«Mi diverto molto a prendermi in giro, a denudarmi davanti a tutti e a confessare le mie debolezze e i miei errori. Trovo una solidarietà che mi entusiasma e mi consola. Siamo esseri inutili e imperfetti, travestiti da saggi e arroganti artefici del nostro destino. Ci raccontiamo balle tutto il giorno...».
Parole di Vasco Rossi. Scritte nell’introduzione al libro-dvd «Le mie canzoni», pubblicato da Mondadori, uscito due settimane fa e subito schizzato ai vertici delle classifiche dei libri più venduti. Davanti a Coelho, a Dan Brown, a Camilleri, a Piperno: campioni vecchi e nuovi, italiani e stranieri, di un mercato editoriale che muove numeri nemmeno lontanamente paragonabili a quelli che mette in circolo il Vasco nazionale.
Un libro di canzoni «da sfogliare come un romanzo della sua vita», si legge nella presentazione. I testi di centotrentadue canzoni, da «Jenny è pazza» a «Un senso», in ordine cronologico, dal ’78 a oggi. Alcune delle quali precedute da commenti autobiografici che aprono squarci inediti sul Vasco che conosciamo, o crediamo di conoscere.
«Ricordo la domenica a Zocca. Era il dì della festa. Si cominciava con la messa mattutina, alla quale non assistevo ormai più da tempo, e poi si andava al bar in piazza. E ancora in giro fino a sera, quando si finiva nell’unica discoteca. Che apriva solo di domenica (non il sabato!) per antica tradizione. E il giorno dopo a scuola con il mal di testa...».
Anni Settanta, nel paese natale, appennino tosco emiliano, metà strada fra Modena e Bologna. Il ragionier Vasco Rossi vuole iscriversi a psicologia, ma a Bologna la facoltà non c’è, e lui ripiega su economia e commercio. Per i primi due anni frequenta e fa pure tutti gli esami. Seguendo la raccomandazione del padre camionista, «per non perdere il presalario». Poi passa a pedagogia, dove arriva a una manciata di esami dalla laurea.
Nel frattempo sale su quello che lui chiama «il treno della musica». Fa il disc-jockey a Zocca in una delle prime radio private, a Modena in alcune discoteche. A Bologna entra nel giro dei cantautori. Arrivano i primi spettacoli dal vivo, le prime canzoni, il primo 45 giri...
«Conobbi Alan Taylor grazie a Gaetano Curreri. Che riconobbe in lui il personaggio giusto per farci fare il salto da Bologna a Milano, capitale della musica. Per me era un salto epocale: il mio primo 45 giri, ”Jenny/Silvia”, lo avevo inciso con la Borgatti Records, un’etichetta di Bologna che si occupava prevalentemente di liscio, grazie ai buoni uffici di Stefano Scandolara. Per questo gli regalai la metà dei diritti d’autore: gli feci firmare la Siae, come si dice in gergo. Ma le canzoni ”Jenny” e ”Silvia” sono tutte e due mie...».
Ancora Vasco: «Alan ci portò a Milano, alla Saar, una rinomatissima e importante casa discografica nazionale. Lui era un chitarrista inglese, era arrivato in Italia con un gruppo che aveva avuto un momentaneo successo. Possedeva una Martin, la chitarra acustica per eccellenza, la più bella del mondo, quella che aveva un suono straordinario e che, per noi amanti dello strumento, rappresentava il sogno. Ma costava molto e io non potevo certo permettermela. In cambio di quel prezioso strumento gli offrii il cinquanta per cento dei diritti d’autore di tutte le canzoni del mio nascente album ”Ma cosa vuoi che sia una canzone”, e lui... me la diede! Ecco perchè appare alla Siae come coautore. E sono ancora convinto di aver fatto un buon affare...».
Quel primo album esce nel ’78, ma non se lo fila quasi nessuno. Stessa sorte per «Non siamo mica gli americani», che vende poco nonostante la presenza di una perla assoluta come «Albachiara», spiegata così dal suo autore: «Dalla finestra di casa mia, durante le lunghe e noiose ore di studio, vedevo una ragazzina scendere dalla corriera e... ”coi libri di scuola” avviarsi verso casa».
Con «Colpa d’Alfredo», uscito nell’80, e subito dopo con «Siamo solo noi», le cose cominciano a cambiare. Anche se il botto arriva con Sanremo. Nell’82 «Vado al massimo». Nell’83 «Vita spericolata». Ultime in classifica, ma ormai, fra polemiche e legioni di fan, Vasco è ormai personaggio da prima pagina. Nasce la leggenda - suffragata da ottime basi nella realtà - del «rocker dalla vita spericolata». Anticonformismo, ribellione, trasgressione, droga, anche il carcere... Gli ingredienti per entrare nel mito ci sono tutti. E infatti il signor Rossi ci entra. Per non uscirci più.
«Trattato agli inizi - scrive Ranieri Polese nella prefazione al libro - come un provinciale naif, senza letture, in realtà Vasco èl’autore italiano che più si interroga sul come scrivere le canzoni, quale linguaggio usare, quali parole. Un lavoro costante che lo accompagna lungo tutto il suo canzoniere. E che lui racconta in molte canzoni, volutamente alternando una assoluta sincerità con le immagini dell’ispirazione che, se non la fissi subito, rischia di sparire...».
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