giovedì 29 agosto 2013

GIBONNI, il Vasco croato: disco e sabato al festival rock Abbazia

Dicono sia il Vasco Rossi di Croazia. Di certo, Gibonni, al secolo Zlatan Stipisic, è l’artista della vicina repubblica che in questi anni ha saputo mischiare meglio sonorità rock e pop, coniugando melodie e tematiche che hanno saputo coinvolgere i giovani del suo paese. Sia ai tempi tormentati della guerra dei primi anni Novanta, che nei vent’anni trascorsi. Ora che la sua Croazia è entrata a pieno titolo in Europa, Gibonni - che sabato alle 21 sarà ospite del Festival rock di Abbazia - parte alla conquista dell’Occidente. E comincia proprio dall’Italia. Esce infatti nel nostro paese, per l’etichetta New Model Label, l’album “20th Century Man”. Produzione firmata da Andy Wright, già vincitore di premi Grammy e collaboratore di Simply Red, Eurythmics, Simple Minds e altri artisti internazionali, fra cui lo stesso Luciano Pavarotti. Il disco, realizzato fra Slovenia, Croazia e Inghilterra, è cantato in inglese. Ha i suoni e le atmosfere delle migliori produzioni rock contemporanee e rappresenta un’importante sfida dell’artista croato nei confronti del mercato internazionale. Della serie: l’obiettivo è trasformare fama e successo nazionale in un’affermazione anche fuori dai confini patrii. Ora o mai più. Gibonni è nato nell’agosto ’68 a Spalato. Figlio d’arte, suo padre Ljubo Stipisic era un famoso compositore di klapa, stile musicale tradizionale della Dalmazia, nel quale non a caso il giovane Zlatan ha mosso i primi passi. Negli anni dell’adolescenza, la conversione al rock. Nell’85 fonda gli Osmi Putnik, ovvero l’Ottavo Passeggero, da titolo croato del film “Alien”, band dedita a sonorità heavy metal di cui è il cantante. Tre album in tre anni (e in uno di questi è compreso anche l’inno della squadra di calcio dell’Hajduk Spalato), poi nell’88 l’uscita dal gruppo, la collaborazione prima con i Divlje Jagode (Wild Strawberries) e poi con i tedeschi V2. Dal ’91 la carriera solista, cominciata con l’album “Sa mnom ili bez mene” (With or without me), e il passaggio dall’heavy metal degli esordi al pop rock attuale. Con cui ora punta deciso a Occidente.

martedì 27 agosto 2013

BOB DYLAN, oggi decimo capitolo Bootleg Series, a nov in tour in Italia

Un album in uscita oggi. Un tour che arriva in Italia a novembre (data più vicina: l’8 a Padova). Una mostra dei suoi quadri appena inaugurata a Londra, alla prestigiosa National Portrait Gallery. Insomma, non si può dire che i fan di Bob Dylan se la passino male. Il settantaduenne menestrello di Duluth non sembra sentire il peso degli anni. Come sembra ancor lontano il fatidico momento per appendere la chitarra al chiodo. E far parlare “soltanto” mezzo secolo di (spesso eccellente) produzione artistica. Ma partiamo dal disco. Oggi esce “The Bootleg Series, Vol. 10 – Another Self Portrait (1969-1971)”. Si tratta del decimo capitolo della serie di rarità e incisioni inedite, attinte dall’immenso repertorio immortalato in questi cinque decenni. I due anni a cui risalgono i brani rappresentano secondo gli esperti dylaniani uno dei periodi più controversi ma al tempo stesso più creativi di Robert Allen Zimmerman (questo il suo vero nome, abbandonato nell’agosto del ’62 in onore del poeta Dylan Thomas). Fra le 35 rarità e incisioni inedite, per la prima volta anche l’intera performance di Bob Dylan e The Band al leggendario Festival dell’Isola di Wight, il 31 agosto 1969. Ma anche una versione di “Only a Hobo” e il “demo” di “When I paint my masterpiece” (quello in cui promette che “un giorno tutto filerà liscio come una rapsodia, quando dipingerò il mio capolavoro...”). Il disco, per la cui copertina Dylan ha realizzato un nuovo ritratto, è disponibile in tre versioni: il doppio cd, il cofanetto con tre vinili e due cd, e il cofanetto deluxe con quattro cd e due libri. Le incisioni sono tratte soprattutto dalle sessioni di registrazione del 1970 che portarono alla realizzazione degli album “Self Portrait” (la cui versione rimasterizzata è presente nel cofanetto deluxe) e “New Morning”. Per quanto riguarda le nuove date italiane di Bob Dylan, queste sono il 2, 3 e 4 novembre a Milano, il 6 e 7 a Roma e l’8 a Padova. Questa ennesima tranche del “Neverending Tour” dell’artista si aprirà il 10 ottobre a Oslo, poi toccherà Stoccolma, Copenhagen, Hannover, Amburgo, Düsseldorf, Berlino (24 e 25 ottobre), Ginevra e Amsterdam. Dopo le tappe italiane, già previsti concerti a Bruxelles (10 novembre), Parigi, Glasgow e Londra (26, 27 e 28 novembre). Per concludere, un cenno a “Bob Dylan: Face Value”, la mostra inaugurata il 24 agosto a Londra, alla National Portrait Gallery, e visitabile fino al 5 gennaio. Oltre a opere già viste, propone dodici nuove opere a pastello, con personaggi reali e immaginari.

JUSTIN TIMBERLAKE trionfa agli MTV video awards

Justin Timberlake ha trionfato agli Mtv Video Music Awards, svoltisi l’altra notte al Barclays Center di Brooklyn, New York, e rilanciati in tutto il mondo dal potente network televisivo musicale. Il cantante e attore è stato premiato con ben quattro riconoscimenti: il Video Vanguard alla carriera, il Best Direction, il Best Editing e il Video of the Year. Ma a guardare e ascoltare la sfilata di star o presunte tali, l’impressione sullo stato di salute della musica pop statunitense non è delle migliori. Cast debole, qualità e creatività in dosi omeopatiche, personaggi che hanno tutta l’aria di essere creati a tavolino dai cervelloni delle major discografiche (e poi dicono che la discografia è in profonda crisi...), attenzione esagerata al look, mossette a gogò. E la manifestazione organizzata da Mtv dal 1984, quando il network musical-televisivo inaugurò quella che in teoria voleva essere una risposta ai Grammy Awards in chiave giovane (all’inizio si svolgeva al Radio City Music Hall), sembra ormai il regno del trash. O del “cafonal”, se preferiamo l’accezione ormai sdogata da Roberto D’Agostino e dal suo Dagospia. Ma torniamo alla serata. E soprattutto ai premiati. Abbiamo detto di Timberlake, che ha tenuto banco per circa un quarto d’ora. Dopo aver ricevuto il premio alla carriera da Jimmy Fallon, l’artista ha proposto un medley dei suoi maggiori successi (fra cui “SexyBack” e “Like I love you”), ha duettato con gli ex compagni degli ’N Sync (con loro ha rispolverato “Bye bye bye” e “Girlfriend”) e ha chiuso con le nuove “Suit & tie” e “Mirrors”. Tre premi per Macklemore & Ryan Lewis, duo di rapper di Seattle, a cui sono andati il Best Hip-Hop Video, il Best Cinematography e il Best Video with a social message. Un premio a testa per Bruno Mars e Taylor Swift, rispettivamente il Best Male Video per “Locked out of heaven” e il Best Female Video per “I knew you were trouble”. E un premio non poteva non andate agli One Direction: loro la Best Song of the Summer con “Best song ever”. Serata aperta da Lady Gaga (ha presentato “Applause”, apripista del prossimo album; quattro cambi d’abito in pochi minuti) e chiusa da Katy Perry, che alla fine ha anche mostrato il cartello “Game over”. La popstar è stata protagonista di uno scambio di cortesie nientemeno che con il presidente Obama, di cui è sempre stata una fan sfegatata (celebre la sua esibizione, prima del voto, con un vestito con sopra stampata una scheda elettorale...). Stavolta Kate ha speso parole a favore della riforma sanitaria. E Obama l’ha prontamente ringraziata. Ovviamente con un “tweet”.

lunedì 26 agosto 2013

METALLICA, rock-movie il 9-9 al Toronto Film Festival, a ottobre nelle sale italiane

