giovedì 1 gennaio 2004

BILANCIO 2003

Te lo ricordi il 2003? Che anno spettacolare, quell’anno. Fu quando tutti assistemmo attoniti e curiosi all’inversione di tendenza: i comici costretti a occuparsi di cose serie, gli altri impegnati a dire - ma quel che è peggio, fare - cose che avrebbero potuto far ridere, se non avessero fatto piangere.
Le avvisaglie si erano già notate alla fine del 2002, con l’interpretazione dantesca di Benigni. Poi si ruppero gli argini. Dario Fo e Beppe Grillo, ma anche le «Iene» e «Striscia la notizia», Maurizio Crozza ed Enrico Bertolino. E Paolo Rossi. Sì, l’attor comico monfalconese di nascita e milanese d’adozione fece uno spettacolo sulla Costituzione, parlando di Pericle e dell’antica democrazia ateniese. E confidando: «Io come comico avevo una certa credibilità. Ma quando arriva uno più bravo di te, e conquista la platea internazionale, non puoi che prenderne atto...».
Inutile ricordare che quello più bravo, secondo Rossi, era ovviamente Silvio Berlusconi, di gran lunga il più importante uomo di spettacolo prestato alla politica, dopo Ronald Reagan ma prima di Arnold Schwarzenegger.
La frecciatina a qualcuno sembrò impertinente. Il piccoletto che si chiamava come il campione della pedata di vent’anni prima la pronunciò a teatro, perchè in tivù (a lui come a Daniele Luttazzi, a Michele Santoro, persino a Enzo Biagi...) non lo facevano più andare. Via, sciò. Aveva provato a invitarlo persino Paolo Bonolis, l’uomo catodico dell’anno, colui che prima aveva chiesto e ottenuto un trasferimento interno da Mediaset a Rai, e poi aveva battuto i suoi ex colleghi di «Striscia», ma il permesso non era arrivato.
Non era andata meglio a Sabina Guzzanti, minacciata di censura prima di andare in onda, cancellata dai palinsesti dopo la puntata d’esordio del suo «Raiot». Anche lei - sorella di Corrado, geniale inventore di tanta satira televisiva, e figlia del senatore forzista Paolo, giornalista progressista da tempo pentito - aveva osato parlare di cose serie.
Meglio uccidere il vitello grasso per il ritorno di Panariello, non più emblema di una tv deficiente forte ormai di ben altri testimonial. E soprattutto per il trionfo dell’«Isola dei famosi», sorta di «Grande fratello» per sedicenti o aspiranti vip in disarmo e/o in cerca di rilancio, nuova ma non ultima frontiera della sindrome detta del buco della serratura. Come reality show, molto meglio i poveracci mostrati senza ipocrisie dagli «Invisibili», il programma dell’ex «Iena» Marco Berry su Italia 1.
Chiaro allora che l’affresco sofferto su trent’anni di vita italiana, tratteggiato da Marco Tullio Giordana con «La meglio gioventù» (due spanne meglio dei «Dreamers» di Bertolucci), sia rimasto per un anno chiuso nei frigoriferi di Viale Mazzini. E sia stato restituito all’originario destino di film per la televisione soltanto dopo il trionfo nelle sale italiane e francesi.
Che anno, quel 2003. Fu anche quello in cui si posero le basi per la definitiva liquidazione del già glorioso Festival di Sanremo. Sopravvissuto all’ennesima e incolore edizione baudiana, vinta per la cronaca da Alexia, nulla potè quando fu affidato alle grinfie di Tony Renis: forse - secondo i maligni - «amico di mafiosi» nei suoi lunghi anni americani, sicuramente «amico di Silvio» nelle dorate estati sarde. L’uomo giusto per cambiare santo di riferimento: Sant’Arcore, secondo la definizione di Giorgia. Brava cantante pronta per l’esilio...
Il resto? In ordine sparso, e dimenticando sicuramente tante cose. La riapertura della Fenice risorta dalle proprie ceneri. Il pasticciaccio brutto della Biennale. L’ennesimo Harry Potter. Le vendutissime fantasie erotiche di un’inquieta adolescente catanese, pubblicate anche negli States. I Beatles (meglio: chi gestisce il marchio) che raschiano il fondo del barile, con «Let it be... naked» e il libro di Ringo Starr con le riproduzioni delle cartoline ricevute tanti anni fa dagli ex soci. Le accuse di pedofilia a Michael Jackson. Il tormentone estivo insostenibile, «Chihuahua», e quello colto dei Tribalistas. La riscoperta di Rino Gaetano. I ventenni che, in Italia e all’estero, s’ispirano al miglior rock di trent’anni fa. I tre concerti estivi di Vasco Rossi a San Siro: 240 mila spettatori in tutto, per uno show immortalato su dvd. Dvd che fanno da argine alla perenne crisi della discografia, mentre impazzano i lettori Mp3 e si attende già il prossimo supporto ipertecnologico capace di mandare d’un botto in pensione quelli appena arrivati. E poi la morte di Alberto Sordi e Giorgio Gaber. Grandi italiani, loro sì. Davvero.

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