«Ma cos’è questa crisi, para-para-pà-pà-pà-pà... ma cos’è questa crisi...». Vanno sempre bene, in qualsiasi epoca e forse per qualsiasi situazione, gli storici e immortali versi di Ettore Petrolini. Del resto, la crisi di chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, da che mondo e mondo, non è mai entrata nel fiammeggiante foyer del Teatro Verdi la sera della prima.
Il gala inaugurale targato 2005 non fa dunque eccezione alla regola. Anche ieri sera, pochi minuti prima dell’inno di Mameli, l’anticamera della platea è il solito fiorire di pellicce, smoking, abiti lunghi, gioielli, acconciature fresche di parrucchiere, decollété d’ordinanza e sorrisi di circostanza. Col sindaco Dipiazza, strategicamente piazzato assieme al sovrintendente Zimolo in prossimità dell’ingresso ad accogliere ospiti più o meno importanti (c’è anche il sottosegretario Martusciello, che però nessuno conosce...), Dipiazza, dicevamo, dispensatore supremo di sorrisoni e grandi pacche sulle spalle: «come va? bene, nonostante voi...», dice per esempio a un paio di cronisti che lo salutano, prima di sbottare in una crassa e liberatoria risata.
Ma le tante e pesanti crisi economiche della città e del Paese, stavolta, s’incrociano con una crisi altrettanto grave che tocca da vicino il mondo della cultura e dello spettacolo. E quel grande striscione bianco, con la scritta rossa «Taglio Fus = chiusura!», affisso sopra l’ingresso del teatro, sta lì a ricordarlo. A ricordare che il giocattolo è sul punto di rompersi, che la dorata passerella non è garantita a vita, che le tante crisi che stringono in una morsa Trieste, l’Italia e il mondo dello spettacolo non sono in fondo poi tanto lontane. Nemmeno da questo foyer pavesato a festa.
Del resto anche essere qui, quasi come se nulla fosse, somiglia a un mezzo miracolo. Le rappresentanze sindacali del teatro hanno infatti deciso solo in extremis di revocare lo sciopero già indetto quale ulteriore forma di protesta contro i tagli apportati dalla Finanziaria al Fondo unico dello spettacolo. Senza quei soldi, oggi, in Italia, non c’è ente lirico in grado di sopravvivere. Quei soldi sono la principale voce di entrata di tutte le fondazioni lirico-sinfoniche. Senza, si chiudono baracca e burattini. E anche gli appuntamenti mondani devono trovare nuove occasioni.
Poi, si sa come vanno queste cose, la protesta è rientrata. Il sindaco, che come primo cittadino è anche presidente della fondazione lirica, si è impegnato a coprire coi fondi comunali, nella massima misura possibile, quella parte dei contributi statali che verrà a mancare per il 2006 (si parla di oltre due milioni di euro in meno). Dipiazza si è impegnato anche a sensibilizzare gli altri enti locali. Il presidente della Provincia Scoccimarro, anche lui ieri sera piuttosto allegro, non ha fatto mancare almeno il conforto della sua presenza. Lo stesso non si può dire del governatore Illy, assente dal gala per il secondo o forse terzo anno di fila.
Alle 20.37, con qualche minuto di ritardo sulla scaletta, tutti in piedi per l’inno di Mameli, che tradizionalmente apre le prime. Qualche mano sul petto, qualche verso sussurrato in punta di labbra. Poi, è solo «Turandot». Fuori del teatro, la<USnuogra> serata all’insegna della mondanità discreta si stempera pian piano nelle brume autunnali. E i tanti abeti illuminati che Dipiazza quest’anno ha voluto in piazza Unità ricordano che fra poco è Natale. Natale di crisi. Appunto.
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