Dovranno aspettare fino ai primi di ottobre i fan dei Metallica. Solo allora, infatti, arriverà nelle sale italiane “Metallica through the never”, l’atteso film in 3D che unisce sequenze di due loro concerti a una storia vera e propria. La data della prima mondiale della pellicola diretta da Nimród Antal è fissata invece per lunedì 9 settembre, quando il film verrà presentato al Toronto International Film Festival. Secondo quando si apprende dalle varie anticipazioni diffuse sul web, “Metallica through the never” - il titolo è tratto da “Through the never”, brano presente nell’album “Metallica” del ’91 - è una sorta di “rock movie” che prende ispirazione, stando a quanto spiegato dal batterista della band Lars Ulrich, dallo storico film dei Led Zeppelin “The song remains the same”. «È un vero e proprio film e c’è una parte di storia che non si svolge sul palco - ha detto Ulrich -. La più grande differenza con il film degli Zeppelin è che la storia che non si dipana sul palco e non vede i Metallica come protagonisti. Sono due linee narrative separate». Il film vede infatti da una parte la band che suona dal vivo, mentre dall’altra si raccontano le avventure di Trip, un giovane membro dello staff organizzativo - interpretato dall’attore Dane DeHaan - che viene mandato in giro per la città per una commissione urgente (recuperare una tanica di benzina) durante il concerto. Da qui una serie di fatti e imprevisti surreali che, secondo le anticipazioni, cambieranno totalmente la vita del giovane. Che si trova coinvolto in scontri di strada e finisce nel mirino di un misterioso uomo mascherato. “Metallica through the never” - che comprende vari brani tratti dai due concerti che i Metallica hanno eseguito nell’agosto 2012 a Vancouver - uscirà nelle sale americane il 27 settembre e in quelle europee il 4 ottobre. La colonna sonora del film (sedici brani, tratti dagli stessi due concerti dell’anno scorso già citati) verrà pubblicata in un doppio cd in uscita il 24 settembre. Con oltre cento milioni di dischi venduti in trentadue anni di carriera (sessanta nei soli Stati Uniti) e nove Grammy Awards, gli statunitensi Metallica sono considerati una delle formazioni di maggior successo nella storia dell’heavy metal e del rock contemporaneo.

domenica 25 agosto 2013

OGGI 100 ANNI BORIS PAHOR, PERSEGUITATO DAI FASCISTI, TORTURATO DAI NAZISTI - su ARTICOLO21

Che bella e commovente rivincita, per Boris Pahor. Lo scrittore triestino di lingua slovena taglia il traguardo del secolo (è nato il 26 agosto 1913) e sembra idealmente rifarsi - con i festeggiamenti e gli onori riservatigli in questi giorni in Italia e in Slovenia - dei torti, delle violenze, delle umiliazioni e dei bavagli subiti. Da bambino, il fascismo mise il bavaglio alla sua lingua, alla sua cultura, alla memoria della sua gente. A sette anni vide l'incendio del Narodni Dom, sede delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste. "Fu l'inizio - ricorda Boris Pahor - di una lunga persecuzione per il nostro popolo. I libri nella nostra lingua venivano accatastati e bruciati, a scuola dovevamo cancellare le nostre origini. Ci obbligarono a parlare e scrivere esclusivamente in italiano. Questo fu per me, per noi sloveni, il fascismo". Un'esperienza che lo segnò, quasi quanto la prigionia nei campi di concentramento nazisti. Il suo libro più famoso, "Necropoli" (per Le Monde «un libro sconvolgente, la visita a un campo della morte e il riaffiorare di immagini intollerabili descritte con una precisione allucinata e un'eccezionale finezza di analisi...»), racconta l'orrore e le atrocità della prigionia. E' uscito nel ’67. In questi quarant’anni ha avuto traduzioni nelle lingue di mezzo mondo, ma in Italia è stato pubblicato per la prima volta (a parte un’edizione locale) solo pochi anni fa da Fazi Editore. In Francia gli hanno assegnato la Legion d’Onore. E premi sono arrivati persino dagli Stati Uniti. Insomma, un altro bavaglio. Perchè per troppo tempo, come è stato scritto, ha fatto comodo a tanti che non si sapesse che nell'italianissima Trieste c´era uno scrittore capace di scrivere in un’altra lingua - la stessa lingua che il fascismo aveva negato a colpi di manganello e olio di ricino - e mettere con i suoi capolavori il dito sulla piaga. Spiega Boris Pahor: «Gli anni Venti sono stati il periodo più brutto per Trieste, sotto l’Austria eravamo una città ricca, poi gli uomini di cultura e anche i sacerdoti sloveni sono stati mandati via. Nel 1920 hanno cominciato a bruciare le case di cultura slovene, quando il fascismo è andato al governo ci hanno tolto la lingua, hanno bruciato i nostri libri, ci hanno cambiato nomi e cognomi. Una vera e propria pulizia etnica ”romana”, perchè sloveni e croati dell’Istria dovevano diventare italiani...». Ancora lo scrittore: «Lo hanno detto loro stessi: la rivoluzione fascista è nata a Trieste, quando hanno cominciato a ripulire la città...». Storie che sembrano lontane. Storie che rischiano di tornare di attualità, guardando a questa nostra Europa che abbatte i confini ma non sembra ancora vaccinata a sufficienza contro l'odio per l'altro, per il diverso, per chi viene da lontano, per chi è minoranza. L'insegnamento del centenario Boris Pahor, sopravvissuto ai lager e agli orrori del secolo breve, sembra indicare una via d'uscita: recuperare la capacità di opporsi, di indignarsi, di dire no a tutti i bavagli. Tutte le volte che è giusto e che ce n'è bisogno. http://www.articolo21.org/2013/08/boris-pahor-100-anni-oggi/

sabato 24 agosto 2013

ELISA, uscito singolo L'ANIMA VOLA, album a ottobre, tour a marzo

«L’anima vola, le basta solo un po’ d’aria nuova. Se mi guardi negli occhi cercami il cuore, non perderti nei suoi riflessi. Non mi comprare niente, sorriderò se ti accorgi di me fra la gente. Sì che è importante, che io sia per te in ogni posto, in ogni caso quella di sempre...». Comincia così “L’anima vola”, il nuovo singolo di Elisa, da ieri in programmazione radiofonica, che anticipa l’omonimo nuovo album della popstar monfalconese, che uscirà il 15 ottobre. Un brano nella tradizione della miglior produzione della nostra artista, strutturato in un crescendo che parte dai versi citati, su un tappeto sonoro di archi (arrangiati e suonati da Davide Rossi, uno che ha già collaborato fra gli altri con i Coldplay), per poi svilupparsi su una base ritmica da ballata rock. L’album, dieci brani tutti in italiano, arriva a quattro anni di distanza dall’ultimo disco di inediti “Heart” e a tre dal progetto discografico “Ivy”. È il suo ottavo lavoro in studio e il primo interamente in italiano. Un brano è scritto da Ligabue, sette anni dopo il grande successo “a quattro mani” del brano “Gli ostacoli del cuore”. Altre due canzoni hanno i testi firmati uno da Tiziano Ferro e l’altro da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro (e proprio sul palco della band salentina Elisa ha fatto le sue due uniche uscite “live” di quest’estate, a luglio, negli stadi di Milano e Roma). Tutti gli altri brani - compreso “Ancora qui”, scritto con Ennio Morricone e incluso nella colonna sonora dell’ultimo film di Quentin Tarantino, “Django unchained” - sono firmati dalla trentaquattrenne artista monfalconese. Per ascoltare il nuovo album dal vivo, i fan dovranno aspettare l’anno nuovo. Da marzo è infatti previsto un tour nei palasport, dopo il silenzio “live” di quest’estate. Una pausa nei concerti dovuta sia agli impegni legati alla realizzazione nel nuovo album, pubblicato come sempre dall’etichetta Sugar di Caterina Caselli, sia alle “incombenze familiari”. Elisa e il suo compagno e chitarrista Andrea “Ringo” Rigonat sono infatti genitori di due bimbi: alla piccola Emma Cecile, che era appena nata quando “Heart” fu presentato al Castello di Duino, si è infatti recentemente aggiunto il fratellino Sebastian. Da ricordare ancora che negli ultimi mesi l’artista ha trovato il tempo anche per realizzare le musiche della colonna sonora del nuovo film di Giovanni Veronesi, intitolato “L’ultima ruota del carro”, con Elio Germano e Sergio Rubini, in uscita il 14 novembre e presentato alle Giornate Estive del Cinema di Riccione.

venerdì 23 agosto 2013

ADDIO BORNIGIA, FONDO' IL PIPER, LANCIO' ZERO E PATTY PRAVO...

