Alla fine l’ha spuntata Francesco Renga. Il trentasettenne cantautore nato a
Udine (ma cresciuto a Brescia) ha vinto con la canzone «Angelo» la 55.a
edizione del Festival di Sanremo. Gigi D’Alessio, indicato come il
favoritissimo della vigilia, si è dovuto inchinare davanti alla bella
canzone e all’interpretazione ricca di pathos dell’ex cantante dei Timoria.
Ieri sera Renga ha prima vinto il Festival nella sua categoria, quella degli
Uomini, grazie al voto delle giurie. E poi, grazie al televoto della grande
platea televisiva, si è aggiudicato anche la vittoria finale, davanti ai
vincitori delle altre quattro categorie: Nicky Nicolai e lo Stefano Di
Battista Quartet fra i Gruppi, Toto Cutugno con Annalisa Minetti fra i
Classic, Antonella Ruggiero fra le Donne e Laura Bono fra i Giovani.
Il successo di Renga, ma anche quello di Nicky Nicolai (pensate: un gruppo
di validi jazzisti sconosciuti alla grande platea televisiva fino a pochi
giorni fa...) e di Antonella Ruggiero, parlano il linguaggio della qualità,
quasi sempre bistrattata nella città dei fiori. E questo è sicuramente un
punto a favore del Festival di quest’anno.
Un Festival a immagine e somiglianza di Paolo Bonolis, conduttore e
direttore artistico premiato dal pubblico con ottimi ascolti che a Sanremo
non si vedevano da diversi anni. Bonolis funziona per la sua ironia, per la
sua velocità, per la sua capacità di sdrammatizzare tutto e tutti con
un’occhiata, una battuta, una citazione. Ma anche per la sua sensibilità al
sociale. Al suo fianco, in fondo in fondo hanno funzionato anche le sue
partner: quell’Antonella Clerici imbarazzante da vedere e quella Federica
Felini imbarazzante da sentire, ma entrambe sufficientemente ironiche e
autoroniche per reggere la parte per le cinque serate del Festival.
Ma ieri la finale è stata, come annunciato e come previsto, una serata
giocata soprattutto sotto il segno di Vasco Rossi. In apertura il
cinquantatreenne rocker di Zocca, che ha scelto di tornare «sul luogo del
delitto» oltre vent’anni dopo (era al Festival nell’82 e nell’83, ultimo e
penultimo con «Vado al massimo» e «Vita spericolata»), ha regalato emozioni
ricordando una strofa proprio dell’antico capolavoro «Vita spericolata» e
cantando la canzone forse più rappresentativa della sua ultima produzione,
«Un senso». Poi ha tentato di filarsela, un po’ alla maniera di Springsteen
nel ’96, richiamato però in scena da Bonolis.
«Una volta scappavo sempre. Ora ho smesso di scappare - ha detto il Blasco
-, sono tornato su questo palco per restituire il microfono che ho portato
via vent’anni fa (riferimento a un mezzo incidente tecnico avvenuto nell’83
- ndr). Vorrei ringraziare questo palcoscenico perchè da qui è cominciata
questa straordinaria avventura e auguro a tutti i cantanti in gara questa
sera di vivere una storia come la mia. In più volevo salutare tutti quelli
che stanno guardando il Festival ma che domani diranno che non è vero...».
Poi una battuta sul fumo («Non voglio rubare altro tempo perchè ho un brutto
vizio, fumo. E come tutti i fumatori fumo fuori. Ricordo però che nei dieci
comandamenti si dice non rubare, ma no non fumare...»), e finalmente via per
davvero. Lasciando spazio alla gara. In una serata più stringata di quelle
precedenti.
Fra le doti di Bonolis non c’è quella della sintesi. E infatti le prime
quattro serate (soprattutto quella di venerdì), per quanto riguarda gli
sforamenti d’orario, hanno quasi fatto rimpiangere Baudo. Che è tutto dire.
Ma ieri sera, poco prima di mezzanotte, le canzonette hanno lasciato lo
spazio alla realtà, quella più dura, più tragica, rappresentata dal rientro
in patria della salma di Nicola Calipari, ucciso dagli americani dopo la
liberazione di Giuliana Sgrena.
Poi, di nuovo linea all’Ariston, per la proclamazione del vincitore. Ma con
la morte nel cuore. «Per l’assurdità di qualunque guerra», come ha detto
Bonolis chiedendo un minuto di silenzio. Difficile parlare di Sanremo, di
questi tempi.
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