giovedì 30 agosto 2018

ANTEPRIMA GINO D’ELISO A “BASAGLIA LIVE”

Gino D’Eliso è il primo ospite, domani giovedì 30-8, alle 11.55, su Radio Rai Fvg, di “Basaglia Live”, il programma di Carlo Muscatello, a cura di Assunta Cannatà, ascoltabile anche su www.sedefvg.rai.it. Il cantautore triestino, oltre a ricordare i suoi concerti negli anni Settanta nel parco del manicomio triestino di San Giovanni, presenta in anteprima il suo nuovo album “Valvole e vinili”, in uscita il mese prossimo. L’altro ospite della puntata è Angelo Venchiarutti, docente di diritto privato all’Università di Trieste, che spiega come la Legge 180, oltre a chiudere i manicomi, abbia cambiato la situazione giuridica dei malati di mente. Quarant’anni dopo la legge 180 che ha chiuso i manicomi, “Basaglia Live” sta proponendo quest’estate alla Rai regionale una mappa degli artisti e dei concerti nel parco e nel teatrino di San Giovanni, a Trieste, che dagli anni Settanta in poi hanno contribuito ad aprire l’ospedale psichiatrico. Da Ornette Coleman agli Area, da Francesco Guccini a Franco Battiato, da Gino Paoli a Giorgio Gaslini, da Moni Ovadia con Alfredo Lacosegliaz ad Alberto Camerini e tanti altri, senza dimenticare il Premio Nobel Dario Fo: molti eventi musicali e artistici che negli anni Settanta hanno attirato migliaia di giovani e meno giovani nel grande parco di San Giovanni, a Trieste, nel manicomio che stava aprendo le sue porte alla città. Oggi sono passati quarant’anni dalla legge 180, che porta il nome di Franco Basaglia: ma non tutti ricordano che quella importante stagione che ha portato alla chiusura dei manicomi, e alla restituzione dei diritti di cittadinanza ai tanti “matti”, è passata anche attraverso la musica. Il jazz, il rock, la canzone d’autore, con alcuni dei loro più importanti protagonisti, hanno dato un grande contributo al raggiungimento di una conquista di civiltà. Ecco allora la musica di quegli artisti, con ricordi “d’autore” e testimonianze dei protagonisti della grande stagione di cambiamento. Fra gli ospiti del programma - in onda tutti i giovedì di luglio, agosto e settembre - Alberta Basaglia, Gino Paoli, Moni Ovadia, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, Michele Zanetti, Mario Luzzatto Fegiz, Andrea Centazzo, Patrizio Fariselli (Area), tanti altri...

SHEL E VANDELLI, DISCO E TOUR

“La notte cade su di noi, la pioggia cade su di noi, la gente non sorride più, vediamo un mondo vecchio che ci sta crollando addosso ormai…ma che colpa abbiamo noi…”: riecheggiano nella nostra mente i versi di Mogol e sembrano scritti oggi. “Che colpa abbiamo noi”, un vero e proprio inno generazionale, è il brano che anticipa il progetto che vede finalmente insieme Shel Shapiro (ossia, The Rokes) e Maurizio Vandelli (ossia, Equipe 84) e sarà in radio dal 31 agosto, interpretato questa volta dai due artisti, riarrangiato e prodotto da Diego Calvetti. Shapiro e Vandelli si sono “ritrovati”, dopo una vita di rivalità, distanze, marcate differenze di carattere, formazione e stili di vita, ma anche di rispetto reciproco e grande amore per la musica. Ad unirli un progetto artistico, dal titolo emblematico “Love and Peace”, amore e pace ritrovati prima di tutto fra di loro: una collaborazione che ha radici lontane e che vede fondere i loro percorsi musicali in un album per Sony Music (in uscita il 21 settembre) e in un tour prodotto da Trident Music (le prime date sono Firenze il 10 dicembre al Teatro Verdi, e Roma l’11 dicembre all’Auditorium Parco della Musica). I biglietti saranno in vendita dalle ore 12.00 del 6 settembre. Un affascinante viaggio nelle immagini e nelle emozioni di intere generazioni che si ritroveranno magicamente insieme, senza le divisioni e i contrasti che caratterizzano la comunicazione di quest’epoca, anzi. Shapiro e Vandelli rappresentano una nuova energia, la voglia di comunicare e di vivere la positività e la bellezza della musica come grande forza aggregante. Un incontro storico che non è nostalgia ma memoria, con uno sguardo rivolto al presente. Come recitano i versi di “Che colpa abbiamo noi”.

