2005
La prima sera, presentati da Linus, vedremo sul palco i Gemelli Diversi, i Velvet, Marina Rei, Nicky Nicolai con lo Stefano Di Battista Quartet e Niccolò Agliardi. Sabato sera, con la conduzione di Rossella Brescia e Fabio Canino, l’attenzione sarà tutta per Pago, Sean Paul e i redivivi Chic di Nile Rodgers. Insomma un buon cast, se vogliamo anche più popolare di quello proposto dall’«Isle of Mtv», e che dunque incontrerà sicuramente i favori del pubblico. Non dimentichiamo che anche queste due serate sono a ingresso gratuito.
«Torniamo a Trieste - dice Letizia D’Amato, portavoce dell’organizzazione - per la splendida accoglienza che il nostro spettacolo vi ha trovato in passato. La bellezza di piazza Unità, che non scopriamo certo noi, è poi di certo l’elemento in più...».
Per il Tim Tour questa è la quinta edizione. Con i suoi due milioni di spettatori dichiarati dagli organizzatori e distribuiti in varie tappe (quest’anno, oltre a Trieste, la carovana toccherà Cagliari, San Benedetto del Tronto, Lecce, Reggio Calabria, Napoli e Torino), è probabilmente l’appuntamento musicale itinerante più seguito dell’estate.
I Gemelli Diversi tornano in piazza Unità dopo il successo riscosso al Tim Tour dell’estate scorsa. Anche Nicky Nicolai e il quartetto jazz del marito, il sassofonista Stefano Di Battista, erano già stati a Trieste, sempre in piazza Unità, nell’ottobre scorso, per il Barcolana Festival. Pochi mesi prima di diventare, con un terzo posto colto a sorpresa, la rivelazione dell’ultimo Festival di Sanremo. Ma l’attenzione del pubblico meno giovane sarà probabilmente tutta per Nile Rodgers e i suoi Chic - vere icone della musica disco-funk degli anni Ottanta - che sono da poco riapparsi sulla scena musicale nella loro formazione originaria, partecipando anche all’ultimo Umbria Jazz.
Il trentenne giamaicano Sean Paul è considerato uno dei migliori artisti reggae che hanno saputo imporsi sul mercato americano ed europeo. Pago (protagonista con «Parlo di te» di uno dei tormentoni dell’estate, miracolato dallo spot della Citroen) e Niccolò Agliardi sono due giovani di belle spranze. Velvet e Marina Rei sono ormai due realtà della musica italiana.
Del cast Tim Tour di quest’anno fanno parte anche - ma non li vedremo a Trieste, tranne cambiamenti dell’ultima ora - Natalie Imbruglia, Planet Funk, Sugarfree, Paolo Meneguzzi, Luca Dirisio, Max Pezzali, Craig David, Biagio Antonacci, Francesco Renga, Le Vibrazioni, Antonello Venditti, Elisa, Kool & The Gang, Irene Grandi, Alex Britti e Tiromancino.
Ricordiamo che nel 2002 i protagonisti della tappa triestina del Tim Tour erano stati Edoardo Bennato, Prozac+ e i ragazzi di «Saranno famosi». Lo scorso anno, diluiti in tre serate, avevamo invece visto Piero Pelù, Gemelli Diversi, Haiducii, Db Boulevard, Danny Losito, Irene Grandi, Rio, Roberto Angelini e Kc and the Sunshine Band.
E come sicuramente non hanno dimenticato quanti hanno assistito agli spettacoli dell’estate scorsa e di tre anni fa, l’arrivo del Tim Tour in piazza Unità è accompagnato - nei dintorni della piazza e sulle Rive - da una sorta di supersponsorizzato «villaggio del divertimento».
«Amiamo i Beatles da sempre - spiegano le due concertiste - e avevamo notato che il loro repertorio, riletto e riproposto da tanti e in tante forme, non aveva mai conosciuto la versione per due pianoforti da soli. O perlomeno se c’è stata, noi non ne siamo mai state a conoscenza...».
