domenica 31 gennaio 2010

DALIA GABERSCIK


"Mia madre e io siamo felici che sia proprio Trieste, dopo Milano, la seconda città che ricorda Giorgio Gaber intitolandogli una via. Lui amava molto la città di suo padre, nonno Guido. E ogni volta che ci tornava, beh, per lui era un po’ come tornare a casa...».

Parla Dalia Gaberscik, unica figlia dell’artista milanese di origini triestine, scomparso il primo gennaio 2003. Domani non potrà partecipare alla cerimonia di intitolazione del tratto di Viale XX Settembre antistante il Politeama Rossetti - che diventa così Largo Giorgio Gaber - perchè impegnata in queste settimane fra Milano, Roma e Sanremo: la sua ”Goigest” cura l’ufficio stampa del Festival di Sanremo. «Mi dispiace molto di non poter venire - dice Dalia, classe ’66 -, ma ci sarà mia madre, Ombretta Colli, che di solito si muove raramente ma a questa cosa tiene in modo particolare».

A casa vostra il triestino era il nonno...

«Sì, un personaggio incredibile: casinista, brontolone, eccentrico. Da bambina lo vedevo tanto, lui è morto nel ’78. Era venuto a Milano nei primi anni Trenta, faceva l’ufficiale. Era fascista. Poi si è sposato e ha messo su famiglia. Mio zio Marcello è nato nel ’33, mio padre nel ’39. Ho ancora una sua fotografia col nonno in divisa fascista. Poi ha lavorato alla Fiat ed è stato per tanti anni dirigente di una ditta di registratori di cassa».

La sua famiglia era invece rimasta a Trieste?

«Sì, dove c’erano le mitiche zie triestine. Tutte molto eccentriche per l’epoca, un po’ matte. Avevano figli pur non essendo sposate, una andò a fare la croupier a Sanremo. Recentemente ho ritrovato dopo tanti anni un mio cugino triestino, Alessandro Cubi, ovviamente su Facebook...».

Le origini del cognome?

«Austriache, anche se non so quando la famiglia di mio nonno arrivò a Trieste. Poi il cognome fu cambiato: alcuni in Gaberscec, altri in Gabrielli. Mio padre, invece, lo ”accorciò” all’inizio della carriera artistica».

Cosa diceva di Trieste?

«Amava molto la città. Ne apprezzava il fermento culturale, la vivacità, le persone stimolanti, l’ottima qualità della vita. E poi era molto colpito dall’organizzazione del Rossetti, che considerava fra i migliori teatri a livello nazionale».

Lei lo ha mai accompagnato?

«Qualche volta, per qualche spettacolo. E ho notato che effettivamente lui era a suo agio. Per uno che stava in tour duecento giorni all’anno, la città che lo ospitava diventava importante. In alcune si annoiava, a Trieste mai. E poi c’è un fatto...».

Prosegua.

«Mio padre era uno che andava a dormire alle quattro del mattino, si svegliava nel primo pomeriggio, poi andava in teatro per le prove e per lo spettacolo. Stop. Ecco, una delle ultime volte che è venuto a Trieste, forse addirittura l’ultima <CF101>(novembre ’98, spettacolo ”Un’idiozia conquistata a fatica” - ndr)</CF>, si è portato dietro il suo pastore tedesco. E ci ha fatto delle passeggiate, cosa rarissima...».

La Fondazione Gaber?

«L’abbiamo formata subito dopo la scomparsa di mio padre, per tutelare e divulgare la sua opera. Lui ha sempre preferito i teatri, rifiutando ottime proposte dalla televisione, dai palasport. Ma così facendo non ha intercettato il grande pubblico. I giovani lo scoprono ora con i dvd, con il Festival Gaber di Viareggio, con il festival Milano per Gaber, con i dischi e gli spettacoli di Neri Marcorè ed Enzo Iacchetti. Che fra l’altro debutta stasera al Teatro Nuovo di Milano, assieme ai triestini della Witz Orchestra...».

Domani appuntamento alle 18 per la cerimonia di intitolazione, alle 19 s’inaugura la mostra ”Qualcuno era... Giorgio Gaber”, alle 20.30 al Rossetti gli spettacoli ”E pensare che c’era il pensiero” e ”Un giorno in arancione”.

PREMI NONINO


dall’inviato

CARLO MUSCATELLO

 

PERCOTO Forse il più emozionato, ieri alla 35.a edizione dei Premi Nonino, era Pino Roveredo. Lo scrittore triestino, una vita in salita riscattata solo dalla scrittura, era confuso fra il pubblico - nell’enorme distilleria trasformata in salone delle feste per la cerimonia di consegna dei premi - quando è salita sul palco Naibeth Garcia, direttrice del coro Manos Blancas, a ricevere il Premio Nonino Risit d’Aur 2010. E a lui, figlio di genitori sordomuti, sarà sembrato di tornare indietro ai primissimi anni della sua vita, al primo linguaggio imparato che era quello silenzioso dei gesti, nel vedere premiato questo coro venezuelano composto da ragazzi sordomuti, salvati dalla violenza della strada grazie alla scommessa della musica. Quella musica che non conosce barriere, che è strumento di integrazione oltre che linguaggio universale.

È dal ’75, quando Josè Antonio Abreu ebbe l’intuizione di valorizzare attraverso la musica le capacità di un gruppo di giovanissimi portatori di handicap, che nel paese sudamericano esiste questa realtà che è d’esempio per tutto il mondo. Nell’ambito della fondazione, appoggiata dalle istituzioni, nel ’99 è nato - proprio su iniziativa della Garcia - il coro Manos Blancas. Le cui ragazze e i cui ragazzi, non potendo sentire né parlare, cantano con le mani ma soprattutto con il cuore. I loro guanti bianchi sembrano gabbiani che danzano sulla vita, seguendo miracolosamente l’andamento musicale con una vera e propria partitura gestuale.

«La musica è espressione dell’anima, e l’anima non conosce handicap», ha detto Naibeth Garcia, rivelando che è stato Claudio Abbado a far conoscere il suo coro alla giuria del premio. Il suo Venezuela da qui, da questa gelida campagna friulana spruzzata di neve, sembra più lontano della luna. Ma ora sarà un po’ più vicino grazie all’ufficializzazione di un’iniziativa: la nascita di un coro Manos Blancas del Friuli, patrocinato dalla famiglia Nonino, che cerca in questa sua nuova avventura - nata come gli stessi Premi nel segno della solidarietà - una sponda istituzionale ma dà già appuntamento al primo concerto, al ”Nuovo” di Udine, entro la fine dell’anno.