giovedì 23 agosto 2018

DON VATTA A “BASAGLIA LIVE”

Don Mario Vatta è il protagonista, giovedì 23-8, alle 11.55, su Radio Rai Fvg, di “Basaglia Live”, il programma di Carlo Muscatello, a cura di Assunta Cannatà, ascoltabile anche su www.sedefvg.rai.it. Il sacerdote triestino, fondatore e anima della Comunità di San Martino al Campo, ricorda assieme alla giornalista Fabiana Martini l’antico rapporto di collaborazione e di amicizia con Franco Basaglia, nella Trieste degli anni Settanta. Colonna sonora con Alberto Camerini, protagonista di un concerto a San Giovanni nella primavera 1977. Quarant’anni dopo la legge 180 che ha chiuso i manicomi, “Basaglia Live” propone una mappa degli artisti e dei concerti nel parco e nel teatrino di San Giovanni, a Trieste, che dagli anni Settanta in poi hanno contribuito ad aprire l’ospedale psichiatrico. Da Ornette Coleman agli Area, da Francesco Guccini a Franco Battiato, da Gino Paoli a Giorgio Gaslini, da Moni Ovadia con Alfredo Lacosegliaz ad Alberto Camerini e tanti altri, senza dimenticare il Premio Nobel Dario Fo: molti eventi musicali e artistici che negli anni Settanta hanno attirato migliaia di giovani e meno giovani nel grande parco di San Giovanni, a Trieste, nel manicomio che stava aprendo le sue porte alla città. Oggi sono passati quarant’anni dalla legge 180, che porta il nome di Franco Basaglia: ma non tutti ricordano che quella importante stagione che ha portato alla chiusura dei manicomi, e alla restituzione dei diritti di cittadinanza ai tanti “matti”, è passata anche attraverso la musica. Il jazz, il rock, la canzone d’autore, con alcuni dei loro più importanti protagonisti, hanno dato un grande contributo al raggiungimento di una conquista di civiltà. Ecco allora la musica di quegli artisti, con ricordi “d’autore” e testimonianze dei protagonisti della grande stagione di cambiamento. Fra gli ospiti del programma - in onda tutti i giovedì di luglio, agosto e settembre - Alberta Basaglia, Gino Paoli, Moni Ovadia, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, Michele Zanetti, Mario Luzzatto Fegiz, Andrea Centazzo, Patrizio Fariselli (Area), tanti altri...

