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venerdì 4 agosto 2017
BAGLIONI, INVITO ALL'ACCOGLIENZA / ART21
C'è anche un invito all'accoglienza, nelle lettere di Claudio Baglioni ai fan al tempo dei social. Stabilire contatti “reali” in un universo “virtuale”. Fra le attempate star della nostra canzone, non c’è solo Gianni Morandi (classe ’44) fra gli assidui frequentatori della rete. Anche Baglioni (classe ’51), che con lui ha diviso l’avventura dei “Capitani coraggiosi”, non ci sta a rimanere indietro. E coltiva il suo rapporto con i fan scrivendo loro - «con il tablet e non con la penna» - lettere che ora diventano un libro: “Non smettere di trasmettere” (La nave di Teseo, pagg. 615, euro 18).
«Non sono post. Sono lettere. Lettere al tempo di Internet. Personali. Doppiamente personali, anzi. Nel senso che le ho scritte proprio io - spiega il divo Claudio nella prefazione - e che sono indirizzate proprio a voi. Le ho scritte con il tablet e non con la penna, è vero. Ma questa è l’unica differenza rispetto alle lettere di carta. Quelle che scrivevo emozionato e aspettavo trepidante, quando ero ragazzo...».
Baglioni dice che trepidazione ed emozione sono le stesse ancora adesso, per lui che si sente “un ragazzo del secolo scorso”. Cambiano strumenti e contesti, ma alla base c’è sempre il desiderio di comunicare. Che non cambia mai e muove le nostre vite.
Il web allora come una gigantesca buca delle lettere «dove basta premere un tasto e posso inviarvi i miei pensieri». E Facebook nel quale «non ci sono problemi di metrica; le parole non devono per forza avere anche un bel suono e non c’è naturalmente limite di spazio».
Già, lo spazio e la metrica: limiti rigidissimi per chi fa poesia in forma di canzone. Qui l’autore di “Questo piccolo grande amore” e tanti altri capolavori viaggia a briglia sciolta. I suoi pensieri sono raccolti in ben 272 lettere, scritte fra il 24 ottobre 2015 e il 31 dicembre 2016: dalla più lunga, “Fuocoammare”, che occupa tre pagine, fino alla la più breve, “Anche il cuore da qui sente meno dolore”, appena cinque righe.
Spazi e lunghezze diverse per affrontare temi spesso importanti e complessi dell’esistenza e del mondo: il futuro, la pace, le migrazioni. Sollevando domande ma senza la pretesa di dare risposte. Piuttosto con un invito all’accoglienza (“Proviamo ad aprire una porta anche noi”), perchè «l’altro e essenziale. E - non dimentichiamolo mai - per gli altri, l’altro siamo noi». Un invito figlio dell’impegno già fattivamente espresso negli anni in cui Baglioni organizzava il festival “O Scià” sull’isola di Lampedusa, la nostra valorosa capitale del Mediterraneo.
Fra le lettere, il ricordo commosso del padre, il maresciallo Riccardo (“Io solo lo chiamavo papa” e “Non buttava via niente”), e della madre Silvia (“Se oggi è festa anche li” e “Mi piace saperla che ride”). L’importanza dell’amicizia (“Lo stesso spartito da leggere insieme”), i rimpianti della fanciullezza (“La bici che non ho mai avuto”), le prime timide esperienze d’amore (“Non successe niente eppure fu tutto”, “Bacio dolcissimo e aspro”, “Imparare ad amare da uomini veri”), Ovviamente la passione per la musica: “Volevo contare”, “15 anni e 8 mesi”, “Musicisti e poeti fanno anche il turno di notte”, “Questo mestiere si fa ancora a mano”...
«Rete e social - scrive il cantautore romano - ormai sono parte di noi. E noi, parte di loro. Farne a meno è una scelta anacronistica e, soprattutto, difficilmente praticabile. Tornare indietro temo non sia possibile. Ammesso che sia saggio, cosa della quale personalmente dubito. Ma questo non significa affatto che si debba andare avanti lungo il piano inclinato della superficialità, della mediocrità, della banalità, rinunciando alla propria identità, ai propri valori e a ciò in cui si crede».
Ancora Baglioni: «Non importa con cosa scriviamo - tavoletta d’argilla, papiro, pergamena, carta, computer, tablet o smartphone - importa cosa e come scriviamo. Il numero di like e follower non è l’indicatore della verità».
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