domenica 31 luglio 2016

IRON MAIDEN A TRIESTE, maggio '98, palasport Chiarbola

MUSICA Oltre duemila persone al palasport di Trieste per l'ultima tappa del tour della band inglese Iron Maiden, torrente di suoni Volumi altissimi, tanto sudore, qualche simbologia funerea 
TRIESTE Jana ha sedici anni, gli occhi azzurri e i capelli
impiastricciati di sudore. La maglietta nera con la scritta
«Iron Maiden» le casca male addosso, ma che importa: ciò che
conta è che sia simile a quelle di tutti gli altri. Quasi una
divisa - con i jeans, il giubbotto, le scarpone da ginnastica -
per il giovane popolo dei metallari che non manca mai un
appuntamento importante. Ciò che conta davvero, poi, per Jana e
per tutti gli altri, è che gli Iron Maiden della maglietta, dei
manifesti e dei dischi tante volte ascoltati a tutto volume,
stasera siano qui, su quel palco, a pochi metri di distanza. Se
allunghi una mano ti sembra quasi di toccarli. Jana è arrivata da
un paesino vicino Maribor, in Slovenia. Lungo viaggio fino a
Trieste, più lungo dei duecento e passa chilometri denunciati
dalla carta geografica. Partenza al mattino presto. Un tratto in
treno, un altro in autostop. Comunque è qui dalle prime ore del
pomeriggio. Ed è stata fra i primissimi a entrare nel palasport,
quando verso le diciannove si sono aperti i cancelli (che poi in
realtà, in questo caso, sono delle porte a vetri). Dopo tre ore
di pesante bombardamento sonoro vissuto lì, sotto il palco,
senza filtri di sorta, dopo essersi insomma ubriacata della musica
prima dei Dirty Deeds e degli Helloween, che hanno aperto la
lunga maratona, e poi degli amatissimi Iron Maiden, adesso Jana
comincia (finalmente) a sentire la stanchezza. Abbandona dunque
le prime file, si avvicina a un uomo in divisa che presidia le
entrate, gli chiede semplicemente «dove acqua?». L'uomo le
indica i servizi, accanto al bar. Lei scompare dietro l'angolo,
da dove riemerge dopo un paio di minuti, con l'aria beata di una
che ha sbrigativamente messo la testa sotto il rubinetto.
Riguadagna un po' a fatica le prime file: non ha nessuna
intenzione di perdersi il resto del concerto. Chissà, forse
l'Occidente che lei sogna è proprio questo: musica e sudore,
rock e metallo pesante, volumi altissimi e vibrazioni forti.
Perchè parliamo di Jana? Perchè ci sono degli spettacoli - come
appunto quello degli Iron Maiden, l'altra sera, al palasport di
Trieste, ultima tappa del loro ennesimo tour italiano - in cui
la musica è sicuramente importante, ma per un osservatore per
forza di cose esterno assumono un'importanza quasi maggiore la
gente, gli spettatori, insomma i duemila e passa ragazzi accorsi
da tutto il Triveneto, dalla Slovenia, dalla Croazia per
celebrare quel piccolo grande rito che è un concerto di heavy
metal. Lo spettacolo è la gente, insomma, in queste occasioni
più che in altre. Il secondo aspetto caratterizzante è il volume,
assolutamente stratosferico e di difficile sopportazione anche
da parte di chi bazzica concerti da molti anni. Sul pubblico si
abbatte una massa sonora dura, pesante, quasi oltre la soglia
dell'umano. Ma forse chi va a vedere gli Iron Maiden (o i
Metallica, o gli Ac/Dc...) vuole e chiede proprio questo: una
bella dose di decibel con cui inebriarsi, ubriacarsi, stordirsi.
Sarà sempre meglio del mondo che li aspetta domani mattina, là
fuori. A Trieste, gli Iron Maiden hanno risposto perfettamente
alle aspettative dei loro fans. Anche se i brani del nuovo album
«Virtual XI» («Futureal», «The angel and the gambler»,
«Lightning strikes twice», «The clansman»...) non sembrano
davvero all'altezza dei classici del passato. Come «Iron Maiden»
(da cui oltre vent'anni fa ha preso nome il gruppo, ispirandosi a
uno strumento di tortura medioevale che compariva nel film «The
man and the iron mask»), o «Number of the beast», o ancora
«Trooper» e «Sanctuary». Se vogliamo dirla tutta, va aggiunto
anche che il cantante Blaze Bailey non regge il confronto con
quel Bruce Dickinson di cui ha preso qualche anno fa il posto.
Soprattutto nella seconda parte dell'esibizione, il nerboruto
vocalist è infatti sembrato andare troppo spesso per le sue,
scollato dal gruppo capitanato ancora egregiamente dal bassista
Steve Harris, unico superstite della formazione originaria. Gli
altri tre (i chitarristi Dave Murray e Janick Gers e il
batterista Nicko McBrian) picchiano, pardon, suonano che è un
piacere. I fondali rimandano ancora immagini di ruderi e
simbologie più o meno funeree. Ma le necrofilie degli esordi
sembrano aver lasciato il posto a passioni più salutiste come
quella per il pallone e più attuali come quella per il mondo
virtuale. E non a caso l'incontro fra calcio e computer è un po'
il tema dell'ultimo lavoro della band. A Trieste (qui sopra e a
sinistra nelle fotografie di Francesco Bruni), fatti i distinguo
di cui sopra, successo praticamente trionfale. Soprattutto da
parte dei cinquecento ragazzi arrivati dalla ex Jugoslavia, dove
l'heavy metal conta agguerrite legioni di fans. Insomma, Jana
sarà tornata nel suo paese vicino Maribor contenta. Carlo
Muscatello