sabato 18 agosto 2018

CLAUDIO LOLLI, QUEL CONCERTO DEL DIC.2009 A TRIESTE

di Carlo Muscatello È stato qualcosa di meno ma al tempo stesso anche qualcosa di più di un concerto, quello tenuto da Claudio Lolli l’altra sera al Teatro Bobbio, davanti a duecento aficionados, nell’ambito del Festival Trieste Poesia. Qualcosa di meno, o comunque di diverso, perchè la forma vocale perlomeno traballante del cantautore bolognese (classe 1950, primo album nel lontano ’72, lo storico ”Aspettando Godot”), unita a quel quadernetto dal quale il nostro leggeva - in certi casi nel senso letterale del termine - i suoi testi, faceva somigliare il tutto più a una sorta di reading musical-politico che a un concerto in senso tradizionale. Pur supportato da due superbi musicisti come Paolo Capodacqua alla chitarra e Nicola Alesini ai sassofoni. Qualcosa di più, perchè - complice qualche bicchiere di buon vino sorseggiato dall’artista fra una canzone e l’altra - la serata si è via via trasformata in una confessione mai così diretta e sincera, quasi un bilancio di vita personale e forse generazionale. Condito di amarezza ma anche di tanta ironia e autoironia. Esempio: «Ho fama di cantautore malinconico, triste. Dunque se siete qui, sapete già quel che vi aspetta. Le ballerine arrivano dopo...». Apre con ”Donna di fiume”, una delle ”Lovesongs” scritte in tanti anni di carriera e recentemente riproposte tutte assieme nel nuovo album. Poi si racconta così: «Provate a immaginare un ragazzo, verso la fine degli anni Sessanta, che non riesce a dormire. Cosa può fare? Una delle prime radioline portatili, una cuffietta improbabile, e ascolta. Tutta la notte. Ma nessuno trasmette. Suoni in onde corte che vanno e vengono...». È la sua storia, la storia di tanti suoi più o meno coetanei che di lì a poco, entrati negli anni Settanta, si trovarono calati in un mondo nuovo, pieno di energia e di speranze e di voglia/certezza di cambiare il mondo. Quello stesso ex ragazzo, quegli stessi ex ragazzi, un paio di decenni dopo, credono di essere tornati nel Medioevo: «Sintonizzatevi su Radio Padania Libera - suggerisce - e capirete benissimo cos’è l’odio moderno, contemporaneo, cos’è la nostra colonna sonora infame». Meglio allora l’amore, la riflessione disincantata su passato e presente. Altre canzoni, figlie di tempi diversi. ”La pioggia prima o poi” e ”L’amore ai tempi del fascismo” («non quello degli anni Trenta, quello di oggi...»), ”Alla fine del cinema muto” e ”Analfabetizzazione” («il potere nasce dalla comunicazione, l’avevo capito già trent’anni fa»), ”Adriatico” e ”Da zero e dintorni”, ”La giacca” e ”Dita”... Altre parole, altre riflessioni. Lolli racconta e si racconta. L’adolescenza, le letture, la politica, gli anni in cui si era animati dalla fede nel progresso, dalla certezza che il mondo stesse per cambiare. Il tutto sullo sfondo di Bologna, i vecchi in Piazza Maggiore («tutti comunisti...»), la chiesa di San Petronio. Ma anche Rimini a soli cento chilometri: il demonio, il male, la casa di famiglia dove veniva portato d’estate, da ragazzo... Accenni di particolare sincerità - persino di commozione - quando arriva il turno dei padri: quelli musicali (”Folkstudio” e ”I musicisti di Ciampi”) e quello vero, biologico, «che non sarebbe contento di vedermi stasera qui...» (”Quando la morte avrà”, brano che chiudeva l’album d’esordio, del ’72). Il finale è dedicato al capolavoro di Lolli, ”Ho visto anche degli zingari felici”, canzone del ’76, rifatta recentemente anche da Luca Carboni. E c’è anche un bis, ”Borghesia”, necessariamente riveduta e corretta nelle sue granitiche certezze di allora. Ora infatti si conclude così: «Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia, per piccina che tu sia, il vento un giorno - forse, eventualmente... - ti spazzerà via». Applausi di affetto, quasi con tenerezza, per quell’ex ragazzo un po’ invecchiato.

