martedì 26 agosto 2003

INTERVISTA ALEX BRITTI

Prendi un bluesman cresciuto a pane e chitarra, fallo passare per
quel mattatoio che è il Festival di Sanremo, e poi consegnalo (innocente)
alle attenzioni della miglior stampa scandalistica di casa nostra. Attirata
come il miele dal fatto che lui, per l’anagrafe Alex Britti, trentacinque
anni, romano, da un po’ di tempo «si frequenta» con quel fiorellino di Luisa
Corna, presentatrice televisiva ma anche cantante lei stessa.
«Io non amo la mondanità - si sfoga Britti, il cui tour fa tappa giovedì 28
agosto a Trieste, al Teatro Romano - evito anche i locali alla moda, però mi
trovo questa gente sotto casa, si appostano a tutte le ore. È una cosa
impossibile. Non ce l’ho con i paparazzi, mi rendo conto che lo fanno per
guadagnare, perchè è il loro lavoro. Mi dà più fastidio chi legge questi
”servizi”, chi si fa sempre gli affari degli altri...».
È il prezzo della popolarità...
«Forse. Mi rendo conto che tutto è relativo, e che a Baghdad stanno
decisamente peggio. Certo, anche questo fa parte del gioco. Ma è una
situazione triste, che mi fa pena, frutto a mio avviso di sottocultura».
Parliamo di musica?
«Meglio. Questo tour sta andando benissimo. E contrariamente a quel che si
può pensare è meno faticoso di uno ”normale”, con la band e tutto il resto.
Il fatto di esibirmi da solo, ”Kitarra, voce e piede”, come da titolo dello
spettacolo, mi aiuta molto. È più facile anche tecnicamente...».
Già in fuga dal carrozzone pop?
«Beh sì, anche il palco, quando sei da solo, è più facile da gestire.
Eventuali modifiche alle scalette dei brani possono essere fatte con più
facilità. E il rapporto col pubblico che hai davanti è più diretto...».
Retaggi dei trascorsi blues?
«Forse. Il blues è una grande scuola musicale, che si fa da ragazzini, poi
si deve crescere...».
...con le canzoni?
«Io le canzoni le ho sempre scritte. Anche quando suonavo in giro per
l’Italia e per l’Europa con piccoli gruppi e accompagnando i grandi del
blues. Il fatto è che con il blues riuscivo a pagare le bollette, con le mie
canzoni no. Quello del blues è un grande mercato commerciale, fatto di
locali, rassegne, festival, dove è possibile suonare. In giro è pieno di
cover band».
Poi, a un certo punto, le bollette non sono state più un problema. Ma grazie
alle canzoni...
«La svolta è stato trovare un discografico che mi ha dato fiducia, e
scoprire che al pubblico queste mie canzoni piacevano. E per fortuna: a
diciotto anni va bene suonare la musica altrui, a trenta molto meno...».
Blues e canzoni: come convivono queste due anime?
«Il blues rimane la mia grande passione. e poi non è vero che sono due
anime. È un’anima sola: il mio cuore, il mio gusto. Quando da ragazzo
ascoltavo i grandi del blues e quelli della canzone d’autore non facevo
differenza. Anzi, facevo differenza solo fra quel che mi piaceva e quel che
non mi piaceva».
La chitarra è stato il collante fra queste due passioni...
«Sì, avevo otto anni quando ho cominciato a suonicchiarla. Io non sono mai
andato a scuola di musica, non ho mai preso lezioni in senso tradizionale, e
infatti tuttora non scrivo e non leggo la musica».
Il classico autodidatta...
«Già. Grazie a un disco: ”Burattino senza fili”, di Edoardo Bennato. Era il
’77, io ero un bambino, la storia del gatto e la volpe, tutto il resto...
Insomma, ne rimasi affascinato. E cominciai a strimpellare quelle
canzoni...».
Anche Bennato un tempo suonava in versione «one man band»...
«Sì, questo mio tour da solo può essere letto come un piccolo omaggio al
mito dei miei nove anni. Gliel’ho detto, quando l’ho conosciuto. È una bella
persona, in privato anche migliore di come appare in pubblico».
Torniamo alle origini.
«Abitavo nel quartiere di Monteverde vecchio, a Roma. I miei mi avevano
regalato una piccola chitarra Eko, quelle per bambini. I primi accordi me li
insegnò un prete. Poi mi arrangiai da solo. I pomeriggi li passavo sulle
gradinate della chiesa, con altri ragazzini, a suonare Bennato, ma anche De
Gregori, Guccini, Ivan Graziani... La chitarra è uno strumento
socializzante, ma ti accompagna anche nella solitudine. Anche adesso, certe
volte mi piace andare di sera, vicino al mare, a suonare da solo...».
Domanda d’obbligo: il chitarrista preferito?
«Paco De Lucia, perchè l’ho visto suonare dal vivo e trasmette un’ondata di
emozioni. Ma forse solo perchè non ho fatto in tempo a vedere dal vivo Jimi
Hendrix...».
Sanremo?
«Soltanto televisione. Quando esce un disco devi fare promozione, dunque
devi andare in tivù, cosa che io non amo particolarmente. Ma fa parte del
lavoro. Certo, mia madre è contenta quando mi vede lì, ma Sanremo non fa
parte della mia cultura: io mi sono cresciuto piuttosto con Montreaux, o con
il Pistoia Blues Festival...».
Insomma, torniamo sempre al blues...
«L’ho detto: è la mia passione. Il blues non è solo tre accordi, ma è
trasmettere qualcosa di allegro e trascinante. Anche parlando di cose
serie».

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