Dati di pubblicazione 

Testata Data Publ. Edizione Sezione Pagina Didascalia 
ILPICCOLO 19980508 

sabato 30 luglio 2016

ROBERT PLANT STASERA A POLA

Uno dei grandi del rock di tutti i tempi arriva stasera nelle nostre zone. All’Arena di Pola, con inizio alle 20.30, si terrà infatti un concerto di Robert Plant, nell’ambito del tour mondiale 2016 dell’ex cantante e leader dei leggendari Led Zeppelin. Tour che, dopo le tre date italiane dei giorni scorsi (Milano, Napoli, Taormina), ora tocca anche la vicina Croazia.
Plant, inglese, classe 1948, anni fa è stato collocato dalla rivista Rolling Stone al quindicesimo posto nella classifica dei migliori cantanti rock di tutti i tempi. Dopo lo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1980 a causa della morte del batterista John Bonham, ha proseguito la sua carriera, sempre all’insegna della ricerca musicale, realizzando in tutti questi anni quindici album, tenendo tanti tour e avviando molte interessanti collaborazioni.
Il concerto di stasera nella splendida Arena di Pola si preannuncia come uno stimolante mix fra rock, blues e world music, il tutto tenuto assieme dalla personalità e dal carisma del musicista. La sua voce, se non è più quella che ammaliava i fan a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, è ancora forte e importante, con quelle caratteristiche coloriture e modulazioni che l’hanno resa un modello per generazioni di interpreti rock e hanno consegnato l’artista alla storia del genere.
Nel concerto di stasera non mancheranno classici dei Led Zeppelin come “Whole Lotta Love” e “Black Dog”, “Rock and Roll” e “Stairway to Heaven”, a fianco di brani della produzione solista più recente. Dal vivo, ampio spazio anche al gruppo, con gli assolo di chitarra di Skin Tyson e Justin Adams.
Una curiosità. Accanto al recupero del tradizionale bluegrass “Little Maggie”, in “Babe I’m Gonna Leave You”, brano folk già rivisitato con i Led Zeppelin, il cantante inserisce di solito alcuni versi di “Torna a Surriento”, nella versione di Elvis Presley intitolata “Surrender

BEATLES, 50 ANNI FA ULTIMO CONCERTO. 15-9 ESCE FILM

Agosto 1966. Candlestick Park, San Francisco, California. L’ultimo concerto “ufficiale” dei Beatles avviene allora e lì, mezzo secolo fa, in terra americana (il primo sbarco negli Usa era avvenuto due anni e mezzo prima, il 7 febbraio’64), incastonato proprio a metà della leggendaria carriera discografica dei Fab Four.
Appena otto anni, dal ’62 del singolo “Love me do” al ’70 dell’album “Let it be”, all’uscita del quale ognuno dei quattro aveva per la verità già intrapreso la sua strada. Ma otto anni sufficienti a segnare per sempre la storia della musica e del costume, financo della cultura, della seconda parte del Novecento. Un’influenza che è rimasta intatta fino ai giorni nostri.
Sì, perchè mezzo secolo dopo, e a quarantasei anni di distanza dallo scioglimento del gruppo, nonostante l’assassinio di John Lennon (New York, davanti al Dakota Palace, Central Park, 8 dicembre 1980) e la morte per cancro di George Harrison (Los Angeles, 29 novembre 2001), i Beatles sono ancora e sempre leggenda. Una vera e propria icona della musica e della cultura del Novecento, con cui devono fare i conti tutti, anche i ragazzi nati nel nuovo millennio.
Ma al di là delle ricorrenze e della nostalgia, vecchi e nuovi fan possono già segnare sul calendario una nuova data. Il 15 settembre esce infatti “The Beatles, Eight days a week”, il film evento del premio Oscar Ron Howard, che è costruito attorno alle immagini registrate durante le tournèe dei quattro fra il ’62 degli esordi al Cavern di Liverpool e appunto il ’66 dell’ultimo concerto americano.
Il film - prima mondiale a Londra, Leicester Square, poi una sola settimana nelle sale di tutto il mondo - racconta ancora una volta, attraverso filmati rari e in certi casi inediti, la storia di come quattro ragazzi chiamati John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr sono diventati, per una di quelle alchimie che accadono una sola volta nella storia della musica, i Beatles. Ed è stato realizzato con la piena collaborazione, e dunque l’approvazione, di Paul McCartney e Ringo Starr, oltre che delle vedove Yoko Ono Lennon e Olivia Harrison.
La stessa approvazione, anzi, una netta presa di distanza è giunta nei giorni scorsi dagli eredi Harrison quando Donald Trump ha usato “Here comes the sun”, il classico dei Beatles del ’69 firmato per l’appunto da George Harrison, alla convention del partito repubblicano a Cleveland. L’utilizzo del brano è stato definito «offensivo e contro i desideri della famiglia di George Harrison». Una presa di distanza che ricorda quella di Bruce Springsteen, che tanti anni fa vietò a Reagan l’uso di “Born in the Usa”.

