venerdì 19 dicembre 2003

GLENN MILLER ORCHESTRA

Musiche e canzoni sopravvivono sempre ai loro autori. Anche perchè l’immortalità, si sa, è prerogativa dell’arte. Ma ad alcune musiche di Glenn Miller, il maggiore dell’esercito americano morto nel dicembre del ’44 mentre stava sorvolando la Manica a bordo del suo aereo, diretto a Parigi, dove era in programma un concerto con la sua orchestra, è stato riservato un destino particolare: sono ancora, a distanza di quasi sessant’anni, l’ideale colonna sonora della voglia di vivere, di ricominciare, di ricostruire. Trasmettono allegria, buon umore, voglia di... battere il tempo.
È il caso ovviamente di «Moonlight Serenade», il brano che ha aperto, ieri sera al Teatro Verdi, il concerto che la Glenn Miller Orchestra europea, diretta dall’olandese Wil Salden, ha tenuto a favore del Fai, il Fondo per l’Ambiente italiano.
Quest’orchestra, con i suoi concerti in giro per il mondo, ha una parte importante nell’attualità del repertorio milleriano. Si presentano in scena alla stessa maniera dell’orchestra originale, quella fondata da Glenn Miller nel 1937, la famosissima Army Air Force Band. Cinque sassofoni in prima fila, quattro tromboni nella fila centrale, quattro trombe nella terza fila. E sulla parte sinistra del palcoscenico, il pianoforte del direttore d’orchestra, la batteria, il contrabbasso. Con loro sul palco, tutto sembra cristallizzato nel tempo, uguale a sessant’anni fa: la musica, ma anche gli stand, i microfoni, i vestiti dei musicisti...
La storia racconta che Miller era stato arruolato proprio con il compito di creare una big band per sollevare il morale delle truppe. In patria era al culmine della popolarità e, sotto le armi, divenne il motore musicale degli Alleati in Europa. Creando un suono unico, assolutamente riconoscibile, che secondo una piccola leggenda venne fuori per caso: durante un’esibizione il primo trombettista si ferì al labbro, e il clarinetto dovette sostituire la parte del trombone, creando quel sound poi passato alla storia come quello di Glenn Miller.
Wil Salden, nono direttore a occupare (dal ’90) il podio che fu del fondatore, si muove nel solco della tradizione. E va sul sicuro. Dopo «Moonlight Serenade» infila altri classici del maestro: da «A string of pearls» a «Little brown jug», da «I know why» (con l’entrata in scena della cantante, Mariske Hekkenberg) a «Carribean Clipper». Nel programma sono inseriti anche brani italiani che facevano parte del repertorio di Glenn Miller, come «The woodpecker song» (da noi nota come «Campagnola bella») e «Ciribiribin».
Ma il concerto presentato ieri sera a Trieste s’intitolava «Swinging Christmas». E infatti non sono mancati brani natalizi eseguiti in stile swing: dall’immancabile «Jingle bells» a «Santa Claus is coming to town» (con tanto di cappellini natalizi e il sassofonista-cantante travestito ovviamente da Babbo Natale...), da «A Christmas love song» a «Have yourself a merry little Christamas»...
Citazione d’obbligo anche per «Dinah» (in apertura di secondo tempo), «Sing sing sing» (con un entusiasmante solo di batteria), «Chattanooga choo choo» e - fra i bis - l’immancabile «In the mood». A Trieste, teatro tutto esaurito, pubblico elegante e atmosfera natalizia. In quello che ad alcuni - visto il clima a stelle e strisce - è sembrato un piccolo anticipo dei festeggiamenti per i cinquant’anni del ritorno di Trieste all’Italia.

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