martedì 20 settembre 2011

TEATRO VALLE OCCUPATO

TEATRO VALLE OCCUPATO

di Carlo Muscatello

ROMA Da oltre tre mesi, dietro il Senato della Repubblica, a due passi dai palazzi romani del potere, c’è un teatro occupato giorno e notte da attori e tecnici. E’ lo storico Teatro Valle, il più antico della capitale, inaugurato nel lontano 1727, che ha concluso la sua attività “ufficiale” a maggio, con la chiusura dell’Eti, Ente teatrale italiano. Nell’incertezza sul suo futuro (qualcuno dice che ne vogliono fare un ristorante...), il 14 giugno un gruppo di lavoratori dello spettacolo è entrato e ha dato il via a una maratona teatrale e musicale che non si è ancora interrotta.

«La questione - spiega Tullia Alborghetti, attrice triestina che da anni vive e lavora a Roma, fra le animatrici della protesta - non è soltanto quella di salvare un teatro. In un Paese dove alcuni ministri non perdono occasione per affermare che “con la cultura non si mangia”, vogliamo riaffermare il principio secondo il quale la cultura e i teatri sono beni pubblici. Come l’aria, come l’acqua...».

Nella caldissima estate romana, al Valle - ovviamente senza aria condizionata - sono arrivati in tantissimi. Nomi noti e debuttanti, in un’ideale staffetta che ha visto alternarsi sull’antico palcoscenico (immortalato da Monicelli in una scena del “Marchese del grillo”, con Alberto Sordi) centinaia di attori, musicisti, scrittori, intellettuali.

Da Andrea Camilleri a Nanni Moretti, da Jovanotti a Fiorella Mannoia, da Elio Germano a Edoardo Bennato, da Franca Valeri a Silvio Orlando. E ancora Moni Ovadia, Paola Turci, Fabrizio Gifuni, Giovanna Marini, Alessandro Bergonzoni, Renzo Arbore... Chi per recitare un brano, chi per cantare una canzone, chi semplicemente per portare la propria solidarietà al popolo del Valle. Fra un’assemblea e un seminario, in un clima creativo e tutto sommato gioioso che ricorda certe esperienze di autogestione sessantottina che sembravano morte e sepolte.

Nei mesi in cui all’estero si parla dell’Italia quasi unicamente per lo stile di vita del nostro presidente del Consiglio, il caso del teatro occupato romano è arrivato anche sui media internazionali, dal New York Times a Liberation a El Pais.

Francis Ford Coppola ha inviato un messaggio di solidarietà e vicinanza agli occupanti. E venerdì è in programma una lezione aperta sul teatro e il lavoro dell’attore con il regista tedesco Peter Stein, affiancato per l’occasione dall’attrice Maddalena Crippa.

Nei giorni della Mostra del cinema di Venezia, una delegazione di attori e tecnici ha portato la protesta del Valle anche al Lido, a due passi dal “red carpet” e dalle stelle hollywoodiane, intrecciando la vicenda del teatro romano con quella del veneziano Teatro Marinoni, “ennesimo spazio artistico abbandonato”.

La nostra scommessa, dicono gli occupanti che da tre mesi dormono nei sacchi a pelo, sistemati alla meno peggio nei palchi settecenteschi del teatro, consiste nel «trasformare la rabbia sociale in pensiero, protesta, creatività. Siamo i precari dello spettacolo e in fondo chiediamo solo di lavorare».

Già, il lavoro. Problema comune per tantissimi, in questa Italia del 2011. L’industria dello spettacolo non vive solo dei grandi nomi, dà lavoro a 250 mila addetti, molti dei quali non se la passano bene. Eppure il cinema italiano è la terza industria del Paese. Eppure nel 2010 sono stati staccati 23 milioni di biglietti per prosa, musica, lirica e balletto. La prosa da sola ne ha garantiti oltre 14 milioni.

«La gente che ogni sera riempie il teatro - dice Alborghetti - non è fatta soltanto di addetti ai lavori. C’è anche molta gente del quartiere, un quartiere che ha letteralmente adottato gli occupanti e ha fatto propria la protesta. Il Valle è diventato in questi tre mesi luogo di scambio, di socializzazione, non solo di spettacolo».

Ancora l’attrice triestina: «Oggi la situazione del teatro italiano è fortemente degenerata, sembra che il mercato chieda solo commedie che fanno ridere, ci si è convinti che la formula televisiva sia l’unica che possa resistere. E invece questa esperienza dimostra che c’è richiesta anche d’altro. Dobbiamo ripartire dalla scuola, dai giovani. Dobbiamo abituarci a considerare la cultura e il teatro per quello che sono sempre stati: un bene comune».

Come l’aria, come l’acqua...

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