venerdì 17 agosto 2018

ADDIO A CLAUDIO LOLLI / su ART21

di Carlo Muscatello Se n’è andato anche Claudio Lolli, cantautore di talento che non è mai sceso a compromessi per inseguire il successo. Uno che è sempre rimasto “dalla stessa parte”: rigoroso, onesto, vero, forse aspro, sempre sul filo della malinconia, esploratore del mal di vivere. Bolognese, era nato nel 1950. All’Osteria delle dame conosce Guccini, che lo porta alla Emi. Giovanissimo, nel ‘72 incide il primo album: “Aspettando Godot”. Diventa popolare soprattutto fra i giovani di sinistra. “Canzoni di rabbia” è del ‘75, ma il capolavoro arriva l’anno dopo, s’intitola “Ho visto anche degli zingari felici”. Prezzo politico: 3500 lire. Parla di emarginati, di femminismo, di attentati, interpreta magistralmente le ansie di una generazione – la sua – che dopo le utopie rivoluzionarie si stava perdendo, o rischiava di perdersi, fra eroina e terrorismo. L’album successivo, “Disoccupate le strade dai sogni”, esce per l’etichetta indipendente “L’ultima spiaggia”: è una dichiarazione di intenti sin dal titolo, suggestioni jazz e azzardi coraggiosi. Lo segue solo chi lo ama veramente. Dopo anni di alti e bassi, durante i quali non lascia mai l’insegnamento, nel 2000 esce “Dalla parte del torto“: sembra che Lolli ritrovi l’antica e felice ispirazione. Seguono “La scoperta dell’America” (2009), “Lovesongs”, lo scorso anno “Il grande freddo”, Targa Tenco 2017. Quando uscì “Lovesongs”, in occasione di un concerto a Trieste, lo intervistammo per l’ultima volta. Lolli, dal sociale all’amore. Cos’è successo? «Io le canzoni d’amore le ho sempre scritte. Ma mi davano sempre queste etichette: il cantautore del suicidio, della rabbia, persino il fiancheggiatore delle Brigate Rosse…». Addirittura. Ma dica la verità: le sue canzoni d’amore erano poche… «Questo è vero. Erano “infilate” nei dischi, fra un brano impegnato e l’altro. Ed è per questo che ho deciso di riprenderle e riproporle. Con i miei collaboratori le abbiamo ascoltate tutte assieme, trovandole belle, omogenee, quasi “sorelle” l’una dell’altra. Insomma, sembravano episodi minori ma non lo erano». Canzoni di epoche diverse. «Sì, direi fra il ’70 e il ’97. Ne abbiamo selezionate sedici, fra le quali abbiamo scelto le otto che sono inserite nel disco. Con Nicola Alesini e Paolo Capodacqua sapevamo di non poter riproporre gli arrangiamenti originali, né fare un disco pop. Dunque è prevalsa la scelta di puntare sul jazz, sul lirismo dell’improvvisazione». E le canzoni politiche? «Se la politica avesse ancora un ruolo, anche la canzone politica ne avrebbe uno. Ma oggi non c’è più politica, solo parole in libertà. Contano il potere per il potere, il denaro con cui si crede di poter acquistare tutto». I giovani? «Per un ragazzo oggi è difficile capire, intervenire, credere di poter cambiare le cose. Sembra tutto immodificabile. Sono pochi i giovani attenti al sociale: si trovano a cozzare contro questa società finta, costruita in studio. E poi manca una collettività giovanile a cui fare riferimento». Lei insegna sempre? «Certo. Italiano, latino e storia antica al Liceo Da Vinci di Bologna. Ormai sono vicino alla pensione: dovrò farmi fare i calcoli…». I suoi studenti come reagiscono? «Quando ho una classe nuova, di solito ci vogliono un paio di settimane perchè scoprano che sono “il cantautore”. Vanno su internet, chiedono ai genitori, trovano i dischi… La loro reazione è buona. In fondo è un po’ spiazzante, per loro, scoprire che il prof è uno che fa dischi, concerti…». Recentemente i suoi “Zingari felici” sono stati rifatti sia dal Parto delle Nuvole Pesanti che da Luca Carboni. Quale versione preferisce? «Quella con il Parto l’abbiamo fatta assieme, una versione molto balcanica, quasi zingaresca. Luca ha scelto da solo, ne ha fatto una versione molto dolce, delicata, togliendo aggressività all’originale. Mi ha fatto molto piacere, anche perchè lui arriva a un pubblico diverso dal mio». Nel video c’è anche quel vostro incontro in Piazza Maggiore… «Sì, una cosa carina. Quasi un passaggio del testimone, hanno detto. Anche se nemmeno lui, in fondo, è giovanissimo. Gli anni passano per tutti…». Lolli, negli anni Settanta sembrava tutto possibile. Oggi… «Ci eravamo immaginati che la storia andasse sempre avanti, in una direzione sola. E invece la storia va avanti e indietro, ha le sue fasi, ora va un po’ come un gambero. Aspettiamo che passi…».

ESCE OGGI “PRINCE ANTHOLOGY”

Legacy Recordings e The Prince Estate lanciano oggi 17 agosto il primo ciclo di pubblicazioni in digitale del catalogo di Prince La prima ondata di titoli del catalogo Prince, frutto dell’accordo esclusivo firmato a giugno tra SME e The Prince Estate, si concentra sul periodo 1995-2010, un'epoca cruciale della storia di Prince. 23 titoli di catalogo che includono delle vere e proprie rarità ambite dai collezionisti e “Prince Anthology: 1995-2010” (un'antologia recente contenente 37 brani essenziali dell'epoca) sono disponibili da oggi in streaming e download. Per Prince il periodo 1995-2010 è stato segnato da una grandissima creatività, momento della carriera in cui ha deciso di affidarsi a strategie di distribuzione alternative, tra cui il suo NPG - Music Club online. L'Artista aveva infatti deciso di liberare dalle richieste e dalle aspettative delle major discografiche la sua musica provocatoria e sperimentale, potendo così scrivere, registrare e pubblicare la propria musica secondo le proprie condizioni. Assemblata e curata dalla Prince Estate, “Prince Anthology: 1995-2010” raccoglie invece 37 brani più rappresentativi del periodo. Si apre con la title track di Emancipation ("Questo è il mio disco più importante" aveva detto Prince quando l'album era stato pubblicato nel 1996) e si chiude con l'inno "We March" (da The Gold Experience del 1995), questa compilation fornisce una cronaca musicale dell'evoluzione artistica e spirituale di Prince attraverso la fine del XX e l'inizio del XXI secolo in brani che continuano a restare immortali.

