venerdì 6 agosto 2004

«Carissimo Mimmo, sono passati dieci anni da quando te ne sei volato via per chissà dove. Qui non ti sei perso niente di bello. Le solite castronerie dei politici, degli economisti e degli integralisti ci hanno coinvolti in una guerra, anzi, in una missione di pace, con delle vittime di guerra che però sono di pace...».

Così scrive Franco Migliacci al suo amico Domenico Modugno, morto il 6 agosto del 1994 nella sua casa affacciata sul mare di Lampedusa. Immaginando che il vecchio Mimmo, lassù, «chissà dove», possa ancora sentire le parole del suo antico compagno d’avventura.

Leggenda vuole che Migliacci, uno dei più grandi parolieri italiani, attualmente presidente della Siae, abbia scritto i primi versi di «Nel blu dipinto di blu», nota in tutto il mondo come «Volare», mentre aspettava proprio Modugno che era in ritardo, guardando un quadro di Chagall («Le coq rouge») e bevendo un bicchiere di vino.

In quel quadro, un omino sospeso a mezz’aria sembrava volare nel cielo blu. Era lo spunto. «Penso che un sogno così non ritorni mai più, mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi d'improvviso venivo dal vento rapito e incominciavo a volare nel cielo infinito...». Versi moderni, evocativi, quasi pittorici, lontani mille miglia dal conformismo e dalla banalità e dal piattume delle canzonette dell’epoca. Musicarli, per Mimmo, fu un gioco e un godimento. Ispirato dal presagio che, dopo tanta gavetta, quella era la volta buona. Ma senza poter immaginare che quella sarebbe diventata la canzone italiana più famosa nel mondo.

Siamo nel ’58. E quando il trentenne Modugno (classe ’28, pugliese di Polignano a Mare anche se tutti pensavano fosse siciliano), sul palco del Festival di Sanremo, spalanca le braccia e, quasi a simulare un volo liberatorio, intona quel ritornello («Voo-laa-ree...»), in un istante, come per incanto, vengono cancellati decenni di retorica, di ipocrisia, di perbenismo.

Per la canzone e tutto sommato anche per il costume italiani, è una rivoluzione. Per le cose di casa nostra, una rivoluzione assimilabile a quella rappresentata dall’avvento, un paio di anni prima, di Elvis Presley e del rock’n’roll. Le braccia spalancate di Modugno mentre intona «Voo-laa-ree» stanno infatti al bacino roteante di Elvis the Pelvis come l’Italia - dove i cantanti ancora gorgheggiavano versi caramellosi con la mano suo cuore - sta agli Stati Uniti.

In un Paese che ha fretta di cambiare, che si è da poco lasciato alle spalle le tragedie della guerra ma vuole anche mettere da parte tristezze e ristrettezze del primo dopoguerra, che è insomma pronto a vivere il suo illusorio boom economico, la sua fetta di benessere quasi a portata di mano, quei versi e quelle braccia spalancate acquisiscono una valenza che va ben al di là dell’ambito strettamente canoro. In buona sostanza, quella canzone e quel cantante diventano - anche all’estero - il simbolo di un’Italia che vuole e deve voltar pagina. Quasi un ideale confine fra vecchio e nuovo.

Modugno, che di lì a poco tutto il mondo conobbe come «Mister Volare», visto che la canzone ebbe e ha ancora fama planetaria (all’epoca due Grammy Award e ben tredici settimane in testa alle classifiche di vendita americane...), arrivava dal mondo della canzone dialettale. Dal paesino pugliese era scappato presto. Destinazione Torino, poi Roma, dove al Centro sperimentale di cinematografia conosce Migliacci. Esordio - primi anni Cinquanta - nel cinema e a teatro, dove gli capita di interpretare canzoni siciliane e napoletane. Alla radio, dove gli affidano dei programmi, ritrova Franca Gandolfi, conosciuta al Centro di cinematografia, che diventerà la compagna di tutta la vita e la madre dei suoi figli. Ai quali, molti anni dopo, quando la storia era già entrata nella parabola discendente, pare avesse detto: «Forse non vi lascerò una lira. Ma erediterete "Volare" e ci potrete vivere bene voi, i vostri figli e i figli dei vostri figli...».

Denari a parte, Modugno ha lasciato tante canzoni. Oltre a «Nel blu dipinto di blu», almeno una decina di titoli del suo canzoniere fa parte della memoria collettiva: da «Piove» a «Vecchio frac», da «Dio come ti amo» a «Resta cu’ mmè», da «Libero» a «Tu sì ’na cosa grande»... È passato alla storia perchè ha svecchiato la canzone italiana, aprendo di fatto la strada alla grande stagione dei cantautori degli anni Sessanta.

Ma la vita gli ha riservato anche prove difficili. Nel 1984, durante le prove di una trasmissione televisiva su Canale 5, viene colpito da un ictus. Sopravvive, ma perde l’uso delle gambe e, in parte, della parola. Il recupero è lungo e difficile. Ma qui viene fuori la tempra e la grinta dell’uomo meridionale abituato ad affrontare le difficoltà.

Nel 1987 viene eletto deputato per il Partito Radicale e si spende in una serie di battaglie civili a favore dei più deboli. Non a caso, il suo primo concerto dopo la malattia lo tiene nel 1989 per i pazienti dell'ospedale psichiatrico di Agrigento.

E in quello stesso ’89, a Trieste, in una pausa dei lavori del consiglio federativo del Partito radicale, che si svolgeva alla Stazione marittima, confessò al nostro giornale: «La malattia mi ha fatto scoprire l’impegno politico, che oggi mi dà la forza per andare avanti. Ho vissuto a contatto con gli ospedali e ho deciso di combattere questa battaglia. Perchè oggi, in Italia, se non hai soldi o santi in paradiso, quando ti ammali ed entri in un ospedale sei trattato in una maniera indegna. Ho visitato l’ospedale psichiatrico di Agrigento, dove i malati sono abbandonati neanche fossero cani, spesso nella sporcizia, senza nessuna assistenza...».

Oggi la sua Polignano a mare («La parola mare - disse una volta - è presente nell'ottanta per cento delle mie canzoni: è il mare di Polignano...») ricorda Domenico Modugno con varie iniziative: una mostra documentaria, una serie di proiezioni di film, sceneggiati e opere teatrali introdotte da personaggi dello spettacolo, fra cui Franco Migliacci. La vedova di Modugno, Franca Gandolfi, donerà al piccolo Comune pugliese l'archivio personale del marito.

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