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giovedì 15 novembre 2012
TEATRO DEGLI ORRORI domani a Trieste
Il nuovo rock italiano parla la loro lingua. La lingua colta e dura del Teatro degli Orrori, considerato da pubblico e critica uno dei migliori gruppi della scena attuale. Il loro terzo album s’intitola “Il mondo nuovo”, come il lungo tour cominciato a primavera da Pordenone e che arriva domani sera a Trieste, all’Etnoblog. Per il batterista del gruppo, il triestino Francesco Valente, un ritorno a casa...
«Con Francesco suoniamo assieme da tanti anni - dice Pierpaolo Capovilla, cantante e leader della band -, dai tempi di One Dimensional Man. E assieme eravamo anche nel nucleo di base che ha dato vita al Teatro degli Orrori, già nel nome un tributo ad Artaud e al suo “Teatro delle crudeltà”...».
Citazioni e riferimenti culturali sono una sua costante.
«Sì, sono un affezionato citazionista. Sbatto i poeti nella contemporaneità. Se poi l’ascolto della nostra musica induce qualche ragazzo ad andare a cercare un libro, beh, vorrà dire che avremo fatto qualcosa di utile».
È vero che per “Il mondo nuovo” voleva citare De Andrè?
«Sì, volevamo intitolarlo “Storia di un immigrato”, parafrasando la sua “Storia di un impiegato”. Poi ci è sembrato un po’ presuntuoso. E abbiamo cercato un altro riferimento».
Trovandolo in Aldous Huxley.
«Esatto, nel suo “Brave new world”, in italiano proprio “Il mondo nuovo”, romanzo di fantascienza in cui nel lontano 1932 lo scrittore inglese immaginava un mondo in cui tecnologia e genetica l’avrebbero fatta da padrone».
Lei dice che ci siamo vicini?
«Beh, sicuramente tecnologia e genetica hanno cambiato il mondo in cui viviamo. La globalizzazione di cui si parla tanto è innanzitutto una nuova divisione mondiale del lavoro, da cui emerge la figura del migrante».
Di cui parla il disco.
«Sì, il nostro è una sorta di “concept album”, come quelli che uscivano negli anni Settanta. Sedici istantanee, sedici piccole storie di viaggio e speranza, di lontananza e solitudine, purtroppo anche di violenza e morte».
Come quella di “Ion”.
«Ion Cazacu era un operaio rumeno ucciso nel 2000 a Varese da un italiano. Una vicenda terribile e paradigmatica. Quando il fatto avvenne mi colpì molto, avrei voluto scrivere subito qualcosa, ma all’epoca il Teatro degli Orrori nemmeno esisteva. Quando abbiamo deciso di fare un disco sui migranti la sua storia mi è tornata in mente».
In certi brani avete quasi un approccio giornalistico.
«Certo. La cronaca nera è un autentico serbatoio di spunti, di idee. Sulle pagine dei giornali troviamo fatti dai quali emerge la vita reale, che è poi quella che vogliamo raccontare».
Nel brano “Rivendico” citate persino Slavoi Zizek.
«Il filosofo sloveno è un grande intellettuale post-marxista, capace di guardare al futuro con riferimenti alla cultura popolare. Lo citiamo con Pasolini e Asor Rosa, a mo’ di provocazione. Provocazione che alcuni non hanno capito».
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