PIAZZA ROCK O PIAZZA SONNACCHIOSA?


Piazza rock o piazza sonnacchiosa, a tratti addormentata, quasi pensionata, mollemente adagiata su nostalgiche mollezze? Che poi vorrebbe dire: ma la nostra splendida piazza Unità, salotto buono affacciato sul mare che molti ci invidiano, è adatta ai megaconcerti con megapalchi e megafolle al seguito?
Il quesito si pone con forza all’indomani del doppio appuntamento con gli Iron Maiden e Mika, due botti dell’estate musicale andati in scena ad appena quarantott’ore di distanza l’uno dall'altro. Per onestà va detto che piazza e città hanno retto perfettamente l’urto dei quindicimila fan per il gruppo “metal” inglese e dei seimila per la popstar anglolibanese. Zero incidenti (nonostante i timori, legati più che altro alla situazione internazionale, che hanno fatto alzare l’asticella della sicurezza e dei controlli), giusto qualche comprensibile disagio al traffico, efficiente servizio di pulizia dopo gli eventi, pubblico quanto mai soddisfatto.
A referto vanno segnalate però le lamentele - oltre che di tanti esponenti delle pattuglie in servizio permanente effettivo del “no se pol” - di alcuni esercenti dei locali affacciati sulla grande piazza, costretti a chiudere dalla transennatura e dalla situazione complessiva, che prevede fra l’altro i chioschi per le bibite che girano al seguito dei megaconcerti e “portano via il lavoro”.
Possiamo aggiungere che l’impatto soprattutto del megapalco degli Iron Maiden - forse il più grande in assoluto fra i tanti visti nel corso degli anni in piazza Unità, i cui lavori di montaggio e smontaggio sono stati lunghi e rumorosi - ha per alcuni giorni oscurato le bellezze del luogo. Per dire, un turista arrivato in quei giorni in città della piazza non ha praticamente visto nulla.
Sull’altro piatto della bilancia c’è l’assoluta bellezza di certe immagini colte durante i concerti, che sono autentiche feste di gente, suoni, luci, colori e dunque emozioni.
Non è la prima volta che si pone il problema, comune a tante altre città. Per fermarci agli anni più recenti, piazza Unità ha ospitato lo scorso anno Fedez e il trio del Volo, tre anni fa i Green Day, ancor prima Santana, John Fogerty, Pino Daniele, Elisa, Battiato, tanti altri. Per non parlare dei concerti di tanti Barcolana Festival, della seratona Mtv del luglio 2005 (gratuita, dunque senza transenne, dunque con una megafolla che invadeva anche le Rive e le zone contigue...), di qualche vecchia tappa del Festivalbar.
La scelta dello Stadio Rocco, oltre al concerto di Bruce Springsteen del giugno 2012, è stata ritenuta la più adatta per Pearl Jam e Ligabue nel 2014, per Vasco Rossi nel 2004... E c’era stata anche la lunga stagione dei concerti nel vecchio Stadio Grezar.
Forse allora ci sono alcuni concerti “da stadio”, in una struttura che, pur essendo nata per lo sport (ma la Triestina aspetta da anni un rilancio, per onorare uno stadio da serie A, immaginato quando la squadra sembrava vicina al salto fra la serie B e la massima serie...), si adatta perfettamente ai grandi eventi musicali.
Ai nomi citati, che il pubblico ha ammirato in passato al “Rocco”, forse possiamo aggiungere gli Iron Maiden. Mentre Mika, il pianista Ludovico Einaudi, visto venti giorni fa, Simone Cristicchi stasera con il suo omaggio a Sergio Endrigo, sembrano più adatti alla grande piazza. Da non dimenticare che, a due passi dal salotto buono, c’è poi quel delizioso “teatro all’aperto” che è piazza Verdi, da anni felicemente sfruttato dalla rassegna TriesteLovesJazz.
Da ultimo, il quesito di sempre. Quello che sottende anche l’eterno dibattito legato alla cosiddetta movida. Vogliamo una città viva, aperta al futuro e alle giovani generazioni, che si risvegli da secolari torpori e attragga i turisti, o preferiamo il nostro amato e tranquillo “non luogo” dove passare serene e tranquille vecchiaie?
Non troppi anni fa, girare di sera nella zona fra piazza della Borsa, piazza Unità, Cavana e via Torino somigliava all’attraversamento del far west. Oggi sembra di stare in una qualsiani città europea del 2016. Cos’è meglio?