Lanciò Patty Pravo e Renato Zero. Ma nel suo Piper Club, a Roma, negli anni Sessanta, ospitò per la prima volta in Italia anche Rolling Stones e Genesis. Basterebbe questo, per capire l’importanza nella storia italiana della musica pop e rock di Giancarlo Bornigia, morto a 83 anni per arresto cardiaco. Era il ’65, nel pieno dell’Italia del boom. Bornigia è un avviato commerciante di auto. Con i soci Alessandro Diotallevi, importatore di carni, e Alberigo Crocetta, produttore discografico, annusa quel che succede in Inghilterra e capisce che a Roma manca un locale di un certo tipo. Nasce il Piper. Da dove partono le carriere di artisti come Mal dei Primitives, Rokes, Equipe 84, Mimì Bertè che poi diventò Mia Martini, sua sorella Loredana Bertè, oltre alla citata “ragazza del Piper” Patty Pravo e a Renato Zero. Fra le star delle serate anche Dik Dik, Romina Power, Gabriella Ferri, Rita Pavone, Fred Bongusto. E qualche star internazionale: i Pink Floyd (nell’aprile ’68), Jimi Hendrix (nel maggio dello stesso anno), i Genesis, Sly and the Family Stone, persino Duke Ellington e, in tempi più recenti, i Nirvana (novembre ’89). Disse una volta Bornigia: «Tutti i concerti di allora al Piper erano degli eventi, per tanti i Genesis erano un gruppo come un altro, ma comunque il pubblico affollava i locali per ascoltare musica, per conoscerne di nuova e farlo condividendo l’esperienza. Allora tanti gruppi stranieri non erano conosciuti a tutti in Italia, come oggi, per cui per esempio ci è anche capitato che gli Who, dopo il concerto al palazzetto, passassero così al Piper e improvissassero un concerto anche qui. Con gli spettatori che osservavano pronti a recepire le nuove esperienze». Nella seconda metà degli anni Sessanta al Piper passava il mondo. Registi, attori, artisti. Fra questi anche Andy Warhol. Recentemente era tornato al Piper per il lancio del nuovo album “Amo” proprio Renato Zero. Che ora lo ricorda così: «Ci offrì un rifugio “sicuro”, pertanto: viva Giancarlo...!».

mercoledì 21 agosto 2013

CON LA CRISI LE STAR ARROTONDANO A SPESE DEI FAN...

L’unico che non ne approfitta è Bruce Springsteen. L’accesso al suo “pit”, la zona più vici- na al palco, dalla quale a volte si può addirittura toccare la rockstar e magari essere chiamati sul palco per un duetto vocale o danzereccio, è assolutamente gratuito. Basta avere un normale biglietto e mettersi in fila di buon’ora, magari dal giorno prima. L’unica recente variante, importata in Europa dagli States, è una sorta di lotteria fra i fan, che risparmia levatacce e accampamenti. Lotteria comunque gratuita. Lo stesso non si può dire di altre star del pop e del rock. Che non conoscono più la parola gratis. E per avvicinare le quali, stringer loro la mano, farsi scattare una foto assieme, un tempo bastava appostarsi magari per ore nei posti giusti. Fuori dagli alberghi, vicino al ristorante giusto, nei pressi dei camerini, dalle parti delle uscite di sicurezza... Oggi no. Oggi si paga tutto. Complice una crisi che picchia duro - si fa per dire - anche nel dorato mondo dello show business (di dischi se ne vendono pochetti, le uniche entrate certe arrivano dalle tournèe, al massimo dai diritti d’autore per chi è anche autore dei propri brani...), la novità di questi ultimi anni è che anche le grandi popstar e rockstar “arrotondano” le loro entrate mettendo in vendita opportunità di fugaci incontri che un tempo nessuno si sarebbe mai sognato di vendere e nemmeno di comprare. Negli Stati Uniti, da sempre apripista dei nuovi fenomeni, in questo e in tutti gli altri set- tori, li chiamano “meet and greet”. Che sarebbe come dire “incontro e saluto”. Funziona proprio come state cominciando a temere e immaginare: soldi in cambio dell’incontro, per forza di cose brevissimo, con la star. Pochi minuti, il tempo di una stretta di mano, forse un abbraccio, per le più fortunate un bacio sulla guancia, di sicuro un autografo, una fotografia assieme... Pare che Rod Stewart abbia firmato un vero e proprio contratto con il sito di vendite on line Groupon. L’offerta prevede viaggio, concerto, posto nelle prime file, incontro con la star, foto autografata, e alla fine anche la notte (ognuno nella sua stanza...) in albergo. Se si tratta del Caesars Palace di Las Vegas bisogna sganciare 2500 dollaroni. Ma evidentemente c’è qualcuno che ab- bocca. Il vecchio Rod non è l’unico ad aver ceduto al business. Dai Rolling Stones a Madonna, da Paul McCartney agli U2, da Beyoncè agli One Direction (che possono contare su folle di adolescenti che farebbero spendere ai genitori qualsiasi cifra pur di avvicinare i ragazzotti...), dagli Eagles a Bon Jovi, da Tom Petty ai Maroon Five, pare siano davvero in tanti ad aver intrapreso questa lucrosa attività parallela. Compreso Roger Waters nel recente “The Wall Live”. Un sistema consolidato è quello del “pacchetto vip”. Tramontati i tempi del biglietto unico, il primo che arriva si piazza nelle primissime file, gli altri dietro, ora impazza il biglietto che assicura parcheggio, posto nelle prime file, maglietta del concerto, pass per l’accesso a un’area riservata. Dove è previsto, dopo il concerto, fra drink a volontà e stuzzichini, l’arrivo della star fresca di doccia e di cambio d’abito, che per una corposa manciata di dollaroni supplementari si concede più o meno volentieri all’adorazione dei fan. Persino gli U2 mettono in vendita pacchetti che, oltre al biglietto del concerto, prevedono incontri con Bono e co. Ma l’offerta è ampia. C’è anche chi propone - sempre pagando, s’intende - la possibilità di assistere alle prove prima del concerto. Anche qui il vecchio Springsteen fa eccezione: nell’ultimo tour è ormai quasi un’abitudine l’uscita del Boss verso le 18, con tre o quattro brani in acustico per la gioia dei fedelissimi... Ma gli altri non conoscono la parola gratis. Persino il grande Paul McCartney, che un tempo lo faceva per beneficenza, ora incassa il cash per un pacchetto che prevede prova, cena vegetariana, incontro con l’ex Beatle. Vogliamo metterci a fare la morale su questo andazzo? No di certo. Ma ci viene un sospetto: quando cinquant’anni fa Bob Dylan cantava che “The times they are a-changin”, i tempi stanno cambiando, o quando quarant’anni fa John Lennon sognava in “Imagine” un mondo diverso, beh, forse non immaginavano un cambiamento esattamente di questo tipo.

martedì 13 agosto 2013

Già finito stop dei COLDPLAY, 26-8 esce Atlas

Uno stop di tre anni. Roba da mandare in paranoia i fan più sfegatati. Ma ora, per estimatrici ed estimatori dei Coldplay, la speranza arriva da un annuncio: il 26 agosto esce “Atlas”, primo inedito della band inglese dai tempi di “Mylo Xyloto”, album del 2011. Il brano è infatti incluso nella colonna sonora di “Hunger games: catching fire”, secondo capitolo della serie cinematografica - nelle sale dal 22 novembre - che finora ha incassato 700 milioni di dollari in tutto il mondo. Ma torniamo ai nostri eroi. L’inverno scorso, dopo la pubblicazione dell’album “Live 2012”, si era sparsa la voce sulla volontà di Chris Martin e compagni di prendersi una lunga pausa. Qualcuno aveva parlato anche di tre anni. Cosa possibile, visto che dal 2000 dell’esordio discografico ufficiale con “Parachutes” i ragazzi sono sempre stati in pista. Martin l’aveva detto durante il concerto a Brisbane nel novembre scorso: «Questo sarà l’ultimo grande show per tre anni o quasi». Probabilmente lo stop andava inteso solo per l’attività live. Successivamente, lo stesso frontman aveva infatti dichiarato all’inglese Daily Star: «Ho già composto dei pezzi e sono intrippato con i progetti futuri del gruppo. Ho la fortuna di poter fare questo lavoro e non voglio smettere. Questa storia dei tre anni di pausa è saltata fuori perché in Australia ho detto che magari non saremmo ripassati di lì per tre anni. Il che è probabilmente vero, ma solo perché i tour mondiali funzionano così. Non ci sarà alcuna pausa di tre anni...». Passata la paura, dunque. E questo singolo promette di essere solo l’anteprima del sesto album della band. «Siamo onorati dal fatto che i Coldplay, una delle più significative realtà musicali della loro generazione, abbiano accettato di prendere parte al nostro progetto», dice Tracy McKnight, a capo della sezione musicale della casa cinematografica Lionsgate. «Sapere che Martin sia un fan dei libri di Suzanne Collins (ideatrice della saga, ndr) rende tutto ciò ancora più importante. La presenza dei Coldplay sottolinea la statura del cast musicale che abbiamo assemblato per questa colonna sonora». «Ho grande rispetto e ammirazione per i Coldplay, e siamo molto soddisfatti di come abbiano sposato le tematiche e le idee del film - aggiunge il regista Francis Lawrence -. La loro passione e l’interesse al progetto hanno approfondito la collaborazione più di quanto ci aspettassimo».

