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venerdì 19 febbraio 2016
ELTON JOHN, wonderful crazy night
A Sanremo c’erano attesa e timori per l’esibizione di Elton John, che aveva già dato buca nel ’95, quando all’ultimo minuto fece marcia indietro, facendo perdere le sue tracce, dopo essere rimasto imbottigliato in una fila-monstre fra l’aeroporto di Nizza e la città dei fiori. Lasciando tutti con un palmo di naso e un discreto buco nella scaletta degli ospiti.
Ma i timori - l’attesa, va da sé, per un personaggio del suo calibro, ci stava tutta... - non era per un eventuale, nuovo forfait. Piuttosto per l’eventuale presenza del marito David Furnish, per possibili esternazioni sulle coppie gay, le unioni civili, l’utero in affitto (tecnica alla quale i due hanno fatto ricorso per mettere al mondo il loro figlioletto) e gli altri argomenti di stretta attualità che nelle ultime settimane hanno infiammato più il mondo politico che il paese reale.
È successo che Sir Elton ha lasciato il marito a casa, non si è lasciato andare a particolari esternazioni sui citati argomenti, tranne un generico apprezzamento per la sua esperienza di padre («non avrei mai pensato di diventare papà e di avere la vita che ho avuto...»). Grossi sospiri di sollievo ai piani alti della Rai e in una parte del parlamento.
Meglio così. Il pubblico ha dunque potuto concentrarsi sulla musica e sulle canzoni di cui l’artista inglese è maestro. Anche perchè era al Festival per presentare il nuovo album, “Wonderful crazy night” (Universal), di cui ha presentato lo scoppiettante brano omonimo, a conclusione del mini-show pianoforte e voce nel quale aveva proposto anche vecchi classici come “Candle in the wind”.
Va detto che, a dispetto degli anni che passano (Reginald Kenneth Dwight, questo il suo vero nome, ne compie sessantanove il 25 marzo), si tratta di un buon album. Che chiude una trilogia avviata nel 2010 con “The union”, il disco realizzato assieme al grande Leon Russell, e proseguita con “The diving board”.
Come alcuni ricorderanno, c’era già stata una trilogia, che aveva avviato la rinascita dell’artista dopo un periodo buio, soprattutto con l’album “Songs from the west coast” (pubblicato nel 2001).
Alla luce di quanto ascoltato anche in questo lavoro, che vede in cabina di regia ancora T Bone Burnett, possiamo dire che la carriera del musicista anglosassone è più viva che mai. Non dorme sugli allori, insomma, non vive solo e soltanto dei grandi, immortali successi del passato.
Atmosfere allegre, suoni più rock’n’roll, tante chitarre in primo piano (fra cui quella del vecchio amico e collega Davey Johnston). Fra i brani: “In the name of you”, “Claw hammer” (clima anni Sessanta), “Blue wonderful”, “Looking up” (apertura all’organo, poi un piano quasi honky-tonk), “Guilty pleasure”.
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