Presentando l’ultimo bis la grande signora della canzone italiana (classe 1934) farfuglia: «Mi vorrei accomiatare con... no, sa di antico... Allora mi vorrei ritirare con...». E prosegue: «Neanche, mi ricorda la mia ginecologa, ops, la mia foniatra che mi visita e mi dice: signora, per una gola come la sua non c’è casistica. Alla sua età o sono morti o si sono ritirati...». Sorrisi sul palco e in platea, e lei infila con noncuranza l’ennesima bella canzone della serata, «L’azzurro immenso», scritta con Sergio Cammariere.
Poca gente, si diceva, ed è un peccato, perchè lo spettacolo è di qualità. Scenografia teatrale, elegante ed essenziale. Sulla destra una sorta di gabbia bianca «contiene» i musicisti (l'argentino Natalio Luis Mangalavite al pianoforte, Luca Scarpa al pianoforte e alle tastiere, Michele Ascolese alle chitarre, Dino D'Autorio al basso, Roberto Testa alla batteria, Carlo di Francesco alle percussioni), sulla sinistra alcuni specchi e quattro gradoni su cui sono ammonticchiati degli enormi sacchi bianchi, dai quali la cantante estrae coloratissimi foulard. A rappresentare altrettanti amori, passioni, sentimenti.
Ornella canta l’amore, nello spettacolo come nel nuovo disco, né potrebbe essere altrimenti. La forza del recital sta nel fatto che le canzoni nuove, quelle che il pubblico conosce poco, non sfigurano al fianco dei classici di una vita e di una carriera ormai lunghe. «Una bellissima ragazza», «Dolce meccanica», «La vita che mi merito» (parole di Renato Zero) tengono insomma botta anche se vengono alternate con cavalli di battaglia datati come «Uomini», «Ho capito che ti amo» (splendida, per pianoforte e voce, con accoglienza timidina che la fa sbottare così: «Lo so che voi triestini siete un po’ freddi, anche quando applaudite, sù, coraggio...»), «Questa notte c’è», «La voglia la pazzia» (che stava nell’album del ’76 con Vinicius de Moraes e Toquinho)...
Secondo tempo. Cambio d’abito. Si riparte con un capolavoro assoluto della canzone italiana come «Insieme a te non ci sto più», scritto da Paolo Conte per Caterina Caselli nel ’68. Si prosegue con altri brani del nuovo disco («Cosa m’importa», «Gli amanti», «E del mio cuore», «Buona vita», «Pagine»...), la classicissima «Rabbia libertà fantasia», e ancora una canzone del 1968: quella «Canzone per te» con cui l’istriano Sergio Endrigo e il brasiliano Roberto Carlos vinsero Sanremo. Di nuovo versione pianoforte e voce, essenziale, dolente, quasi da antologia.
Si scivola verso il finale. Ornella molla i tacchi su cui si è costretta per tutta la serata e respira finalmente a piedi nudi. Sembra anche più rilassata. Non è una grande raccontatrice di aneddoti, ma più si va avanti e meno si impappina. Parlando, of course, perchè quando canta non ce n’è per nessuno...
Ecco allora un’antica «Senza paura», di Vinicius, quello che diceva sempre: «Ci hanno messo su questa terra, ma hanno dimenticato di darci il libretto per le istruzioni...». Ecco le immortali «Che cosa c’è» e «Una ragione di più», rispettivamente del ’63 e del ’69, ma emozionanti come allora.
Poi i bis, fra cui «Domani è un altro giorno», con la gag di cui si diceva all’inizio. Ornella saluta e ringrazia, ma ha ancora un sacco di voglia di parlare, ora che si è sciolta. Racconta allora di quanto le piace Trieste, del mare che lei ha trovato sempre calmo, di Strehler che la portava in quella tale pasticceria a mangiare lo strudel... Successo caloroso, peccato per le tante file vuote.
Poca gente, si diceva, ed è un peccato, perchè lo spettacolo è di qualità. Scenografia teatrale, elegante ed essenziale. Sulla destra una sorta di gabbia bianca «contiene» i musicisti (l'argentino Natalio Luis Mangalavite al pianoforte, Luca Scarpa al pianoforte e alle tastiere, Michele Ascolese alle chitarre, Dino D'Autorio al basso, Roberto Testa alla batteria, Carlo di Francesco alle percussioni), sulla sinistra alcuni specchi e quattro gradoni su cui sono ammonticchiati degli enormi sacchi bianchi, dai quali la cantante estrae coloratissimi foulard. A rappresentare altrettanti amori, passioni, sentimenti.
Ornella canta l’amore, nello spettacolo come nel nuovo disco, né potrebbe essere altrimenti. La forza del recital sta nel fatto che le canzoni nuove, quelle che il pubblico conosce poco, non sfigurano al fianco dei classici di una vita e di una carriera ormai lunghe. «Una bellissima ragazza», «Dolce meccanica», «La vita che mi merito» (parole di Renato Zero) tengono insomma botta anche se vengono alternate con cavalli di battaglia datati come «Uomini», «Ho capito che ti amo» (splendida, per pianoforte e voce, con accoglienza timidina che la fa sbottare così: «Lo so che voi triestini siete un po’ freddi, anche quando applaudite, sù, coraggio...»), «Questa notte c’è», «La voglia la pazzia» (che stava nell’album del ’76 con Vinicius de Moraes e Toquinho)...
Secondo tempo. Cambio d’abito. Si riparte con un capolavoro assoluto della canzone italiana come «Insieme a te non ci sto più», scritto da Paolo Conte per Caterina Caselli nel ’68. Si prosegue con altri brani del nuovo disco («Cosa m’importa», «Gli amanti», «E del mio cuore», «Buona vita», «Pagine»...), la classicissima «Rabbia libertà fantasia», e ancora una canzone del 1968: quella «Canzone per te» con cui l’istriano Sergio Endrigo e il brasiliano Roberto Carlos vinsero Sanremo. Di nuovo versione pianoforte e voce, essenziale, dolente, quasi da antologia.
Si scivola verso il finale. Ornella molla i tacchi su cui si è costretta per tutta la serata e respira finalmente a piedi nudi. Sembra anche più rilassata. Non è una grande raccontatrice di aneddoti, ma più si va avanti e meno si impappina. Parlando, of course, perchè quando canta non ce n’è per nessuno...
Ecco allora un’antica «Senza paura», di Vinicius, quello che diceva sempre: «Ci hanno messo su questa terra, ma hanno dimenticato di darci il libretto per le istruzioni...». Ecco le immortali «Che cosa c’è» e «Una ragione di più», rispettivamente del ’63 e del ’69, ma emozionanti come allora.
Poi i bis, fra cui «Domani è un altro giorno», con la gag di cui si diceva all’inizio. Ornella saluta e ringrazia, ma ha ancora un sacco di voglia di parlare, ora che si è sciolta. Racconta allora di quanto le piace Trieste, del mare che lei ha trovato sempre calmo, di Strehler che la portava in quella tale pasticceria a mangiare lo strudel... Successo caloroso, peccato per le tante file vuote.
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