40mila stasera a Zagabria x ROBBIE WILLIAMS, 300 da Trieste e Fvg

Quasi trecento persone partono oggi da Trieste e dal resto della regione alla volta di Zagabria. Dove alle 21, allo stadio, dove sono attesi in tutto 40mila spettatori, va in scena l’unica tappa nella nostra zona del tour europeo di Robbie Williams. Il “Take the crown stadium tour” ha fatto solo una fermata in Italia, due settimane fa allo Stadio San Siro di Milano, e dunque per tutto il Nordest il concerto di stasera è l’occasione più vicina per assistere allo show. Take the crown, prendi la corona. Ovviamente quella di re del pop, che l’ex Take Theat, quarant’anni da fare a febbraio, sente ormai di aver conquistato dopo gli alti e bassi di una carriera comunque straordinaria. Basti pensare che nella sua Inghilterra ha venduto più album di chiunque altro, che ha vinto dieci Brit Awards (gli Oscar inglesi della musica), che è stato inserito nella prestigiosa Hall of Fame Musical del Regno Unito. Esordi giovanissimo con i Take That, la boyband che grazie anche a lui scala classifiche e trafigge migliaia di cuori adolescenti. Nel ’95, poco più che ventenne, molla i soci e si dà da fare come solista. All’inizio è pieno di debiti per la rottura contrattuale, problemi con alcol e droga non lo aiutano. Poi rinasce, incassando un successo ancora superiore di quello col gruppo. In questi anni regala anche una “reunion” con gli vecchi giovani compagni ma soprattutto inanella una serie di album - dopo “Life thru a lens” arrivano “Angels”, “I’ve been expecting you”, “Sing when you’re winning”, fino al recente “Take the crown” - e di tour da record. Stasera, affiancato da una band di sei elementi più tre fiati e tre coriste, e contornato da effetti speciali di ogni sorta, l’adorabile faccia da schiaffi proporrà brani dal nuovo album come “Be a boy”, “Not like the others” e la super hit “Candy”. Ma anche i classici “Sin sin sin”, “Bodies”, “Come undone” (che finisce citando “Walk on the wild side” di Lou Reed), “Everything changes”, “Shame”, “Heart and I”. E ancora “Strong”, “Me and my monkey”, “Rock dj”, “Feel”, “Angels”... Martedì 20 agosto alle 19.50 il concerto di Tallin, Estonia, finale del tour europeo, verrà trasmesso in diretta via satellite mondiale in un circuito di sale cinematografiche. In regione: a Trieste allo Space Cinecity delle Torri, a Monfalcone e Gorizia al Kinemax, a Udine allo Space di Pradamano.

lunedì 12 agosto 2013

domani GIULIANO PALMA al festival di majano, udine

Prima i Casino Royale, poi il progetto “con” i Blue Beaters, ora la carriera solista. Per Giuliano Palma, milanese, classe ’65, sembra insomma finito il tempo dei giochi. Sembra che sia arrivato finalmente il momento di fare sul serio. A settembre, poi, esce il suo nuovo album, intitolato “Old boy”. Spiegando il quale, “The King” - questo il suo soprannome nell’ambiente musicale meneghino - ti spiega che in realtà per lui il tempo dei giochi non è finito e forse non finirà mai. Che lui è ancora e sempre, un vecchio ragazzo, un “old boy”, appunto... «Per il titolo dell’album - spiega Giuliano Palma, la cui tournèe estiva fa tappa domani alle 21 al Festival di Majano, ingresso gratuito, apre la serata la cantante friulana Selene - mi sono ispirato a un film coreano di qualche anno fa. Ma in realtà il motivo del titolo è che io mi considero proprio un “old boy”». Fra due anni ne compie cinquanta... «Lo so, ma che vuole: resto convinto che ognuno di noi deve coltivare il ragazzo che ha dentro. L’attitudine al gioco, per esempio, per me è importante. Una volta di giocava a carte, ora ci sono i giochi elettronici. Ecco, con i Blue Beaters ci facevamo delle grandi partite alla playstation. E anche nel brano “Pes”, con i Club Dogo, tutto è nato quasi per scherzo, giocando a calcio sul computer». Dicono che gli italiani non amano collaborare. Ma la lista delle sue collaborazioni è lunga. Lei è un’eccezione? «Non lo so. So soltanto che io amo molto la musica, amo ascoltare i dischi dei miei colleghi, lo facevo da ragazzo, quando pensare di fare questo mestiere era per me un sogno, lo faccio ancora adesso, con la stessa passione. Tutte le volte che si presenta dunque la possibilità di collaborare con qualcuno, dal vivo o in sala di incisione, per me è un festa». Gelosie? Invidie? «Da parte mia assolutamente no, spero nemmeno da parte degli altri. L’importante è che una collaborazione nasca da una qualche affinità artistica, da un gusto musicale da condividere, da una curiosità da esplorare assieme. La musica, l’ispirazione deve fare da collante. Se esistono questi presupposti, e se mi propongono qualcosa da fare assieme, la mia adesione è assicurata». Con i Casino Royale come cominciò? «Era l’87, e noi eravamo un gruppo di amici con influenze e gusti musicali molto diversi. Per il nome ci ispirammo alla saga di James Bond creata dallo scrittore Ian Fleming. “Casino Royale” era infatti il primo libro in cui compariva 007. Non sono stati solamente una band, ma una vera e propria famiglia, amici fraterni con cui abbiamo iniziato a suonare per gioco». Ritorna il gioco... «Evidentemente sì. Comunque nessuno di noi, quando abbiamo cominciato, avrebbe pensato a una carriera da musicisti professionisti: facevamo le cover dei gruppi che ci piacevano. E con il tempo abbiamo trasformato questa passione in un lavoro, in una professione. Ricordando quei tempi, devo dire che quell’esperienza mi è servita moltissimo, mi è rimasta dentro, ha influito sul mio stile e sul mio modo di vedere la musica». E i BlueBeaters? «Quella è stata come una piccola bomba che mi è scoppiata in mano. All’inizio era un progetto nato in sala prove per suonare con i miei amici di Torino: fare un tributo alla musica ska giamaicana degli anni Sessanta. Con il tempo si è rivelato un’avventura importante e divertente». Le cover? «Fu Gino Paoli a chiederci per primo di arrangiare due canzoni seu, “Che cosa c’è” e “Domani”, con suoni e in una maniera un po’ diversa dagli originali. Da lì è nato tutto, diciamo che ci abbiamo preso gusto. Aggiunga la mia vecchia passione per la musica degli anni Sessanta, quella che sentivo in casa quand’ero bambino, e il gioco - ancora il gioco... - è fatto». Alcuni ragazzi hanno scoperto delle vecchie canzoni attraverso le vostre cover. «È vero. Penso a “Tutta mia la città”, della quale fra l’altro noi abbiamo fatto la cover della cover, visto che quella dell’Equipe 84, nel 1969, era già la versione italiana di “Blackberry way”, degli inglesi Move, testo italiano di Mogol. Comunque è vero, molti ragazzi credevano che fosse una canzone nostra, e invece aveva più di quarant’anni». Domani sera? «Con la mia Giuliano Palma Orchestra faremo un percorso a ritroso: le cose recenti, le cover, gli anni con i Blue Beaters, con i Casino Royale. Dal nuovo album, tutto brani nuovi tranne una cover di Bacharach, facciamo solo “Come ieri”, il singolo con Marracash che ha anticipato il disco...».