Dell’iniziativa faranno parte i giovani cantori del Coro Artemia e i ragazzi diversamente abili (mai come in questa occasione è il caso di usare questo termine...) della comunità La Nostra Famiglia di San Vito al Tagliamento. Ieri, fra gli alambicchi fumanti della grande distilleria, l’inebriante profumo di grappa ha tenuto a battesimo l’esordio di questa nuova formazione: una tipica villotta friulana ha suggellato l’incontro, e i guanti bianchi dei ragazzi della comunità hanno danzato nell’aria proprio come quelli dei loro coetanei venezuelani, apparsi brevemente solo grazie a un filmato.

Ma il premio al coro è stato solo l’ultimo momento della cerimonia, prima che la folla di amici, ospiti, addetti ai lavori, vip veri e presunti (segnalati fra gli altri Fabio Capello, Ottavio e Rosita Missoni, Cesare Romiti, Alice, Giovanna Marini, Natalia Aspesi, Claudio Sabelli Fioretti...) si concedesse alla tradizionale grande abbuffata che segue le premiazioni.

Apertura ovviamente affidata a Giannola Nonino, padrona di casa che - abbigliamento, occhiali e grinta da popstar - ha dato il via alla festa con l’abituale grido «Si aprano gli alambicchiiii...!», seguito dalle note di ”Libiam ne’ lieti calici”, celebre brindisi a tempo di valzer del primo atto della ”Traviata” di Verdi.

Circondata dall’abituale gineceo di figlie e nipoti (il marito Benito non ha mai amato le luci della ribalta), la signora ha come di consueto coinvolto i componenti della prestigiosa giuria - presieduta dal Nobel per la letteratura V.S. Naipaul, formata da Claudio Magris, Ermanno Olmi, John Banville, Antonio R. Damasio, Emmanuel Le Roy Ladurie, Edgar Morin - nella consegna dei premi.

A cominciare proprio dal riconoscimento allo scienziato Jean Jouzel, massimo esperto di effetto serra e riscaldamento climatico, che ha raccontato la vita, le fatiche e i successi degli esploratori moderni sulla calotta ghiacciata dell’Antartide. Il suo allarme sul destino del pianeta acquista maggior valore partendo da qui, da queste terre intrise di cultura e saggezza contadina: «Negli ultimi trent’anni - ha detto Jouzel, Premio Nonino 2010, introdotto da Omero Antonutti - la temperatura media sulla terra è aumentata di dieci gradi centigradi. Un’accelerazione, dovuta all'emissione di CO2, che non si è più fermata dal 1950. Sono a rischio i ghiacciai e la stessa sopravvivenza di tante specie animali. La colpa di tutto ciò ce l’ha l'uomo».

L’uomo e la natura, l’uomo e ”la sua” natura, spesso di solitudine. Tema della riflessione inviata dallo scrittore tedesco Siegfried Lenz, Premio Internazionale Nonino 2010, impossibilitato a presenziare. Il rapporto fra vecchiaia e letteratura, fra vita e filosofia. «Lenz è un uomo simpatico - ha detto Claudio Magris -, di quella simpatia che significa mettersi nei panni degli altri. La sua opera è uno spaccato di storia tedesca ma è anche la coscienza morale di questa storia: ha saputo infatti raccontare la perversione adottata dal totalitarismo già nelle cose minori, quotidiane. Ha il dono di parlare di cose serie ma sempre con leggerezza».

È il turno dello ”psicologo sociale” Serge Moscovici, cui è stato assegnato il premio ”A un maestro del nostro tempo”. Introdotto da Edgar Morin, il pensatore franco-romeno che studia le minoranze etniche e le maggioranze dominanti ha proposto cenni della sua personale ricerca fra antropologia, fede e ragione. E un ragionamento sulla natura umana riflettendo sulla felicità dell'uomo «che non nasce dal ”fare”, ma dal cuore di ognuno». La natura umana «va conosciuta e capita con il metodo della sperimentazione. Consenso e dissenso sono sempre presenti, ma nella misura in cui ogni studioso prende la propria innovazione sul serio, il successo è vicino». La frase finale di Moscovici sembra capace di riscaldare i cuori più della grappa che qui va via più del pane: «La storia sociale della conoscenza, in tempo di pace, è solo una pausa. La verità è la lotta».

Ma si diceva dello strano ed eterogeneo mix di scrittori, scienziati, artisti, Premi Nobel passati o futuri, uomini di fede, politici, industriali, editori, giornalisti, che forma la platea del Premio Nonino. La capacità di questa famiglia che produce e commercia grappa di ”convocare” - ma anche accogliere amorevolmente - tutta questa gente, nell’ultimo sabato di gennaio, in un angolo sperduto di campagna friulana, rappresenta il vero mistero/miracolo del Premio Nonino.

Che a questo punto va preservato proprio come la tradizione e la cultura contadina per salvaguardare le quali è nato trentacinque anni fa. Era cominciato in sordina, oggi anticipa i Premi Nobel. Prendete nota dei premiati di quest’anno.

sabato 30 gennaio 2010

LARGO GIORGIO GABER


Martedì la città di Trieste ricorda a sette anni dalla scomparsa Giorgio Gaber. Lo fa intitolandogli quel tratto di viale XX Settembre su cui si affaccia il Politeama Rossetti. Che diventa così Largo Giorgio Gaber (nuovo indirizzo del teatro), da cui parte Via Giorgio Strehler.

Per l’occasione il Comune (assieme al Rossetti e alla Fondazione Gaber) organizza una giornata-tributo al grande artista milanese di origini triestine. Si comincia alle 18 con la cerimonia di intitolazione, presente la senatrice Ombretta Colli, vedova dell’artista scomparso, e con l’omaggio di Maddalena Crippa, Anna Maria Castelli e degli Oblivion. Alle 19 nel foyer s’inaugura la mostra ”Qualcuno era... Giorgio Gaber”; alle 20.30 al Rossetti gli spettacoli ”E pensare che c’era il pensiero” di Gaber-Luporini, regia di Emanuela Giordano, e ”Un giorno in arancione” di Gianni Gori.

Insomma, una sorta di ”Gaber day” che suggella il legame speciale fra l’artista e la città di suo padre. Sì, quel Guido Gaberscik, gran suonatore di fisarmonica che trasmise al ragazzo l’amore per la musica. Che storia, la sua. Comincia a suonare la chitarra a otto anni, all’inizio per emulare il fratello maggiore, poi per esercitare quella mano sinistra ferita dalla poliomelite. Ascolta jazz e studia ragioneria nella Milano del dopoguerra, dove la famiglia si era trasferita da Trieste pochi anni prima della sua nascita, avvenuta il 25 gennaio 1939.

Comincia con un gruppetto jazz in cui suonava anche un certo Luigi Tenco, ma nel frattempo esplode il rock’n’roll. Con Enzo Jannacci - con cui poi fonda il duo ”I due corsari” - accompagna Celentano nelle prime esibizioni. Negli anni Sessanta arriva il grande successo, anche televisivo: Sanremo, il Festival di Napoli, Canzonissima...

