martedì 29 gennaio 2019

MIGRANTI, APPELLO MEDICI / su ART21

di Carlo Muscatello “I migranti della Sea Watch devono sbarcare immediatamente”, a cominciare dai minorenni. È l’appello firmato inizialmente da un’ottantina di medici, soprattutto pediatri, neonatologi, ginecologi, specializzandi, in servizio all’ospedale infantile Burlo Garofolo di Trieste e in altri ospedali del Friuli Venezia Giulia. Ma ormai le firme hanno superato quota 330, alle quali vanno aggiunte altre 300 firme di studenti in medicina. L’appello è stato lanciato da Pierpaolo Brovedani, neonatologo del Burlo. I medici si rivolgono al governatore Fvg Massimiliano Fedriga e al sindaco di Trieste Dipiazza: “si dichiarino aperti i nostri porti e le nostre strutture per accogliere queste poche decine di migranti e prioritariamente bambini e minori”. Contestualmente i medici sollecitano il governo, il premier Conte e i ministri Salvini e Toninelli a “uscire dall’indifferenza e consentire lo sbarco di queste persone”. Fedriga ha risposto condannando un presunto uso «della professione svolta nella pubblica amministrazione per promuovere proprie posizioni politiche». Il sindaco di Trieste ha tentato di evitare le polemiche: «I sindaci fanno i sindaci e devono amministrare le città facendo attenzione ai bilanci», ha detto subito dopo che la Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin ha annunciato la propria adesione all’appello nel corso della cerimonia in municipio per i venticinque anni della strage di Mostar. Ma ecco il testo completo dell’appello: “Come operatori sanitari, che quotidianamente si prendono cura della salute delle donne e dei bambini, assistiamo attoniti a quanto si svolge al largo di Siracusa, dove alla nave Sea Watch, con 47 migranti tra cui diversi minori a bordo, viene impedito lo sbarco a terra per soccorrere persone in pericolo e costrette all’addiaccio in un mare agitato ed esposte a temperature invernali. Possiamo solo immaginare, nelle nostre comode e calde abitazioni, il dolore e l’angoscia degli adulti e dei bambini a così grave rischio di serie conseguenze fisiche e psicologiche. Siamo indignati per l’indifferenza del nostro governo, che riduce questa tragedia umanitaria a mera questione di opportunità politica e a merce di scambio nei confronti degli altri stati europei. Rivolgiamo un appello innanzitutto alle forze di governo locali, al Sindaco di Trieste Dipiazza e al Presidente della Regione Fedriga perché dichiarino aperti i nostri porti e le nostre strutture per accogliere queste poche decine di migranti e prioritariamente i bambini e i minori. Chiediamo al Primo Ministro Conte, al Ministro degli Interni Salvini, al Ministro delle Infrastrutture Toninelli di uscire dall’indifferenza e consentire lo sbarco a terra di queste persone. Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza sanitaria con possibili tragiche conseguenze. Scongiuriamola subito, accogliamo i naufraghi. Ce lo impongono non solo le regole internazionali di assistenza e salvataggio in mare, ma anche il senso morale che deve caratterizzare la società civile, il dovere del pronto soccorso sanitario e infine, ma non ultime, la pietas e la solidarietà che deve caratterizzare ogni essere umano”.