sabato 10 agosto 2013

GIORGIO CONTE domani a Grado canta mito di Geo Chavez

«Di Geo Chávez mi ha affascinato la grandezza dell’impresa, quest’uomo temerario che sfidava i cieli sulle macchine volanti. Un volo finito male, perchè a volte le grandi imprese richiedono grandi sacrifici. Ma nella vita arriva il momento in cui bisogna tentare, giocare le proprie carte, spiccare il volo...». Giorgio Conte, avvocato e cantautore come il fratello maggiore Paolo, sarà il protagonista domani alle 21, a Grado, alla Diga Sauro, per Lagunamovies, della serata “Arriba siempre arriba: il mito di Geo Chávez”. Prima la rievocazione del pilota franco-peruviano, primo uomo ad aver sorvolato le Alpi con un monoplano, il 23 settembre 1910, morto a soli ventitre anni per le conseguenze dei traumi riportati nell’atterraggio (incontro condotto da Pietro Spirito, con Fredo Valla, regista del film che rievoca la storia). Poi con un concerto, assieme al polistrumentista Walter Porro. Lei il volo lo ha spiccato tardi. «Trent’anni fa, quando uscì il mio primo album, ero già vecchiotto - ricorda Conte, astigiano come il fratello, classe ’41 -. Lo intitolai “Zona Cesarini” perchè pensavo di essere già fuori tempo massimo. Ma per fortuna non era vero...». Ma come autore era già su piazza. «Sì, alcuni cantanti mi avevano già fatto l’onore di cantare miei brani (Fausto Leali, Mia Martini, Rosanna Fratello, in anni successivi anche Mina, Ornella Vanoni, Rossana Casale - ndr). Ma alcune canzoni noi due le tenevamo da parte, perchè trovare l’interprete giusto non era facile. E perchè in fondo le sentivamo più “nostre”». “Una giornata al mare”, affidata all’Equipe 84, è il maggior successo firmato da voi due assieme. «Sì, fra l’altro mi ricordo perfettamente come nacque. Ero in camera mia che strimpellavo questa melodia, arriva Paolo, la sente e dice che ha il testo giusto, praticamente già pronto. Fu un caso felice di collaborazione spontanea». Il suo libro “Un trattore arancio”? «È una raccolta di racconti, con un filo comune, quasi a formare un affresco. Immagino questo trattore abbandonato sotto un portico, nella casa di campagna del nostro nonno materno, in pieno Monferrato. Lui ha visto quel che gli accadeva attorno, io voglio rimetterlo in moto, far rivivere episodi e persone, caricarli sul suo rimorchio...». Cos’è questo “al gusto di tutto” di cui scrive? «È trovare sempre il lato positivo delle cose, non piangersi addosso, trovare un senso e un gusto anche nelle cose che apparentemente non ne hanno. Un ottimismo di fondo, quasi una forma di difesa». Lei e Paolo avete entrambi debuttato come cantautori in età avanzata. Insicurezza o che? «A casa nostra, quando gli spartiti cominciavano a prendere il sopravvento sul diritto, ci chiedevamo spesso: e se la vena si secca? Ma poi arriva un momento in cui bisogna prendere coraggio, fare quel che si sente, spiccare il volo. Come Chávez». Chi glielo ha fatto scoprire? «Me ne aveva parlato il regista Fredo Valla. Per il suo film ho scritto una canzone, “Geo”, che sta nel mio album “C.Q.F.P. - Come quando fuori piove”. E nel film interpreto anche il ruolo del narratore: immagino i primi voli, il campo da cui è partito...». E per voi che partivate da Asti, Genova...? «I piemontesi hanno sempre avuto un’attrazione e al tempo stesso una diffidenza verso Genova, verso un mondo sconosciuto, non loro. Per me era il primo mare che si vedeva dal treno, che si spalancava d’un tratto fra le case. Non ne avevo la visione malinconica immortalata da Paolo nella sua canzone, ma poco via...».

venerdì 9 agosto 2013

ORME domani al TRIESTE SUMMER ROCK FESTIVAL

Le Orme sono tornate a essere un trio. Proprio come quando, a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e l’alba dei Settanta, furono uno dei gruppi più innovativi e importanti dell’allora nascente pop italiano. Con il batterista Michi Dei Rossi, che in tutti questi anni ha sempre tenuto alta la bandiera del gruppo veneto, allora c’erano Toni Pagliuca alle tastiere e Aldo Tagliapietra, basso e voce. Ora con lui ci sono Michele Bon alle tastiere (fa parte del gruppo dal ’90) e Fabio Trentini al basso, alla chitarra e alla voce (è entrato quattro anni fa). Una sorta di ritorno alle origini, dopo cambi di formazione che hanno interessato nel corso degli anni una dozzina di musicisti. Ed è in questa formazione che le Orme saranno domani sera a Trieste, in piazza Verdi, ad aprire la decima edizione del Trieste Summer Rock Festival. Un’edizione che nelle intenzioni degli organizzatori doveva essere speciale, visto il numero “tondo”, e invece ha rischiato di saltare, a causa di una vicenda che abbiamo già raccontato su queste colonne. È infatti accaduto che le note ristrettezze economiche del periodo e la conseguente mancanza di contributi pubblici aveva portato Davide Casali e la sua associazione Musica libera quasi sul punto di gettare la spugna. È stata la salutare “impuntatura” del sindaco Cosolini - rockettaro e springsteeniano convinto - a voler comunque garantire la continuità della rassegna, aumentando il contributo già previsto da parte del Comune e sopperendo così, almeno in parte, all’assenza di finanziamenti da parte della Fondazione Crt, che in passato si era fatta carico delle precedenti edizioni del festival. Ecco dunque ai nastri di partenza la decima edizione, che non passerà alla storia come quella più ricca ma che almeno permette di non far morire la manifestazione proprio nell’anno del decennale. Dopo gli “anni delle vacche grasse” (sempre a ingresso libero il festival ha portato a Trieste artisti come Van der Graaf Generator, Pfm, Banco, Osanna, New Trolls, Steve Hackett, Carl Palmer, Ian Paice, Gong...), accontentiamoci dunque dello storico gruppo pop veneto, che porta a Trieste uno spettacolo basato sui brani dell’ultimo album “La via della seta” - un concept album con un unico filo conduttore anche se suddiviso in undici brani - e i classici di una carriera importante. Una carriera che vive anche di incontri e ritorni. Lo scorso anno la collaborazione in concerto con il Banco, che festeggiava quarant’anni di carriera. Quest’inverno con i New Trolls, in un tour comune partito proprio dalla nostra regione, al Deposito Giordani di Pordenone. «L’idea - ci aveva detto in quell’occasione Michi Dei Rossi - è nata dopo un concerto fatto assieme a Livorno. Con Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo siamo amici da sempre. In tutti questi anni ci siamo solo sfiorati perchè era destino che lavorassimo assieme adesso. Ricordo un Disco per l’Estate del ’68, al quale partecipammo entrambi, noi con “Senti l’estate che torna”. Ma ci siamo sfiorati anche cinque anni fa, a un festival progressive in Messico. Ora finalmente dividiamo il palco per un tour di quindici date...». Ma non ci sono solo le Orme. Domenica, nella seconda serata del festival, quasi a festeggiare il decennale, spazio a due gruppi triestini, «per dare rilievo e visibilità - come si legge in una nota - alla creatività musicale del nostro territorio». Si tratta dei Coloured Sweat, che nel 2011 hanno vinto l’Opening Band Live Music, organizzato dall’associazione Musica libera a Trieste. E dei Disequazione, gruppo di musica progressive nato in città verso la fine degli anni Settanta.

giovedì 8 agosto 2013

ADDIO A JAZZISTA GEORGE DUKE

Ha fatto appena in tempo a veder pubblicato il suo ultimo album, “Dreamweaver”, uscito il mese scorso. George Duke, cantante e jazzista dalla carriera ultraquarantennale, vincitore di vari Grammy Awards, è morto l’altra notte in un ospedale di Los Angeles. Aveva 67 anni, da tempo era malato di leucemia. Duke ha pubblicato oltre trenta album in studio. Ha collaborato fra gli altri con Miles Davis, Frank Zappa e Michael Jackson (per l’album “Off the wall” del ’79). Famoso come cantante jazz e funk, è stato anche arrangiatore, direttore, scrittore, professore e produttore discografico. Nato a San Rafael, California, pare abbia cominciato a suonare il pianoforte a soli quattro anni dopo aver visto con sua madre un concerto di Duke Ellington. A sedici anni è già famoso negli ambienti liceali della sua città per aver suonato con varie band jazz. Dopo il diploma al conservatorio di San Francisco nel ’67, dove aveva studiato trombone, composizione e contrabbasso, fonda un gruppo jazz con l’allora giovanissimo Al Jarreau. Fra un master in composizione alla San Francisco State University e un corso di “Jazz e Cultura Americana” al Merritt Junior College di Oakland, comincia a pubblicare una serie di album jazz con l'etichetta Mps e inizia una collaborazione con il violinista Jean-Luc Ponty, con cui fonderà il George Duke Trio. Le loro performance in occasioni come il Newport Jazz Festival attirano su di loro l’attenzione di artisti come Cannonball Adderley, Quincy Jones e lo stesso Frank Zappa. Duke è stato fra i primi a utilizzare il sintetizzatore. La lista delle collaborazioni è lunga: Smokey Robinson, George Benson, Dee Dee Bridgewater, Gladys Knight, Dionne Warwick, Anita Baker, Michael Bolton, Rickie Lee Jones, John McLaughlin, Natalie Cole e Stevie Wonder. Ma anche Dizzy Gillespie, Larry Coryell, Paco De Lucia, Mahavishnu Orchestra, Weather Report. Con Stanley Clarke aveva dato vita al Clarke/Duke Project, portando il brano “Sweet baby” ai vertici delle classifiche pop. Molti suoi brani sono stati campionati da artisti contemporanei, tra i quali Kanye West e Daft Punk (in particolare con il loro classico “Love digital”, che cita il pezzo “I love you more”). George Duke lascia i figli Rashid e John. La moglie Corine era morta di tumore lo scorso anno. Nell’album “Dreamweaver” le aveva dedicato “Missing you”.

ANIMALI CROCIFISSI AL TEATRO ROMANO DI TRIESTE, 35 ANNI FA, GRUPPO78....