Nel ’65 il matrimonio con Ombretta Colli, nel ’66 la nascita della figlia Dalia. Nel ’69 e nel ’70 le tournèe teatrali (con tappa anche a Trieste) con Mina. Fu lì, confessò anni dopo, che maturò la scelta della sua ”seconda vita artistica”. Erano tempi particolari, di cambiamento, riflessione, impegno politico. ”Il signor G” nasce nel ’70, primo di una lunga serie di spettacoli di teatro-canzone, con cui l’artista scandaglia le umane debolezze, i tic, i timori, le speranze, i fallimenti. Fustigando costumi e criticando sempre il consumismo, l’omogeneizzazione della cultura, la massificazione dei gusti.

Tutti i suoi spettacoli (”Far finta di essere sani” e ”Anche per oggi non si vola”, ”Libertà obbligatoria” e ”Polli d’allevamento”, ”Anni affollati” e ”Parlami d’amore Mariù”...) sono passati dal Rossetti. In tutto 33 repliche, tutte contrassegnate da un rapporto di profondo e reciproco affetto fra il cantore saggio del nostro eterno disagio esistenziale e il pubblico della città di suo padre.

L’ultima sua venuta a Trieste fu la più triste. ”Un’idiozia conquistata a fatica”, novembre del ’98, volto già segnato dalla malattia. Nell’intervista (l’ultima di una lunga serie) ci aveva fatto capire che si trattava del suo ultimo spettacolo. E così fu, visto che poi ”Gaber 1999/2000” fu solo un aggiornamento del precedente.

Sul palco del ”suo” Rossetti, alla fine di quello spettacolo, lo ricordiamo sudato, visibilmente affaticato, ma felice. Felice del fatto che la gente cantasse in coro le sue vecchie canzoni che non faceva quasi mai mancare fra i bis: ”La ballata del Cerutti” e ”Porta romana”, ”Torpedo blu” e ”Barbera e champagne”, e ancora ”Non arrossire” («Questa - disse - è del ’60. E non era nemmeno la prima...»).

Prima e soprattutto dopo quel tristissimo primo gennaio 2003, la figura di Gaber fu ”tirata per la giacchetta” da destra e da sinistra. Lui che si vantava di non votare ”dal ’74” lasciò in quello spettacolo - e nel disco del 2001 ”La mia generazione ha perso”, seguito nel 2003 dall’album postumo ”Io non mi sento italiano” - il testamento importante di un uomo che, con la sua acuta indagine sui disagi esistenziali della nostra epoca, ha lasciato un’impronta nella cultura italiana del Novecento.

In quell’ultima intervista ci aveva detto: «Eravamo rimasti al pensiero, alla preoccupazione di un’assenza totale di pensiero. Che ora è stata sostituita da... un’idiozia conquistata a fatica. Quindi andiamo peggio, perché la situazione della vita è peggiorata. Non dal punto di vista politico, su cui si potrebbe comunque fare una lunga serie di considerazioni. Andiamo peggio perché segnali positivi dall’umanità non ne arrivano. Prendo atto dello scadimento generalizzato della qualità delle persone. Quindi diventa difficile anche non sentirsi coinvolti in questa idiozia».

Un fenomeno che Gaber collegava all’espansione del mercato, al consumismo. «Il mercato condiziona la nostra vita e in tal senso annienta la consapevolezza e la coscienza. Nello spettacolo c’è dunque una parte dedicata ai danni causati dal mercato, senza scordare che è anche quello che garantisce la ricchezza, il benessere».

Dalla politica stava alla larga. «Nei miei spettacoli, a parte alcuni rari ed espliciti accenni, la politica non viene mai affrontata in modo diretto. Sollecitano invece la mia indignazione, che si traduce poi in violente invettive o in dolorose riflessioni ironiche, gli appiattimenti culturali, l’assenza di pensiero, il conformismo, le ingiustizie, i soprusi, le prevaricazioni di ogni tipo, sempre legate alla stupidità degli individui che non finiscono mai di stupirmi per il loro egoismo e per il loro livello di coscienza infinitamente basso».

È anche, e vogliamo sperare soprattutto questo, il Gaber che Trieste ricorda martedì.

martedì 26 gennaio 2010

TRAVAGLIO


"Abbiamo cominciato che c’era ancora al governo Prodi. In questi due anni e mezzo di repliche, la durata dello spettacolo si è via via allungata: sa, l’attualità regala sempre nuove vergogne...". Marco Travaglio arriva domani sera a Trieste (Teatro Bobbio, ore 20.30, repliche il 26 e 27 gennaio, mentre martedì, alle 18, alla Libreria Minerva di via san Nicolò 20 incontrerà i lettori per parlare di libertà d'informazione) con il suo ”Promemoria”, sull’onda di un successo crescente. Poche sere fa ha festeggiato al Teatro Olimpico di Roma la centesima replica di questo spettacolo nel quale - spiega il sottotitolo - racconta ”15 anni di storia d’Italia ai confini della realtà”. E dal quale è stato tratto anche un libro-dvd.

Il giornalista torinese racconta in scena - con le musiche di Valentino Corvino e Fabrizio Puglisi, la regia è di Ruggero Cara - le vicende di casa nostra attraverso lo scandalo di Tangentopoli e la stagione stragista della mafia. Interpreta e spiega l’ascesa di Berlusconi, strappa sorrisi amari di fronte a vicende che sarebbero incredibili se non fossero ben documentate. E non dimentica mai di puntare il dito anche sulla pochezza del centrosinistra, secondo lui «il vero artefice del successo di Berlusconi».

Travaglio, cominciamo da qui: dall’opposizione...

Volentieri. Sono convinto che il nostro vero problema è un centrosinistra che non è mai all’altezza. Non esisterebbe Berlusconi, o almeno non avrebbe il consenso che ha, se i suoi avversari non fossero così malridotti. Non ne azzeccano una. Pensi al governo Prodi, guardi cosa stanno combinando in Puglia.

Montanelli cosa direbbe?

Lui aveva già detto tutto, notando che l’Italia non cambia mai. E aveva ragione anche quando, intervistato da Enzo Biagi, diceva che il Cavaliere è come una malattia: per liberarsene occorre provarlo, a mo’ di un vaccino.

Ma la prova non sembra esser bastata.

E qui entrano in ballo le responsabilità del centrosinistra. Ormai la gente ha capito che il signorotto di Arcore non sa governare, fa solo annunci e smentite. Ma la maggior parte degli elettori continua a votarlo perché pensa che gli altri siano peggio. Insomma, il vaccino funzionerebbe, se dall’altra parte invece della cura non ci fosse l’antidoto.

Il suo spettacolo?

È la storia della cosiddetta seconda repubblica, che in realtà non è mai nata perché affollata da troppi travestiti provenienti dalla prima. Lo stesso premier si è proposto come il nuovo che avanza e invece è il vecchio che non molla, ha solo cambiato abito. Sì, Berlusconi è il moderno Gattopardo.

