Quando nel ’97 debuttò come scrittore con la raccolta di racconti “Fuori e dentro il borgo” (esordio col botto: oltre settecentomila copie vendute...), Luciano Ligabue era già una rockstar capace di infiammare i cuori e gli animi. Ma pochi, anche fra i suoi fan più accaniti, avrebbero mai immaginato che con quel libro sarebbe cominciata per l’indio di Correggio, classe 1960, una sorta di carriera parallela: musicista ma anche scrittore, dunque, senza dimenticare qualche tentazione anche in campo cinematografico (ricordate il film “Radiofreccia”?).
Ora, giunto alla quarta prova come scrittore, fra romanzi e antologie di racconti e raccolte di poesie, il gradimento di pubblico e critica per le sue opere si esprime ancora a botte di centinaia di migliaia di copie vendute (numeri abituali nel rock, molto meno nell’editoria) ma anche di recensioni sempre più che positive. E quasi non fa più notizia.
“Il rumore dei baci a vuoto” (Einaudi, pagg. 167, euro 15) è di nuovo una raccolta di racconti, proprio come in quell’antico e fortunatissimo esordio della fine degli anni Novanta, suggellato anche dal Premio Elsa Morante. E svetta maestoso nelle classifiche di vendita di questa calda estate 2012, sbucando spesso fra le letture obbligate sotto gli ombrelloni.
Il Liga stavolta propone tredici storie di gente comune, quasi dei piccoli grandi drammi della nostra vita quotidiana. In un’atmosfera spesso cupa, quasi noir, come suggerisce già il verso di una sua canzone riportato in copertina: «L’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?».
Ecco allora la vicenda di un uomo che sembra disposto a tutto, a quasi tutto, pur di salvare il cane della moglie. E forse il proprio stesso matrimonio. Una storia che fa quasi da contraltare a un’altra, dedicata a un signore tormentato dai sensi di colpa per aver messo sotto un gatto.
Poi c’è la lettera che un chirurgo aprirà, o forse no. Righe che parlano dell’umanità del dolore, del rispetto che merita. E ancora il segreto che una donna anziana si è portata dietro per tutta la vita, la vacanza che assume le sembianze di un incubo per colpa di una compagna di viaggio sbagliata, un rapporto che scricchiola per colpa della ricerca della verità a tutti i costi, la vicenda di un giovane medico tormentato dalle manie più particolari, il senso disperato di un rapimento...
La brevità, esaltata dalla formula del racconto, si trasforma in cifra stilistica quando ogni storia, ogni racconto non conosce una vera e propria conclusione. Sembra quasi rimanere in sospeso, ancora aperto a una novità, a un ipotetico colpo di scena, a un nuovo finale. Flash su istanti della vita delle persone, della gente comune, che quasi promettono un seguito, una speranza di un futuro diverso.
Come nelle sue belle canzoni, anche qui si parla di vita e di amore. Amore nella coppia, amore nei confronti dei figli, dei genitori, degli amici. Amori e sentimenti mai facili, ma sempre pervasi da un tocco di rassicurante tenerezza. Che regalano un tocco in più a racconti ben scritti.
Ligabue, ha notato qualcuno, corteggia il lato crudele della vita. E lo fa dall’osservatorio di quel grande serbatoio di ispirazione - e di narrativa - che è la provincia, la vita di provincia che l’artista non ha abbandonato nemmeno con il successo.
Continuando a nutrire la propria creatività anche delle cosiddette “chiacchiere di paese”. E pescando nella sua vita, nei suoi ricordi, nelle storie vere o inventate che ha abitato in tutti questi anni. Prima e dopo il successo come artista.
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