venerdì 29 luglio 2016

GIANNA NANNINI STASERA A NO BORDERS, TARVISIO

«Ho un ricordo ancora fortissimo del concerto di aprile al Politeama Rossetti. Tutti si sono alzati in piedi già al primo brano e hanno cantato e saltato con me per tutto il concerto. E poi Trieste è una città bellissima, con un pubblico speciale...». Parla Gianna Nannini, che stasera alle 21.15, in piazza Unità, a Tarvisio, apre la ventunesima edizione del “No Borders Music Festival”.
Soddisfatta del recente tour nei teatri?
«Sì, moltissimo. Per la prima volta una location mi ha restituito la voce e non me l'ha tolta. Erano anni che non mi esibivo in teatro, ma dovevo andarci con il progetto giusto che solo un manager come David Zard, che sa fare anche l'opera, era in grado di progettare. È stata la dimensione perfetta per esprimermi al meglio. È stato davvero bellissimo. Abbiamo fatto suonare tutto».
La parte estiva del tour è diversa?
«La scaletta è molto, molto forte e racchiude i grandi successi della mia carriera, perché questo tour vuole proporre il meglio del mio repertorio. Chiaramente all'aperto possiamo spingere ancora più forte e questo mi diverte molto».
Dopo l’album "Hitstory"?
«Sto scrivendo il nuovo disco. Sono a buon punto e sono molto felice di quello che sto facendo, che stiamo facendo. Ne sono certa: verrà un gran lavoro. Stiamo curando tutti i particolari».
La collaborazione con Pasquale Panella prosegue?
«Assolutamente sì. I nostri rapporti sono ottimi. Lui si distingue dalla massa. Si sente la sua matrice operistica. Lui propone cose che vanno oltre al mero commercio. Io gli dico sempre che è di alti e altri livelli...».
Conosce Tarvisio, le montagne del Friuli Venezia Giulia?
«Conosco Tarvisio per il confine e per il “No Borders”. Ne ho sentito parlare moltissimo da colleghi e addetti ai lavori. È bello che una rassegna musicale cerchi di unire popoli di paesi diversi. È anche il mio concetto. Io sono una donna europea e ho sempre suonato con musicisti internazionali. Dobbiamo andare oltre le differenze. Vorrei tanto che questo fosse il sentimento comune».
Meglio la montagna o il mare?
«Mi piacciono entrambi. In montagna vado volentieri con lo snowboard e in passato ho fatto alpinismo e anche ghiacciaio».
Sua figlia Penelope la segue in questo tour?
«Sì, era con me fino all'altro giorno. Impara un sacco. Per me un tour di rock è il miglior asilo per i bambini...».
Cosa presenta a Tarvisio?
«Visto che siamo al “No Borders Music Festival”, farò un concerto che piaccia a italiani, austriaci e sloveni. Un concerto per tutti dove si canta, si balla: una vera festa perché tutti devono tornare a casa felici e con un bel ricordo».
«Effettivamente in Friuli Venezia Giulia - conclude Gianna Nannini - ci sono venuta poco negli ultimi anni, ma ora sto recuperando: prometto che ci verrò di più. Ho un ricordo speciale con un pubblico bellissimo sia a Villa Manin qualche estate fa, che a Trieste ad aprile...».