Tutto come prima, allora?

No, una cosa è cambiata: il costo della corruzione. Prima era una ”tassa” da diecimila miliardi di lire, ora è salita a cinquanta miliardi di euro. Dieci volte tanto. Non è propaganda, è un calcolo della Banca Mondiale.

Non le chiedo di Craxi.

Meglio. La cosa più scandalosa è che se lo santificano figli e famigli, è comprensibile. Ma se tre ministri vanno ad Hammamet per il decennale della morte, un presidente del Senato ne parla come di ”vittima sacrificale” e persino Napolitano scrive alla vedova quel che ha scritto, beh, allora siamo proprio alla frutta. Secondo lei dunque non ci fu accanimento?

Ma quale accanimento. Se per il leader socialista ci fu ”durezza senza eguali”, come ha sostenuto il Presidente della Repubblica, fu solo perché lui ”rubava senza eguali”. Le sentenze dimostrano che lui era l’unico, fra i segretari di partito, a centralizzare anche le tangenti. Sì, aveva il segretario amministrativo Balsamo, ma incassava anche di persona. E tanto.

Ma il suo ”tesoro” è svanito.

Non tutto. Craxi aveva diversi, diciamo così, ”sistemi finanziari”. Quello in Estremo Oriente in effetti non è stato mai trovato. Ma il percorso dei soldi in Svizzera è stato ricostruito, dopo che Maurizio Raggio svuotò i conti e partì per il Messico....

Le stragi mafiose?

Rimango convinto, Spatuzza o no, che furono fatte per favorire la discesa in campo di Berlusconi. Se lui fosse d’accordo o se vennero fatte a sua insaputa, questo ovviamente non lo so. So per certo che le origini dei soldi, dei tanti soldi, che permisero alla Fininvest di diventare una potenza hanno nomi e cognomi. Ci ho scritto un libro, ”L’odore dei soldi”, che ricostruisce il percorso di centinaia e centinaia di miliardi di lire.

Il pubblico a teatro come reagisce?

All’inizio è incredulo davanti al racconto documentato di cose gravissime avvenute sotto i nostri occhi. Poi, alla fine, spesso ci ringrazia per averle raccontate.

I politici invece non la amano...

Me ne son fatto una ragione. Anche ad ”Annozero”, che comunque rispetto ad altri programmi non è costruito attorno ai politici. Che in studio ci sono, ma non sono l’elemento predominante, rappresentato invece dalle inchieste. Siamo l’unico Paese al mondo dove i politici stanno sempre in televisione, pur non avendo mai nulla da dire.

martedì 19 gennaio 2010

DISCHI


McCARTNEY


Cinquant'anni fa, di questi tempi, gli scocosciuti Beatles suonavano nei localacci di Amburgo. E nessuno poteva immaginare quel che sarebbe successo di lì a poco. Quarant’anni fa, dopo aver scritto fra il ’62 e il ’70 tutto quel che sappiamo, i ”Fab Four” si scioglievano. Trent’anni fa John Lennon veniva ucciso.

E oggi che anche George Harrison è morto (il contributo di Ringo Starr nella ditta era e rimane marginale), Paul McCartney si trova a portare sulle spalle da solo tutto il peso dell’eredità di una delle avventure musicali e culturali più esaltanti della seconda metà del Novecento: la pubblicazione di “Good evening New York City”(Hear Music/Concord Music Group) si carica allora di vari significati simbolici.

Si tratta di un cofanetto con due cd e un dvd, che documentano le tre serate tenute da ”Macca” lo scorso luglio davanti a 120mila persone per l'inaugurazione del nuovo stadio Citi Field di New York, costruito dove un tempo sorgeva lo Shea Stadium, passato alla storia anche per i concerti dei Beatles nel ’65.

«È stato emozionante - ha detto Sir Paul - e anche sorprendente, e infatti nel dvd abbiamo montato dei frammenti del concerto del ’65 con quello di due anni fa nello stesso spazio. La differenza è soprattutto nel fatto che a quei tempi era impossibile sentire quel che facevi perché le ragazzine urlavano talmente forte da coprire la musica, ci rendeva isterici, e gli amplificatori dell'epoca non erano all'altezza. Stavolta almeno si poteva sentire tutto...».

Nei tre concerti - e nei cd - brani dal repertorio di Paul, dei Beatles e dei Wings. Trentatré canzoni, da classici beatlesiani come "Drive my car” e “I'm down”, "Got to get you into my life” e "The long and winding road”, ”Paperback writer" e "Let it be", "Hey Jude" e "Helter Skelter" e “Something”; un tributo a John Lennon in forma di medley con "A day in the life" e "Give peace a chance"; il periodo Wings di “Band on the run", "My love”, "Let me roll it"; la produzione solista di "Here today", "Flaming Pie", "Dance Tonight", fino a un paio di episodi pubblicati con lo pseudonimo The Fireman.

Il dvd propone le riprese del concerto dirette da Paul Becher e realizzate in alta definizione usando 15 telecamere e 75 flipcam messe in azione da fan presenti nelle tre serate. L’edizione ”deluxe” comprende anche un secondo dvd con la performance integrale del concerto tenuto sul tetto dell’Ed Sullivan Theater per il David Letterman Show.

A chi gli chiede se è un peso portare sulle spalle un patrimonio enorme come quello dei Beatles, Paul McCartney risponde: «È una fortuna. Mi piace starci ancora dentro. Solo ai tempi dei Wings evitavo i pezzi dei Beatles, perché volevo che fosse un progetto diverso. Poi un giorno ho pensato che alla gente sarebbe piaciuto riascoltare quei pezzi. E da allora non ho più smesso...».

Il pubblico di tutto il mondo gliene è grato. E questo disco ci riporta all’euforia di quella magica stagione creativa andata in scena - discograficamente parlando - dal ’62 al ’70. Dopo, siamo stati tutti un po’ (o assai) più poveri.


JURMAN


Luca Jurman è il classico esempio di un artista che, dopo aver lavorato per anni a livello nazionale e internazionale, ottenendo anche risultati e riconoscimenti di tutto rispetto, è diventato di colpo popolare - soprattutto fra i giovanissimi - grazie a un programma televisivo.

Dopo il debutto che non molti ricorderanno a ”Operazione trionfo” (quello condotto da Miguel Bosè), è stato infatti negli ultimi anni il suo ruolo di insegnante e giurato ad ”Amici” (sotto l’egida di Maria De Filippi) a trasformarlo in un personaggio famoso. A ulteriore dimostrazione del fatto che ormai conta più il passaggio ripetuto in tivù di anni e anni di rispettata attività musicale.

Sia come sia, il cd doppio ”Live in Blue Note Milano” (Nar International) può essere considerata la consacrazione discografica del poliedrico interprte e pianista milanese. Si tratta della registrazione delle due serate tenute da Jurman nel settembre scorso nel noto locale lombardo, dove suonano abitualmente i maggiori protagonisti della scena jazz - e non solo jazz - italiana e internazionale.

