lunedì 21 gennaio 2013

PEARL JAM TWENTY da oggi anche a TS e Friuli

Per i ragazzi è solo e semplicemente “PJ20”. Per tutti gli altri il film che debutta oggi in cinquecento sale di mezzo mondo (trenta in Italia: a Trieste a “The Space” delle Torri, in Friuli a Pradamano, repliche domani e mercoledì) s’intitola per esteso “Pearl Jam Twenty”, ed è un piccolo grande monumento alla rock band di Seattle, in occasione del suo ventennale. Uno dei gruppi più importanti dagli anni Novanta a oggi, che con Nirvana, Soundgarden e pochi altri hanno scritto la storia del genere grunge. Nato sulle ceneri dei Mother Love Bone, di cui facevano parte il chitarrista Stone Gossard e il bassista Jeff Ament (con il cantante Andrew Wood, morto per overdose nel ’90), il gruppo prende forma con l’incontro fra questi due con il chitarrista Mike McCready e (soprattutto) con il cantante Eddie Vedder. Il film-documentario (regia di Cameron Crowe, Premio Oscar, ex giornalista rock, che aveva già firmato “Almost famous”) parte da quell’incontro e arriva fino ai giorni nostri, attraverso una carriera ventennale, nove album in studio (il decimo è in arrivo quest’anno), oltre sessanta milioni di dischi venduti, con il picco del successo planetario dell’album “Ten”, che con “Vs.” e “Vitalogy” forma la trilogia più amata dai fan della band. Eddie Vedder raccontò una volta che il nome della band derivava dal nome della nonna, Pearl, sposata con un nativo americano, che conosceva la ricetta per una marmellata (“jam”, appunto) fatta con il peyote. Sull’argomento, per la verità, non esiste una comunanza di versioni, visto che nel 2006 Ament e McCready dichiararono alla rivista Rolling Stone che l’idea di “pearl” venne al primo, mentre quella di “jam” arrivò dopo aver assistito a un concerto di Neil Young. Aneddoti a parte, il docu-film è un affettuoso omaggio alla band, realizzato dopo un’attenta selezione di filmati già esistenti (Crowe dice di averne passato in rassegna più di un migliaio di ore) e di nuove interviste realizzate per l’occasione. Una carrellata in bilico fra passato e presente, ma anche fra pubblico e privato. Nella quale non manca la tragedia del Roskilde Festival del 2000, quando durante il concerto della band nove spettatori delle prime file furono schiacciati dalla folla che premeva da dietro.

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