ALBERTA BASAGLIA E MLF A “BASAGLIA LIVE”

Alberta Basaglia e Mario Luzzatto Fegiz sono gli ospiti, giovedì 16-8, alle 11.55, su Radio Rai Fvg, di “Basaglia Live”, il programma di Carlo Muscatello, a cura di Assunta Cannatà, ascoltabile anche su www.sedefvg.rai.it. La figlia del grande psichiatra, psicologa e autrice di vari libri, racconta la sua infanzia a Gorizia e gli anni giovanili fra Venezia e Trieste. Il giornalista e critico del Corriere della Sera ricorda le sue visite nel manicomio triestino e in quello di Agrigento, in occasione di un concerto di Domenico Modugno, negli anni Ottanta. Colonna sonora con Francesco Guccini, protagonista di un concerto a San Giovanni nel luglio 1979. Quarant’anni dopo la legge 180 che ha chiuso i manicomi, “Basaglia Live” propone una mappa degli artisti e dei concerti nel parco e nel teatrino di San Giovanni, a Trieste, che dagli anni Settanta in poi hanno contribuito ad aprire l’ospedale psichiatrico. Da Ornette Coleman agli Area, da Francesco Guccini a Franco Battiato, da Gino Paoli a Giorgio Gaslini, da Moni Ovadia con Alfredo Lacosegliaz ad Alberto Camerini e tanti altri, senza dimenticare il Premio Nobel Dario Fo: molti eventi musicali e artistici che negli anni Settanta hanno attirato migliaia di giovani e meno giovani nel grande parco di San Giovanni, a Trieste, nel manicomio che stava aprendo le sue porte alla città. Oggi sono passati quarant’anni dalla legge 180, che porta il nome di Franco Basaglia: ma non tutti ricordano che quella importante stagione che ha portato alla chiusura dei manicomi, e alla restituzione dei diritti di cittadinanza ai tanti “matti”, è passata anche attraverso la musica. Il jazz, il rock, la canzone d’autore, con alcuni dei loro più importanti protagonisti, hanno dato un grande contributo al raggiungimento di una conquista di civiltà. Ecco allora la musica di quegli artisti, con ricordi “d’autore” e testimonianze dei protagonisti della grande stagione di cambiamento. Fra gli ospiti del programma - in onda tutti i giovedì di luglio, agosto e settembre - Alberta Basaglia, Gino Paoli, Moni Ovadia, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, Michele Zanetti, Mario Luzzatto Fegiz, Andrea Centazzo, Patrizio Fariselli (Area), tanti altri...

giovedì 9 agosto 2018

GINO PAOLI E PEPPE DELL’ACQUA A “BASAGLIA LIVE”