Qualche titolo: ”Georgia on my mind” (evergreen mondiale scritto negli anni Trenta e portato al successo da Ray Charles), ”I believe I can fly” (colonna sonora del film ”Space Jam”), ”With or without you” (ovviamente U2), ”No woman no cry” (ovviamente Bob Marley), ”Superstistion” (ovviamente Steve Wonder), ma anche cose di casa nostra come il capolavoro mogolbattistiano ”E penso a te” o il cavallo di battaglia di Giorgia ”E poi”.

Con Luca Jurman suonano Dino D'Autorio (basso), Luca Meneghello (chitarra), Carlo Palmas (tastiere), Daniele Comoglio (sax), Daniele Moretto (tromba), Tomaso Graziani (batteria), con le coriste Chiara Mariantoni, Nadia Biondini e Sandy Chambers.

Il risultato? Un ottimo disco di quello che un tempo si chiamava ”easy listening” (facile ascolto). Cantato bene e suonato meglio.


GIULIANO PALMA Giuliano ”The king” Palma - con i fedelissimi Bluebeaters, con cui si accompagna da quando nel ’99 ha mollato i Casino Royale - ci ha regalato negli ultimi anni cover splendide di classici della canzone italiana come ”Tutta mia la città” (Equipe 84) e ”Che cosa c’è” (duetto con Gino Paoli). Questo è il quinto album, e la ditta non si smentisce: apertura con la cover di ”Per una lira” - forse il primo, vero successo di Lucio Battisti -, ma ci sono anche quattro inediti. Sono ”Dentro tutti i miei sogni”, ”Quanti ricordi” (scritto assieme a Malika Ayane, ritornello assassino), ”Un grande sole” (con Samuel dei Subsonica) e ”Semplice” (atmosfere reggae assieme alla vecchia amica e collaboratrice La Pina). Non mancano altre cover: da ”Il cuore è uno zingaro” (Nada e Nicola Di Bari, prima a Sanremo ’71) a ”L’appuntamento” (Ornella Vanoni), da ”Sunny” di Bobby Hebb a ”Lonely summer night” degli Stray Cats fino alla scanzonata ”I don’t mind” dei Buzzcocks. Disco divertente, molti fiati, atmosfere anni Cinquanta/Sessanta.


CISCO Il cantautore emiliano ripropone dal vivo brani dai suoi due album solisti ma anche, per la prima volta, canzoni del periodo con i Modena City Ramblers. Con il prezioso contributo ricevuto dai tanti amici ospitati sul palco nei suoi concerti degli ultimi anni: da Bandabardò a Enzo Avitabile, da Massimo Bubola all’Orchestra multietnica di Arezzo. Spiega Cisco: «Dopo sei album in studio registrati negli ultimi otto anni, e dopo le diverse esperienze passate, dalla crescita con i Ramblers con la realizzazione di tre album in tre anni al disco progettato con la Casa del vento (...) quello che avrete tra le mani non è un classico disco ”live” registrato durante una serata speciale del tour, ma un montaggio del meglio di più eventi e di varie serate, che cerca di rappresentare un percorso cominciato alcuni anni fa, con l’uscita da un gruppo come i Modena City Ramblers, e che prosegue con nuovi compagni di viaggio, affondando però le proprie radici musicali e intellettuali in un passato e in un repertorio comune». Fra i brani: ”Pasolini”, ”I cento passi”, ”La lunga notte”, ”Canzone dalla fine del mondo”...

TRIESTE CENERENTOLA DAL VIVO


Nel calcio, certo. E in tanti altri settori, sicuramente più importanti. Ma se c’è un campo nel quale Trieste sembra destinata a restare perennemente in serie B, ebbene, è quello della musica dal vivo.

Tentativi per salire di categoria ne sono stati fatti tanti, soprattutto negli anni Novanta, ma poi tutti - organizzatori, enti locali, pubblico - sembrano aver preso atto di una situazione che non pare modificabile. Ovvero: per assistere ai concerti dei grandi nomi, italiani e internazionali, bisogna andare a Udine, a Lubiana, in Veneto. Ovunque, ma non a Trieste.

Il capoluogo friulano, dopo aver ospitato l’estate scorsa il tris Bruce Springsteen, Madonna e Coldplay (con l’aiuto della Regione e buon ritorno economico e turistico), per il 2010 ha già messo le mani sull’unica tappa italiana del tour degli Ac/Dc: mercoledì 19 maggio allo Stadio Friuli, debutto del tour europeo, 40 mila biglietti già tutti venduti - quasi interamente su internet, metà da fuori regione - in pochi giorni.

Ma statene certi, a Udine (e a Villa Manin, a Spilimbergo, a Tarvisio...) l’estate prossima suoneranno altri pezzi da novanta - non i Pearl Jam, che andranno a Venezia - della scena pop/rock italiana e internazionale, spesso annunciati col giusto anticipo che permette di incassare le prevendite dei biglietti. Qui, se va bene, arriverà all’ultimo minuto qualche artista che non ha trovato spazio altrove.

«A Trieste - spiegano all’Azalea Promotion, maggior organizzatore di concerti della zona - c’è un problema di strutture e di risposta del pubblico. Entrambe carenti. Lo stadio senza pista di atletica produce serie difficoltà di carattere logistico: certe megaproduzioni letteralmente non entrano. Basti pensare a quando, nel settembre 2008, volevamo portare a Trieste il concerto di Vasco Rossi che poi abbiamo fatto a Udine, nonostante la vicinanza con una partita della nazionale di calcio. Il megapalco al Friuli poggiava sulla pista di atletica, al Rocco avrebbe pesato sul campo di gioco...».

«Poi c’è un problema di capienza - aggiunge il vicesindaco Paris Lippi -, perchè nessun organizzatore accetta di rinunciare a quei diecimila biglietti in più che un altro stadio garantisce e significano un sacco di soldi. Soldi che poi vengono chiesti al Comune e che il Comune non può garantire. Anche il concerto di Springsteen, l’estate scorsa, è stato offerto prima a noi: abbiamo fatto due conti, e poi l’organizzatore ha scelto di farlo a Udine. La storia è sempre quella...».

L’alternativa allo stadio, a Trieste, è piazza Unità. Ovviamente splendida, ma difficile da gestire per un concerto a pagamento. «Nel luglio 2008 - proseguono dall’Azalea - abbiamo portato Pino Daniele: meno di duemila persone. L’estate scorsa Carlos Santana: tremilacinquecento biglietti venduti. Da notare che entrambi gli artisti, in quei tour, hanno richiamato platee più numerose. E da notare anche che i numeri ricordati sono quelli degli spettatori paganti: svariate migliaia, in entrambe le occasioni, hanno assistito al concerto gratis, dalla Rive o dal Molo Audace. Abbiamo avuto la riprova che una piazza del genere è quasi impossibile da chiudere per un evento a pagamento».

