mercoledì 6 marzo 2013

DISCHI / DAVID BOWIE / Dido

Qualcuno l’aveva dato per artisticamente morto. Ma David Bowie è più vivo che mai, come dimostra questo “The next day”, prima vera e grande e positiva sorpresa del 2013. Non solo: era da almeno vent’anni che il Duca bianco non sfornava un lavoro così convincente. “Reality”, pubblicato nel 2003, non è certo entrato nella parte migliore della sua lussuosa discografia. Due mesi fa l’anteprima con il singolo “Where are we now?”, pubblicato nel giorno del sessantaseiesimo compleanno, aveva già sollevato entusiasmi assolutamente giustificati. Una malinconica ballata, straniata e straniante, pregna di umane fragilità, profumata di ricordi e di Berlino, non solo per le immagini in bianco e nero della città, immortalata nel video prima della caduta del Muro. Quel richiamo forte anche nelle atmosfere e nei suoni torna ora nell’album - il trentesimo in carriera - e rimanda agli anni in cui Bowie visse nella capitale tedesca, realizzando fra il ’77 e il ’79 la famosa Trilogia berlinese (“Low”, “Heroes” e “Lodger”). Quasi una rinascita per l’artista inglese che nel 2004 fu costretto a interrompere un tour per seri problemi cardiaci e conseguente angioplastica coronarica. Quattordici brani assolutamente contemporanei, a tratti scarni ed essenziali, per un disco prodotto dal fido Tony Visconti. Si parte con il pezzo del titolo (che nel ritornello dice: “Here I am, not quite dying”, sono qui e non sono ancora morto...), e comincia anche un gioco di rimandi e citazioni: qui per esempio qualcuno ha ritrovato i sapori della vecchia “Fashion”. “Valentine’s day” odora invece di anni Sessanta, grazie anche agli “sha-la-la” dei cori. “If you can see me” ha un’impostazione più sperimentale. “Dirty boys” decolla con un sax e i fiati malati di soul. “The stars (are out tonight)” ha un che di melodico che richiama la classicissima “China girl”. Potremmo continuare, perchè quasi ogni brano (ma soprattutto “Boss of me” e “You will set the world on fire”) brilla di luce propria all’interno di un signor disco rock. E se l’apertura ideale era stata l’anteprima di “Were are we now?” (qui quinta in scaletta), anche la conclusione dell’album è quella ballata cupa e inquietante che risponde al titolo di “Heat”. Il gioco di rimandi e citazioni prosegue anche nella copertina, che richiama il leggendario e forse insuperabile “Heroes”. Oggi David Bowie vive una doppia condizione. Fa già da tempo parte della (parte migliore della) storia del rock. Un piccolo esempio: due film molto diversi attualmente nelle sale come “Noi siamo infinito” di Stephen Chbosky ed “Educazione siberiana” di Gabriele Salvatores ricorrono entrambi a un suo brano, per citare musicalmente gli anni attorno agli Ottanta. Nel contempo, e questo disco lo conferma, il Duca bianco è ancora il meglio su piazza. La grande piazza del rock. --- Torna Dido, una delle più belle voci degli ultimi anni, con il quarto album “Girl who got away”. Undici brani introspettivi, di cui lei stessa è autrice, all’insegna del miglior electro-pop. Alla base del lavoro c’è un’audace dichiarazione di intenti. Dallo slancio di euforia di “Go dreaming", passando per l’umorismo pungente di “End of night” e il folk di “Sitting on the roof of the world”, esce un disco caldo, evocativo e pregno dell’emozione dei piccoli dettagli della vita. «Il brano che dà il titolo al disco è una delle canzoni che preferisco tra quelle contenute nell’album - dice - ma credo che riassuma anche gli ultimi anni. L’essermi allontanata dalle scene per vivere la felice avventura di metter su famiglia e realizzare un album del quale sono davvero orgogliosa. E adesso non vedo l’ora di farvelo ascoltare». I primi due album di Dido, “No angel” e “Life for rent”, rimangono due dei dischi più venduti di tutti i tempi nel Regno Unito e il suo terzo disco, “Safe trip home”, acclamato dalla critica, ha consolidato il successo dell’artista, portando il totale dei dischi venduti a 29 milioni.

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