Gino Paoli e Peppe Dell’Acqua sono i protagonisti giovedì 9-8, alle 11.55, su Radio Rai Fvg, di “Basaglia Live”, il programma di Carlo Muscatello, a cura di Assunta Cannatà, ascoltabile anche su www.sedefvg.rai.it. Il cantautore genovese nato a Monfalcone e lo psichiatria triestino salernitano d’origine ricordano le esperienze comuni e i tanti concerti del primo, a partire dai primi anni Settanta, all’interno del manicomio triestino di San Giovanni. Colonna sonora della sesta puntata alcune canzoni di Paoli e di Franco Battiato, altro storico protagonista di concerti a San Giovanni. Quarant’anni dopo la legge 180 che ha chiuso i manicomi, “Basaglia Live” propone una mappa degli artisti e dei concerti nel parco e nel teatrino di San Giovanni, a Trieste, che dagli anni Settanta in poi hanno contribuito ad aprire l’ospedale psichiatrico. Da Ornette Coleman agli Area, da Francesco Guccini a Franco Battiato, da Gino Paoli a Giorgio Gaslini, da Moni Ovadia con Alfredo Lacosegliaz ad Alberto Camerini e tanti altri, senza dimenticare il Premio Nobel Dario Fo: molti eventi musicali e artistici che negli anni Settanta hanno attirato migliaia di giovani e meno giovani nel grande parco di San Giovanni, a Trieste, nel manicomio che stava aprendo le sue porte alla città. Oggi sono passati quarant’anni dalla legge 180, che porta il nome di Franco Basaglia: ma non tutti ricordano che quella importante stagione che ha portato alla chiusura dei manicomi, e alla restituzione dei diritti di cittadinanza ai tanti “matti”, è passata anche attraverso la musica. Il jazz, il rock, la canzone d’autore, con alcuni dei loro più importanti protagonisti, hanno dato un grande contributo al raggiungimento di una conquista di civiltà. Ecco allora la musica di quegli artisti, con ricordi “d’autore” e testimonianze dei protagonisti della grande stagione di cambiamento. Fra gli ospiti del programma - in onda tutti i giovedì di luglio, agosto e settembre - Alberta Basaglia, Gino Paoli, Moni Ovadia, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, Michele Zanetti, Mario Luzzatto Fegiz, Andrea Centazzo, Patrizio Fariselli (Area), tanti altri...

mercoledì 1 agosto 2018

MASSIMO CIRRI E ROBERTO CANZIANI A “BASAGLIA LIVE”

Massimo Cirri, protagonista di “Caterpillar” su RadioDue, ma anche psicologo e autore di un libro sulla “magia della radio”, è ospite domani giovedì 2-8, alle 11.55, su Radio Rai Fvg, di “Basaglia Live”, il programma di Carlo Muscatello ascoltabile anche su www.sedefvg.rai.it. Cirri ricorda fra l’altro le sue esperienze lavorative nell’ex manicomio triestino di San Giovanni. Il secondo ospite del programma è il critico Roberto Canziani, che ripercorre le performance nel manicomio di Dario Fo e di altri protagonisti della scena teatrale. Quarant’anni dopo la legge 180 che ha chiuso i manicomi, “Basaglia Live” propone una mappa degli artisti e dei concerti nel parco e nel teatrino di San Giovanni, a Trieste, che dagli anni Settanta in poi hanno contribuito ad aprire l’ospedale psichiatrico. Da Ornette Coleman agli Area, da Francesco Guccini a Franco Battiato, da Gino Paoli a Giorgio Gaslini, da Moni Ovadia con Alfredo Lacosegliaz ad Alberto Camerini e tanti altri, senza dimenticare il Premio Nobel Dario Fo: tanti eventi musicali e artistici che negli anni Settanta hanno attirato migliaia di giovani e meno giovani nel grande parco di San Giovanni, a Trieste, nel manicomio che stava aprendo le sue porte alla città. Oggi sono passati quarant’anni dalla legge 180, che porta il nome di Franco Basaglia: ma non tutti ricordano che quella importante stagione che ha portato alla chiusura dei manicomi, e alla restituzione dei diritti di cittadinanza ai tanti “matti”, è passata anche attraverso la musica. Il jazz, il rock, la canzone d’autore, con alcuni dei loro più importanti protagonisti, hanno dato un grande contributo al raggiungimento di una conquista di civiltà. Ecco allora la musica di quegli artisti, con ricordi “d’autore” e testimonianze dei protagonisti della grande stagione di cambiamento. Fra gli ospiti del programma - che va in onda tutti i giovedì di luglio, agosto e settembre - Alberta Basaglia, Gino Paoli, Moni Ovadia, Massimo Cirri, Peppe Dell’Acqua, Franco Rotelli, Michele Zanetti, Mario Luzzatto Fegiz, Patrizio Fariselli degli Area, tanti altri...