E poi c’è il problema della risposta del pubblico. Città anziana, difficile da raggiungere per chi arriva da fuori, tutto quello che volete. Ma il dato di fatto è che lo stesso artista, a Udine o in Veneto, richiama un pubblico due o tre volte superiore rispetto al capoluogo regionale.

«Su questo non possiamo fare nulla - continua Lippi -, nessun organizzatore accetta già in partenza di vendere meno biglietti. Da noi vengono sempre, con offerte anche interessanti. Ma con richieste maggiori rispetto a quelle fatte ad altri interlocutori. Non bastano la struttura gratis e vari benefit legati all’ospitalità, bisognerebbe aggiungere soldi veri. Meglio allora accontentarsi di fare cose di qualità, seppur di nicchia, come il nostro Trieste Loves Jazz...».

Già, la piccola ma prestigiosa rassegna organizzata dal Comune assieme alla Casa della Musica, che nel corso degli anni ha portato in città artisti di buon livello (Maceo Parker, Tuck & Patty, Eddie Gomez, Swingle Singers...), e di cui con ogni probabilità andrà in scena l’estate prossima la quarta edizione. «Nell’estate 2009 - spiega Gabriele Centis, patron della rassegna - abbiamo proposto al pubblico due concerti per sera per due settimane, più un’anteprima e l’appendice del concerto di Lelio Luttazzi in piazza Unità la sera di Ferragosto. Nomi di qualità, italiani e stranieri, seppur di un genere che non richiama folle oceaniche. Ebbene, posso dire che tutta la terza edizione è costata fra gli ottanta e i novantamila euro: una cifra con la quale nel campo del pop/rock paghi un nome di seconda o terza fascia...».

Discorso analogo per il ”Trieste Summer Rock Festival” di Davide Casali, che anno dopo anno ha portato in città protagonisti italiani e stranieri del pop/rock degli anni Sessanta e Settanta. Anche lì, spendendo relativamente poco.

Le estati musicali triestine, dunque, sembrano destinate a muoversi anche in futuro su questi binari. Nelle altre stagioni, ultimamente, non va meglio. Al PalaTrieste l’anno passato non si è battuto chiodo, invertendo una tendenza che sembrava positiva: fra il 2007 e il 2008 la moderna struttura di via Flavia aveva infatti ospitato Zucchero e Placebo, Claudio Baglioni e Max Pezzali, Tiziano Ferro e Biagio Antonacci, i Pooh e - in ambito non musicale - Roberto Benigni e Beppe Grillo.

Quest’anno il PalaTrieste accoglie fra due mesi Francesco Guccini (il 12 marzo, tre giorni dopo l’annunciato concerto di Alessandra Amoroso al Rossetti), ma anche il 7 febbraio ”Il mondo di Patty”, musical per adolescenti che ha per protagonista l’attrice argentina Laura Esquivel.

Già, i musical. Almeno un genere nel quale siamo in prima linea. E sul quale il Rossetti sta puntando molto. Dopo ”Mamma mia”, ”Thriller Live” e ”Chicago”, ora arrivano ”We will rock you” (con le canzoni dei Queen, dal 28 al 31 gennaio) e il leggendario ”West side story” (dal 15 al 25 aprile). Sarà che si tratta di un genere che è comunque parente della vecchia operetta. E Trieste, si sa...


 

domenica 10 gennaio 2010

NADA


Non pensate più alla Nada che debuttò quindicenne al Sanremo del ’69 cantando con vocione da adulta ”Ma che freddo fa” («d’inverno il sole stanco a letto presto se ne va...»), per tornare al festival l’anno dopo con ”Pa’ diglielo a ma’” e poi nel ’71 finalmente per vincere ma con la canzone più debole delle tre: ”Il cuore è uno zingaro”. E non pensate nemmeno all’artista matura che è riapparsa tre anni fa sul luogo de delitto (stiamo parlando sempre di Sanremo), diffondendo brividi rock con un brano affatto festivaliero come ”Luna in piena”.

No, la Nada (di cognome fa sempre e ovviamente Malanima) che stasera alle 21 presenta al Teatro Miotto di Spilimbergo lo spettacolo ”Musicaromanzo” è piuttosto figlia della musicista curiosa che dopo gli esordi quasi da ”bambina prodigio” s’innamorò dei cantautori e in particolare di Piero Ciampi, livornese come lei. Da quell’incontro nacque un album, ”Ho scoperto che esisto anch’io”, che rimane un punto importante nella sua ormai ricca discografia.

Ma in questa nuova avventura teatrale che arriva in regione (si tratta di una ripartenza dopo la pausa festiva del tour cominciato a novembre da Ivrea), c’è ovviamente anche e soprattutto la Nada che quasi subito ha affiancato la recitazione alla canzone: con Sandro Bolchi nel ”Puccini” televisivo, a teatro con Giulio Bosetti (”Il diario di Anna Frank”), ma anche con Dario Fo, con Marco Messeri...

Lo spettacolo (regia di Alessandro Fabrizi, luci di Andrea Violato) è ispirato e tratto dal suo romanzo ”Il mio cuore umano”, pubblicato nell’ottobre 2008 e dal quale è stato tratto anche un film per la televisione. Dentro, nel romanzo e nello spettacolo, c’è la storia dell’infanzia e dell’adolescenza trascorse nella Toscana degli anni Cinquanta e Sessanta, «di un'educazione sentimentale indimenticabile e selvaggia alla vita, delle vicende di una famiglia toccata dall'amore e dalla follia».

«È la storia autobiografica e poetica - si legge in una nota - di un mondo che non esiste più, dove l'essenza magica della natura, il tempo che passa, la pazzia, la passione, la morte, il diventare grandi sono un canto narrativo semplice e profondo che vibra di una forza misteriosa e struggente».

Per raccontare queste storie («i sogni, gli amori, le ferite e le paure nella ricerca di un equilibrio tra l'ingenuità del passato e la conquista del futuro»), Nada si mette a nudo. Sola in scena, avvolta da una scenografia scarna, propone un monologo che diventa musica, con l’inserimento di suoi brani come ”Senza un perchè”, ”Pioggia d’estate”, ”Bolero”; ”Guardami negli occhi”... C’è anche un inedito: ”Raccogliti”. Lo spettacolo di stasera a Spilimbergo rientra nella rassegna ”Sono solo monologhi”. Produzioni Fuorivia. Informazioni 0427-51230, www.folkest.com e www.produzionifuorivia.it

mercoledì 6 gennaio 2010

TRIESTE IN TV


L’avvocato Rocco Tasca (ovvero Sebastiano Somma) non fa in tempo a lasciare piazza Unità, che il commissario Vivaldi (il ”vecchio” Lando Buzzanca) vi fa il suo rientro. Tutto in una settimana. E tutto nelle prime serate della rete ammiraglia Rai.