Animali crocifissi al Teatro Romano, in una sera d’estate di 35 anni fa, con l’artista d’avanguardia viennese Hermann Nitsch. E un filmato della serata che spunta fuori da un cassetto, e oggi verrà presentato per la prima volta al pubblico. Promozione e diffusione dell’arte contemporanea attraverso le performance, come ricorda Maria Campitelli, anima del sodalizio, sono sempre state l’obiettivo del Gruppo 78. Sono passati trentacinque anni dalla nascita dell’associazione. Che oggi alle 19, al DoubleRoom Arti Visive (via Canova 9, Trieste), conclude “35 performance del Gruppo78”, rassegna celebrativa - curata da Campitelli con la collaborazione di Massimo Premuda - di sette lustri di attività, attraverso un percorso che rievoca le performance storiche. Si chiude e si festeggia con la proiezione dei filmati originali che documentano le performance realizzate nel ’78 a Trieste da Otto Mühl e Hermann Nitsch, esponenti dell’Azionismo viennese. Il primo, scomparso proprio un mese fa, all’Istituto d’arte. Il secondo al Teatro Romano, in una performance che provocò anche proteste e polemiche. «Il Gruppo78 non era ancora nato - ricorda Maria Campitelli, all’epoca docente all’Istituto d’arte -, anzi, possiamo dire che lo abbiamo formato, con Rosella Pisciotta, Cesare Picotti e altri artisti e appassionati, proprio sulla scia di quei due eventi, che erano stati organizzati dalla nostra scuola e dal Gruppo Arte 4». Ancora Campitelli: «I filmati erano stati realizzati con la sua cinepresa da Umberto Armocida, padre di Arianna, allora studentessa dell’Istituto d’Arte, che aveva preso parte alle performance e recentemente ha ritrovato le pellicole nel corso della preparazione di questa rassegna. Si tratta di filmati senza sonoro, ma di grande importanza storica. Testimoniano avvenimenti che hanno portato anche a Trieste quel flusso innovativo e rivoluzionario che aleggiava nella ricerca artistica degli anni 60/70, dove la riscoperta e la rivisitazione del corpo occupava un posto centrale». E veniamo alle due performance. Mühl propose nella scuola superiore triestina un evento dimostrativo del lavoro che svolgeva in quegli anni: autopresentazioni che coinvolsero gli studenti, fra pittura, rapporto con il proprio corpo, danza a diretto contatto con i materiali più disparati (dalla salsa di pomodoro alle piume), “body art”... Ma se la prima performance si svolse nel chiuso di una scuola, la seconda fu realizzata all’aperto, in centro, in quel Teatro Romano che all’epoca non ospitava abitualmente spettacoli. «Nitsch - ricorda Campitelli - mise in scena una sorta di rituale, un sacrificio ispirandosi a quello di Gesù Cristo. Erano tempi di evasione dai linguaggi tradizionali, anche attraverso la “body art”, l’espressività attraverso il corpo». Al Teatro Romano, a partire dal pomeriggio, in quell’estate del ’78 furono messe in scena delle simboliche crocifissioni. Campitelli: «Non furono ovviamente utilizzati animali vivi. Recuperammo parti di animali morti e sangue al macello. Avevamo ovviamente il permesso della questura, i cui funzionari fra l’altro potevano sorvegliare quanto avveniva dalle proprie finestre. L’artista voleva simboleggiare il sacrificio catartico dell’umanità, attraverso la messa in scena e la simulazione del sacrificio supremo, quello della croce». La performance, alla quale parteciperano studenti dell’Istituto d’arte, ma anche del Liceo Dante, doveva durare tutta la notte. «Fu interrotta verso mezzanotte - ricorda Campitelli - perchè dalle finestre delle case vicine alcune persone cominciarono a lanciare sacchetti pieni d’acqua e pezzi di vetro...». Dopo la proiezione dei video, alle 20 va in scena “Urizen” videoperformance di danza con Francesca Debelli e Antonio Giacomin aka Fluido, già presentata nel 2010 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, ispirata al poema di William Blake “The book of Urizen” e ai disegni che accompagnano i testi. I video, spiega una nota, raccontano la nascita di Urizen, personaggio inventato da Blake che impersona la razionalità e la regola.

mercoledì 7 agosto 2013

Da Pordenone a Palermo, inseguendo FRANK ZAPPA, film a Venezia

Era l’estate del 1982 e probabilmente faceva un gran caldo, proprio come in questi giorni d’agosto 2013. Il siciliano Salvo Cuccia (nato a Palermo nel 1960) era un ragazzo, faceva il militare a Pordenone, e aveva una grande passione: Frank Zappa. Quando viene a sapere che il musicista italoamericano avrebbe tenuto un concerto proprio nella sua Sicilia, allo Stadio della Favorita, a Palermo, probabilmente non gli sembra vero. Ma non c’è un attimo da perdere. Riesce a ottenere una breve licenza, si mette in viaggio per attraversare l’Italia, ma purtroppo non arriva in tempo. E comunque il concerto del grande Frank - che sarebbe scomparso a Los Angeles il 4 dicembre 1993, per un cancro, a soli 53 anni - finisce male, interrotto per gli scontri fra la polizia e il pubblico. Sono passati più di trent’anni, Salvo Cuccia è diventato un regista e quella storia è diventata un docu-film, “Summer ’82, When Zappa came to Sicily”, che verrà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. «Nel 1982 - esordisce il regista nel film - ero un ragazzo che come te amava i Beatles e i Rolling Stones, ma più di tutti amavo Frank Zappa...». Dal rammarico di non essere arrivato in tempo, quella sera d’estate di tanti anni fa, è nata tre anni fa l’idea di realizzare questo film. Cuccia riprende idealmente in mano il biglietto mai staccato di quel concerto, che diventa lo spunto per ricostruire i tasselli di quella storia ma anche di una fase della sua vita. Intreccia il suo rapporto con il padre (che lo accompagnava in quella traversata della penisola, da Pordenone alla natia Sicilia) con la storia personale e familiare di Zappa, che proprio in occasione di quel concerto ebbe modo di visitare la terra dei suoi avi. Frank Vincent Zappa era infatti nato a Baltimora, nel Maryland, il 21 dicembre 1940, figlio di Francesco Zappa (detto Francis), un perito industriale italiano nativo di Partinico, in provincia di Palermo, e di Rose Marie Zappa (nata Colimore), statunitense di origini francesi e italiane. Diversi i richiami di Zappa alle sue origini italiane, nella sua immensa opera artistica e discografica: per esempio in brani come “Tengo ’na minchia tanta” (pubblicata nel doppio cd “Uncle Meat”, nonché eseguita nell'omonimo film dall’italiano Massimo Bassoli), “Questi cazzi di piccione” (pezzo strumentale di musica contemporanea da “The Yellow Shark”) e “Dio fa” (pezzo realizzato al Synclavier e pubblicato sull’album postumo “Civilization Phaze III”). Nel docu-film di Cuccia, con le testimonianze della moglie Gail Zappa, dei figli Moon, Diva e Dweezil Zappa, e di Massimo Bassoli, amico e biografo del musicista, prende forma un racconto di musica e famiglie, incontri e ritorni, arricchito dalle immagini inedite di quel tour del 1982. Il film è prodotto da Abra Cadabra e Zappa Family Trust, in collaborazione con Regione Sicilia e Sicilia Film Commission, e dalla Zappa Family Trust in collaborazione con Rai Cinema; ha inoltre il patrocinio della San Francisco Film Society e il contributo del Comune di Partinico. Come si diceva, “Summer ’82, When Zappa came to Sicily” verrà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, che si apre il 28 agosto.

