di Carlo Muscatello
Simone Cristicchi ha vinto il 57.o Festival di Sanremo con la canzone «Ti regalerò una rosa». Secondo Al Bano con «Nel perdono». Terzo Piero Mazzocchetti con «Schiavo d’amore». Seguono Daniele Silvestri con «La paranza», e poi nell’ordine Mango, Paolo Meneguzzi, Tosca, Francesco e Robi Facchinetti, Zero Assoluto e Antonella Ruggiero. La serata finale è cominciata con Mike Bongiorno e Pippo Baudo, 150 anni e 23 festival in due, a cantare assieme «Siamo la coppia più bella del mondo...». Ed è proseguita, con tutti i cantanti in gara e gli ospiti, fino all’una e mezzo.
Ma diamo stavolta per scontato tutto il male che si può dire, scrivere e leggere del Festival di Sanremo. Ricordando soltanto che non possiamo continuare a sopportare, nel 2007, maratone televisive di cinque o sei ore in cui l’unica parola d’ordine è allungare il brodo. Per una volta fermiamoci alle canzoni, che dovrebbero essere l’anima del festival. E diciamo allora che, pesando soltanto i brani e i loro interpreti, è stato un grande Festival di Sanremo. Sicuramente il migliore da moltissimi anni a questa parte.
Prendiamo i cosiddetti Campioni. Non era mai successo, a memoria di cronista, che più della metà delle canzoni in gara fosse di un livello qualitativamente più che sufficiente. In certi casi addirittura buono o ottimo. Dopo aver toccato il fondo lo scorso anno, quando la vittoria di Povia non è bastata a salvare uno dei peggiori festival dell’era moderna, stavolta la presenza di Pippo Baudo come direttore artistico ha riportato sul palcoscenico dell’Ariston la qualità.
Su tutti Simone Cristicchi, il trentenne romano noto in passato per il tormentone «Vorrei cantare come Biagio». Per il suo secondo Sanremo (lo scorso anno era stato confinato fra i Giovani) se n’è venuto fuori con questo piccolo capolavoro di arte, sensibilità, umanità. «Ti regalerò una rosa» - anche Premio della critica - parla di malattia mentale («i matti sono punti di domanda senza frase...»), di disagio, di marginalità. Lo fa con prodigiosa leggerezza, con partecipe rispetto, con amore. Una canzone che riconcilia con il mondo, con la vita. Il fatto che abbia vinto aggiunge valore alla rassegna.
Livelli alti anche con Daniele Silvestri e «La paranza». Un calipso anarchico pieno di ironia e nonsense, fra fritto misto e latitanza. Ritmicamente irresistibile nella sera del duetto con i tamburi poveri di Capone e Bungt Bangt.
Ma il podio della qualità deve per forza di cose far spazio anche a Fabio Concato e al suo disoccupato cinquantenne messo ai margini da questo mondo che va di fretta, al garibaldino Paolo Rossi che ha fatto rivivere il genio e la sregolatezza di un altro grande ousider del passato come Rino Gaetano, al gioiellino felliniano circense di Tosca, al mondo degli artisti falliti disegnato da Giorgio Faletti per la grande e inarrivabile Milva, alla follia quasi avanguardista di Nada...
Una lista, quella dei promossi, che è ancora lungi dall’esser conclusa. Sì, perchè se parliamo di canzoni e interpretazioni degne almeno di una buona sufficienza (roba che a Sanremo, negli ultimi decenni, andava ricercata col lanternino...), non possiamo dimenticare la magica voce contro tutte le guerre di Antonella Ruggiero, la classe swing da vecchio crooner di Johnny Dorelli, la straniata raffinatezza jazzy di Amalia Grè, la dignitosa canzone pop degli Stadio, la sana melodia rock dei Velvet, persino il romanticismo giovanilista degli Zero Assoluto... Anche se il voto finale ha premiato, dietro Cristicchi, le proposte a nostro avviso meno valide di Al Bano e di Piero Mazzocchetti.
Comunque, con quel che passava il convento negli anni passati, qui c’era materiale per farne tre, di festival, non uno. Aggiungiamo il fatto che molte di queste canzoni hanno portato al festival quello che si chiama «il Paese reale». Tematiche come il disagio psichico e sociale, la disoccupazione e il precariato, la guerra e la lotta alla mafia (grazie alla splendida vittoria di Fabrizio Moro fra i Giovani con «Pensa», coraggiosa orazione antimafia) sono entrate forse per la prima volta ma sicuramente per la prima volta tutte assieme nel mondo finto, nell’universo parallelo, nella realtà assai virtuale del Festival di Sanremo. E il risultato finale è che la 57.a edizione della rassegna che è sempre stata nel bene e nel male uno specchio del Paese, annusandone gli umori e anticipandone i cambi di stagione, verrà ricordata come una delle migliori. Al netto ovviamente di Michelle Hunziker, della lentezza, dei tempi lunghi, dei comici fuori posto e di tutto quello che con le canzoni e la musica non c’entra nulla...
La formula di quest’anno è una base su cui si può lavorare. A patto venga emendata da tutto quello che odora solo di brutto show televisivo. Sanremo vive una contraddizione: da un lato è l’ultimo avanposto di un mondo, di una televisione, che non esistono più; dall’altro, complice la passione sincera di Baudo (che avrà tutti i suoi caricaturali difetti, ma è un professionista che vive nella musica da sempre), vuole rimettere al centro dell’attenzione le canzoni. Che in televisione da anni sono trattate malissimo, nell’errata convinzione che non facciano ascolti.
Ripartiamo dal fatto che non è vero. Che i risultati di quest’anno - ammesso e non concesso che si voglia continuare a riservare centralità al dio Auditel - dimostrano una piccola grande inversione di tendenza: scende l’idiozia del Grande Fratello, sale l’arte povera e nobile delle canzoni, quando sono buone canzoni.
Salviamo allora l’idea dei duetti, che anche quest’anno hanno dato la riprova del fatto che se ai cantanti viene chiesto e permesso di fare il loro mestiere, che quando alla musica viene restituito un minimo di centralità, i risultati e le emozioni arrivano. Salviamo anche la possibilità (fino a pochi anni fa negata dal regolamento) di far partecipare al festival alcuni superospiti italiani. Si è dimostrato che non toglie nulla, ma aggiunge molto. Come si è visto nella serata con Battiato, Elisa, Gianna Nannini, Tiziano Ferro...
Insomma, rimandate a casa l’ilare svizzerotta col suo milione di euro, tenete Baudo solo come direttore artistico, tirate fuori dal cilindro due ragazzi svegli e da lì ricominciate. Che forse il peggio, per Sanremo, è passato.
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