In questo inizio d’anno il pubblico di Raiuno si è infatti appena congedato dalle riprese triestine di ”Un caso di coscienza 4”, conclusosi lunedì sera con ascolti record (sei milioni di telespettatori, che anche nelle puntate precedenti non sono mai scesi sotto i cinque), e già il nuovo appuntamento con la fiction ”Io e mio figlio”, interpretato appunto da Buzzanca, riproporrà da domenica le stesse ambientazioni.

Si diceva piazza Unità, che rimane luogo simbolo anche grazie alle suggestive riprese aeree proposte nella serie appena conclusa, ma non solo: sono infatti diventati immagini familiari alla grande platea televisiva anche il Canale di Ponterosso, la facciata di Palazzo Gopcevic, le Rive e il Molo Audace, ovviamente San Giusto e il Castello di Miramare, il Palazzo della Prefettura e persino alcuni scorci del Porto Vecchio...

Se n’è accorto chi ha assistito lunedì sera all’ultima puntata della quarta serie del ”Caso di coscienza”, quando le immagini (triestine) del concitato finale sono state interrotte dallo spazio pubblicitario e dallo spot della prossima serie tv con Lando Buzzanca che passeggia - anche lui - sul lungomare triestino. Quasi un passaggio di testimone, insomma. E tutto in chiave alabardata.

Per la città una vetrina nazionale di prim’ordine. Se è vero com’è vero che esistono molti casi in cui considerevoli flussi turistici vengono attirati da film e sceneggiati, oltre che da romanzi, di successo. Certo sarà difficile che a Trieste le agenzie organizzino veri e propri tour nei luoghi toccati dalle vicende dell’avvocato Tasca e del commissario Vivaldi, come già avviene per esempio a Stoccolma nei luoghi della trilogia ”Millennium” di Stieg Larsson, meta di un vero e proprio pellegrinaggio letterario per i fan dei romanzi - e ora anche dei film - con le avventure del giornalista Mikael Blomqvist e della hacker Lisbeth Salander. Ma la curiosità e lo stimolo a visitare una città, in questi anni televisivi, possono sicuramente passare anche da dinamiche di questo tipo.

Merito della Film Commission regionale, merito di chi ha offerto ospitalità e supporto a queste produzioni televisive, merito di chi ha lavorato nei telefilm, merito anche di una città che storicamente si è sempre dimostrata set ideale per tutte le produzioni cinematografiche e televisive che sono passate e sempre più spesso passano da queste parti.

Ma le due fiction ”triestine” che si passano in questa settimana il testimone hanno anche un altro elemento in comune, oltre alla città che ne ha ospitato le riprese. Sono le tematiche di impegno civile: malasanità, morti bianche, contraffazioni, bullismo, prevaricazioni delle banche e delle assicurazioni, omofobia...

Qui il merito è degli autori, che hanno scavato con intelligenza in quella parte della vita italiana che cinema e fiction raramente indagano. E il pubblico, forse stufo di ”grandi fratelli” e certo meno fesso di quel che si pensa, risponde.

martedì 5 gennaio 2010

NEL 2010...


«Che cosa racconteremo, ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero...?», cantava l’anno scorso Vasco Brondi (alias Le Luci della Centrale Elettrica, ovvero una delle cose più interessanti uscite in Italia nel decennio trascorso) in una delle sue liriche più taglienti.

Risposta: poco, quasi nulla. Almeno per quanto riguarda l’universo musicale. Popolato da pochissimi grandi vecchi che hanno ancora qualcosa da dire, molti piccoli vecchi che raschiano disperatamente - a volte in maniera imbarazzante - il fondo del barile, rari giovani di valore, tanti ragazzotti per i quali andrebbe resuscitato il vecchio detto ”braccia sottratte all’agricoltura”, troppe meteore da una botta e via, che magari hanno venduto quattro dischi di numero e pensano di essere già delle star.

Sullo sfondo: cattivo gusto e talent show imperanti, case discografiche in via di liquidazione, megaconcerti che sono rimasti l’ultima fonte di guadagno sicuro (per gli artisti e per gli organizzatori), internet che rischia di produrre un effetto di sovraffollamento peggiore di quello televisivo quando offriva ”un quarto d’ora di notorietà a tutti”.

Un panorama desolante? Può darsi. Ma è proprio in queste situazioni apparentemente senza speranze che a volte nascono le rivoluzioni, i sommovimenti che fanno tabula rasa, le ondate che ripuliscono la spiaggia e offrono nuova linfa al domani. Non abbandonate le speranze, dunque. E prendete nota mentalmente di alcune (presunte, ipotetiche, sedicenti...) novità in arrivo.

DISCHI. A fine gennaio arriva il nuovo album dei Baustelle, il trio di Montepulciano che ha rappresentato - assieme al citato Vasco Brondi e, volendo essere generosi, al celebratissimo dalla critica Dente (all’anagrafe Giuseppe Peveri) - una delle cose migliori degli ultimi anni. A seguire i nuovi dischi di Negramaro, Daniele Silvestri, Biagio Antonacci, Gianluca Grignani...

Fra gli stranieri, a febbraio esce ”Scratch my back”, primo album di cover di Peter Gabriel (e se anche un genio assoluto come l’ex Genesis si mette a fare le cover, vuol dire che siamo proprio a fine corsa...). Ma si aspetta anche il nuovo album della talentuosa ma birichina Amy Winehouse: a ormai quattro anni da ”back to black”, si dovrà capire se la ragazzaccia vuole mettere la testa a posto o preferisce passeggiare sulla via dell’autodistrizione, personale e artistica.

Altre cosucce. Madonna ha ingaggiato il produttore Brendan O’Brian (uno che ha resuscitato Pearl Jam e Rage Against Machine...) per tentare di risollevarsi dopo il flop di ”Hard candy”. Fra un concerto in quasi play-back e l’altro, davanti a folle adoranti a prescindere, e disposte a sborsare cento e rotti euro pur di esserci, la signora Ciccone uscirà dunque con un nuovo album. Comunque andrà, sarà un successo: il suo nuovo contratto discografico è infatti con la Live Nation, che ne gestisce anche le tournèe, l’immagine, il merchandising. Dunque...

In calendario anche il nuovo disco degli U2 (dovrebbe arrivare prima dell’estate, in tempo per lanciare il prossimo tour), di Jennifer Lopez (”Love”, atteso anche questo prima dell’estate), Tom Waits (che continua ad alternarsi fra cinema e musica: il disco dovrebbe arrivare in autunno), Ringo Starr (nel suo ”Y not” è riuscito a convincere l’altro Beatle superstite, il grande Paul McCartney, a cantare due canzoni assieme...).

