"Noi crediamo di aver donato a Faber una maggior attenzione per la musica. Infatti dopo quel nostro tour ha realizzato dischi molto più curati musicalmente. Lui a noi ha regalato senz’altro il rispetto per la parola, per l’importanza della parola...".
Franz Di Cioccio, ieri sera al Politeama Rossetti, nello stesso teatro in cui il tour di Fabrizio De Andrè con la Pfm fece tappa il 4 febbraio del ’79, fotografa così il senso di quella storica collaborazione.
Un vero evento, nell’Italia musicale degli anni Settanta, per capire l’importanza del quale va ricordato che all’epoca quasi non esisteva comunicazione fra cantautori e gruppi pop-rock: da un lato gli uni, la cui forza stava soprattutto nei testi, e che quasi sempre si presentavano dal vivo accompagnandosi da soli alla chitarra; sull’opposto versante le band, impegnate a proporre una chiave nazionale della musica che arrivava da Inghilterra e Stati Uniti.
L’intuizione dell’artista genovese e del gruppo milanese - in maniera simile a quanto era appena accaduto oltreoceano con Dylan e The Band - fu quella di unire due mondi che erano vicini di casa ma fino a quel momento non si parlavano, o si parlavano poco. E poi, dopo quel tour e quei due dischi dal vivo che ne seguirono, niente fu più lo stesso.
Ecco allora il senso e la felice opportunità, un quarto di secolo dopo, e con De Andrè che purtroppo vive soltanto attraverso la grande arte che ci ha lasciato, di rivivere quell’esperienza con questo tour intitolato «Pfm canta De Andrè».
Prima parte tutta dedicata alle canzoni di Faber. Si parte con «Bocca di rosa», poi è subito tempo di quell’immortale manifesto antimilitarista che risponde al nome di «La guerra di Piero». La fisarmonica di Flavio Premoli (con Di Cioccio e Franco Mussida membro originario della band) detta il tempo di «Un giudice», brano che stava in «Non al denaro, non all’amore né al cielo», disco del ’71. Mentre la voce di Mussida sostituisce quella di Di Cioccio per «Giugno 73».
Fra un brano e l’altro, il ricordo della collaborazione con De Andrè assume toni divertiti, si colora di piccoli aneddoti. Niente piagnistei, insomma e per fortuna. Fuori c’è già tutto il mondo che piange le ultime ore del Papa. Si apprende così che la collaborazione era nata ben prima del ’79. «Ci chiamavamo ancora ”Quelli” - ricorda Di Cioccio - e facevamo ancora i session men, cioè suonavamo nei dischi degli altri, quando un giorno ci chiamò Reverberi dicendo che c’era da lavorare per il nuovo disco di Faber: si trattava de ”La buona novella”...». Ed ecco che da quell’album - uscito nel ’70 - ritornano «Maria nella bottega del falegname» e «Il testamento di Tito».
Ma prima dell’intervallo c’è ancora tempo per altri capolavori: «Zirichiltaggia» (col violino di Lucio Fabbri a dare un’impronta da western sardo...), «Volta la carta», «La canzone di Marinella», soprattutto una superlativa «Amico fragile», con Mussida in grande evidenza alla chitarra elettrica.
Cambio d’atmosfera. Il secondo tempo è targato Pfm. Anzi, Pfm del periodo americano, dei testi scritti da Pete Sinfield dei King Crimson. «River of life», «Photos of ghosts», «Promenade the puzzle»... Ma c’è anche «Maestro della voce» dedicata al grande Demetrio Stratos, e poi «Suonare suonare», e ancora De Andrè col «Pescatore». «Impressioni di settembre» e «Celebration», con tanto di coro e urlo liberatorio, chiudono anche la partita dei bis. Un successone.
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domenica 3 aprile 2005
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