sabato 24 luglio 2004

Grande festa di musica ieri sera in una piazza Unità gremita da migliaia di giovani e meno giovani, accorsi per il concerto gratuito di Edoardo Bennato.

Il cantautore napoletano, che proprio ieri ha compiuto 55 anni, ha cominciato il suo spettacolo alle 21.30 in una serata resa più gradevole da un vento leggero che ha spazzato via l’afa di una delle giornate più calde dell’estate triestina 2004. Completo jeans, scarpe da ginnastica e occhiali neri, ottima forma fisica, Bennato è partito con «L’uomo occidentale», il brano che dà il titolo al suo ultimo album.

Un’occasione per parlare della divisione fra Occidente avvantaggiato già dal clima e dall’alternarsi delle stagioni e Terzo mondo povero, affamato e lasciato indietro sulla strada del progresso già dalla situazione climatico-ambientale. Pochi brani più avanti, «Stop America» gli permette di ricordare che «dall’America vogliamo ancora musica e cultura, non il clamore delle armi, accompagnato dal ghigno di Condoleezza Rice...».

Nel corso della serata, accompagnato dal suo gruppo ma anche in versione «one man band», ha presentato altri brani tratti dal recente disco e i suoi classici cavalli di battaglia.

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«Sono l’uomo occidentale nella classica accezione, cioè nel senso che so bene cosa fare, e so fare molto bene tutto quello che mi pare...». Chitarra elettrica a tracolla, Bennato attacca con «L’uomo occidentale», che dà il titolo al suo ultimo album, e poi spiega che secondo lui non esistono divisioni razziali, c'è una sola umanità che assume diverse caratteristiche a seconda di dove vive. «Tutto dipende dalle variazioni di clima e dai cicli stagionali: l'uomo occidentale è quello che abita le parti più privilegiate del pianeta, e questo vantaggio lo ha spinto a una maggiore evoluzione». Sempre dal nuovo disco propone «Si scrive Bagnoli» e «Balli e sballi», partenza rock che poi vira sui toni della ballata melodica «Ritorna l’estate», fresca e accattivante, stile Beach Boys, proposta l’anno scorso anche come singolo.

Bennato ha voglia di parlare. Ricorda che le prime emozioni della sua vita le ha avute dall’America: da bambino i cartoni di Walt Disney, poi la musica, i juke-box, il blues, il rock... Ma il continente a stelle e strisce è responsabile di aver trasmesso modelli negativi e al tempo stesso di proporre rimedi. Applausi per la frase sulla musica e la cultura al posto delle armi, applausi anche per la tagliente «Stop America».

Ancora divisione del mondo fra fortunati e sfortunati, più che fra buoni e cattivi, con «Every day, every night». È la storia di un uomo che a Kiev, Ucraina, prima del crollo dell’impero sovietico, faceva il professore all’università: ora vive in Occidente, fa il lavavetri ai semafori, aspetta che scatti il rosso ed entra in azione...

Ma Bennato è anche e soprattutto il cantore didascalico delle fiabe, delle filastrocche, dei personaggi collodiani reinventati per tratteggiare argute metafore del potere e dei potenti, dei rapporti interpersonali, della vita. Ecco allora «Mangiafuoco», che stava in un disco del ’77, «Burattino senza fili», ma anche le più recenti «Sbandato» e «Meglio Topolino».

Quando presenta «Le ragazze fanno grandi sogni», il nostro si fa prendere un po’ la mano da un pistolotto «vetero-femminista». Ma si fa perdonare subito quando attacca a cantare e anche dopo, quando ricorda il verso «le ragazze di Trieste...»: «è l’unico che ricordo...», ammette sorridendo, poi introduce per qualche secondo sul palco la statuaria triestina Susanna Huckstep, vent’anni fa giovanissima Miss Trieste e Miss Italia, che nell’87 aveva girato con lui il videoclip di «Ok Italia». Baci, auguri di buon compleanno e via...

La piazza intanto si è ulteriormente riempita. Molti assistono allo spettacolo dalle Rive. Arriva ancora un brano dal nuovo disco, «A cosa serve la guerra», anche questa chiara dichiarazione di intenti e scelta di parte, dopo le frasi sull’America e la contrapposizione fra Occidente ricco e Terzo mondo povero.

Ma un concerto di Bennato non può considerarsi tali senza alcune canzoni. Per introdurle, l’artista partenopeo rimane solo sul palco (in versione «one man band»: chitarra, tamburello azionato col tallone, armonica e kazoo...) e racconta degli esordi. Di quando lasciò Napoli per andare a studiare architettura a Milano, solo perchè lì ci stavano tutte le case discografiche, e da lì era più facile «sognare la musica».

Racconta di quel primo disco, uscito nel ’73, all’inizio passato inosservato ma che poi lo impose nientemeno che come «portavoce della protesta giovanile». E poi finalmente canta: «Abbi dubbi», «Sono solo canzonette», «Il gatto e la volpe», «L’isola che non c’è», «Il rock di capitan Uncino»... In piazza, è il momento dei bambini che hanno resistito al sonno: ora cantano e ballano anche loro.

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