domenica 27 gennaio 2019

MOSTAR, 25 ANNI FA / su ART21

di Carlo Muscatello . . Mostar, sono passati venticinque anni. Un quarto di secolo, che forse fa ancor più impressione. Lunedì 28 gennaio a Trieste ricordiamo i “nostri” Marco Luchetta, Alessandro “Sasa” Ota e Dario D’Angelo, caduti per il loro impegno professionale in una guerra a due passi da casa nostra. La troupe della Rai del Friuli Venezia Giulia quel 28 gennaio 1994 era a Mostar per realizzare uno speciale per il Tg1 sui bambini vittime del conflitto che stava infiammando l’ex Jugoslavia. Mentre stanno girando alcune immagini all’esterno di un rifugio, un colpo di mortaio li uccide, straziando i loro corpi. Testimone Slatko, un bimbetto di quattro anni che qualche mese più tardi sarà il primo ospite, a Trieste, della Fondazione sorta all’indomani delle tragedie di Mostar e di Mogadiscio. Già, anche la capitale somala, dove il 20 marzo 1994 cadrà un altro operatore triestino dell’informazione, Miran Hrovatin, assassinato con Ilaria Alpi del Tg3 nella capitale somala: un mistero su cui ancora chiediamo verità e giustizia. Alla Fondazione, nata per aiutare i bambini vittime delle guerre, e tanto cresciuta in questi anni, i giornalisti triestini hanno assegnato il San Giusto d’oro 2017: giusto riconoscimento “a un gruppo di donne e uomini che hanno saputo trasformare due tragedie, quelle di Mostar e di Mogadiscio nel 1994, in una preziosa iniziativa di solidarietà e speranza: da oltre vent’anni lavorano infatti a sostegno dei minori vittime di guerre e violenze”. Un esempio per tutti, in questi anni difficili che sembrano dominati dagli egoismi ma che in realtà celano tantissime “buone pratiche” da coltivare e far crescere. Lunedi 28 gennaio alle 12, nel municipio di Trieste, questi venticinque anni verranno ricordati in una cerimonia alla quale parteciperanno, oltre ai familiari di Marco, Sasa e Dario, fra gli altri il sindaco della città Roberto Dipiazza, il presidente della Fnsi Beppe Giulietti, l'amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini, il direttore della Tgr Rai Alessandro Casarin, il direttore della sede Rai Fvg Guido Corso, il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani. Sempre lunedì e sempre a Trieste, al Salone degli Incanti (ex Pescheria), a margine della mostra "Un secolo di storia di cento primavere" dedicata alla Triestina Calcio, si terrà l'incontro "Ricordando Marco, 25 anni dopo". Un ricordo di Marco Luchetta nel quale giornalisti e personaggi dello sport, rappresentanti delle istituzioni e quanti hanno lavorato e vissuto al suo fianco ne ricorderanno i mille volti: irrequieto studente al Liceo Dante, giocatore di pallavolo, giornalista, conduttore televisivo, uomo di spettacolo, calciatore amatoriale e... grande tifoso della Triestina. Un ricordo “col sorriso sulle labbra”. Perché è così che vogliamo ricordare i nostri colleghi.