giovedì 28 luglio 2016

MIKA STASERA A TRIESTE

“Grace Kelly” e “Stardust”, “Relax” e “Good Guys”, “Rain” e “Underwater”. E poi “Love Today”, “Staring At The Sun”, “Lollipop”. E ancora “Boum Boum Boum”, “We Are Golden”, “Happy Ending”...
Mika arriva stasera a Trieste, per un concerto in piazza Unità, e l’occasione è di quelle da non perdere per conoscere dal vivo, in quello che è a tutti gli effetti il suo “mestiere principale”, un artista versatile e poliedrico che in Italia il grande pubblico ha conosciuto e apprezzato soprattutto come giurato e caposquadra nelle ultime edizioni di “X Factor”. Dove però non tornerà nella prossima stagione.
Nei giorni scorsi l’artista anglolibanese è stato ospite al “Giffoni Film Festival”, dove si è raccontato e ha parlato dei suoi progetti per il futuro. Innanzitutto un film («Mi avevano già offerto di recitare in tre altri film, ma avevo sempre detto di no. Qualche mese fa però sono andato a un casting, ho fatto un provino e ai produttori è piaciuto...»), poi un’autobiografia alla quale sta lavorando («Avevo quasi finito, ma ho trovato altri spunti. È la prima volta che mi racconto in un libro, voglio che sia bello...»), ma soprattutto il nuovo show televisivo per Raidue con cui debutterà a novembre.
«La musica - ha detto Mika, nato a Beirut nel 1983 e naturalizzato britannico - è stata per me un modo per andare avanti. Ho messo sempre tutto della mia vita nelle canzoni, è stato un modo per superare momenti difficili e dolorosi. Anche se ci sono dei pubblici davanti ai quali non è sempre facile parlare di sessualità, traumi, della storia della mia famiglia. Spesso mi trovo a cantare in certi Paesi dove i temi che tratto sono vietati, ma per me la musica è una terapia e una bandiera....
Al proposito, un aneddoto che si riferisce a “Over my shoulder”, una canzone scritta a diciassette anni «quando ero in una scuola per alcuni aspetti molto bella, perché c'era molta musica, facevamo teatro e opera, da Benjamin Britten a Verdi, ma orribile per altri, a causa di alcuni ragazzi. Covavo in me una rabbia pericolosa, avrei potuto fare qualcosa di tremendo, del male a me stesso o agli altri. Ho trasformato quell'energia distruttiva in qualcosa di più bello, attraverso la musica. E ho capito che quella era la strada».
Il concerto a Trieste arriva dopo un lungo tour durato un anno e mezzo che ha toccato anche l’Asia e l’America e si è concluso a Parigi. A settembre comincia a lavorare al nuovo album. A novembre, come si diceva, lo vedremo su Raidue. In un autentico “one man show”.

martedì 26 luglio 2016

GUERRA MOGOL E VEDOVA BATTISTI

Ma che tristezza. Una delle più belle e importanti storie della canzone italiana, il binomio Mogol Battisti, che finisce a colpi di denunce, sentenze di tribunale, appelli e controappelli... Per di più quando uno dei due protagonisti, Lucio Battisti, scomparso a soli 55 anni il 9 settembre 1998, non è più fra noi.
La vedova dell’artista, Grazia Maria Veronese, in tutti questi anni ha impedito con ogni mezzo l’utilizzo delle canzoni che il marito aveva scritto con Giulio Rapetti Mogol. Tanti festival e rassegne (ne ricordiamo in passato anche a Trieste e a Muggia) si sono visti inibiti l’utilizzo del nome del cantante e autore di Poggio Bustone. Ora una sentenza del Tribunale di Milano, al quale si è rivolto Mogol, ha escluso che la condotta della signora abbia integrato un illecito come amministratore della società di edizioni musicali che gestisce i diritti del repertorio, la Edizioni Musicali Acqua Azzurra, della quale è socio anche lo stesso Rapetti. Ma nel contempo ha condannato la stessa società a pagare all’autore delle parole delle tante canzoni che hanno segnato un’epoca la somma di 2,6 milioni di euro.
All'indomani della sentenza, la vedova Battisti affida al suo legale una puntuta replica: «Leggiamo interpretazioni opportunistiche e fuorvianti della sentenza. La causa è stata iniziata nel 2012 allo scopo di sentire condannare la signora Veronese a pagare 8 milioni di euro (la richiesta iniziale - ndr) di risarcimento del danno, per aver ostacolato lo sfruttamento commerciale del repertorio Mogol/Battisti. L'obiettivo era mettere le mani in tasca della signora Veronese, aggredire il suo patrimonio, annientarla economicamente; dopo averla per anni pubblicamente additata come la vedova che mangia i bambini. Ma l'obiettivo, alla luce della sentenza, può dirsi miseramente fallito».
Insomma, botte da orbi. Ma forse gli uni e gli altri non comprendono che le canzoni di Mogol e Battisti appartengono ormai da tempo a tutti colore che le hanno amate. E continuano a farlo.

