La settimana scorsa a Lugano ha concluso il primo tour europeo. Con concerti a Bruxelles, Amsterdam, Oxford, Londra, Parigi, Berlino, Monaco, Vienna. Mercoledì 7 dicembre alle 21, al “Nuovo” di Udine, riparte invece la tournèe italiana. Dopo la quale, il 16 giugno sarà a Rüsselsheim am Mein, vicino Francoforte, ospite del festival Hessentag, una delle più antiche e importanti rassegne musicali tedesche. Insomma, non si può dire che Niccolò Fabi se ne stia con le mani in mano.
«Nelle date europee - dice il cantautore romano, classe 1968 - il pubblico era prevalentemente italiano. Nostri connazionali che vivono all’estero e hanno dunque un approccio con il concerto di un artista italiano diverso dal nostro. C’è in loro anche un sentimento di nostalgia, un piacere nel sentire cantare all’estero nella loro lingua».
E gli stranieri?
«Attenti, curiosi, attratti dalle parole e da un suono che comunque è internazionale. Questo tour è stato anche un atto di semina, da cui è nato l’invito al festival tedesco di giugno».
Ha appena vinto la seconda Targa Tenco consecutiva.
«Un premio importante, perchè dato da voi giornalisti e critici musicali. Gente che lavora con la musica, insomma, e che ha deciso che i miei ultimi anni sono stati entrambi i migliori delle rispettive annate. Una bella soddisfazione. Una cosa che crea interesse, discussione».
L’ultimo disco, “Una somma di piccole cose”, le somiglia molto.
«Sì, è un distillato delle mie cose, con il mio gusto, il disco più simile a me che abbia mai realizzato. Ho fatto tutto da solo, quasi con lo spirito di un falegname che costruisce un tavolo. Stavolta non posso imputare nulla agli altri. Tutta roba mia».
Si respira aria di folk americano.
«Assolutamente, in maniera esplicita, quasi citazionista, con punti di riferimento della mia storia musicale, da Woody Guthrie a Bob Dylan, fino agli americani più recenti. Da ragazzo ascoltavo di tutto, ma quel filone c'è sempre stato. Poi si sono aggiunte altre cose, oggi prediligo il folk bianco americano e la matrice nera funk».
Il progetto con Daniele Silvestri e Max Gazzè cosa le ha lasciato?
«Nuovo entusiasmo, nuovi stimoli. A me, ma anche ai miei colleghi. Sono stati due anni divertenti, che ci hanno permesso di accrescere la nostra visione di essere professionisti della musica. Personalmente mi sono messo a confronto con un altro modo di lavorare. Dividendo la responsabilità del palco tutto diventa più facile. E la ripartenza da soli, poi, è più stimolante».
Se avesse oggi diciotto anni andrebbe a “X Factor”?
«No, non è casa mia, non saprei cosa fare. Penso che il mio linguaggio musicale non sia adatto a una gara».
Otto album in vent’anni: tiene un buon ritmo.
«Mi sento più a fuoco adesso, pur avendo responsabilità maggiori sulle spalle. Credo che il tempo della maturità mi si addica di più».
Il prossimo viaggio?
«Ora sono in tour, poi non so. E comunque il viaggio è una condizione, uno stato d’animo. Ho la fortuna di muovermi tanto, dunque... Viaggio anche quando lavoro.
Com’è nato e in che cosa consiste il suo impegno in Africa?
«Nasce da curiosità sul viaggio, sulla scoperta di cose che non conosco. Giro per il continente da quasi dieci anni. Poi nel 2009 c’è stato l’incontro con una ong di Padova, il Cuamm, meglio noto come Medici con l’Africa, e ho cominciato a lavorare con loro».
Che mondo ha scoperto?
«Ho viaggiato in Africa in modo ovviamente non turistico, ho fatto sentieri e percorsi significativi, ho aiutato i medici nella loro opera di comunicazione. Ho suonato in situazioni di tutti i tipi, dai presidi ospedalieri alle ambasciate fino ai piccoli teatri. Poi c’è la parte della raccolta di fondi per la ristrutturazione di ospedali in Angola e in Sudan».
Tre anni fa Niccolò Fabi era partito per il Sudan con i compagni d’avventura - in quel caso non solo musicale - dell’epoca, Daniele Silvestri e Max Gazzè. Dovevano portare i 22 mila euro raccolti per il reparto pediatrico di un ospedale dalla fondazione “Parole di Lulù”, creata dal cantautore e dalla moglie in ricordo della loro piccola Olivia, morta di meningite a ventidue mesi, nel 2010. Un dolore immenso, impossibile da dimenticare.
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