giovedì 24 gennaio 2019

SINIGALLIA E ANASTASI VINCONO TOP 2018

È “Ciao cuore” di Riccardo Sinigallia il miglior disco del 2018 per i 120 giornalisti che hanno votato per il “Top 2018”, il referendum sui migliori album italiani del 2018 promosso dal “Forum del giornalismo musicale” (che si svolge da tre anni al Mei di Faenza) e dall’Agimp (la neonata Associazione dei Giornalisti e critici Italiani di Musica legata ai linguaggi Popolari) con il coordinamento di Enrico Deregibus. Giuseppe Anastasi con "Canzoni ravvicinate del vecchio tipo" ha prevalso invece nella categoria riservata alle opere prime. Mentre il mondo musicale attende il Festival di Sanremo, il Forum ha voluto per il secondo anno cercare le migliori produzioni che la musica italiana ha pubblicato nell’anno da poco trascorso. Fra i molti giurati ci sono giornalisti di ogni provenienza ed età, da quelli delle grandi testate cartacee alle webzine, dalle tv alle radio. Un così ampio e rappresentativo ventaglio di votanti ha permesso di avere un quadro attendibile delle preferenze del giornalismo e della critica musicale italiana più attenta. Nella categoria per il disco assoluto, Sinigallia ha ottenuto 36 voti, superando con distacco gli altri finalisti, scelti nel primo turno di voto: Motta con “Vivere o morire” (che ha ottenuto 25 voti), gli Zen Circus con “Il fuoco in una stanza” (23), Cosmo con “Cosmotronic” (20), Salmo con “Playlist” (14). Fra le opere prime, dopo Anastasi, che con 34 preferenze ha prevalso nettamente sugli altri finalisti, si sono classificati i Maneskin con “Il ballo della vita (27 voti), i Dunk con il disco omonimo (24), Paola Rossato con “Facile” (14) e Generic Animal con il disco omonimo (13). Il Mei ha deciso di assegnare a Paola Rossato, come prima donna classificata nei dischi d’esordio, un premio speciale. Hanno votato per il referendum: Fabio Alcini (Musictraks.com), Diego Alligatore (smemoranda.it), Elisa Alloro (24emilia.com), Gabriele Antonucci (Panorama), Eugenio Arcidiacono (Famiglia cristiana), Daniele Auricchio (Rai), Roberta Balzotti (Tgr Rai), Luca Bassani (Radio Pianeta), Antonio Belmonte (lascena.it), Guido Biondi (Fatto quotidiano), Francesco Bommartini (L’Arena), Valentina Brunelli (lisolachenoncera.it), Lia Buttari (musicorner), Chiara Callegari (Ciao Radio), Angela Calvini (Avvenire), Marco Camozzi (Circuito Marconi), Cinzia Canali (nonsensemag.it), Pier Andrea Canei (Internazionale), Simona Cantelmi (Radio Città Fujiko), Cecilia Capanna (Other-news.info), Ilaria Cardelli (Mese), Andrea Carpi (fingerpicking.net), Francesco Casale (Anni), Giuseppe Catani (Rockit), Michele Chisena (Repubblica), Matteo Cimatti (Radio Flyweb), Angiola Codacci Pisanelli (Espresso), Chiara Colasanti (Zai.net), Alfredo D’Agnese (D La repubblica delle donne), Alfredo D’Amato (Tg3), Luca d’Ambrosio (musicletter.it), Flaviano De Luca (Manifesto), Katia Del Savio (indianamusicmag), Giuliano Delli Paoli (ondarock.it), Elisabetta Di Dio Russo (erzebeth.it), Chiara Di Giambattista (Rai1), Gianluca Diana (Radio Città Futura), Luca Dondoni (La Stampa), David Drago (Novaradio), Daniela Esposito (freelance), Salvatore Esposito (blogfoolk.com), Isabella Fava (Donna moderna), Cinzia Fiorato (Tg1), Marco Fioravanti (Faremusic.it), Francesca Fiorini (lostingroove.com), Fabio Gallo (freelance), Angela Garofalo (Cronache di Napoli e Caserta), Adriano Gasperetti (Agenzia Dire), Vincenzo Gentile (Radio Sonica), Silvia Gianatti (De Agostini Vynil), Jonathan Giustini (Radio Elettrica), Susanna Giusto (Festival News), Paolo Gresta (parallelvision.com), Carmen Guadalaxara (Il Tempo), Federico Guglielmi (AudioReview/ Blow Up), Ambrosia J.S Imbornone (Rockerilla/Mescalina), Salvatore Imperio (musicaitalianaemergente.it), Claudio Lancia (Ondarock.it), Massimiliano Leva (Leggo), Massimiliano Longo (allmusicitalia.it), Francesca Lozito (Radioinblu), Elisabetta Malantrucco (Rai Radio Techetè), Marco Mammoliti (Areanote.net), Michele Manzotti (La Nazione), Alberto Marchetti (shiverwebzine.com), Claudia Marchetti (Itacanotizie), Lucia Marchiò (Repubblica), Marco Messineo (grandipalledifuoco.com), Francesca Milano (Sole 24 ore), Ferdinando Molteni (Radio Savona Sound), Giorgio Moltisanti (Rolling Stone), Giommaria Monti (RaiTre), Carlo Muscatello (Articolo 21), Michele Neri (Vinile), Giulia Nuti (Popolodelblues.com), Simona Orlando (Il Messaggero), Chiara Orsetti (Musictraks.com), Luca Paisiello (rockshock.it), Chiara Papaccio (Amica), Nello Pappalardo (Globus Magazine), Piergiorgio Pardo (RadioRaheem), Ornella Petrucci (lospecialista.tv), Alex Pierro (JamTv), Timisoara Pinto (Rai Radio1), Massimo Pirotta (ilmucchio.it), Giovanni Pirri (allinfo.me), Dario Pizzetti (Radio Città Aperta Roma), Walter Porcedda (Musica Jazz), Stefano Pozzovivo (Radio Subasio), Paolo Prato (Radioinblu), Stefano “Bizarre” Quario (Blowup), Antonio Ranalli (Musicalnews), Elena Raugei (Sentireascoltare.com), Alessandro Rilbaldi (Fsnews Radio), Pasquale Rinaldis (Fatto quotidiano), Ivan Rufo (lisolachenoncera.it), Paolo Russo (Repubblica), Riccardo Sada (Danceland), Adila Salah (noisesymphony.com), Cristiano Sanna (Tiscali.it), Rosetta Savelli (romagnapost.it), Alessandro Sgritta (Musicalnews), Daniele Sidonio (Recensito.net), Francesco Spadafora (Radio Salentina), Marcella Sullo (Gr1), Egle Taccia (nonsensemag.it), Paolo Talanca (Fatto quotidiano), Fabrizio Testa (Loudvision.it), Barbara Tomasino (Rai1), Andrea Umbrello (ultimavoce.it), Barbara Urizzi (Radio Capodistria), Gianluca Valentini (Inchiesta Edizioni Dedalo), Gian Luca Verga (Rtsi), Enrico Veronese (Chioggia azzurra), Rossella Vetrano (GoldWebTv.it), Vito Vita (Vinile), Giulia Zichella (lisolachenoncera.it), Anna Lisa Zitti (indexmusic.it), Maria Cristina Zoppa (Rai Radio Live), Donato Zoppo (Radio Città Benevento). IL FORUM Il Forum del giornalismo musicale, ideato da Giordano Sangiorgi e diretto da Enrico Deregibus, ha visto sino ad ora tre edizioni a Faenza ed una speciale a Roma. Ha ospitato nei suoi primi tre anni numerose iniziative: tavoli di lavoro, assemblee, lezioni, corsi di aggiornamento, incontri con figure professionali. Sono stati coinvolti sino ad oggi oltre 250 giornalisti, da quelli delle grandi testate a quelli delle webzine, sino alle radio e tv. Una occasione unica per affrontare da molti punti di vista i temi centrali del giornalismo musicale di oggi: il rischio di estinzione, il nuovo ruolo, la carenza di spazi, l'interazione fra media diversi e molto altro. La prossima edizione è in programma ai primi di ottobre a Faenza.

