lunedì 4 novembre 2013

MARCO CAVALLO IN TOUR DAL 12-11

Gli avevano dato un nome da uomo, perchè quel cavallo addetto a trascinare il carretto della biancheria sporca era per loro un animale domestico, forse un amico, certo un conforto dentro le brutture del manicomio di San Giovanni, a Trieste, prima che Franco Basaglia portasse a compimento la sua rivoluzione. Alla vigilia del pensionamento, che significava mattatoio, Marco Cavallo diventa un grande animale di cartapesta blu e il 25 febbraio del ’73 viene fatto uscire dal comprensorio dell’Opp, viene portato in giro per le strade di una città che non capiva da un festoso corteo di “matti”, medici, infermieri, volontari. Da quarant’anni, dopo aver impersonato la battaglia per la chiusura dei manicomi, è la rappresentazione stessa della psichiatria dal volto umano. Di più: è un simbolo della lotta per la libertà, per la dignità delle persone. Di tutte le persone. Ora per il cavallo azzurro è tornato il tempo di partire. Dopo aver ispirato spettacoli, testi, poesie, favole, “Le grand cheval bleu” va in tournèe. Parte il 12 novembre, ovviamente da casa sua, dal grande parco di San Giovanni sempre più restituto alla città e alla sua popolazione. Toccherà sedici città italiane, entrerà nei sei Ospedali psichiatrici giudiziari che ancora esistono sul territorio nazionale. Nei quasi 3500 chilometri del viaggio, sarà accompagnato ovviamente da Peppe Dell’Acqua, già direttore del Dipartimento di salute mentale triestino, uno degli eredi diretti di Franco Basaglia, che della chiusura dei manicomi fece la sua ragione di vita. «In questi anni - dice lo psichiatra - Marco Cavallo non ha mai smesso di viaggiare. Ora riparte con tre obiettivi: chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, dire no ai manicomi/ospedali psichiatrici giudiziari regionali, aprire i centri di salute mentale ventiquattr’ore su ventiquattro». Entriamo nel dettaglio. «Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono ancora in funzione, con oltre mille persone internate, rinchiuse in luoghi che Napolitano ha definito “indegni per un Paese appena civile”. Per portare all’attenzione di cittadini e istituzioni questa situazione il comitato stopOpg, con il coinvolgimento delle associazioni che lo compongono e di quelle delle città toccate, ha chiesto a Marco Cavallo di riprendere il suo viaggio. Il cavallo azzurro, che nel ’73 a Trieste ruppe i muri del manicomio dando il via all’inarrestabile processo di cambiamento e alla legge 180, toccherà le città sedi di Opg e alcune di quelle che potrebbero diventare sedi dei cosiddetti “mini Opg”». Ancora Dell’Acqua: «È dunque un viaggio di denuncia, ma con esso si vuole lanciare anche un allarme: al posto degli Opg si stanno progettando delle “strutture speciali” in ogni regione (i mini Opg, appunto), in cui trasferire e rinchiudere di nuovo gli internati. Con il rischio si aprano, al posto dei vecchi manicomi giudiziari, nuovi piccoli manicomi regionali. La mancata chiusura degli Opg è anche lo specchio di come funzionano (o non funzionano) i servizi di salute mentale nel territorio». E arriviamo al terzo fronte. «Ecco perché chiediamo l’apertura dei Centri di salute mentale ventiquatt’ore su ventiquattro. Chiudere gli Opg significa promuovere accoglienza e cura per le persone che vivono l’esperienza, come ha stabilito la legge 180, e come è successo dove i servizi di salute mentale sono visibili, attraversabili e vicini. Con Centri di salute mentale accoglienti, aperti giorno e notte, integrati con i servizi territoriali, con la progettazione di forme abitative sostenute, di formazione al lavoro e di inclusione lavorativa e sociale, capaci concretamente di “prendersi carico” delle persone e dei loro familiari». Per questo il cavallo è di nuovo in viaggio: per chiudere gli Opg, scongiurarne l’apertura di nuovi, tornare allo “spirito originale” della 180 che, chiudendo i manicomi, puntava a restituire dignità e cittadinanza a tutte le persone. Il viaggio, come detto, parte martedì 12 novembre da Trieste: prima il saluto delle autorità, degli operatori e delle associazioni nel Parco San Giovanni, poi l’evento in piazza Unità, con i bambini delle scuole e la presidente della Regione Fvg, Debora Serracchiani. Prima tappa Torino il 13, seconda Genova il 14, poi Livorno, la nave fino a Palermo, Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Roma (con passaggio al Quirinale e davanti a Camera e Senato), L’Aquila, Montelupo Fiorentino, Firenze, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere, Milano... Il viaggio incontrerà presenze del mondo politico, del teatro, della musica, del cinema, del giornalismo. Da Fabrizio Gifuni (il Basaglia della fiction televisiva) a Gino Paoli (che a San Giovanni ha cantato prima e dopo la chiusura del manicomio), da Lella Costa a Sonia Bergamasco, dai gruppi teatrali legati alle esperienze attorno alla salute mentale a Massimo Cirri (che aprirà una finestra sul viaggio nella trasmissione “Caterpillar” di RadioDue), da Ida di Benedetto a Giuliano Scabia. «Mi piace pensare - prosegue Dell’Acqua - che il futuro sia Marco Cavallo, questo viaggio, riflettere sulla storia che abbiamo alle spalle per andare avanti. Malgrado tutto. Che significa anche i pregiudizi, gli attacchi che sono stati fatti negli anni alla 180, l’usuale ed erronea triangolazione malattia mentale, pericolosità e istituzione, gli ambienti accademici che non hanno cambiato nulla nei loro percorsi di formazione, le psichiatrie che si sono rigenerate e riprodotte, le scelte di campo che la cultura e la politica avrebbero dovuto fare ma non hanno fatto, l’oppressione e il dominio delle industrie farmaceutiche...». Perchè le persone con problemi di salute mentale non hanno bisogno di luoghi dove stare, se non casa propria, nei luoghi dove la libertà di sé possa essere arricchita dai servizi, dall’aiuto degli altri: gruppi, famiglie, associazioni. «Il futuro - conclude lo psichiatra salernitano, triestino ormai da tanti anni d’adozione - è una porta aperta, che non significa creare un fuori e negare un dentro, quanto piuttosto posizionarsi sulla soglia. Abitare la soglia può essere il tema del futuro. Non possiamo più immaginare il malato di mente come altro da noi, dobbiamo mettere tra parentesi la malattia, solo così siamo in grado di scoprire persone, cittadini, storie. Questo è il significato della metafora della porta aperta, in una dimensione che è politica, etica e terapeutica: è nell’incontro con l’altro sulla soglia che nasce la possibilità di cura».

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