Voglio trovare un senso, canta Vasco Rossi. E l’altra sera è andato a cercarlo sul palco di Sanremo, nello stesso luogo che oltre vent’anni fa l’ha (mal)trattato come un debuttante sbandato qualsiasi, ma che paradossalmente ha rappresentato la svolta della sua incredibile carriera. Per questo ha scelto di tornare, per «chiudere il conto», regalando una breve ma memorabile performance. Difficile cantare dopo Vasco, ha detto giustamente qualcuno. Ma ancor più difficile «trovare un senso» nell’eterna saga del Festival, dove ogni anno cerchiamo e speriamo di riuscire a salvare qualcosa. Di musicale, magari.
Perchè anche in questo 55.o Festival di Sanremo, nonostante i passi avanti fatti dai responsi delle giurie e del televoto, l’anello debole della grande macchina rimangono le canzoni. Si sa: con le canzoni che accettano di andare in gara a Sanremo non si fanno grandi ascolti. E oggi la pessima televisione italiana del 2005 non va da nessuna parte, non accetta nemmeno di partire, senza grandi ascolti. Ecco allora la scelta di affidare il gioiello buono di famiglia a una garanzia - almeno da questo punto di vista - come Paolo Bonolis, attualmente con Fiorello il miglior uomo di spettacolo popolare televisivo italiano. Ecco la scelta di riempire il contenitore di cose e persone che con la canzone c’entrano poco e nulla: Mike Tyson, Hugh Grant, Ale e Franz... Ecco le serate-monstre che durano fino all’una e mezzo di notte, perchè Bonolis è logorroico ma anche per guadagnare un punto in più di share.
Il meccanismo delle cinque sezioni, con i cinque vincitori fra i quali il televoto ha scelto il vincitore assoluto, tutto sommato ha funzionato. Tanto che Bonolis e il suo agente pare ci vogliano mettere il copyright, in modo da incassare diritti anche in futuro, qualora venisse riutilizzato con altri conduttori e altri direttori artistici.
Alle giurie va addebitato la bocciatura di un grande assoluto come Nicola Arigliano, lieve e ironico e amabile come solo un giovane nonnetto di ottantuno primavere, cresciuto ad aglio e jazz, sa essere. Ma non giustificato appare anche l’aver lasciato fuori dal rush finale un buon gruppo come i Velvet, un personaggio del livello di Franco Califano, giovani di qualità assoluta come i Negramaro ed Enrico Boccadoro. A parziale consolazione, va riconosciuto che in passato le giurie hanno saputo lasciare a referto danni ben peggiori.
Al combinato congiunto fra giurie e televoto va riconosciuto il merito di aver fatto vincere un artista come Francesco Renga. Serio, pulito, simpatico, con una bella canzone interpretata con il giusto pathos. Grazie a lui abbiamo cancellato l’incubo di mandare in archivio un Festival con la vittoria - per fortuna solo annunciata - di Gigi D’Alessio... Ma il meccanismo di voto ha portato anche all’incredibile affermazione di Nicky Nicolai con lo Stefano Di Battista Quartet (praticamente sconosciuti al grande pubblico fino a pochi giorni fa) e di Antonella Ruggiero: con loro è stata premiata la qualità. Lavoro meno buono nella categoria Giovani. Già detto dell’assurda eliminazione dei salentini Negramaro (prodotti da Caterina Caselli: dunque possono star tranquilli per il futuro...) e del romano Boccadoro, va anche detto che gli abruzzesi La Differenza avrebbero meritato la vittoria molto più di Laura Bono. Ma non si può avere tutto dalla vita...
La canzone più bella del Sanremo 2005, come il pubblico ha già capito, non è comunque nessuna di quelle premiate né di quelle citate. S’intitola «I bambini fanno ooh...», la canta un ragazzo di nome Povia, trentatre anni, milanese originario dell’Isola d’Elba. Quando Bonolis l’ha sentita, l’ha voluta al Festival, ma essendo già stata eseguita in pubblico non poteva partecipare alla gara. Allora è diventata la sigla di «Avanposto 55», l’operazione umanitaria per aiutare i bambini sudanesi del Darfur, lanciata nei giorni del Festival.
Festival che ora viaggia - dicono - verso un futuro da reality show. La prova generale è stata fatta quest’anno, mandando in onda in diretta la quotidiana conferenza stampa di mezzogiorno. Dall’anno prossimo, per i cinque giorni del Festival, rischiamo di vedere trasmesso tutto: prove, pranzi, cene, passeggiate, cazzeggi, ventiquattr’ore su ventiquattro. È la brutta televisione italiana del 2005, baby...
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