Da quasi mezzo secolo canta Roma. Con amore, passione, a volte disincanto. Disseminando di belle canzoni tutti i decenni infilati fra i Settanta e oggi. Ora Antonello Venditti, sessantasette anni compiuti a marzo, quarantacinque anni di carriera, oltre trenta milioni di dischi venduti, alla vigilia del ventesimo album in studio (dunque raccolte e “live” esclusi), la sua città l’ha raccontata anche in un libro, “Nella notte di Roma”, uscito pochi mesi fa per Feltrinelli.
«Roma è il set della mia vita - dice Venditti, che venerdì alle 21 è in concerto a Cervignano, piazza Europa Unita, per “Onde mediterranee” - dunque non posso farne a meno. È un libro affettuoso e al tempo stesso crudele. Nel quale indico i suoi peccati capitali, intrecciati a un mio percorso esistenziale fatto di musica e ricordi».
La tempesta di guano sul Lungotevere è vera?
«Certo, è stata lo spunto per raccontare questa storia. Dovevo andare a una cena, stavo cercando parcheggio, quando è arrivata la “tempesta”. Lungotevere chiuso a causa degli storni, tonnellate di merda piovevano dal cielo su Roma. Mi è sembrata un’immagine simbolica».
Nel libro ricorda Allen Ginsberg a Ostia nel ’79.
«Quell’estate la gente arrivava da tutto il mondo per sentire i poeti della beat generation sulla spiaggia di Ostia. Stagione irripetibile».
Cos’erano il Pci, la sinistra per i ragazzi di allora?
«Il Partito comunista era un sogno di cultura e libertà, un punto di riferimento leggero ma sostanziale. C’era un’area molto vasta. Berliguer, le estati di Nicolini, uomini che rappresentavano punti di riferimento di un certo livello».
Oggi?
«La gente ha ancora fame di eventi culturali, ma manca una politica all’altezza. Non ci sono le organizzazioni politiche capaci di convogliare idee e ideali. Oggi le idee stesse di sinistra e di destra vacillano».
Mafia capitale esiste ancora?
«Temo proprio di sì. Intreccio politico imprenditoriale mafioso troppo complesso. Le indagini sono in corso. Ci vorranno anni».
Roma senza monnezza?
«Speriamo. In alcune zone del centro recentemente la situazione è migliorata. Ma serve un percorso virtuoso, educare alla cultura della raccolta differenziata, prendere ad esempio le altre grandi capitali europee».
La sindaca Raggi?
«Non la conosco. Ha davanti un percorso molto difficile. Aspettiamo di vedere cosa saprà e potrà fare».
A vedere la Roma ci va sempre?
«Allo stadio meno. Guardo le partite in tv, con gli amici, è anche un’occasione di incontro. Poi il risultato conta fino a un certo punto. Ogni squadra ha un suo destino».
Un ricordo di Gato Barbieri?
«È sempre nel mio cuore. È stato un punto d’incontro importante fra jazz e cultura popolare. Le sue ceneri sono sparse nel mare di Capri, dove la moglie vive una parte dell’anno...».
Ha detto che “Tortuga” è un punto di arrivo e di ripartenza: perchè?
«”Tortuga” è un luogo ideale, un’isola, è la voglia di libertà, dove ci sono ragazze che ballano, c’è voglia di divertirsi, voglia di futuro, generi musicali diversi dai tuoi. Come in quel bar Tortuga, di fronte al mio vecchio liceo Giulio Cesare, nel quartiere Trieste».
E la ripartenza?
«Sono in tour da quasi un anno, da quel 5 settembre dell’anno scorso del mio ritorno allo Stadio Olimpico. Ebbene, dopo questi concerti mi fermo per un bel po’: comincio a lavorare al nuovo album, si chiude un capitolo durato quarantacinque anni, se ne apre un altro, senza punti di riferimento...».
Il concerto di Staranzano?
«Un’occasione speciale, come quelli di quest’estate. Ha al suo interno tanti concerti, dagli anni Settanta a oggi, tutte le fasi che ho attraversato sono rappresentate. Tanto rock, tante canzoni, stavolta parlo poco...».
Con che canzone comincia?
«Cambio ogni sera, ma chiudo sempre con “Grazie Roma”. Quasi una sigla».
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