IRON MAIDEN STASERA A TRIESTE

Cominceranno con “If Eternity Should Fail”, proseguiranno con “Speed Of Light”, premeranno decisi sull’acceleratore con “Children Of The Damned” (brano che dal vivo non eseguivano da un bel po’), e poi avanti con “Tears Of A Clown”, e ancora con “The Red And The Black”. A questo punto, c’è da scommetterci, i quindicimila di piazza dell’Unità saranno già belli e cotti, pronti per una serata ad alta gradazione rock.
Gli Iron Maiden, gruppo storico dell’heavy metal internazionale, tornano stasera a Trieste, dove avevano già suonato nel maggio '98, a sei anni dallo storico concerto a Villa Manin di Passariano. Anche quella volta quindicimila presenze, con biglietti andati tutti esauriti già in prevendita per celebrare degnamente l’unica data italiana del tour mondiale di quell’anno.
Quest’anno invece le tappe tricolori del “The Book Of Souls World Tour 2016”, dal titolo dell’album pubblicato lo scorso inverno, sono tre: nei giorni scorsi Milano e Roma, ora Trieste. Concerti nei quali la band sta rispettando lo schema e la scaletta che sta portando in giro per il mondo da febbraio, quando il tour è cominciato negli Stati Uniti per poi proseguire in Sud America, Canada, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda e ora in Europa. Una serie di trionfi annunciati, per uno dei gruppi che hanno scritto la storia dell’heavy metal.
Come i fan ben sanno, gli Iron Maiden nascono nella Londra del ’75, su impulso del bassista Steve Harris. Primo album nell’80, omonimo, sufficiente a proiettarli nell’olimpo del genere. Carriera coi fiocchi: milioni di dischi venduti, tournèe mondiali, premi. Alla fine dello scorso anno è uscito l’album “The book of souls”, subito balzato in testa alle classifiche di vendita in una quarantina di paesi, Italia compresa.
«Viaggiare e suonare per voi è la cosa che adoriamo fare di più – ha detto Bruce Dickinson, storica voce della band -. Amiamo l’Italia e vogliamo vedervi. Nel concerto suoneremo un bel po’ di pezzi nuovi dell’ultimo album ma non mancheranno i brani che i fan amano tanto».
Stasera grande musica, ma anche lo spettacolo che gli Iron Maiden hanno sempre portato sul palco: proiezioni, fiammate verso il cielo e la mascotte della band Eddie the Head, una specie di zombie che rinnova il suo aspetto a ogni progetto discografico.
La scaletta del concerto, dopo i brani citati all’inizio, dovrebbe comprendere “The Trooper”, “Powerslave”, “Death Or Glory”, “The Book Of Souls”. E ancora “Hallowed Be Thy Name”, “Fear Of The Dark”, “Iron Maiden”. Fra i bis sono previsti “The Number Of The Beast”, “Blood Brothers” e “Wasted Years”.

venerdì 22 luglio 2016

MARTEDI' IRON MAIDEN A TRIESTE

Insomma, il popolo del rock si appresta a calare di nuovo su Trieste. MARTEDI' in piazza Unità arriva uno dei gruppi che ha scritto la storia del genere. Stiamo parlando di rock duro, anzi, heavy metal, come si diceva un tempo, prima delle mille etichette. Gli Iron Maiden nascono nella Londra del ’75, su impulso del bassista Steve Harris. Primo album nell’80, omonimo, sufficiente a proiettarli nell’olimpo del genere. Carriera coi fiocchi: milioni di dischi venduti, tournèe mondiali, premi. Alla fine dello scorso anno è uscito l’album “The book of souls”, subito balzato in testa alle classifiche di vendita in una quarantina di paesi, Italia compresa. Ora questo tour mondiale che da quel disco prende il nome e che arriva a Trieste, sulla scia di eventi che hanno segnato le ultime estati: Springsteen (eredità dell’ex sindaco Cosolini), Green Day, Pearl Jam...

SEX PISTOLS, ESCE COFANETTO 4 CD

LONDRA
Un cofanetto con quattro cd (oppure quattro vinili, oltre che in digitale), fotografie, materiali vari. A testimoniare quattro concerti dei Sex Pistols. Registrazioni rimasterizzate agli Abbey Road Studios, in uscita in Italia il 26 agosto. Materiale importante, pubblicato nel quarantennale del punk, per una band che ha segnato la storia della musica ma ha avuto vita breve. Anzi, discograficamente brevissima. Si pensi che i Sex Pistols hanno realizzato, “in vita”, un solo album e quattro singoli. Sufficienti però a generare un’influenza sui posteri non ancora esaurita.
Nel primo disco c’è lo show del 4 giugno 1976 al Lesser Free Trade Hall di Manchester, considerato uno dei loro concerti più importanti di sempre. L’evento fu organizzato da Pete Shelley e Howard Devoto, fra il pubblico erano presenti Morrissey e futuri membri dei Joy Division.
Il secondo disco propone il “Midnight Special Concert”, registrato il 29 agosto 1976 al cinema “Screen on the Green” del quartiere londinese di Islington. Per l’occasione i Sex Pistols furono supportati dai Clash e dai Buzzcocks. La leggenda narra che venne impedito l’ingresso ai giornalisti e anche allo staff della casa discografica.
Nel terzo disco il concerto del 17 settembre 1976 registrato nella prigione di massima sicurezza di Chelmsford. Dei quattro “live” che compongono il cofanetto, questo è l’unico registrato professionalmente dal tecnico della band Dave Goodman. L’idea del carcere fu del manager Malcom McLaren, sempre alla ricerca di idee provocatorie. La collezione viene completata da un altro concerto, già uscito come bootleg, registrato il 25 settembre ’76 al “76 Club” di Burton On Trent.
Un’occasione, soprattutto per i più giovani, per conoscere da vicino una delle band più importanti della storia del rock. Si diceva che il cantante John Rotten, il chitarrista Steve Jones, il batterista Paul Cook e il bassista Glen Matlock (sostituito nel ’77 da Sid Vicious) non sapessero suonare. Ma qui ci sarebbe forse da ricredersi.