sabato 12 gennaio 2019

BAGLIONI, SANREMO E I MIGRANTI / su Art21

di Carlo Muscatello Ma dove nasce la sensibilità di Claudio Baglioni - messo sotto accusa per le parole di pietà e buonsenso dette alla presentazione dell’imminente Sanremo - per la povera gente, per gli ultimi, per i migranti? Era l’ottobre 2009. La settima edizione di O’Scià, il festival che il cantautore romano (classe ‘51, figlio di un maresciallo, infanzia a Montesacro) ha organizzato per dodici anni a Lampedusa, si era appena conclusa e lui ci raccontava: «Ho scoperto Lampedusa nel ’98. Ero a Palermo, avevo fatto un concerto allo stadio La Favorita. Tutti mi parlavano di quest’isola. Decidemmo di venire a dare un’occhiata. Mi fermai per un mese...». Baglioni parlava del suo amore per la maggiore delle Isole Pelagie nella sua casa a strapiombo su un mare turchese, vista mozzafiato sul Nordest dell’isola: Cala Creta, Cala Calandra, Capo Grecale. Dimora tutta bianca, con grandi spazi all’aperto aperti quasi ad anfiteatro naturale sul mare. Alcuni elementi a richiamare i caratteristici dammusi dell’isola. «Ma non scrivo qui le mie canzoni, il posto è troppo bello, induce a fare altre cose. Per creare - disse scherzando, ma fino a un certo punto - bisogna star male, magari con un muro scrostato davanti...». Tornando serio: «Volevo fare qualcosa per Lampedusa e nel 2003 ho cominciato con un mio concerto sulla spiaggia della Guitgia, come atto d'amore per l'isola e per attirare l'attenzione sul dramma dell'immigrazione clandestina. Poi, anno dopo anno, siamo cresciuti. Ma siamo sempre appesi a un filo. Il senso di O’ Scià è mettere a confronto più voci, istituzionali e non governative, per cui senza le prime non potremmo continuare. Se dovesse mancare il sostegno dello Stato non andrei avanti solo con gli sponsor privati». Erano già gli anni dei respingimenti in mare. «I respingimenti tout court non sono da paese civile. E poi sono misure che si limitano alla superficie, l’immigrazione non è stata fermata, le persone arrivano lo stesso sulle nostre coste. Solo il 15% degli immigrati arriva con mezzi di fortuna, l'85% entra in Europa con regolari visti turistici. Chi arriva su queste spiagge non è clandestino, è visibilissimo. Questi immigrati sono i più disperati». Sguardo lungimirante sul futuro. «Quella dell’integrazione è una strada lunga e difficile, ma è l'unica in grado di scongiurare lo scontro e favorire l'incontro tra le civiltà. Che poi è il senso stesso della storia dell'uomo, una storia millenaria fatta di migrazioni e di incontri. Vogliamo dimostrare che la vita è l'arte dell'incontro: il sogno è quello di sconfiggere ignoranza, pregiudizi e paure». Dopo il 2012 le difficoltà e la burocrazia hanno interrotto il sogno di O’Scià. Ma non hanno ucciso i sogni e le idee. E l’invito all’accoglienza, che abbiamo ritrovato anche nel suo recente libro “Non smettere di trasmettere” (La nave di Teseo, pagg. 615, euro 18). Una raccolta di lettere al tempo di internet. Con alla base sempre quel desiderio di comunicare che, attraverso cinquant’anni di canzoni, ha fatto di Baglioni uno degli autori e interpreti più amati da un pubblico formato ormai da più generazioni. Lettere con spazi e lunghezze diverse per affrontare temi spesso importanti e complessi dell’esistenza e del mondo: il futuro, la pace, appunto le migrazioni. Sollevando domande ma senza la pretesa di dare risposte. Piuttosto con un invito all’accoglienza (“Proviamo ad aprire una porta anche noi”), perchè «l’altro e essenziale. E – non dimentichiamolo mai – per gli altri, l’altro siamo noi». Oggi, nell’Italia del 2019, quello che era stato il cantante della “maglietta fina”, considerato di destra solo perché cantava i sentimenti e non alzava il pugno alla fine dei concerti, è diventato un nemico della politica sovranista che chiude i porti e lascia i profughi in mare. Paradosso dei paradossi, a minacciare l’epurazione del nostro sarebbe stata l’attuale direttrice di Raiuno, Teresa De Santis, che tanti anni fa seguiva il Festival di Sanremo per il Manifesto, quotidiano comunista. Le cose cambiano. Le persone pure. Ma la povera gente resta.

