NEK A UDINE
Stasera a Jesolo, domani al ”Nuovo” di Udine. E il 16 maggio a Trieste, in piazza Unità, per i Trl Music Awards. Il tour di Nek, partito un mese fa da Torino, procede col vento in poppa. E dopo questa prima parte italiana proseguirà anche all’estero: Europa, America Latina, Giappone...
Sì, perchè Filippo Neviani - questo il suo nome all’anagrafe di Sassuolo - fa parte di quel ristretto drappello di cantanti italiani che cantano e hanno successo anche all’estero. La Pausini, Ramazzotti, Tiziano Ferro, Zucchero, Paolo Conte, ma anche lui, il ragazzo nato a Sassuolo nel ’72, che da ragazzo suonava musica country in un duo chiamato Winchester...
«Sì, facevamo pezzi degli America, di Simon & Garfunkel, di John Denver. Poi divenni cantante e bassista di un gruppo rock, i White Lady, che nel ’91 lasciai per tentare la carta solista: Castrocaro, subito dopo Sanremo, e la storia cominciò per davvero».
A Sanremo però le spararono addosso.
«Era il ’93. Avevo scritto una canzone, ”Figli di chi”, ma i miei discografici decisero di affidarla a Mietta. In pochi giorni nacque allora ”In te”, che raccontava la storia vera capitata al mio paroliere: lui voleva tenere il bambino, lei decise di abortire... Col senno di poi, non avrei mai immaginato di trovarmi in mezzo a tutto quel casino».
Polemiche simili a quelle toccate quest’anno a Povia?
«Beh, in effetti un po’ mi ci sono rivisto, in quello che gli è capitato con ”Luca era gay”. La differenza è che lui era vaccinato e ha cavalcato la polemica, mentre io ero un debuttante, e mi ritrovai travolto fra abortisti, femministe, eccetera eccetera...».
Ma arrivò terzo fra i giovani. E da lì partì una carriera coi fiocchi.
«Mi salvò il fatto di avere il pubblico dalla mia parte. La gente capì che ero in buonafede: volevo solo raccontare una storia, non cercavo di certo le polemiche».
All’inizio era un cantante per ragazzine.
«Sì, il mio pubblico era formato da giovanissimi. Ma poi è cresciuto con me. E oggi ai miei concerti lei può trovare spettatori di varie età, anche genitori e figli. Penso di averli convinti innanzitutto con la mia onestà».
All’estero?
«Lì la partita è ancora più emozionante. Ho cominciato in Spagna e nei paesi di lingua latina, dove continuo a cantare in spagnolo. Ma in Francia, in Germania, persino negli Stati Uniti e in Giappone canto in italiano. E alla gente va bene così».
Il nuovo disco s’intitola ”Un’altra direzione”. Quale?
«In quel titolo c’è la mia voglia di ricominciare, di lasciare tutto e andare, cambiare giro e poi trovare un’altra direzione. Vivo una fase compositiva sperimentale: per me è un viaggio pieno di possibili strade e direzioni. Non so dove mi porteranno».
Nel disco c’è un duetto con Craig David.
«Gran bella esperienza. ”Walking away” è nata per caso, mi avevano chiesto di fare qualcosa assieme al cantante inglese, a me piacciono le sfide. E ci siamo trovati perfettamente. Magari faremo qualcosa anche dal vivo».
La discografia è in crisi.
«C’è poco rispetto per la musica e per chi fa musica. Sta passando questa tendenza di massa secondo la quale è legittimo rubare musica. E la scusa che il prezzo dei cd è alto non regge: allora andiamo a rubare tutto quello che costa tanto... No, la verità è che la musica è bistrattata, non viene tratta come la forma di arte che è».
I talent show?
«Sostituiscono i vecchi talent scout. E sono utili se permettono a nuovi talenti di emergere. Ma ci vogliono sempre capacità e fortuna. Prenda Giusy Ferreri: bravissima, con quella voce riconoscibile, ma se non trovava Tiziano Ferro che le produceva il disco...».
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