venerdì 7 novembre 2003

RENATO ZERO

Sabato lo rivedremo da Giorgio Panariello, su Raiuno. A presentare il nuovo
disco «Cattura» ma anche a perpetuare il gioco, che piace tanto alle folle
mediatiche, dell’imitato che s’incontra con l’imitatore. Gioco che funziona
alla meraviglia quando Teo Teocoli diventa Cesare Maldini, quando Maurizio
Crozza si trasforma in Josè Altafini (o in Marzullo, o in Cannavò...),
quando Sabrina e Corrado Guzzanti dardeggiano i loro tanti bersagli. E
quando Panariello, appunto, fa Renato Zero quasi meglio dell’originale.
Anche questo, in fondo, è un segnale della «normalizzazione» di Renato
Fiacchini in arte Zero. Partito come un David Bowie «de noantri», arrivato
nell’immaginario collettivo alla stregua di un Claudio Villa rivisto e
corretto da qualche decennio di cultura pop. Classe 1950, «romano de Roma»,
comincia a cantare da bambino. Nel ’66 al Piper, in pieno beat italiano,
viene notato dal coreografo Don Lurio che lo porta in tv (assieme a Loredana
Bertè), nel gruppo di ballo di Rita Pavone «Collettoni e Collettine».
Seguono i programmi di Arbore e Boncompagni, le comparsate nei Caroselli
televisivi, i primi dischi («Non basta mai» è del ’69), la particina nel
«Satyricon» di Fellini (’70), l'edizione italiana del musical «Hair», la
rock-opera di Tito Schipa jr. «Orfeo 9». Il primo album come cantautore, «No
mamma no», è del ’73. E la «maschera Renato Zero» diventa protagonista della
canzone italiana. Cipria, cerone, mascara, travestimenti e imbellettamenti
vari servono all’artista per comunicare già con l’immagine, prim’ancora che
con parole e musica. Per parlare a schiere di «sorcini» di disagio, di
emarginazione, di omosessualità, di droga, di tabù vecchi e nuovi.
Una volta, tanti anni fa, della sua maschera disse: «Non è assolutamente un
fatto scenico. Ora sono completamente senza trucco, ma nulla vieta che tra
un po' vada a casa e mi trucchi per poi andare a prendere un gelato. Mi si
può dire che è puro infantilismo, io rispondo che è una dimensione di vita
tutt'altro che lontana dalla realtà. Fuga? Mai. Schizofrenia? Neanche.
Ridicolizzare le frustrazioni e le paranoie: questo sì».
Chissà se lo pensa ancora, il normalizzato signore cinquantatreenne Renato
Fiacchini in arte Zero. Di cui ultimamente si è parlato, più che per la
musica, per tre fatti. Aver adottato legalmente un giovanottone trentenne di
nome Roberto Anselmi. Esser stato coinvolto (con ogni probabilità senza
colpa) in una denuncia per maltrattamenti da un suo ex domestico cingalese.
E ovviamente per l’azzeccatissima imitazione che ne regala Panariello.

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