PUNK, DOPO 40 ANNI

di Carlo Muscatello
LONDRA
Via dall’Europa, ma anche dal punk. Già, perchè quei ragazzacci brutti sporchi e cattivi, i cari vecchi punk, insomma, sembrano non abitare più qui. A Londra, nel quarantennale della nascita del movimento che ha rivoluzionato musica, moda e costume, incrociare per strada ragazze e ragazzi con borchie, spilloni e creste variopinte è diventato ormai un caso tutto sommato raro.
A Piccadilly come a Brixton, a Camden e a Brick Lane, a Covent Garden e a King’s Road, la variopinta umanità giovanile non veste più la vecchia divisa. Il punk sembra (quasi) scomparso dalle vie londinesi, dove non c’è più traccia della sua furia distruttrice e iconoclasta. Sopravvive invece con la sua influenza nel rock contemporaneo. Ed è entrato nei musei, nei teatri, nelle gallerie con le celebrazioni de lle quattro decadi trascorse da quel ’76 degli esordi.
Alla Barbican Art Gallery fino a settembre si può per esempio visitare la mostra “Panic Attack! Art in the Punk Years”, alla Music Library dello stesso centro culturale c’è invece “Rockarchive’s a Chunk of Punk”, che espone l’archivio del fotografo musicale Jill Furmanovsky, dedicato ai protagonisti della scena punk, dai Clash ai Sex Pistols. Alla British Library c’è la mostra “Punk 1976-1978”, che ripercorre la nascita del fenomeno. Ma tutta la metropoli sul Tamigi in questi mesi sembra un palcoscenico dove vanno in scena frammenti di quell’epopea: quasi una “mappa punk” con eventi, rassegne musicali e cinematografiche, sfilate di moda, mostre fotografiche...
In quella grande cittadella della cultura, dell’arte, della musica, dello spettacolo che è il Barbican (situato nella parte a nord della City, sopra la Liverpool Station), passare in rassegna foto, poster, dischi, rarità, memorabilia permette di compiere un viaggio alle origini del genere. Si torna al rockettaro Malcom McLaren (scomparso nel 2010), manager dei Sex Pistols, e a sua moglie, la stilista Vivienne Westwood. Quel loro negozio “Sex” dove tutto ebbe inizio, pieno di jeans strappati, borchie e catene, spilloni e spillette. Quando con il termine punk si indicava, non solo e non tanto un genere musicale, ma tutto quello che andava contro la morale corrente, innanzitutto negli abiti, ma anche negli stili di vita.
Già, la musica. Era il febbraio del ’76, quando sul palco della St. Martin’s School of Arts quattro ragazzacci fanno per la prima volta tabula rasa di tutto quel che il rock era stato fino a quel momento. Via le raffinatezze del “progressive”, della cosiddetta Scuola di Canterbury, ma in malora anche gli stilemi del rock classico. Sono i Sex Pistols, che debuttano pochi mesi dopo, per l’esattezza il 26 novembre, con “Anarchy in the Uk”, il singolo che lanciava l’album “Never mind the bollocks”.
Nell’anno del giubileo d’argento della regina Elisabetta cantano l’irriverente “God save the queen”. Parlano di “regime fascista”, distruggono gli strumenti sul palco, insultano e sputano addosso agli spettatori delle prime file. Ciononostante o forse proprio per questo fanno proseliti e diventano gli idoli e un punto di riferimento per moltitudini di ragazzi e ragazze in cerca di se stessi. La crisi economica e le politiche della Thatcher, che diventa primo ministro nel ’79, faranno il resto.
Come molti movimenti degli anni Sessanta e Settanta, anche il punk voleva cambiare il mondo. Attingendo alle sottoculture proletarie, proponeva una cultura alternativa che è stata però fagocitata dall’industria, dal consumismo, dal mainstream. A girare fra le mostre e le iniziative che la capitale londinese dedica a questi quarant’anni sembra diventato, forse oggi è soltanto un pezzo da museo. E i jeans strappati di milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo somigliano al suo triste nonchè globalizzato epitaffio.

venerdì 8 luglio 2016

COMMENTI RAZZISTI SUI SITI DEI GIORNALI

di Carlo Muscatello (su Articolo 21)