FEDRIGA ATTACCA RAI FVG E CONFONDE ASSOSTAMPA CON CIRCOLO

Il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, attacca la Rai regionale (secondo lui “una tv di parte, con un chiaro indirizzo politico”) e nella sua furia iconoclasta contro l’informazione e i giornalisti fa persino confusione, scambiando l’Assostampa Fvg con il Circolo della stampa di Trieste. Sostiene infatti Fedriga: "La decisione del sindacato di farsi veicolo di promozione, come riportato da organi di informazione nazionali, di un convegno negazionista sulle foibe è infatti un atto di inaudita gravità, teso a svilire quel percorso di pacificazione e di ripristino di una verità storica troppo a lungo messa a tacere. Assostampa chiarisca dunque pubblicamente la propria posizione: un diritto inalienabile quale la libertà di espressione non diventi pretesto per giustificare la realizzazione di iniziative irrispettose nei confronti della memoria di un intero popolo. Utilizzare la storia del secondo dopoguerra sul confine orientale per gettare sale sulle ferite e alimentare le divisioni è, specie alla luce del percorso compiuto dalla nostra comunità negli ultimi decenni, non solo discutibile ma profondamente sbagliato”. Titolo del comunicato: "Assostampa si preoccupi di tutelare i giornalisti e la smetta di fare attivismo politico”. Peccato che Assostampa non abbia organizzato nessun “convegno negazionista”. Forse il governatore si riferisce alla recente presentazione di un libro che è stata ospitata dal Circolo della stampa di Trieste, che è ovviamente altro soggetto, e che da sempre ospita nella sua sala dibattiti, convegni e presentazioni aperti a tutte le opinioni e idee. Con una sola discriminante: quella antifascista, secondo i principi del dettato costituzionale. E senza negare nessuna delle tragedie che hanno tristemente segnato il Novecento di queste terre: leggi razziali, risiera di San Sabba, foibe. Fra l’altro il collega che ne ha scritto sul “Giornale” è stato più volte gradito ospite, anche recentemente, nell’ottobre scorso, del Circolo della stampa che oggi attacca pesantemente. E va segnalato che dopo l’articolo, sulla sua pagina Facebook, sono apparsi pesantissimi commenti - non ancora rimossi - con minacce e insulti alle autrici del libro presentato a Trieste. E veniamo alla Rai regionale, riportando il comunicato del Comitato di redazione. “Nella diretta Facebook in cui ha informato il pubblico social dei contenuti dell’incontro avuto con una delegazione del Governo, il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, ha accusato la Rai regionale di essere “una tv di parte, con un chiaro indirizzo politico” con servizi che “molte volte sono bugie comode a qualcuno” mettendo in guardia il pubblico dal nostro operato. Un attacco al servizio pubblico che respingiamo con forza e che dimostra ancora una volta la sfrenata voglia della politica di condizionare l’informazione. Siamo noi, al contrario, a mettere in guardia i nostri telespettatori, radioascoltatori e lettori dalla propaganda violenta con la quale si tenta di imporre un pensiero unico e, allo stesso tempo, di delegittimare chi ogni giorno punta ad informare anche sui temi della politica in modo equilibrato. Che il nostro lavoro sia efficace e corretto lo testimoniano il crescente gradimento del pubblico, con un aumento costante degli ascolti, e le valutazioni dell’osservatorio di Pavia che monitora costantemente l’informazione politica del servizio pubblico anche in Friuli Venezia Giulia e che, nell’ultimo report trasmesso, evidenzia “un sostanziale equilibrio tra i diversi schieramenti politici” e, anzi, “una sovraesposizione in voce” proprio del presidente Fedriga”. Nulla da aggiungere all’esaustivo comunicato. Tranne che l’Assostampa Fvg anche in questo frangente è al fianco dei colleghi della Rai, proprio come è al fianco di tutti i giornalisti, professionali e collaboratori, precari e pensionati, che da sempre rappresenta e tutela. Un impegno oggi particolarmente gravoso, soprattutto in questo momento di attacco alla libera informazione e alla categoria dei giornalisti. Da ultimo, Assostampa Fvg non ha mai fatto e non fa “attivismo politico”. Rappresenta e tutela come può i colleghi, anche quelli delle due agenzie di stampa edite dalla Regione Fvg, cui ora si vuole negare persino il contratto di lavoro giornalistico. Notiamo che semmai è proprio il governatore (che recentemente ha persino difeso il vicesindaco di Trieste dopo il tristemente noto episodio delle coperte di un senzatetto gettate nelle immondizie) a esser purtroppo rimasto un attivista politico, mentre per il suo ruolo istituzionale dovrebbe rappresentare tutte le cittadine e i cittadini del Friuli Venezia Giulia. Anche quelli che non la pensano come lui.