LIVE. La chicca arriva subito, il 22 gennaio, con il concerto denominato ”Work in progress” al Vox Club di Nonantola, in provincia di Modena. Un luogo per piccoli numeri e un titolo misterioso per celare un ritorno atteso oltre trent’anni: Lucio Dalla e Francesco De Gregori assieme, sullo stesso palco, proprio come avvenne prima nel 1978 e subito dopo nel lungo tour dell’estate ’79. Che fece tappa anche allo Stadio Friuli di Udine, nel giugno ’79, e il concerto si tenne nonostante la tromba d’aria che nel pomeriggio di quel giorno si abbattè sulla zona.

Il titolo della tournèe - la prima dopo la stagione degli incidenti e della ”musica è di tutti, biglietto non si paga”, che avevano tenuto per diversi anni lontani dall’Italia le star straniere - era ”Banana Republic”, che poi divenne anche un disco e un film. Tutti di grande successo, come la sigla che chiudeva i concerti, la giocosa ”Ma come fanno i marinai”.

In quel tour, assieme ai due capobanda, c’era anche Rosalino Cellamare, appena ribattezzatosi con il nuovo nome Ron, che cantava ”I ragazzi italiani”. Chissà allora se il 22 gennaio andrà a trovare a Nonantola i due vecchi amici e colleghi. E chissà soprattutto se la tappa emiliana rimarrà una semplice rimpatriata o se verrà ricordata come il ”numero zero” di un tour che, nel caso si concretizzasse, diventerebbe automaticamente uno dei più attesi dell’estate italiana.

Fra i tour già certi, c’è quello mondiale degli AC/DC, per la cui unica tappa italiana (19 maggio allo Stadio Friuli di Udine, apertura del tour europeo dopo otto anni di assenza) si sono già mobilitati a tempo di record fan italiani e stranieri. Risultato: 40 mila biglietti bruciati in pochi giorni (35 mila venduti nei primi tre giorni, il resto nella settimana successiva), di cui oltre la metà fuori regione e su internet (costo dal 57 agli 86 euro). Gli organizzatori dichiarano di avere in ufficio ancora solo qualche decina di biglietti. Dunque un clamoroso ”tutto esaurito” a cinque mesi dall’evento. Praticamente un record.

Altri in arrivo: i già citati U2 (tappe italiane il 6 agosto a Torino, l’8 ottobre a Roma), Vasco Rossi (dal 5 febbraio a Milano, tappe anche nelle capitali europee), Tokio Hotel (dal 25 marzo, tappa anche a Padova), Whitney Houston (3 maggio a Milano, 4 a Roma), Kiss (18 maggio a Milano), Rod Stewart (21 giugno a Verona), Elton John (19 e 20 settembre a Roma). E ancora Michael Bolton, Joss Stone, Spandau Ballet, Muse, Michael Bublè, Prodigy, forse Bob Dylan.

Il 6 aprile comincia da Conegliano il tour di Elisa. Per tutto il resto, c’è da aspettare un po’.

lunedì 4 gennaio 2010

AMOROSO


Fosse andata a Sanremo, Alessandra Amoroso sarebbe stata automaticamente fra le favorite alla vittoria. Grazie all’indubbia bravura ma soprattutto alla ricca dote di fan televotanti che l’hanno fatta trionfare ad ”Amici”, avrebbe infatti potuto bissare - stante questo sistema di voto che accomuna talent show e festivalone - la stessa accoppiata toccata prima di lei a Marco Carta.

Ma la cantante pugliese (è nata a Galatina, provincia di Lecce, nell’agosto 1986) ha preferito tornare in tour, il primo nei teatri e nei palasport della sua giovanissima carriera, dopo i concerti dell’estate scorsa. Si parte il 15 gennaio da Chianciano Terme, con tappe trivenete il 16 gennaio a Padova (teatro tenda), il 12 febbraio a Pordenone (palasport) e il 9 marzo al Rossetti di Trieste. Buon segno, denota volontà di crescere e di consolidare il proprio rapporto con il pubblico anche al di fuori dell’amata-odiata scatola tecnologica. Alla quale comunque deve finora tutto, o quasi tutto.

È passato infatti poco più di un anno dall’ottobre 2008, quando la ragazza venne finalmente ammessa al programma di Maria De Filippi. «Ci avevo già provato cinque volte - ricorda Alessandra -, la prima quando avevo solo diciassette anni: avevo anche superato diversi provini, ma poi...».

L’anno scorso è diverso. Presenta ”If I ain’t got you” di Alicia Keys, Rudy Zerbi (giurato nonchè discografico) ne intuisce le potenzialità, Luca Jurman (musicista nonchè ”insegnante” cui vengono affidati i giovani del programma) la segue con particolare attenzione. Puntata dopo puntata, sfida dopo sfida, canzone dopo canzone, la ragazza dalla gran voce nera convince tutti e vola fino alla vittoria finale, nel marzo scorso: primo premio e premio della critica.

Il suo inedito ”Stupida” esce su singolo e dà il titolo anche al primo mini-cd: duecentomila copie vendute sono il segno tangibile che il suo successo non si limita al programma televisivo. E la canzone è uno dei tormentoni dell’estate passata.

Che si conclude - dopo l’Amici Tour, assieme agli altri concorrenti del talente show - a Lampedusa, dove la Amoroso duetta sul palco di ”O’ Scià” con il padrone di casa, Claudio Baglioni. E dove la sua popolarità è tangibile anche nei piccoli particolari: alle prove delle serate e poi nella piccola sala d’attesa del minuscolo aeroporto dell’isola, il giorno della partenza, la folla di giovanissimi che la bracca per un autografo o una fotografia è tale - mentre altri illustri colleghi passano quasi inosservati - da richiedere l’intervento della forza pubblica.

L’autunno trascorso è segnato dal suo primo album, ”Senza nuvole”, anch’esso ormai vicino alle duecentomila copie. E dalla partecipazione, al fianco di Gianni Morandi, allo show del sabato sera su Raiuno ”Grazie a tutti”.

Ora, al posto di un Sanremo per il quale era pure stata corteggiata dagli organizzatori, arriva questo tour. Che andrà avanti fino a primavera. Con lei, sul palco, <IP0>Simone Papi (tastiere), Davide Pecchioli (batteria), Ronnie Aglietti (basso), Giacomo Castellano e Alessandro Magnalasche (chitarre), Luciana Vaona (voce)</IP>.

L’attesa è notevole. L’impressione è che Alessandra Amoroso (alle spalle un diploma di ragioniera e un lavoro da commessa) non sarà una meteora. Le doti vocali sono di prim’ordine, l’intelligenza e l’umiltà necessarie per capire che c’è ancora tanta strada da percorrere fanno il resto. «Sto continuando a studiare canto - dice Alessandra - e voglio anche imparare a suonare il pianoforte...».

E con Sanremo, l’appuntamento è solo rinviato.

gennaio 2010


STAND BY ME...




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