Una rissa originata - pare - da futili motivi fra richiedenti asilo pachistani e afgani, alla caserma Cavarzerani di Udine. Il Messaggero Veneto ne dà correttamente notizia, ma sul sito del giornale (e sui social) si scatena il putiferio: inqualificabili e inaccettabili commenti razzisti, col tono di chi si sente tradito da chi ha accolto a casa sua, con la voglia mai sopita di cacciare gli intrusi. E poi l'intervento di Walter Citti, garante regionale per le persone soggette a rischi di discriminazione, che condanna i commenti, ma parla anche di necessario  miglioramento della politica dell'accoglienza. E infine il solito teatrino della politica: i consiglieri regionali di centrodestra che insorgono (come si permette questo signore, che noi abbiamo messo lì, di dirci che cosa dobbiamo fare e non fare...?), quelli di centrosinistra che ne difendono l'operato.
Ma vediamo cosa ha scritto Citti. Il garante ha espresso «forte condanna per le ricorrenti manifestazioni di odio e intolleranza razziale espresse da taluni lettori attraverso il forum del giornale locale, quando vengono pubblicati articoli su fatti di cronaca che riguardano migranti, rifugiati o minoranze quali Rom e Sinti». E ha invitato a monitorare i commenti dei lettori, ma soprattutto ha aggiunto che è necessario migliorare sotto il profilo della gestione dell’accoglienza.
In consiglio regionale Forza Italia ne chiede le dimissioni. «Citti - tuona il capogruppo Riccardi - non può permettersi uscite politiche e neppure di invocare censure sui commenti, che rispettano la legge, dei cittadini sui servizi di cronaca nei social network».
Di tutt'altro avviso Codega del Pd: «È corretto che Citti segnali e stigmatizzi espressioni razziste apparse sui social network. Il suo compito è infatti quello di evidenziare comportamenti scorretti che alimentano l’odio di stampo razzista».
Secondo l'assessore Torrenti «è di gestione potenzialmente critica l’utilizzo di grandi caserme – invocato ripetutamente dal centrodestra – come la Cavarzerani, allestita per ospitare 250 ospiti ma in grado, in condizioni di emergenza, di aumentare di molto il numero di persone accolte».
Il garante aveva ricordato che "la libertà di espressione trova il giusto limite del rispetto della dignità delle persone e, dunque, viene a cessare quando travalica nella diffamazione, nell’istigazione alla discriminazione, incitamento o diffusione dell’odio razziale, nazionale o religioso".
E quando una notizia, sul sito di un giornale, è aperta ai commenti? Citti raccomanda di adottare al riguardo alcune buone pratiche, già in uso a livello europeo e internazionale, per cercare almeno di prevenire e contenere l’utilizzo dei forum dei commenti dei lettori per la diffusione di messaggi inneggianti all’odio e alla discriminazione. Come "la previsione di una registrazione preliminare alla partecipazione al forum dei commenti; l’indicazione sul portale web di una nota di avvertimento che la pubblicazione di post che diffondano idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico, ovvero incitino alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi può essere perseguita penalmente ai sensi della legislazione vigente (legge n. 205/1993); un monitoraggio puntuale e tempestivo sui commenti pubblicati dai lettori, anche attraverso l’applicazione di appositi dispositivi software in grado di individuare, filtrare e bloccare automaticamente messaggi contenenti espressioni violente, ovvero a bloccare l’accesso a utilizzatori che abitualmente violano tali regole».
Poi la botta alla politica. «Non si può inoltre ignorare - dice Citti - che situazioni di tensione e precarietà come quelle che si sono verificate alla caserma Cavarzerani, o in altri capoluoghi della regione, sono anche dovute all’insoddisfacente governance a livello nazionale del sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonostante gli sforzi e l’impegno profuso a livello locale e regionale».
Ancora: «La diffusa ostilità all’accoglienza dei richiedenti asilo, ove ansie sociali vengono spesso strumentalizzate a fini di facile consenso politico, determinano ritardi e difficoltà nel reperimento di strutture adatte e adeguate alle necessità, e mettono in crisi un equo sistema distributivo della presenze a livello nazionale, di cui fanno scapito le regioni di frontiera più esposte, tra cui il Fvg, che attualmente vede una presenza di richiedenti asilo pari al 3,8 per mille abitanti, sensibilmente superiore alla media nazionale del 2,2 per mille».
Parole di buon senso, insomma. Per dare il proprio contributo, in una terra come il Friuli Venezia Giulia da sempre aperta all'accoglienza ma ormai soggetta anche a pulsioni razziste e xenofobe, alla gestione di un'emergenza che riguarda le istituzioni, la politica e i mass media.
Già, i giornali. Da quando la rivoluzione digitale ha (giustamente) aperto i siti web ai contributi dei lettori, rischiano di essere inconsapevoli strumenti per la diffusione di insulti, commenti razzisti, frasi violente, espressioni di odio e discriminazione. Ma il sito di un giornale non può diventare una cassetta delle lettere, uno sfogatoio aperto al peggio del peggio. Per questo è necessario lavoro in più per i giornalisti che devono leggere, valutare, eventualmente bloccare. E non si tratterebbe ovviamente di censura.