È nato dunque questo progetto, che ha avuto un primo sbocco dal vivo in occasione del «Jast Kino Time», svoltosi nel dicembre 2004 al Kulturni Dom Atelier della vicina capitale slovena. «Abbiamo deciso di proporre al pubblico la registrazione di quello spettacolo - aggiunge Mariarosa Pozzi - proprio per la particolare atmosfera che si era creata in sala e che spesso è difficile riprodurre in sala d’incisione...».
E forse proprio una certa «artigianalità» della registrazione è l’unica, piccola pecca di questo lavoro, per il resto gradevole e godibilissimo. Il disco - dodici classici in tutto - parte con «The long and winding road», prosegue con «The fool on the hill» e poi ancora con «Strawberry fields forever» e «Let it be». Un arrangiamento molto azzeccato è quello di «Penny Lane», mentre della lennoniana «Imagine» viene regalata una versione molto originale. Conclusione all’altezza delle aspettative, con «Here comes the sun» (uno dei pochi classici beatlesiani firmati da George Harrison) e «With a little help from my friends» (di cui molti ricordano ancora la leggendaria versione di Joe Cocker a Woodstock...). Bella anche l’immagine di copertina, firmata Carla Vlah.
Da segnalare che il 4 agosto, al Palacongressi di Grado, le due pianiste propongono lo stesso repertorio con un organico più ampio: ci saranno anche il Venice Cello Quartet, il serbo Aleksandar Paunovic (basso elettrico) e Giorgio Fritsch (batteria).
venerdì 15 luglio 2005
Ma allora la vera Trieste qual è? Quella viva, giovane, colorata che ieri sera ha mostrato tutta la sua scontrosa grazia in diretta televisiva a mezza Europa, oppure quella grigia, triste, brontolona del «no se pol» e «no se gà mai fato» che da sempre ben conosciamo?
Quella che sopporta con tolleranza rassegnata e tutto sommato un po’ complice l'invasione di tanti giovani ma anche il disagio di una piazza Unità messa sottosopra da più di una settimana, oppure quella delle patetiche «ronde antirumore» pronte a misurare i decibel emessi nelle sere d'estate fuori da bar e locali?
E ancora: quella marpiona (Victoria Cabello dixit...) e caciarona del sindaco Dipiazza oppure quella algida e distaccata del governatore Illy, entrambi accomunati dall’urgenza di mettere il timbro - rispettivamente del Comune e della Regione - sull’evento musicale dell’estate?
Potremmo continuare a lungo, di dualismo in dualismo. La verità è che Trieste - città multietnica e cosmopolita ante litteram - comprende tante cose assieme. È giovane e anziana, vitale e assonnata, creativa e noiosa, colta e bottegaia, intraprendente e piagnona. Tutto e il contrario di tutto. Il «non luogo» per eccellenza. Da sempre e dunque anche in questa occasione.
Poco importa se le previsioni della vigilia si sono rivelate, almeno in quanto a numeri, un po’ troppo ottimistiche (sì, perchè in piazza Unità non si sono visti i settantamila pronosticati da organizzatori e sponsor pubblici locali, ma forse nemmeno i cinquantamila «ufficiali» di ieri sera...). Poco importa se il cast avrebbe potuto e dovuto regalare qualche grande nome in più (e allora sì che sarebbe arrivata anche «l’invasione da tutta Europa» che poi non c’è stata...).
Ciò che interessa in questa circostanza è che, almeno per una sera, Trieste - storicamente tagliata fuori dai grandi tour internazionali, che solo negli ultimi anni ha tentato con alterni successi un’inversione di tendenza - si è quasi magicamente trasformata in una capitale della musica e dei giovani. E ciò grazie soprattutto alle telecamere di Mtv, canale musicale che rappresenta un moderno esperanto capace di mettere in comunicazione milioni di giovani di razze, lingue, culture, abitudini diverse.
