MARIO BIONDI
Le luci soffuse, alcuni video punteggiano il palco, un signore col cappello in testa seduto in poltrona beve qualcosa, illuminato dal chiarore di un abat-jour. Vicino, una bionda cantante in tubino nero e capelli raccolti canta ”Birdland”. Attorno, il gruppo le va dietro ch’è un piacere. Poi il signore si alza, si toglie il cappello, e la festa nera può cominciare.
Non c’era neanche uno strapuntino libero, ieri sera al Rossetti, per ascoltare la voce calda e profonda di Mario Biondi, ovvero ”il signore” in questione, nonchè il più internazionale degli artisti italiani. A distanza di due anni dal debutto triestino nello stesso teatro, il crooner catanese ha fatto registrare un clamoroso ”tutto esaurito”. Oltre 1500 presenze, segno dell’affetto e della stima con cui il pubblico segue questo ragazzone alto quasi due metri, classe ’71, che canta come un Barry White cresciuto alle pendici dell’Etna, ispirandosi alla grande tradizione della musica nera.
Tre soli album - ”Handful of soul” del 2006, il live ”I love you more” del 2007 e ”If” del 2009 - sono stati sufficienti per trasformare Mario Ranno (il cognome d’arte l’ha preso dal padre, il cantautore Stefano Biondi) in una star. Che prima di essere amata in patria, aveva già lavorato con successo a New York, a Londra e persino in Giappone.
L’Italia l’ha scoperto tre anni fa, quando la sua ”This is what you are” (che non poteva mancare ieri sera), originariamente pensata per il mercato giapponese, aveva già conquistato Radio Bbc1 prima di essere adottata come jingle natalizio da Radio Montecarlo. Ma ora, a giudicare dai dischi venduti e dalle presenze ai suoi concerti, sembra proprio non volerlo mollare più.
Il concerto triestino, nell’ambito di questo ”Spazio Tempo Tour 2010” (partito da Milano a fine marzo, si conclude lunedì 17 a Roma, prima di riprendere quest’estate), è stato quasi interamente dedicato ai brani dell’ultimo album, ”If”, quasi duecentomila copie vendute. Da ”Serenity” a ”Something that was beautiful” (di Burt Bacharach), da ”Blackshop” a ”Love dreamer”, passando per l’applauditissima ”Be lonely” (ancora Bacharach, che l’ha scritta appositamente per lui) e ”I wanna make it”.
C’è spazio anche per le atmosfere gospel di ”Ecstasy” e per ”I know it’s over”, che altro non è se non la versione inglese e jazzata di ”E se domani”, brano scritto da Carlo Alberto Rossi, recentemente scomparso, e portato al successo nel ’64 da Mina. Con la quale pare sia in arrivo un duetto.
Dal primo album arrivano anche ”Rio de Janeiro blues”, ”On a clear day” (classico americano, tratto dall’omonimo musical), ”Never die”, ”A child runs free”, ”No mercy for me”. E non può mancare nemmeno quella ”I love you more” che dava il titolo al disco registrato dal vivo e pubblicato tre anni fa.
Ma come si diceva il concerto ha soprattutto il marchio dell’ultimo album, da lui scritto e arrangiato. Ecco allora ”Winter of America”, ”Little B’s poem” e ovviamente ”If” (con Giovanni Baglioni, quello per cui papà Claudio ha scritto ”Avrai”, ospite alla chitarra e poi protagonista di una sua apprezzata finestra solista).
Nel concerto, in un crescendo di emozioni e classe, eleganza e buone vibrazioni, soul e musica nera, talento e ironia, Biondi è accompagnato da una band formata da Lorenzo Tucci e Fabio Nobile (batterie e vibrafono), Andrea Satomi Bertorelli (tastiere), Andrea Celestino (basso), Tommaso Scannapieco (contrabbasso), Daniele Scannapieco (sax), Giovanni Amato (tromba), Claudio Filippini (piano), Luca Florian (percussioni), Wendy Lewis (cori). Fra loro, il siculo si muove con leggerezza, quasi sinuoso, accenna persino qualche passo di danza.
La citata ”This is what yu are”, dimostrazione che anche un tormentone può essere elegante e raffinato, chiude il programma prima dei bis. Aperti da ”Cry anymore”.
A Trieste, successo calorosissimo e meritato. Anche se a volte si ha come l’impressione che il nostro inserisca il pilota automatico e gigioneggi un po’ troppo. Ma con quella voce, e questa musica, gli si perdona davvero tutto.
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