giovedì 3 gennaio 2019

VENT’ANNI SENZA DE ANDRE’ / su ART21

di Carlo Muscatello Nei prossimi giorni saranno vent’anni senza Fabrizio De Andrè (Genova, 18 febbraio 1940 - Milano, 11 gennaio 1999). Sembra ieri, stavolta non è retorica. Anche perchè la sua opera è qui, è viva, rimane a darci conforto, a indicarci una via, non perde di forza e di attualità. Faber era - rimane - il nostro amico fragile, il cantore degli oppressi e degli emarginati, il fustigatore sottile e lucido dei potenti, l’anticipatore della miglior musica etnica. Che storia la sua. Comincia il 18 febbraio del 1940. La famiglia De Andrè vive a Genova, zona Pegli, quartiere della Foce, al numero 13 di un palazzo borghese di via Trieste. C’è già un figlio maschio, Mauro, più grande di Fabrizio di quattro anni (diventerà uno stimato avvocato, anche lui morto prematuramente, nell’89, a cinquantatre anni), e dunque in casa si aspetta una bambina. Ma arriva lui. Famiglia colta, benestante, classica buona borghesia genovese, che sa unire solido patrimonio (padre alto dirigente dell’Eridania) e ottime letture. Durante la guerra si trasferiscono per un lungo periodo nella villa di famiglia, a Revignano d’Asti. Lì il piccolo Fabrizio impara ad amare la natura, la campagna, gli animali, il lavoro di contadino. Amore che da adulto, con la seconda moglie Dori Ghezzi, non gli farà abbandonare la fattoria in Sardegna (con gli anni trasformata in una vera e propria azienda agricola) neanche dopo la tragica esperienza del rapimento nel ’79: più di cento notti all’«Hotel Supramonte», che poi sarebbe diventato titolo di una canzone ispirata a quelle catene, a quel tetto di cielo stellato. Ma torniamo alle origini. Nel dopoguerra ritroviamo De Andrè studente svogliato, che si iscrive al liceo Cristoforo Colombo. Ma la sua vera passione era la musica. Ascolta i francesi, soprattutto Brel e Brassens, si veste tutto di nero come gli esistenzialisti dell’epoca, comincia a suonicchiare come chitarrista jazz, in omaggio al suo idolo Jim Hall, in una band in cui c’è anche Luigi Tenco al sassofono. Ma poi è anche nei Crazy Cowboys, una country band genovese che suona alle feste studentesche. Il primo disco di colui che inizialmente si fa chiamare semplicemente Fabrizio esce nel ’58, come si usa all’epoca è un 45 giri, s’intitola «Nuvole barocche». Ma di quel diciottenne dall’aria ispirata si accorgono davvero in pochi. Anche perchè l’Italia ha già i suoi problemi ad accettare la rivoluzione di Modugno, che al Sanremo di quell’anno spalanca le braccia e intona «Volare». Figuriamoci questo De Andrè, ostico, troppo in anticipo sui tempi, rispetto a un panorama canoro ancora dominato dalle rime obbligate «cuore amore» e dalla struttura dei brani «strofa strofa ritornello strofa». Ma De Andrè è giovane, non ha fretta, sa aspettare. Frequenta senza troppo entusiasmo l’università: prima medicina, poi lettere, infine giurisprudenza, mollata a due esami dalla laurea. Frequenta soprattutto, per la comune passione musicale, i soliti amici: Paolo Villaggio (amico d’infanzia, le famiglie passavano le vacanze assieme), Gino Paoli, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, il citato Tenco, pochi altri. Con Villaggio, ancora lontano dai sogni di gloria con la saga dei Fracchia e dei Fantozzi, scrive la goliardica «Carlo Martello». Che viene denunciata all’autorità giudiziaria nientemeno che per linguaggio osceno. Tutto per colpa di quel passaggio in cui l’apparentemente casta contadinella cede alle voglie del bramoso re, che poi si accorge di essersi in realtà intrattenuto con una prostituta. E sbotta: «Ma è mai possibile, corpo di un cane, che le avventura in codesto reame debbano concludersi tutte con grandi puttane...». Lo scandalo è assicurato. Nel ’65 il nostro - che nel frattempo sposa Enrica «Puny» Rignon, nel ’63 nasce Cristiano - firma «La canzone di Marinella», quasi una favola poetica che racconta di come una fanciulla, tornando a casa dopo la prima esperienza d’amore, fosse scivolata nel fiume, annegando. «E lui che non la volle creder morta, bussò cent’anni ancora alla sua porta...». La canzone era ispirata da un fatto di cronaca: una prostituta (figura ricorrente della poetica di Faber: si pensi anche a «Bocca di rosa», secondo alcune ricostruzioni ispirata a una ragazza istriana che era partita da Trieste per conoscerlo...) era stata scippata e buttata nel fiume. De Andrè trasforma l’episodio in poesia delicata, struggente. E Mina, al culmine della popolarità, ne regala una versione memorabile e la porta al successo. Consacrando di riflesso anche l’autore. Poi le cose vanno veloci. Nel ’66 esce il primo album, intitolato «Tutto Fabrizio De Andrè», una raccolta delle canzoni scritte fino a quel momento. Nell’Italia che sta per conoscere una stagione di grandi cambiamenti, De Andrè si fa una fama «proibita»: è quello che infila le parolacce nelle canzoni, viene ascoltato dai liceali a volume basso, rigorosamente fuori dalla portata dei genitori. Ma è anche quello che racconta storie, suscita emozioni e sensazioni che fino ad allora sembravano monopolio della letteratura, della poesia. Album come «Volume I», «Tutti morimmo a stento» (ispirato alle poesie di Francois Villon), «La buona novella», «Non al denaro non all’amore nè al cielo» (con l’antologia di «Spoon river» rivisitata a quattro mani con Fernanda Pivano) e «Storia di un impiegato» punteggiano, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, un percorso artistico che trasforma di certo la canzone ma tutto sommato anche il costume e la cultura italiana. Segue la stagione dei concerti (e dei dischi dal vivo) con la Pfm, che nel ’78 riveste per la prima volta di suoni elettrici canzoni che spesso il pubblico era abituato a sentire chitarra e voce. Ma anche dell’amore per la musica etnica e della riscoperta del dialetto genovese, della collaborazione con Mauro Pagani e con Massimo Bubola, con Francesco De Gregori («Canzoni», uscito nel ’74) e con Ivano Fossati. Fino a capolavori assoluti come «Creuza de ma» (il miglior disco degli anni Ottanta, amato anche da David Byrne) e «Nuvole», che parte da Aristofane e allude ai «potenti che oscurano il sole». Per finire con «Anime salve», ultimo sguardo sull’umanità marginale, ultimo album di Fabrizio De Andrè prima della raccolta «Mi innamoravo di tutto», con «La canzone di Marinella» in duetto con Mina. Fin qui l’opera, che all’inizio si diceva ancora così presente e attuale. Ecco, oggi rimane un senso di perdita per quello che Fabrizio avrebbe potuto scrivere e cantare in questi anni che son passati senza di lui e nei prossimi. Ci manca sentire come avrebbe raccontato lui, questi tempi scassati, questo cambiamento del mondo. Disse una volta: «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per la giustizia sociale e l’illusione di poter partecipare a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane...».

