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mercoledì 21 novembre 2012
FEGIZ, successo al Rossetti
C’è un momento di autentica commozione, sul palco e in platea, nello spettacolo “Io odio i talent show”, che Mario Luzzatto Fegiz ha portato ieri sera in un affollato Rossetti. È quando alla fine del primo tempo, parlando delle origini del Festival di Sanremo, il giornalista e critico musicale triestino, per l’occasione trasformato in showman, ricorda la sua infanzia davanti alla tivù.
«A Trieste, occupata dagli angloamericani, c’era una canzone che ci faceva piangere tutti. Era “Vola colomba” di Nilla Pizzi: “che inginocchiato a San Giusto (canticchia - ndr), prega con l’animo mesto, fa che il mio amore torni, ma torni presto...”. L’amore che doveva tornare era l’Italia. Quella canzone era dedicata all’Italia, a cui noi sognavamo di appartenere».
In altre parti d’Italia questi versi vengono accolti da applausi educati (“del primo tipo”, per usare la definizione offerta a inizio spettacolo), qui è mancato poco alla standing ovation. Doveroso tributo a un triestino "propheta in patria" che ha lasciato la città da adolescente, senza in realtà mai abbandonarla. Tributo ricambiato da vari passaggi in dialetto che ovviamente non sono presenti nel copione originale.
Lo show nasce dall’autoironica riflessione di un critico che vede il suo ruolo, la sua potenza spazzati via nell’epoca dei talent show, dei social network, dei televoti, degli sms. Ma diventa ben presto lo spunto per raccontare - oltre a parte della sua vita - fatti e misfatti di mezzo secolo di musica popolare. Affiancato dal chitarrista e cantante Roberto Santoro e dal fisarmonicista ucraino Vladimir Denissenkov, Fegiz - con la collaborazione di Giulio Nannini e Maurizio Colombi per testi e regia - squaderna decine di aneddoti su Tenco e Mogol-Battisti, De Gregori e Dalla, Michael Jackson e Madonna, Sanremo e i personaggi emersi dai “talent”.
Il fondale è rappresentato da una vecchia radio, in una scena completata da un jukebox, una scrivania, la scritta “on air”, dischi di vinile sparsi ovunque. Fra le sue proustiane “madeleine” sfornate nella villa di famiglia di via Rossetti, Fegiz sfoggia verve, autoironia e memoria elefantina, accennando persino qualche passo di twist. Dimostrandosi istrionico e versatile animale da palcoscenico.
A Trieste accoglienza molto affettuosa, a tratti trionfale. E alla fine bis pensati apposta per la platea di casa.
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