venerdì 15 febbraio 2008

CONVEGNO SU CRISI POLITICA


TRIESTE La gente non sopporta più la politica. O almeno questa politica. Ma se stiamo parlando dell’arte di risolvere i problemi, di trovare soluzione ai problemi collettivi, dice Alessandro Maran (deputato del Partito Democratico), «allora è proprio da lì che dovremmo ricominciare, dai problemi concreti della gente».

Interrogarsi sulla crisi della politica mentre stiamo precipitando nel vivo dell’ennesima campagna elettorale potrà sembrar esercizio bizzarro. Ma il neonato Laboratorio Democratico Bruno Pincherle (pediatra epurato durante il fascismo perché ebreo, intellettuale antifascista di grande cultura e rigore morale, scomparso nel ’69) aveva pensato al convegno «Crisi della politica. Quali pericoli? Quali vie d’uscita?», svoltosi ieri alla Stazione Marittima, prima che un magistrato di Santa Maria Capua Vetere mettesse agli arresti domiciliari la signora Mastella, con tutto quel che in rapida successione ne è conseguito. «Una giurisdizione così malmessa - ha fatto notare Renato Romano, dirigente della Corte d’Appello - è stata capace di essere l’innesco per una crisi di governo che ha portato alle elezioni anticipate». Anche se questa crisi, come ha notato più d’uno, è più ampia di una semplice crisi di governo.

Ma andiamo per ordine. «Il punto di partenza di questa crisi della politica - secondo Gabriele Pastrello, docente universitario, che ha coordinato il convegno, aperto dal presidente dell’associazione, Piero Alzetta - va ricercato nella modernizzazione monca degli anni Ottanta». Mentre comincia la rivoluzione tecnologica l’Italia punta sul mondo delle piccole e medie imprese. Nasce anche da lì una crisi di rappresentanza, domande che non trovano risposte, vecchi partiti che vanno in crisi mentre crescono i localismi e la frammentazione. La società dei coriandoli, come ha detto qualcuno.

Sbaglia chi pensa sia un problema solo italiano. «Ma da noi - dice Paolo Segatti, docente di sociologia - la debolezza dello stato si sposa a un eccesso della politica. I partiti controllano ambiti decisionali troppo vasti, a nord come a sud». Bisognerebbe allora limitare l’intervento della politica. E la stessa vicenda della legge regionale sulla lingua friulana si inserisce in questo contesto: assenza di discussione e autonomia decisionale della classe politica.

Maran, che è stata una delle voci più decise nel centrosinistra contro quella legge voluta dalla sua maggioranza, evita di affondare il colpo. Segnala invece che il malcontento nei confronti della politica non è un fatto solo italiano: è diffuso, e forse è figlio di un miglioramento delle condizioni di vita delle persone. «Per la gente oggi conta di più la qualità della vita che la crescita economica. Manca un modello condiviso della società italiana: ciò ha eroso anche l’efficacia delle riforme». Per la scuola, per la giustizia l’Italia spende molto ma ottiene meno di paesi dove i fondi a disposizione sono inferiori.

La giustizia, un nervo scoperto. Questa crisi - secondo Romano - «è il confronto fra due debolezze: quella della politica e quella della giurisdizione, in un paese dove c’è la tendenza a considerare le regole un impaccio, dove c’è un’insofferenza nei confronti delle regole che fa da sfondo al conflitto fra i poteri». Sì, perchè anche in passato è successo che ogni potere tentasse di sconfinare nel terreno di un altro potere. L’esecutivo con i decreti legge, i pretori d’assalto con certe sentenze particolarmente innovative. Poi si è affermata, già prima del ’92, la volontà di perseguire la moralizzazione della politica attraverso la giustizia. E i politici hanno cominciato a pensare che l’azione della magistratura fosse dettata da fini politici. «Ciò - secondo il dirigente della Corte d’Appello - ha eroso l’autorità dell’azione giurisdizionale, minando il consenso civile nei confronti della magistratura». Eccesso di politica, allora? No, eccesso di cattiva politica. E la crisi di quest’ultima si inserisce nella crisi complessiva delle classi dirigenti di questo paese.

<IP9>In questo contesto è nato il Partito Democratico, «in una fase di emergenza - sottolinea Francesco Russo, già dirigente della Margherita - e nella consapevolezza dei nostri vecchi partiti dell’esaurimento delle rispettive spinte propulsive. Oggi i partiti sono simulacri, rispetto a quel che erano in passato. Ma hanno molto più potere a livello, per esempio, delle nomine di secondo livello...».

Nostalgia dei vecchi partiti di massa, nelle cui sezioni poteva capitare che anche il parlamentare si trovasse a rispondere alle domande del semplice iscritto? Forse. Ma rimane il fatto che ieri i partiti interpretavano la società del Novecento, mentre oggi le domande di rappresentanza rimangono inevase. «E i partiti - conclude Russo - devono tornare a essere contendibili. In Italia un Barack Obama non riuscirebbe a emergere...».

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