2019, LE BATTAGLIE DEL SINDACATO GIORNALISTI

Care colleghe, cari colleghi, il 2019 si apre con giornalisti e libera informazione sotto attacco negli Stati Uniti di Trump, nel Brasile di Bolsonaro, nella Turchia di Erdogan, nell’Ungheria di Orban, in tanti altri paesi non solo del terzo mondo. Brutto clima. Anche se il potere, si sa, non ha mai amato la stampa che non fa da semplice megafono e assolve invece per intero al suo ruolo di cane da guardia della democrazia. In Italia apparentemente stiamo meno peggio. Ma i tagli ai residui fondi pubblici per la cosiddetta editoria debole, che saranno prima ridotti e poi azzerati entro il 2022, sono una decisione gravissima. E un pessimo segnale. Alcune testate saranno costrette a chiudere, meno pluralismo di idee, meno posti di lavoro, non soltanto giornalistico. Secondo la Fnsi “gli equilibrismi verbali del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non cambiano la sostanza delle cose: i tagli al fondo per l'editoria produrranno la chiusura di numerose testate e la perdita di posti di lavoro. Al di là dei tentativi del premier di cambiare le carte in tavola, resta infatti la drammatica realtà di un provvedimento ispirato da ragioni ideologiche e che ha preso corpo con chiari intenti ritorsivi nei confronti di chi fa informazione liberamente. Restano gli appelli e i moniti del presidente della Repubblica sul ruolo della stampa e sulla necessità di salvaguardare il pluralismo: se Conte li avesse letti, si sarebbe reso conto che nella conferenza stampa di fine anno avrebbe fatto meglio a tacere”. Il nostro Primorski Dnevnik per ora sembra in salvo, ma la scure dell’azzeramento entro il 2022 è una minaccia alla sua sopravvivenza. I guai cominciano invece subito per Novi Glas, Novi Matajur, Voce del popolo di Fiume, altre realtà piccole ma importanti. Spostando il punto di vista la situazione purtroppo non migliora. Il rinnovo del contratto di lavoro ancora non c’è, perché il sindacato dei giornalisti si è rifiutato e tuttora si rifiuta di accettare le richieste degli editori, tutte al ribasso, tutte tese a smantellarlo, quel nostro contratto. Le aziende hanno speso milioni e milioni di denaro pubblico solo per portare a compimento i propri processi di ristrutturazione, per rottamare giornalisti attorno ai sessant’anni senza sostituirli. Zero euro per nuovi posti di lavoro. Risultato: sempre meno posti di lavoro contrattualizzati, sempre più giornalisti precari, tanti collaboratori pagati poco e trattati peggio, crescenti carichi di lavoro per redazioni ridotte all’osso. E poi la piaga dei cronisti minacciati, le querele temerarie, l’onnipresente tentativo del bavaglio, l’Inpgi a rischio, tanto altro… Di tutto questo si parlerà dal 12 al 14 febbraio al 28.o congresso della Fnsi, a Levico Terme (Trento). L’Assostampa Fvg vi parteciperà con i suoi delegati, professionali e collaboratori, per portare il proprio contributo di idee e buone pratiche al dibattito e alle scelte che verranno fatte. Perché le stesse criticità nazionali si scontano in proporzione anche da noi. Rai regionale, Piccolo e Messaggero Veneto (entrambi soggetti alle grandi sinergie del gruppo Gnn), Gazzettino, agenzie di stampa, emittenza privata, uffici stampa della pubblica amministrazione, l’universo del web e delle testate più piccole. Del Primorski e degli altri giornali delle minoranze linguistiche abbiamo già detto. Ma non abbiamo detto della gravissima situazione delle due agenzie di stampa della Regione Fvg, dove si punta a cancellare il contratto di lavoro giornalistico e si ricattano i precari: se volete la stabilizzazione dovete rinunciare al contratto da giornalisti. In questa grave situazione c’è sempre più bisogno che i colleghi, professionali e collaboratori, contrattualizzati e non, precari e pensionati, si iscrivano al sindacato, a quel sindacato di cui spesso ci si ricorda soltanto nel momento del bisogno. L’Assostampa Fvg ha da molti anni le quote d’iscrizione immutate, le più basse d’Italia. E c’è sempre la possibilità di chiedere l’iscrizione gratuita per i colleghi in difficoltà economica. Aiutateci a tutelare i più deboli, a difendere il lavoro, le pensioni, i nostri enti di categoria, il diritto dei cittadini a essere informati e il dovere dei giornalisti di informare. Carlo Muscatello presidente Assostampa Friuli Venezia Giulia, componente giunta Fnsi