DOPO BASAGLIA. QUEL CHE RESTA DI MARCO CAVALLO

Di ROBERTO CANZIANI Carlo Muscatello ed io c’eravamo, nel febbraio del 1973. Quando dentro al manicomio di San Giovanni a Trieste, assieme a un gruppo di persone che guardavano avanti, Franco Basaglia dava avvio a una rivoluzione che avrebbe dovuto attendere cinque anni per manifestarsi. Carlo ed io parleremo di quel decennio formidabile domani, giovedì 2 agosto, nella nuova puntata della trasmissione radiofonica Basaglia Live (ascolta qui le puntate precedenti), che per tutto il mese di luglio e per quello di agosto, ripercorre la strada che ci separa da allora. Ricordando che sono passati 40 anni giusti dalla pubblicazione – nel 1978 – della Legge 180. La legge che, grazie a Basaglia, ha trasformato la condizione del disagio mentale nel nostro Paese. Se tutto ciò è avvenuto, è anche merito di un cavallo. Diventato famoso per il suo straordinario colore azzurro. Marco Cavallo.  A inventare e dare forma, con legno e cartapesta a Marco Cavallo furono due artisti, Giuliano Scabia e Vittorio Basaglia. Peppe Dell’Acqua, psichiatra, che era là con loro, ricorda i dettagli di quella avventura in una bella intervista di qualche anno fa con Claudio Magris. Poi ci sono i libri che Giuliano ha scritto, quelli scritti da Peppe, la lunga sequenza di viaggi che ha portato Marco Cavallo dappertutto, addirittura dentro l’Expo di Milano. Ma a me e a Muscatello piace ripartire da un’altra fotografia . L’aveva scattata Neva Gasparo il 25 febbraio del 1973. Nell’immagine si riconosce Franco Basaglia. Ha sollevato una panchina e con un movimento un po’ teatrale, la usa come un ariete. Con altre persone, vogliono sfondare la recinzione del reparto P, uno dei padiglioni del manicomio di San Giovanni. Perché si tratta di far uscire, in quella fredda giornata di sole, il cavallo azzurro che là dietro, in secondo piano, attende e scalpita impaziente. La prima uscita di Marco Cavallo porterà lungo le vie di Trieste e fin sul colle di San Giusto tutti coloro che, dentro al manicomio, lo hanno immaginato, costruito e dipinto di quello straordinario colore azzurro. Mancano ancora cinque anni – il 1978 – affinché la Legge 180 riconosca che tanti altri cancelli, tante altre istituzioni psichiatriche vanno sfondate. Ma intanto il teatro ha fatto da apripista. Perché l’avventura di Marco Cavallo non è stato solo un episodio nella storia della psichiatria e della percezione della malattia mentale. E’ stata anche uno dei primi momenti in cui il teatro, in Italia, ha cominciato a manifestarsi fuori dei teatri. E’ stata la sua uscita dai recinti, il rifiuto della prosa, l’apertura a un panorama di problemi più vasto, decisamene più urgenti dei pur rispettabili tormenti – chessò – del giovane principe Amleto. A 45 anni anni di distanza le cose sono cambiate. Oggi il teatro non sembra non occuparsi granché di chi vive il disagio della malattia mentale, la reclusione in carcere, la condizione di rifugiato, di chi si percepisce minoranza. Il “teatro sociale” ha corso difficile, proprio oggi che ce ne sarebbe fortemente bisogno. Qualcosa però rimane. Ed è frutto di quella stagione, inaugurata da Basaglia, da Scabia, da giovani artisti e gruppi che aderirono allora, dentro quei padiglioni, trasormati in laboratori, alle loro proposte: il Centro d’espressione teatrale “Il cantiere”, per esempio. O il Teatro Studio di Claudio Misculin e Maurizio Soldà. Claudio Misculin continua oggi il suo percorso con le attività dell’Accademia della Follia: un lungo percorso d’arte non imbrigliata, raccontato in un film da Anush Hamzehian (2015) e in numerose pubblicazioni.  Lo si può seguire sul profilo FB dello stesso Misculin, leggendo i numerosi articoli in rete, assistendo alle creazioni dei suoi attori “matti” (la più recente proprio ieri, sempre negli spazi del parco di San Giovanni). Cresciuta nel gruppo “Il cantiere”, Andreina Garella non ha tradito il mandato di quel “teatro sociale”. Ora lavora in Emilia, dove assieme a Mario Fontanini ha fondato Festina Lente Teatro. Una loro recente proposta, lo spettacolo La vita fragile, pieno della stessa forza che accompagnava le uscite di Marco Cavallo, ha mobilitato alcune settimane fa la Cavallerizza di Reggio Emilia, su proposta del Dipartimento di salute mentale di quella provincia. E ha restituito alla gente gli allegri suoni di banda, le storie di inclusione, il diritto a essere diversi ma uguali, che molti di noi avevano dimenticato. (dal blog Quante scene)