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domenica 19 aprile 2015
JAMES TAYLOR merc 22-4 a trieste
«Quando comincio a registrare un nuovo brano ho un’idea che mi gira per la testa di come il brano dovrebbe suonare. È raro che il prodotto finito sia all’altezza delle mie aspettative; per contro a volte sono completamente stupito del contrario. Questa volta sono assolutamente soddisfatto che ciascun brano sia esattamente quello che intendevo dovesse essere fin dall’inizio...».
Parole di James Taylor, riferite al nuovo album “Before this world”, che uscirà a giugno, dopo questo nuovo tour italiano che fa tappa mercoledì al Rossetti di Trieste.
È la prima volta nel capoluogo giuliano e la terza nel Friuli Venezia Giulia per il cantautore americano del Massachusetts, classe 1948, in carriera da quasi mezzo secolo. Stiamo parlando infatti di un gigante della musica del Novecento: oltre cento milioni di album venduti, cinque Grammy Awards, dischi d’oro e di platino, “uno dei più cento più grandi artisti di sempre” secondo la rivista Rolling Stone.
«Sono felice - ci ha detto nell’intervista pubblicata nei mesi scorsi - di tornare a suonare in Italia, ci torno ogni volta che mi è possibile e cerco di portare con me sempre un maggior numero di musicisti. Sarò sul palco con musicisti straordinari, questa band è la goia della mia vita, è un piacere poter ascoltare la mia musica suonata da loro». Che sono Steve Gadd (batteria), Larry Goldings (tastiere), Michael Landau (chitarra), Jimmy Johnson (basso), Andrea Zonn (violino, cori), Kate Markowitz e Arnold McCuller (cori).
Il nuovo album arriva a tredici anni dal precedente lavoro in studio “October road” e cinque anni dopo “Live at Troubadour”, cd/dvd seguito al concerto nello storico locale di Los Angeles e al tour con Carole King.
Nelle dieci canzoni di “Before this world” (nove gli inediti) l’artista sviluppa i temi che hanno caratterizzato tutta la sua produzione: la riconciliazione (“Stretch of the highway”), la ripresa, (“Watchin’ over me”), la religione (“Before this world”), ovviamente l’amore (“You and I again”), persino il baseball (“Angels of Fenway”), l’inizio del suo viaggio (“Today today today”).
Nella versione “de luxe”, il cd è accompagnato da un dvd contenente “There we were: The recording of James Taylor’s Before this world”, un documentario di trenta minuti girato durante la realizzazione del nuovo album. Nel brano che dà il titolo al disco c’è anche la voce di un ospite d’eccezione: Sting.
«Il mio modo di esprimere me stesso e gli aspetti autobiografici - spiega James - è un “fil rouge” che collega tutti i miei album. Ritengo di essere cresciuto musicalmente e credo che la gente lo possa capire paragonando quello che suonavo nel ’68 e quello che canto oggi. Sono sempre io, ma in continua evoluzione. Mi sento come se volessi solo fare musica. Ho pensato parecchio al perchè io continui a fare questo mestiere, ma sento di avere ancora un profondo collegamento con ciò che faccio».
Il nostro Paese, ci diceva nell’intervista, ormai lo conosce «abbastanza, qualche volta vengo anche in vacanza. Per me l’Italia è il paese più eccitante in cui suonare. A prescindere dalla bellezza dei luoghi, in un mondo globalizzato e sempre più omogeneo per via della diffusione comune di una cultura moderna, amo molto l’Italia perchè ha delle caratteristiche che la rendono sempre unica. Da musicista, invece, apprezzo molto l’energia che il pubblico mi trasmette, soprattutto in Italia, quando sono sul palco».
Sull’essere ancora in scena dopo tanto tempo: «In vita mia non ho mai pensato a lungo raggio, all’inizio non sapevo nemmeno cosa mi sarebbe successo di lì a cinque o dieci anni, il massimo a cui la mia immaginazione mi avrebbe potuto portare era l’anno successivo. In tutto questo tempo ho solamente e sempre seguito un mio modo di comporre. Ho cominciato a quattordici anni, ascoltando musica folk e cercando di emulare quel che ascoltavo alla radio. Fu allora che formai la mia prima band...».
La famiglia? «Del New England, nonni pescatori, siamo cresciuti sull’acqua. D’estate andavamo a Martha’s Vineyard, lì ho conosciuto Danny Kortchmar, suonava la chitarra, formammo assieme la nostra prima band nel ’65, The Flying Machine, suonavamo nei coffee shop, poi ci trasferimmo a New York per inseguire la musica».
I Beatles? «Era il ’68, non avevo nulla da fare, andai a Londra a trovare un amico. La verità è che volevo suonare, vedere un po’ il mondo. Tramite un amico di Danny arrivai a Peter Asher, appena assunto alla Apple, la casa discografica dei Beatles. Ottenni un’audizione, c’erano McCartney e Harrison: andò bene, mi fecero pubblicare il mio primo album. Fu un’esperienza straordinaria. Ero un fan dei Beatles, vedermi apprezzato da loro rappresentò una svolta».
Il ritorno negli States? «Ero dipendente dall’eroina, avevo bisogno di curarmi e disintossicarmi. Ci ho messo anni per uscire e recuperare e salvare mia vita. Sono felice di essere vivo, di non essere morto in quel periodo. Sì, sono stato fortunato».
Prevendite dei biglietti in corso su www.ticketone.it e nei circuiti abituali. Informazioni sulla tappa triestina anche su www.progettolive.com
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