Vallo a spiegare, poi, a tutti i ragazzi (ed ex ragazzi) che hanno seguito lo show, che Trieste è una delle città più anziane del pianeta, che da qui i giovani sono sempre scappati appena hanno potuto, e che comunque sono sempre stati costretti a mettersi in viaggio (alla volta di Lubiana, di Monaco, di Milano, di Bologna o anche solo di Veneto e Friuli...) per seguire i protagonisti della propria musica. Vaglielo a spiegare che qui c’è sempre qualcuno pronto a chiamare la polizia, se quattro ragazzi suonano in un locale e magari fuori si sente un po’ di casino.
Ascoltare ieri da piazza dell’Unità la musica di alcuni dei gruppi che compongono la colonna sonora di Mtv, ma anche sentire Enrico Silvestrin e gli altri «vj» condurre lo show in inglese, persino passeggiare fra i ragazzi che hanno presidiato piazza e dintorni fino a notte inoltrata, beh, diciamo che è stata una bella iniezione di vita, giovinezza e ottimismo. Da cui forse anche la città - anziana, assonnata, disincantata... - potrebbe prima o poi ripartire. Anche senza Mtv.
sabato 2 luglio 2005
di Carlo Muscatello
C’è qualcosa che chiaramente non funziona, in un mondo nel quale sono i cantanti a doversi occupare dei destini del pianeta. Loro a parlare di cancellazione del debito ai paesi poveri, a ricordare le emergenze di vita e di morte di milioni di persone, a dettar quasi l’agenda delle priorità ai padroni della terra, che mercoledì al G8 di Edimburgo discutono di Africa e Aids. Diamo pure per scontata la buona fede e magari anche il disinteresse di Bob Geldof, di Bono e delle altre popstar che ieri hanno infiammato il villaggio globale da Roma, Londra, Parigi, Berlino, Philadelphia, Tokyo, Toronto, Johannesburg. Facciamo anche finta di credere che almeno a una parte dei milioni di giovani e meno giovani che hanno seguito la maratona, dal vivo o in diretta tivù, importi qualcosa dei bambini che in questo momento muoiono di fame nel continente africano e la cui vita forse sarebbe salvata dal costo di una nostra cena al ristorante. Rimane comunque stridente il contrasto fra un Occidente ricco, capace di unirsi solo per esportare la democrazia con le bombe e far la guerra a qualche dittatore scelto non a caso, un Terzo mondo povero che non ce la fa a sopravvivere, e queste adunate oceaniche di ragazzi ipnotizzati da star della canzone folgorate per una sera sulla via di Damasco.
</IP><IP9>Quello fra rock e beneficenza è sodalizio di vecchia data, figlio di ideali e utopie sessantottine (cambiamo il mondo, la fantasia al potere...), che periodicamente riacquista lustro. Ricordiamo fra i tanti George Harrison e Ravi Shankar, che nell’agosto ’71 riempirono il Madison Square Garden di New York con l’intento di raccogliere fondi per il Bangladesh. I Rolling Stones che due anni suonarono per il Nicaragua terremotato. La parata di «No Nukes», nel ’79, con Springsteen, Jackson Browne, James Taylor e tanti altri mobilitati contro le centrali nucleari. E poi il Live Aid - preceduto dal singolo «We are the world» - del luglio ’85, a Londra e Philadelphia, regista già allora Bob Geldof.
Nell’agosto dell’89 ci capitò di incontrarlo in Calabria, dov’era stato invitato per ricevere un qualche premio di basso cabotaggio. La regina lo aveva nominato «sir», ma la sua popolarità era già tornata al livello «pre Live Aid», quand’era solo il cantante dei mediocri Boomtown Rats. In quell’occasione, durante una partita a calciobalilla sulla spiaggia, disse che non si sarebbe più occupato di beneficenza. Evidentemente ci ha ripensato. Ammette che il Live Aid ha fatto vendere dei dischi a qualcuno «ma non ha cambiato le carriere». Sarà. Ma grazie al Live 8, per esempio, oggi anche i giovani del 2005, dopo quelli di vent’anni fa, sanno chi è Bob Geldof. Che ieri ha pure cantato, nonostante avesse quasi promesso di non farlo. Il resto è chiacchiera.