martedì 6 agosto 2013

ROBBIE WILLIAMS, re del pop, domani a Monaco, il 13 a Zagabria

A febbraio compie quarant’anni. In dono ha già chiesto alle folle adoranti la corona di re del pop. E pare che nessuno sia in grado - o abbia voglia - di contendergliela. Lui è Robbie Williams, attualmente in tour per l’Europa con il suo “Take the crown stadium tour”. Unica tappa italiana: la settimana scorsa a Milano, stadio di San Siro zeppo di sessantamila persone per l’occasione. Ma niente paura, chi se l’è persa ha ben due occasioni per rifarsi, relativamente in zona: domani sera a Monaco di Baviera, all’Olympiastadion; martedì 13 a Zagabria, all’Arena (prevendite a Trieste da Radioattività, 040 304444). Che poi l’ex Take That le mani sulla corona di re del pop ha cominciato a metterle già da un po’ di tempo, se è vero com’è vero che nella sua Inghilterra ha venduto più album di chiunque altro, ha vinto dieci Brit Awards (gli Oscar inglesi della musica), è stato inserito nella prestigiosa Hall of Fame Musical del Regno Unito. Un vero carrierone, il suo. Comincia giovanissimo con i Take That, la boyband che grazie anche a lui scala classifiche e traffigge migliaia di cuori di adolescenti. Nel ’95, poco più che ventenne, molla i giovani soci e si dà da fare come solista. All’inizio è pieno di debiti per la rottura contrattuale e i problemi con alcol e droga non lo aiutano. Poi rinasce, incassando un successo ancora superiore di quello con la boyband. In questi anni si concede anche una “reunion” con gli antichi compagni ma soprattutto inanella una serie di album - dopo “Life thru a lens” arrivano “Angels”, “I’ve been expecting you”, “Sing when you’re winning”, fino al recente “Take the crown” - e di tour da record. A San Siro - anticipato sul palco dal giovane Olly Murs, secondo classificato a “X Factor” versione inglese del 2009, poi richiamato in scena per un duetto -, Williams si è presentato con la solita faccia da irresistibile attaccabrighe, affiancato da una band di sei elementi più tre fiati e tre coriste, oltre a effetti speciali di ogni sorta: dai fuochi artificiali finti a un gigantesco mezzobusto di se stesso, da un’enorme testa - la sua - a un lanciafiamme. In scaletta, a Milano come nelle altre date del tour, brani dal nuovo album come “Be a boy”, “Not like the others” e la super hit “Candy”. Ma anche classici del calibro di “Sin sin sin”, “Bodies”, “Come undone” (che finisce citando “Walk on the wild side” di Lou Reed), “Everything changes”, “Shame”, “Heart and I”. E ancora “Strong” (a San Siro in duetto con la nostra Chiara), “Me and my monkey”, “Rock dj”, “Feel”, “Angels”... Da segnalare ancora che, dopo le tappe di Monaco e Zabagria, martedì 20 agosto alle 19.50 il concerto di Tallin, Estonia, finale del tour europeo, verrà trasmesso in diretta via satellite mondiale in un circuito di sale cinematografiche. In regione, per ora: a Trieste allo Space Cinecity delle Torri, a Monfalcone al Kinemax, a Udine allo Space di Pradamano.

lunedì 5 agosto 2013

STEVE KAUFMAN, sulle orme di. WARHOL, da sab a TS

Gli spettatori del musical “The Rat Pack Live from Las Vegas”, andato in scena al Rossetti a gennaio, hanno potuto già ammirare nel foyer del teatro la sua opera “Rat pack”, appartenente a una collezione privata di Trieste. In quel quadro Steve Kaufman (29 dicembre 1960 - 12 febbraio 2010) ritrasse nel ’97 Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis Jr. I tre mostri sacri della musica americana di tutti i tempi - scherzosamente ma anche un po’ acidamente soprannominati da Lauren Bacall “rat pack”, branco di ratti - si esibivano spesso a Las Vegas, dove Kaufman era di casa per le importanti opere realizzate al Caesars Palace. E l’artista li immortalò assieme, in quella che sarebbe diventata una delle sue opere più famose. Dopo quell’antipasto, ora Trieste ospita un’intera mostra dedicata alle opere di colui che è passato alla storia come uno dei più importanti allievi, oltre che assistente, di Andy Warhol. Sabato s’inaugura infatti a Palazzo Costanzi un evento - ”Pop art a Trieste, Steve Kaufman the former assistant to Andy Warhol”, presenta Vittorio Sgarbi -, che propone una trentina di opere del grande artista statunitense scomparso tre anni fa. Ma chi era Steve Alan Kaufman? Newyorkese, famiglia di avvocati, era praticamente nato con la passione per l’arte. Si narra che da ragazzino disegnasse e dipingesse su ogni superficie disponibile, persino sui parabrezza delle automobili che trovava nello sfasciacarrozze vicino casa. A diciannove anni la svolta, se preferite la botta di fortuna: conosce Andy Warhol allo Studio 54, celebre discoteca di New York, e subito dopo entra come assistente nella celebre Factory del padre della pop art. Dove produce dipinti e serigrafie per sei dollari l’ora. Ma soprattutto affina la sua arte e “studia” le tecniche del grande Warhol. Negli anni alla Factory Steve perfeziona la tecnica della serigrafia, la perfeziona creando un proprio stile personale che, pur rimanendo nel solco della grande arte warholiana, gli permette di sviluppare in maniera esponenziale la propria fantasia e creatività. Si laurea alla School of Visual Arts di New York, mentre la sua attività decolla: il Van Gogh Museum di Amsterdam gli affida l’incarico, prima volta a un artista americano, di realizzare un ritratto di Vincent Van Gogh; la Picasso Academy of Fine Arts gli assegna il premio Picasso Ring, attribuito ogni anno all’artista che meglio rende omaggio al leggendario maestro; gli viene commissionata dalla celebre Campbell’s Soup una serie di opere per celebrare il centesimo anniversario di attività della ditta. Partendo dala tecnica appresa da Warhol, Kaufman perfeziona le sue opere dipingendovi alcuni dettagli a mano, e trasformandole così in pezzi unici. Il cosiddetto “hand embellishment”, che diventa il suo marchio di fabbrica. Espone con Keith Haring, che conosceva da quando entrambi frequentavano la scuola di arti visive a New York. Realizza ritratti di Muhammad Ali Cassius Clasy, Frank Sinatra, John Travolta, Marilyn Monroe, Jackie Kennedy e molti altri. Le sue opere vengono collezionate fra gli altri da Calvin Klein, Wolfgang Puck, John Travolta, Mickey Mantle, Frank Sinatra, Whoopi Goldberg e tanti altri. Vive i suoi anni migliori a cento all’ora. A quarant’anni il primo infarto. A quarantanove, dopo alcuni ictus, quello fatale. Una volta disse: «Non tornerò più indietro ora che sono uscito dagli schemi. È così spazioso qui».

domenica 4 agosto 2013

a settembre a modena MOSTRA SUI DISEGNI DI JOHN LENNON

Quando si parla dell’arte, del genio di John Lennon si pensa soprattutto alle sue grandi doti musicali. Come autore, cantante, chitarrista, performer. Ma il suo poliedrico talento ebbe nei suoi quarant’anni di vita il modo e il tempo di esprimersi anche nel disegno, nelle arti figurative. Lo scopriranno quanti andranno a visitare, a settembre, a Modena, la mostra “All you need is love. John Lennon artista, attore, performer”. Aveva un gran talento nel disegnare, il ragazzo Lennon. Se ne accorse per prima la zia Mimi, che riuscì a farlo iscrivere - dopo i risultati non eccellenti ottenuti prima alla Dovedale Primary School e poi alla Quarry Bank High School - al prestigioso Liverpool College of Art. Era il ’55, di lì a poco sarebbero arrivati i dischi di Elvis Presley e Bill Haley, l’armonica a bocca regalatagli da un ragazzo, la prima chitarra dono della mamma, ma soprattutto i Quarrymen, l’incontro con Paul McCartney e i Beatles. La musica entrò prepotentemente nella sua vita. Ma la passione per il disegno, per le arti figurative rimase sempre presente. Nel ’78, quando i Beatles - a proposito: il 3 agosto di cinquant’anni fa si esibirono per l’ultima volta al Cavern di Liverpool, il locale che li aveva visti nascere, ormai troppo piccolo per loro... - non esistevano più già da otto anni, e due anni prima di essere assassinato, Lennon disse: «Ho sempre avuto questo sogno di fare l’artista in un piccolo cottage in una stradina. Il mio vero desiderio è scrivere versi e fare qualche quadro a olio. Era così un bel sogno, vivere in un cottage e andarsene in giro nei boschi...». Ecco, come i fan più appassionati già sanno, ora questa mostra scoperchia l’universo del talento del Lennon disegnatore, pittore, artista figurativo. Un’attività alla quale si dedicò solo a partire dall’incontro con Yoko Ono: negli anni del successo planetario coi Beatles forse non aveva il tempo o la voglia per il disegno, o forse fu la vicinanza - e l’amore - con l’artista giapponese a ispirarlo. Con lei, fra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, realizzò alcuni video – “Smile”, “Rape”, “Fly”, “Up your legs” – tutti presenti nella mostra modenese. Dove l’elemento forse più interessante è però la cartella di quattordici litografie intitolata “Bag one”, regalo di nozze di John a Yoko per il loro matrimonio nel 1969. Vi sono raffigurati lo scambio degli anelli, il celebre bed-in per la pace di Amsterdam e Montreal, la luna di miele, momenti della loro intimità. Immagini caratterizzate - dicono i critici - dal tratto fresco, agile, ironico di Lennon. “Bag one” fu esposta per la prima volta il 15 gennaio 1970 alla London Arts Gallery ma subito sequestrata da Scotland Yard per alcune pose erotiche (considerate troppo hard) immortalate dalla matita di John. In questi quaranta e più anni molta acqua è passata sotto i ponti e dubitiamo che qualcuno si scandalizzerà alla mostra modenese. Mostra che comprende anche locandine e manifesti del film “Come ho vinto la guerra” (’67), di Richard Lester, con Lennon nei panni del soldato semplice Gripweed. E la copia originale della rivista Rolling Stone del gennaio 1981, con in copertina il celebre ritratto di John e Yoko scattato da Annie Leibovitz nel 1980 a poche ore dall’assassinio dell’ex Beatle. Dopo il quale nulla fu più uguale a prima.

