«Se i simboli del comunismo vengono parificati a quelli del nazismo, come sento fare in questi giorni, beh, allora vorrà dire che devono vietare questo mio nuovo spettacolo...».
La butta sul ridere, Moni Ovadia, presentando il suo «Konarmija – L’Armata a cavallo», con cui torna da stasera a domenica al Politeama Rossetti. Un riso amaro. Ma certe cose le vuole mettere bene in chiaro.
«Non è mia intenzione - dice - negare i crimini dello stalinismo, ma mettere sullo stesso piano la falce e martello e la svastica è un’operazione insensata, dal chiaro intento strumentale. I simboli del comunismo hanno avuto una doppia valenza: la bandiera rossa, la falce e martello erano sui gulag staliniani, ma anche alla guida delle moltitudini oppresse, simbolo di riscatto delle classi lavoratrici, quando la giornata di lavoro durava quindici ore e accomunava adulti e bambini. Erano simbolo di ideali di libertà, di liberazione dall’oppressione. Diversamente dalla svastica, simbolo del male e mai di libertà...».
Parliamo dello spettacolo...?
«Meglio. Nasce da una mia vecchia idea. Si ispira all’opera autobiografica dello scrittore ebreo russo Isaac Babel’ ed è ambientato nella Russia rivoluzionaria. È un esempio di teatro epico, corale, nel quale utilizzo anche vecchi filmati. Siamo fra il 1919 e il 1920, sul fronte polacco, negli anni della guerra civile seguita alla rivoluzione bolscevica».
Che cosa l’aveva colpita?
«Che Babel’ nei suoi racconti coglie gli aspetti umani di questo piccolo mondo fatto di uomini travolti dalla rivoluzione, con il proprio armamentario di dolori, debolezze, smarrimenti. Oggi si parla giustamente dei crimini di Stalin, ma non bisogna dimenticare che ci furono milioni di uomini che ci credevano, che si aspettavano qualcosa, che furono delusi. La rivoluzione comunista fu la più grande occasione perduta di realizzare un mondo migliore...».
Il rapporto con gli ebrei?
«Babel’ ne parla. L’ottanta per cento del comitato ristretto che promosse la rivoluzione bolscevica era formato da ebrei. E ciò come conseguenza della violenza antisemita degli zar, contro cui gli ebrei lottarono. Ma anche perchè il messianesimo ebraico era teso verso la giustizia sociale, per sollevare l’oppresso, per restituirgli la giustizia negata. In fondo quella di Mosè è stata la prima, vera, grande rivoluzione dal basso, del popolo che si libera dall’oppressione...».
«Konarmija – L’armata a cavallo» è un affresco - recitato in russo, in yiddish e in italiano - in cui Ovadia recita assieme a dodici interpreti di diverse nazionalità: il polacco Roman Siwulak (per vent’anni a fianco di Tadeusz Kantor), il russo Ilià Popov, l’ucraina Olena Skakun e i musicisti-attori che da anni lo accompagnano nei suoi spettacoli: Stefano Corradi (clarinetto basso), Luca Garlaschelli (contrabbasso), Janos Hasur (violino), Massimo Marcer (tromba), Albert Mihai (fisarmonica), Vincenzo Pasquariello (pianoforte), Paolo Rocca (clarinetto), Marian Serban (cymbalon), Emilio Vallorani (flauti e percussioni). Propongono musiche, canti, parole, ma anche immagini: le armi con cui si combattono i due cori dei bolscevichi e degli zaristi. Fra loro un drappello di musicisti – i cavalleggeri rossi – suona l’epopea dei rivoluzionari mentre una piccola umanità di sconfitti (gli attori di Moni Ovadia) grida lo sgomento di chi è stritolato da meccanismi troppo grandi...
«Abbiamo debuttato nel 2003 - spiega l’artista - e concluderemo il tour a Mosca, a maggio. Il prossimo spettacolo, di cui abbiamo fatto finora solo un’anteprima, s’intitola ”Es iz Amerike”: è il proseguimento ideale di ”Oylem Goylem” in America. Un affresco sull’ebraismo americano, dall’arrivo degli ebrei ai primi del Novecento fino a Bob Dylan e Allen Ginsberg. Forse debutterà al Mittelfest...».
E come va col Mittelfest?
Stiamo preparando il programma - conclude Moni Ovadia - entro marzo sarà definito. L’anno scorso ci sono state un po’ di incomprensioni, dovute alla fretta, alla novità. Quest’anno stiamo lavorando in maniera più tranquilla, per costruire qualche stimolo culturale. Il mandato del presidente Volcic è scaduto: stiamo aspettando la nomina di un nuovo presidente...». Appunto.
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