LA CRICCA, di Sergio Rizzo
A San Daniele del Friuli, ben settecento anni fa, avevano già capito tutto. In tema di divisione fra interessi pubblici e privati, s’intende. Sentite infatti cosa prescriveva lo statuto trecentesco di quel comune: «Nell’intento di evitare e stroncare, per quanto ci è possibile, discordie e scandali interni, decretiamo e prescriviamo che, qualora un ex consigliere o un consigliere in carica sia parente o congiunto di una persona la quale abbia qualcosa da trattare o da discutere in consiglio, tale ex consigliere o consigliere in carica venga subito allontanato dal consiglio, su iniziativa del giurato della comunità, per tutto il tempo in cui si discuterà la pratica e non gli sarà permesso di intervenire in alcun modo alle deliberazioni riguardanti il parente o congiunto...».
La curiosità storica, assieme a mille altre ben più recenti, è stata scovata da Sergio Rizzo, inviato del Corriere della Sera e scrittore, nel suo nuovo libro ”La Cricca”, sottotitolo ”Perchè la repubblica italiana è fondata sul conflitto d’interessi” (Rizzoli, pagg. 265, euro 19).
Partendo dallo scandalo che ha coinvolto Guido Bertolaso e i vertici della Protezione civile, e ha fatto luce su un fitto intreccio di affaristi e imprenditori, alti funzionari statali e loro familiari, Rizzo scandaglia gli affari e il malaffare di questo nostro Paese scassato, quasi allo sbando, che sembra sempre alla vigilia di una nuova Tangentopoli soltanto perchè la corruzione è diffusa, è di uso comune, da una parte e dall’altra.
L’autore - che passa così da ”La Casta”, scritta a quattro mani con Gian Antonio Stella, direttamente alla ”Cricca” - riferisce con dovizia di particolari e senza peli sulla lingua, in un racconto che sarebbe avvincente se prima non fosse deprimente sul livello toccato dalla nostra democrazia, di centotredici parlamentari con doppi, tripli e persino quadrupli incarichi, di un politico alla presidenza di una banca che finanzia i suoi amici, di funzionari pubblici e imprenditori con mogli e figli soci in affari, di un assessore alla sanità che vende apparecchiature mediche agli ospedali, del capo di una compagnia statale che diventa presidente della società privata di cui è cliente, di avvocati di destra e di sinistra che litigano in tribunale ma poi in parlamento fanno le leggi assieme, del figlio di un ministro che apre una ditta nel settore controllato dal ministero diretto dal babbo...
Un quadro davvero sconfortante, dove non c’è più senso civico né vergogna, dove il senso o forse la pretesa o persino la consapevolezza dell’impunità sembra avvolgere come un velo sottile ma resistente a tutto e a tutti mezza (o forse più) classe dirigente del nostro scalcagnato Paese. Nel quale il confine fra l'interesse di tutti e gli affari dei pochi soliti noti da tempo non esiste più.
In Italia, scrive Rizzo, quando si nomina il conflitto d’interessi il pensiero corre subito a Silvio Berlusconi, al suo strapotere televisivo, alle leggi ad personam. Ma il Cavaliere, avverte l’autore, è soltanto l’ultimo erede di un sistema consolidato, che comprende tutti: politici, professionisti, manager, funzionari pubblici, sportivi, giornalisti.
Ci sono i casi dei magistrati che si arricchiscono con gli arbitrati, quelli dei rettori universitari che amministrano gli atenei come fossero beni della (propria) famiglia, quelli degli imprenditori che si fanno finanziare da banche di cui loro stessi sono azionisti. E ancora le società di brokeraggio presiedute dai loro clienti, i medici che diventano consapevole e disponibile strumento per aumentare i profitti delle aziende farmaceutiche, i parlamentari che piegano con perizia - e senza nemmeno il bisogno di quei lobbisti che negli Usa almeno fanno parte di una professione riconosciuta, con tanto di regole - le leggi ai loro disegni. Uno per costruirsi una pensione d’oro, un altro per rimettere in sesto un’azienda, un terzo per sistemare qualche amico. Perchè tutti tengono famiglia e amici. E usano il denaro pubblico per farsi gli affari propri.
La mappatura dell’Italia della cricca è ampia e dettagliata. Nel capitolo dedicato agli ex politici piazzati nei consigli di amministrazione delle società pubbliche, c’è un altro caso - oltre a quello nel box qui a sinistra - che riguarda Trieste e il Friuli Venezia Giulia. Rizzo ha infatti scovato un caso limite, con la presenza di politici addirittura in carica negli organi aziendali delle imprese di Stato.
Alla Fincantieri di Trieste - scrive l’autore - «a un giovane leghista da tempo consigliere di quella società controllata dal Tesoro, e nominato il 29 gennaio del 2009 addirittura vicepresidente, è toccato in dote un posto governativo: quello lasciato libero dal povero Maurizio Balocchi, deceduto il 15 febbraio 2010. Una settimana dopo, il 23 febbraio, Francesco Belsito è stato nominato sottosegretario alla Semplificazione normativa. E la vicepresidenza della Fincantieri? Appena ricevuta la nomina, il neo sottosegretario ha comunicato che avrebbe verificato con gli uffici le eventuali incompatibilità fra il ruolo nel governo e quella carica...». Al 30 marzo 2010, segnala Rizzo, «nessuna lettera di dimissioni era ancora arrivata alla Fincantieri».
I conflitti di interessi non lasciano sguarnito nessun campo della vita italiana. Nemmeno quello sportivo. Per esempio, «c’è ancora chi rimugina - scrive il giornalista - sul fatto che lo scudetto del campionato 2005/2006 sia stato assegnato a tavolino all’Inter da un commissario straordinario della Federcalcio, Guido Rossi, qualche anno prima consigliere d’amministrazione del club nerazzurro».
Robetta, si dirà. In un mondo del calcio nel quale l’unica carica da cui Berlusconi si è dovuto dimettere, da presidente del Consiglio, è stata quella di presidente del suo Milan. Che continua comunque a governare, mettendo il becco persino sulle questioni tecniche, attraverso il suo alter ego, geometra Adriano Galliani.
«Da almeno vent’anni - dice Paolo Francia, ex direttore del ”Piccolo” e di Rai Sport, e attuale presidente del Corecom Fvg, in un’intervista al sito Articolo 21 riportata nel libro - non solo il calcio ma tutto lo sport è gestito da una cupola. Scarsi ricambi nelle federazioni, intrecci fra le stesse in un mix di controllori-controllati, organi della giustizia sportiva guidati in larga parte da giudici dei tribunali che rendevano quasi sempre inutili i ricorsi alla magistratura ordinaria...».
Ma lo stesso Francia, annota con malizia Rizzo, è stato anche vicepresidente della Federazione del tennis nel ’76 e animatore della Virtus Bologna di pallacanestro. «Circostanza che gli attirò, nel 2002, accuse di conflitto di interessi». Insomma, davvero difficile individuare chi possa scagliare la prima pietra.
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