domenica 27 giugno 2010

MAURO BUSSANI
E se a salvare il mondo dalle sue mille terribili crisi, economiche ma non solo, fosse il diritto? Sì, il diritto: l’insieme delle vecchie care leggi, le norme, le regole grandi e piccole così necessarie alla convivenza civile.
La domanda sembra aver ispirato il triestino Mauro Bussani, docente di diritto privato comparato all’Università di Trieste, componente di accademie e comitati scientifici internazionali, nel libro ”Il diritto dell’Occidente - Geopolitica delle regole globali” (Einaudi, pagg 351, euro 19,50). Dimostrando che il diritto è sempre una chiave necessaria alla comprensione dei fenomeni, ma anche un’infrastruttura necessaria a qualsiasi disegno geopolitico. In grado anche di conquistare alla democrazia, nel lungo termine, società che ne sono estranee.
Bussani, perchè un libro "sul" diritto?
«Perché penso sia importante cercare di chiarire il ruolo che il diritto svolge nei fenomeni economico-sociali, a livello locale e globale, ogni giorno e dappertutto».
Il ruolo del diritto è sottovalutato?
«Il diritto viene trattato quale fonte di codicilli, oppure come esercizio letterario, al più appendice di qualche corrente filosofica. Ma il diritto ha sempre orientato governanti e governati nelle rispettive scelte».
Può esserci diritto senza Stato?
«Se diritto è l’insieme di regole attraverso le quali una comunità si organizza, si può parlare di diritto con riferimento alle regole prodotte da tutte le società umane, indipendentemente dalla loro architettura istituzionale».
In tempi di globalizzazione, esiste un diritto "globale"?
«C’è da tempo una domanda di uniformità giuridica che ha alimentato istanze come quelle rivolte alla creazione di Tribunali Penali Internazionali, alla protezione universale dei Diritti Umani, fino all’esportazione delle regole della democrazia. Quindi non si tratta di un fenomeno nuovo».
Diritto e finanza: sono mancate le regole?
«Nella crisi odierna il diritto ha giocato un ruolo fondamentale. Ma ciò è avvenuto sul piano dell’inadeguatezza delle regole e non per la loro mancanza. La comunità finanziaria si è data delle sue regole. Ma non tutti le hanno rispettate. Col risultato che le regole implodono, non vi è un giudice imparziale a sanzionare chi mal si comporta e la comunità finanziaria, insieme alle economie che da essa dipendono, sono forzate verso l’incertezza, l’imprevedibilità e il collasso».
Come se ne esce?
«È bizzarro che si sia permesso ai mercati finanziari di autogovernarsi. Occorre una regolazione effettivamente globale, capace di adattarsi alle future innovazioni finanziarie, e dotata di strumenti sanzionatori reali. Non basta espellere chi ha già fatto danni».
Che cos'ha in più la civiltà giuridica occidentale?
«Molte aree del mondo hanno finito coll’adottare, più o meno spontaneamente, regole legislative di marca euro-americana, per governare questo o quello spicchio delle loro società. Ma ogni tradizione giuridica s’irrora degli stimoli del tempo, filtrati dagli orientamenti delle diverse comunità. Non esiste, insomma, un modello ideale di sviluppo giuridico».
Esiste un'Europa del diritto?
«Se il paragone è con l’impiego che gli Usa fanno del loro diritto come strumento di politica estera, di valorizzazione della propria civiltà e di protezione dei propri interessi, la risposta è negativa. Ma dobbiamo lavorare per la formazione di una classe dirigente all’altezza delle sfide poste all’Europa, e al suo diritto, dalle evoluzioni del tempo».
La dichiarazione Onu del '48 come ha cambiato i diritti degli Stati?
«Quella Carta e i movimenti per l’affermazione dei diritti umani hanno saputo creare un’attitudine culturale, sociale, emozionale, che si è diffusa e che ha dato e dà quotidiano sostegno a innumerevoli ”ultimi”, vittime di ogni sopruso. Questo è potuto avvenire anche grazie alla capacità propulsiva dimostrata dal discorso politico, accademico e mediatico, che nel tempo ha edificato il piedistallo su cui i diritti umani poggiano. È un discorso che ha potuto produrre icone, parole d’ordine, luoghi comuni, ma anche retoriche avvincenti, rese possibili dal dominio che l’Occidente ha esercitato, soprattutto negli ultimi decenni, sui paradigmi a disposizione dell’opinione pubblica mondiale».
In passato. E oggi?
«Oggi c’è in effetti da chiedersi se il vento della storia spiri ancora alle nostre spalle o se lo faccia con lo stesso impeto del passato. Se così non fosse – e alcune avvisaglie, demografiche, economiche e politiche, offrono una misura di questa eventualità – occorrerebbe interrogarsi seriamente anche su quale destino possa garantirsi il nostro modo di pensare i diritti umani nei nuovi equilibri: quelli che la concorrenza fra modelli giuridici, economici e politici sta determinando, per noi e per le generazioni a venire».
Può esserci diritto senza democrazia, e democrazia senza diritto?
«Il diritto certamente esiste in ogni luogo e da sempre. Ovunque la democrazia abbia prevalso si è invece trattato di una vittoria faticosa e costosa. Ma di sicuro è una vittoria che non si sarebbe potuta raggiungere se il diritto non si fosse liberato dalle pressioni della religione e dell’ideologia, se il diritto non avesse posto a disposizione di governanti e governati le sue nozioni di proprietà, libertà, responsabilità, imparzialità, e con esse i suoi rimedi, i suoi professionisti».
Dunque ci salverà il diritto?
«Forse. Di certo - conclude il giurista triestino - è solo dove si sono realizzate queste condizioni che la democrazia si è affermata. Condizioni che assumono oggi il ruolo di demarcatori, e fra i più nitidi, di cosa sia l’Occidente rispetto a ciò che non lo è. Di dove la democrazia possa farsi strada in tempi ragionevoli e di dove quella strada rischi di rivelarsi cieca, o assai più lunga».

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