MARIANNE FAITHFULL
BOLOGNA Ricordate Maggie, la casalinga dimessa ma ”a luci rosse” del film ”Irina Palm”? Bene, dimenticatela. Fuor di finzione cinematografica, e restituita al rock e ai suoi mille interessi artistici, Marianne Faithfull è oggi una bella e carismatica signora di sessantadue anni che mantiene intatti fascino, classe e grinta dei tempi belli. Di quando era musa e compagna di Mick Jagger, icona della swinging London degli anni Sessanta, fidanzata del rock... Testimone e protagonista di un’epoca che ha cambiato le nostre vite.
Bologna le ha appena dedicato un festival di due giorni: concerto, rassegna di film, lettura dei Sonetti d’amore di Shakespeare, incontro con il pubblico. Da domani è a Roma, all’Accademia di Santa Cecilia al Parco della Musica, quale protagonista vocale de ”I sette peccati capitali” di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Niente male, per una che era considerata solo ”una raccomandata dei Rolling Stones”.
«Da ragazza - ricorda la Faithfull - ero molto insicura. Sognavo il cinema, la musica, la letteratura. Non sapevo cosa avrei fatto, ma non avrei mai immaginato di riuscire a fare tante cose e così diverse. Come ci sono riuscita? Con la passione e soprattutto l’aiuto del pubblico».
Una Marianne del 2009 avrebbe le stesse possibilità?
«Temo di no. Io ho avuto una vita meravigliosa, vivendo in un’epoca splendida. Non credo che oggi una ragazza avrebbe tante possibilità di fare tante cose. Oggi tutto è tv, reality, soap opera: difficilmente da lì viene fuori qualcosa di buono. Ragazzi, state alla larga dai talent show: è tutta roba finta...».
Negli anni Sessanta, invece...
«Allora furono rotti tutti i confini: sociali, culturali, sessuali. In giro si respirava un grande eslosione creativa: Allen Ginsberg, Andy Warhol, John Lennon, gli Stones, Mario Schifano... Anche oggi ci sono artisti che fanno buona musica (Antony, Pj Harvey, Nick Cave...), ma quel periodo rimane irripetibile. C’era più fantasia».
Si ricorda di Sanremo?
«Era il ’65. Ero una bambina. Avevo appena inciso il mio primo disco, ”As tears go by”, scritta per me da Mick Jagger e Keith Richards. La casa discografica mi mandò al vostro festival, del quale non ricordo molto, tranne che da allora cominciò il mio rapporto speciale con l’Italia, dove torno sempre volentieri. Mio padre era professore di italiano. E io ho amato moltissimo Mastroianni, Fellini, Bertolucci, De Sica...».
È vero che pensa a un film sulla sua vita?
«Mi piacerebbe. Dopo ”Irina Palm” mi hanno offerto ruoli poco interessanti, solo parti di madre. Vorrei invece trovare un bravo regista, giovane, che potesse raccontare la storia della mia vita. Un film in cui ovviamente non reciterei ma che non dovrebbe essere una semplice biografia. Niente sesso, droga e rock’n’roll, insomma...».
Ha detto un regista giovane?
«Sì, è fondamentale. Voglio uno con un punto di vista diverso da quello delle persone della mia età, libero dai ricordi. Io lavoro bene con i giovani: anche nella musica sono circondata da ragazzi».
Passato e presente che si incontrano?
«A scuola amavo la filosofia e la matematica. Della prima mi piaceva proprio la possibilità di far convivere passato, presente e futuro. Della seconda il concetto delle due linee parallele che viaggiano assieme ma non si incontrano mai. Io provo a fare queste cose. Cerco di vivere in maniera simultanea. Quello che faccio ora indica quel che farò domani. Ciò vale anche per l’ambiente, la terra, l’umanità».
Il nuovo disco?
«Dentro ”Easy come, easy go” ho messo canzoni di Duke Ellington, Brian Eno, Leonard Bernstein... Sono contenta di averlo realizzato con il mio amico Hall Willner, che aveva prodotto già ”Strange weather” e il live ”Blazing away”, ormai vent’anni fa...».
Questi ”Sette peccati capitali”?
«Sono dieci anni che porto in scena le canzoni dell’ultimo spettacolo di Brecht e Weill, scritto durante l’esilio a Parigi dalla Germania nazista. Adoro le musiche di Weill e anche l’approccio di Brecht ai temi sociali. Ma è uno spettacolo che parla all’uomo di oggi, che racconta il nostro presente pieno di avidità e invidia. Forse parla più dei nostri anni che di quelli in cui è stato scritto».
A Vienna le hanno dato un premio alla carriera...
«Preferisco questo festival che mi ha dedicato Bologna. È la prima volta. Ma anche il premio alla carriera è il primo. Va bene, altrimenti sarei preoccupata. Di solito queste cose le danno quando la carriera sta finendo. Ma io ho ancora tanti progetti...».
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