sabato 3 agosto 2013

CONCERTO GREEN DAY 25-5 A TRIESTE è già un LIBRO per ARCANA

È già diventato un libro il grande concerto che i Green Day hanno tenuto poco più di due mesi fa a Trieste, in piazza Unità, in un clima decisamente autunnale. La casa editrice Arcana manda infatti in questi giorni in libreria il volume fotografico “Uno! Dos! Tré!... Cuatro! - Green Day in Italia” (collana Arcana Live; pagg. 150; 16,90 euro), dedicato proprio al recente tour italiano della band californiana, che ha toccato il 24 maggio l’Arena Fiera di Rho a Milano, il 25 Trieste, il 5 giugno Roma e il 6 Bologna. Grazie alle immagini del fotografo Henry Ruggeri (che per Arcana ha già firmato due volumi bio-fotografici dedicati a Vasco Rossi: “Brividi” e “Vasco dalla A alla Zocca”) e ai testi del giornalista musicale Emanuele Binelli Mantelli (suoi, sempre per Arcana, i commenti ai testi dei Muse “Love is our resistance” e degli stessi Green Day “¡Uno!, ¡Dos!, ¡Tré!”), i quattro concerti vengono fatti rivivere a beneficio dei fan e in qualche modo consegnati alla storia, perlomeno a quella del rock in Italia. La parte riservata al concerto triestino si apre con le foto dell’incontro dei tre Green Day con Marky Ramone, storico batterista dei Ramones, protagonista di alcuni eventi di contorno, a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia, organizzati la sera prima del grande concerto in piazza Unità. Il capitolo si apre con queste parole: «Trieste è la città della bora. Quale migliore occasione per gli agenti atmosferici (vento freddo e pioggia) per torturare ancora una volta i fan dei Green Day?» Già, i fan. I tanti fan arrivati da mezza Europa centrorientale per il concerto nel capoluogo giuliano. Il libro dà spazio a molte loro testimonianze. Arsenio Benoli: «Sei ore ad aspettare in piedi sotto la pioggia, il vento e il freddo, ma se potessi tornare indietro lo rifarei». Giulia Andriulo: «In due ore e mezza sono riusciti a farmi dimenticare i problemi che una tipica ragazza di diciott’anni potrebbe avere, sono magici per questo». C’è anche l’esperienza speciale di Lorenzo Lacky Lacarra, chiamato sul palco da Billie Joe Armstrong a cantare una strofa di “Longview”, con tanto di finale con bacio al cantante e tuffo fra la folla: «Non dimenticherò mai la notte del 25 maggio 2013, la mia notte, la notte dei Green Day». L’ultima pagina del capitolo, a fianco dell’immagine di un grande manifesto del concerto fotografato in una via cittadina (la pubblichiamo qui sopra, sotto il titolo), c’è anche la scaletta del concerto, dalla “99 Revolutions” dell’apertura fino ai tre bis: “American idiot”, “Jesus of Suburbia” e “Brutal love”. Il libro conferma il grande successo del tour, arrivato a “rimborsare” i tanti fan italiani della band dopo il doppio forfait dell’Heineken Jammin’ Festival del 2010 e dell’I-Day Festival del 2012. Scrive Emanuele Binelli Mantelli all’inizio del volume: «Quei quattro concerti-cuatro sono stati un’autentica liberazione per tutti gli idiots italiani. Più di 20mila persone a Milano secondo “Il Corriere”, 12mila in piazza Unità d’Italia a Trieste, oltre 20mila all’Ippodromo delle Capannelle a Roma per Repubblica.it, e 15mila all’Unipol Arena di Bologna. Un totale di oltre 60mila teste (chi cresta adolescenziale, chi barbe da trentenni, chi anche, perchè no, capelli tendenti al grigio) liberate dalla “maledizione italiana”...».

venerdì 2 agosto 2013

Brani di LIGABUE, TIZIANO FERRO E SANGIORGI nel nuovo album di ELISA

. Collaborazioni con Ligabue, con Tiziano Ferro e con Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. E, quasi una ciliegina sulla torta, il brano “Ancora qui”, scritto con Ennio Morricone e incluso nella colonna sonora dell’ultimo film di Quentin Tarantino, “Django unchained”. Si comincia insomma a sapere qualcosa del nuovo album di Elisa, “L’anima vola”, in uscita a ottobre e del quale finora si era detto solo che sarà il suo primo album completamente in italiano. Altra anticipazione riguardo il tour, previsto a partire da marzo nei più importanti palasport d’Italia. Per quanto riguarda le illustri collaborazioni annunciate, la Sugar (da sempre casa discografica dell’artista monfalconese) segnala che una canzone sarà interamente scritta da Ligabue, sette anni dopo il grande successo “a quattro mani” del brano “Gli ostacoli del cuore”. Mentre Tiziano Ferro e Sangiorgi hanno firmato un testo ciascuno di altri due brani del disco. Per la rimanente parte firmato completamente, testi e musiche, dalla stessa Elisa. Il nuovo disco, che verrà anticipato nelle radio dopo l’estate dal primo singolo, omonimo dell’album, sarà l’ottavo in studio dell’artista trentaquattrenne. Arriva a quattro anni di distanza dall’ultimo disco di inediti “Heart” (uscito nel 2009 e presentato alla stampa nazionale nel Castello di Duino, a due passi da casa dell’artista...) e tre dopo il progetto discografico “Ivy”. Nel tempo trascorso, Elisa è diventata anche mamma di due bimbi: la piccola Emma Cecile e il secondogenito Sebastiaan, nato a maggio. Divisa fra gli impegni familiari (con il suo compagno e chitarrista Andrea “Ringo” Rigonat) e quelli legati al completamento del disco, Elisa quest’estate non è in tour. È stata solo l’ospite speciale dei Negramaro nei concerti di sabato 13 luglio a San Siro, Milano, e di martedì 16 luglio allo Stadio Olimpico, Roma. Ma negli ultimi mesi ha anche realizzato le musiche della colonna sonora del nuovo film di Giovanni Veronesi, intitolato “L’ultima ruota del carro”, con Elio Germano e Sergio Rubini, in uscita il 14 novembre e presentato alle Giornate Estive del Cinema di Riccione.

RICCARDO FOGLI stasera a Nova Gorica

Prima, con e dopo i Pooh. Può essere riassunta così la grande carriera di Riccardo Fogli, che stasera alle 22 canta al Perla di Nova Gorica. Classe ’47, toscano di Pontedera, Fogli comincia giovanissimo come cantante e bassista degli Slenders. Lavoravano tutti alle acciaierie di Piombino, per fare un tour si misero in aspettativa, in una serata incrociarono gli emergenti Pooh. Che si invaghirono delle doti canore del bel ragazzo e se lo portarono via. Con i Pooh, Fogli canta e suona dal ’66 al ’73. Gli anni dei primi, grandi successi: da “Piccola Katy” a “Mary Ann”, da “Un minuto prima dell’alba” a “Goodbye Madame Butterfly”, fino a “Tanta voglia di lei” e “Pensiero”. Al culmine del successo, e nel bel mezzo del tour seguito alla pubblicazione dell’album “Alessandra”, oltre che alla vigilia della pubblicazione di “Parsifal”, nel ’73 il divorzio dagli altri tre Pooh (che, dopo qualche cambio di formazione, erano Roby Facchinetti, Dodi Battaglia e Stefano D’Orazio). Le cause? Qualcuno disse che si trattò di gelosie interne al gruppo, di una certa insofferenza a un ruolo di comprimario. Altri parlarono dell’influsso negativo della relazione, peraltro effimera, di Fogli con Patty Pravo. Fatto sta che le strade si separarono: il toscano da una parte e il gruppo (con il nuovo bassista Red Canzian) dall’altra. E siamo alla terza vita artistica, ormai quasi quarantennale, del bel Riccardo. Che all’inizio infila un buco dopo l’altro. L’album “Ciao amore, come stai” non se lo fila nessuno. Idem per la partecipazione a Sanremo ’74 con “Complici”. Va meglio con il 45 giri “Mondo”, pubblicato nel ’76 assieme all’album intitolato semplicemente “Riccardo Fogli”. Bene anche “Il sole, l’aria, la luce, il cielo”, uscito nel ’77. Ma per il primo, vero e forse unico botto da solista, il nostro deve aspettare Sanremo ’82, stravinto con “Storie di tutti i giorni”. Che a distanza di oltre trent’anni è ancora fra le più richieste e applaudite, assieme a quelle dei tempi dei Pooh, nei concerti. Un successo anche internazionale, reinterpretato anni fa dall’israeliana Dana International. Tre anni fa è uscito il suo libro autobiografico “Fogli di vita e di musica”. A Nova Gorica il cantante è accompagnato da Roby Facini alla chitarra, Ugo Maria Manfredi al basso, Luca Savazzi alle tastiere e Andrea Quinzi alle percussioni. Ingresso libero.